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Autore: Delirious Rose    01/03/2021    0 recensioni
Fin dalla sua presentazione a corte, tre anni prima, la regina aveva ripetuto ad Albirea quale importante tassello lei fosse. Che poco importava chi il Signor Padre avrebbe adottato: lei, Albirea, era l’unica a poter garantire la legittimità del sovrano grazie al suo sangue e alla sua carne. Ovviamente, suo marito avrebbe anche ottenuto il supporto del clan Zurija e dei loro alleati, ma la politica non era un argomento di conversazione adatto alle orecchie di una fanciulla.
Questa è la versione estesa, riveduta, e corretta trentordicimila volte della mia vecchia one-shot "La Regina di Giada"
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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—II—
Una Partita a Scacchi






Una conversazione privata con un uomo estraneo alla famiglia non si confaceva a una fanciulla dabbene. A volte un incontro con un Inquisitore era una comprensibile; a volte era concesso il privilegio di intrattenersi con il proprio promesso sposo. La visita di un Archiatra poteva essere necessaria; mentre la scorta di un Paladino del Dahrak d’Argento era tollerata. E questo nonostante i membri dell’Ordine non fossero tenuti a far voto di celibato o castità, al contrario dei Manuisti [1] o degli Egidigeri del Tempio[2] .

Esecutori di Januos, così i Netrarg erano chiamati. Albirea non credeva possedessero potere divino, ma era innegabile che quella razza di viverna (solo gli ignoranti si riferivano a loro come ‘draghi’) avesse un’intelligenza e un’intuizione pari, se non superiore, a quella umana. Un Netrarg era anche la guida e il custode morale del suo Paladino: il minimo sgarro, la minima macchia all’onore e al valore significava una morte atroce. Solo i più puri e onorevoli cavalieri di Vernolia potevano aspirare all’Ordine, e per tutto il resto della loro vita sarebbero stati tenuti a mantenere la stessa probità morale. Solo un novizio su dieci sopravviveva alla prova finale, e molti abbandonavano prima di prendervi parte.

Come uno dei fratelli carnali di Ser Elsa, di pochi mesi più giovane di lui: aveva avuto la presenza di spirito di tornare a casa dopo poco più di un anno. Al contrario di uno dei figli di Eria Ántere, il secondo o il terzo (all’epoca, Albirea era ancora una bambina al seno della nutrice e, onestamente, non le importava). La sua rapida ascesa tra i novizi era stata ammirata e lodata, ma dopo che il giovane principe non era riuscito ad avvicinarsi a più di cento leigh[3]  dal nido. Il precedente Sìsepa aveva condannato la hybris del principe durante la cerimonia funebre. L’abbandono da parte di molti più novizi del solito aveva dato adito a voci su come il principe avesse abusato del suo potere durante l’addestramento e avesse corrotto taluni compagni per primeggiare.

Il problema era che tale probità morale fosse anche richiesta all’eventuale sposa del paladino. Da quello che Albirea aveva potuto dedurre dalle varie conversazioni, meno di un paladino su cento incontrava una donna che fosse accettata dal suo Netrarg. Coloro che desiderassero fondare una famiglia, aspettavano il venticinquesimo anno di servizio per lasciare l’Ordine, come qualunque altro soldato di bassa estrazione.

Molto probabilmente Re Lajosen e la Dieta dovevano aver imposto l’uscita dall’Ordine e l’annullamento dei voti per permettere al Signor Padre di adottare Ser Elsa. Era buona cosa, dato che il Netrarg del giovane paladino sembrava tollerare Albirea a malapena, ma al tempo stesso, l’essere accettata le avrebbe dato una immagine migliore agli occhi del popolo e una maggiore influenza su Ser Elsa—

Un urlo straziante raggelò il sangue di Albirea. Alcuni servi e schiavi, i più giovani, si pietrificarono, la testa rivolta verso l’edificio che separava la corte interna da quella esterna. Un servitore di mezz’età diede una pedata nel deretano del ragazzino che lo accompagnava, rimproverandolo a denti stretti mentre gli dava un altro calcio per farlo avanzare.

«Che cos’è questo trambusto?» Meritia chiese alla guardia più vicina—non era bene per la figlia di un aristocratico rivolgere direttamente la parola a un popolano.

La guarda batté la destra sul petto, indietreggiando di un passo e chinando il capo in segno di subordinazione. «Questo umile servitore non è certo, Vostra Altezza, ma parrebbe che un famiglio colpevole sia stato condotto al Recinto.»

Albirea inarcò un sopracciglio e non attese che la sua ancella ringraziasse la guardia. Il Recinto era stato costruito in previsione dell’ordinazione a paladino del figlio di Eria Ántere, destinato ad accoglierne il Netrarg—ma alla fine era quello di Ser Elsa o dei suoi superiori ad utilizzarlo.

Una schiava, coi capelli lanosi e di un biondo così pallido da sembrare bianchi dei Falasinesi, piangeva e supplicava nella sua lingua dura, cercando di stare tanto lontana dal Netrarg quanto possibile. La viverna schioccò le mascelle verso la ragazza ma era più un gesto intimidatorio, come se volesse cacciarla piuttosto che ucciderla. 

«Che accidenti aspetta quella stupida bestia a divorarla?!» la padrona della schiava urlò, pestando i piedi come una bambina capricciosa. «Non ho altro tempo da perdere, io! Devo prepararmi per il banchetto!»

Albirea era tutto fuorché sorpresa dal comportamento della sorella carnale, Elikoré. Era di circa un anno più giovane, figlia della Prima Concubina Urria Tirsia, e tristemente nota tra la servitù di Palazzo Nidiacéo. Una ipocrita e una bugiarda che giocava la sorella minore sommessa e attenzionata davanti alla Regina Ililsea, mentre era un demone nell’intimità del palazzo del Signor Padre. Non era una figlia favorita—nessuna di loro lo era—ma i suoi scatti d’ira erano ignorati e il suo comportamento non era mai stato corretto.

La schiava svenne con un urlo quando il Netrarg schioccò le fauci, avvicinandosi di neanche mezzo leigh. Allargò le narici e la lunga coda sottile sollevò una nuvola di polvere. Allungò il collo verso Elikoré, lanciandole contro un ringhio agghiacciante. Albirea trattenne un sorriso alla vista del viso improvvisamente impallidito della mezza-sorella, ma non poteva indulgere. Qualunque fosse il crimine della schiava, Elikoré aveva disprezzato non solo le regole del Gineceo, ma soprattutto la sua gerarchia.

«Portatela via», ordinò Albirea con il tono stentoreo imparato negli appartamenti privati della Regina.

L’ordine non fu eseguito all’istante. Non che Albirea si aspettasse altrimenti. In altre circostanze, in un’altra famiglia, tutte le sue sorelle minori avrebbero dovuto sottostare alla sua autorità. Ma senza una madre che la appoggiasse, Albirea aveva tanto potere quanto l’ultima nata—nessuno.

«Non t’immischiare!» protestò Elikoré con il tono stridente di un infante cui era stato tolto un balocco. «È la mia schiava! E—»

«E non potete infliggerle più di dieci colpi di canna come punizione», rispose Albirea con tono formale e fattuale—le ci erano voluti anni per padroneggiarlo. «Se la sua colpa è tanto grave da richiedere una pena più dura, avreste dovuto appellarvi a Eria Ántere. E qualunque sia il crimine, solo un Santo Inquisitore può ‘gettare al dahrak’ un peccatore.» Irrigidì la schiena e pose la manca nella destra, nella postura regale che la Regina le aveva imposto a colpi di canna sui polpacci. «Posso perdonare la vostra mancanza di rispetto nei miei confronti. Ma Eria Ántere vi concederà altrettanta clemenza per esservi posta al di sopra di lei?» Albirea fece un passo verso Elikoré. La sua voce si fece più bassa e tagliente, carica della fredda spietatezza dei Gabirai. «E il Signor Padre? Chiuderebbe un occhio, nella sua magnanima mansuetudine?»

Albirea assaporò il potere prestato dal genitore e gli effetti che la prospettiva di affrontare la furia paterna su Elikoré. Il volto divenne cereo, la fronte e il labbro superiore si imperlarono di sudore, le pupille tanto dilatate da mangiarsi il castano delle iridi. Elikoré balbettò, le parole inciamparono sulle labbra come volgari beoni.

«Non spetta a me ascoltare le vostre scuse», la interruppe Albirea con tono fermo. «E se aveste letto le Letture invece d’imbellettarvi, sapreste che i Netrarg sono gli Emissari di Januos, esecutori della sua Divina Giustizia: se rifiuta di far del male a quella fanciulla»—Usò quella parola apposta, ma non perché considerasse la schiava un essere umano, quanto per avere il supporto silenzioso di quei servitori—«è perché ella è innocente.»

«Quella—» Elikoré strinse le labbra, il suo volto rosso e accigliato si contorse in un ghigno malevolo. Le si avvicinò, sollevando il mento per guardare Albirea dall’alto in basso nonostante avessero stature simili. «“Innocente”, dici? Mi chiedo come reagirebbe davanti a della merce avariata

Meritia urlò, reagendo un momento troppo tardi dopo che Elikoré ne spinse la padrona oltre il parapetto del Recinto. Albirea protesse la testa con le braccia, soffocando un gemito di dolore quando il suo corpo colpì la rena. Un paio di leigh sopra di lei, famigli urlavano e Elikoré piagnucolava con simulato terrore il nome di sua madre.

Albirea osò gettare un’occhiata al Netrarg—era vicino, troppo vicino. La viverna inclinò la testa, come un cane curioso, mentre mostrava i denti affilati come rasoi. Albirea deglutì bile mentre cercava di ricordare cosa fare quando ci si trovava dinanzi a un Netrarg.

«No-non ha motivo di attaccarmi», mormorò a sé stessa, senza riuscire a mantenere una voce ferma.

Ma ne era sicura? A volte la memoria di Albirea era difettosa. Anche se avrebbe giurato sulle ceneri di sua madre e di Deneveo che lei non aveva cercato di sedurre il suo mezzo fratello, purtroppo non ricordava nulla dal momento in cui Dolen l’aveva forzata a bere ippocrasso e quando aveva ripreso coscienza.

Albirea deglutì di nuovo.

«No-non sono io a dover aver paura.»

Nei primi giorni del lutto, era corsa voce secondo la quale Elikoré non avesse usato il grembiale dopo il Ritorno di Manuos[RP5] , e che Ussia Tirsia avesse trovato dei grani germogliati nella stanza della figlia. Albirea non dava fede ai pettegolezzi, ma Elikoré si era appartata diverse volte con un giovane durante le festività, quando credeva che nessuno la osservasse.

La furia le raggelò le viscere.

Non era giusto. Perché era lei ad essere chiamata “sporca puttana” e a essere frustrata, quando Elikoré aveva usato iperico e tanaceto, e forse perfino l’uncino?

Albirea inghiottì le lacrime e il dolore in fondo alla gola. Era perché non aveva nessuno. Non aveva una madre che la sostenesse o un fratello che la proteggesse. Aveva solo Meritia, un’ancella. Albirea aveva cercato anche di esporre alla Regina Ililsea gli abusi subiti, ma tutto quello che aveva ottenuto era un Inquisitore che le predicasse a lavare i panni sporchi in famiglia mentre ella era inginocchiata sui ceci per ore.

Ella si pietrificò quando il Netrarg le schioccò le fauci contro. Per un istante, gli occhi di lei incontrarono quelli d’argento e celadon della viverna. Per quanto questi fossero affascinanti, non si dovevano mai fissare un Dahrak negli occhi: sarebbe stata percepita come una minaccia o una sfida e sarebbe finita nel sangue. Meglio fissare il naso, o i denti—oppure le ali piumate che spazzavano la rena.

Un sorriso amaro e melanconico incurvò le labbra di Albirea. Sua madre aveva avuto una mantella in piume di Netrarg. Quando era piccola, Albirea soleva rincantucciarsi nelle braccia di sua madre ogni volta che la indossava. Quella mantella era stata uno dei tesori più preziosi di Albirea, e aveva desiderato essere abbastanza grande per poterla indossare—d’essere sposata e in attesa di un figlio per avvolgervisi dentro e illudersi che sua madre fosse ancora al suo fianco, stringendola fra le sue braccia.

Bile amara le riempì la bocca. Eria Antere gliel’aveva rubata per darla a sua figlia. Pelia Miana era stata anche peggio, ringraziando Albirea pubblicamente come se fosse stata lei a donare la mantella di piume di Netrarg. Allora, Albirea era solo una ragazzina di quattordici anni che aveva da poco debuttato in società: non le avevano dato altra scelta che ingoiare lacrime e umiliazione.

Il Netrarg sbatté le ali, lanciando un minaccioso fischio che sembrava quasi un grido.

Ma gli occhi di lei erano fissi sulle candide piume madreperlacee. Sarebbero state tanto seriche e morbide quanto la mantella di sua madre? Sarebbero state tanto calde quanto l’abbraccio di sua madre? Uno strano pensiero si fece strada nella mente di Albirea—non le importava essere dilaniata un Netrarg se avesse potuto assaporare un’ultima volta la sensazione della mantella di sua madre.

«Allontanatevi»

Una mano guantata le strinse il polso, e due braccia forti la spinsero verso la scala di pietra che conduceva fuori dal Recinto.

Ser Elsa Relda camminò verso la viverna con passi determinati ma cauti. Il Netrarg agitò la coda sottile e batté nuovamente le ali; poi abassò la testa e allungò il collo, emettendo un suiono minaccioso fra un fischio e un ringhio. Eppure, il Paladino continuava ad avvicinarsi, mostrando i palmi delle mani e schioccando la lingua. Ser Elsa si fermò solo quando la viverna schioccò le fauci verso di lui—allargò le narici per annusarlo, e solo allora il Netrarg gli permise di toccarlo. Il Paladino premé la fronte contro quella del Netrarg, accarezzandolo e sussurrando fin quando la viverna non si calmò.

«Mia signora, ignoro che cosa vi abbia spinto a commettere una tale follia.» Ser Elsa deglutì, con la lingua che inciampava come un beone. «Coloro che gettano via la propria vita non sono ammessi alla Dimora di Januos.»

«Ah, è quel che mia sorella blaterava?» Albirea rispose con un sorriso amaro.

Egli aggrottò lea fronte, mentre il Netrarg gli dava dei colpetti col muso. «Volete dire che la Principessa Elikoré abbia osato mentire in presenza di un Emissario di Januos?»

«Tale è mia sorella.» Albirea accentuò l’ultima parola per significare l’opposto—e infatti, lo sguardo di Ser Elsa si indurì. Egli strinse la mascella mentre stringeva gli occhi nella direzione presa da Elikoré. Albirea si schiarì la voce, facendo del suo meglio per sembrare calma e sicura di sé mentre cambiava argomento. «Suppongo che ora tornerete a Kargy[RP6], giusto?»

Ser Elsa scosse la testa. «Sua Altezza Reale desidera che resti per il banchetto.»

Non era esattamente una conferma dell’ipotesi di Albirea, ma ne era abbastanza vicino. Avrebbe dovuto continuare con i suoi piani e cercare di scoprire altro?

«Potremmo approfittarne per continuare la nostra partita a scacchi: voi vi terrete impegnato nell’attesa, ed io… una piccola distrazione mi farà bene», Albirea suggerì mentre Ser Elsa la aiutava ad uscire dal Recinto. Batté le mani per farsi portare la scacchiera.

Albirea e Ser Elsa avevano iniziato a giocare a scacchi per onorare la memoria del fratello di lei. Dopo tutto, Deneveo soleva giocare a scacchi con il Paladino, e aveva insegnato il gioco alla sorella. era giusto finire la partita interrotta da Dama Morte. Poi avevano continuato a giocare, con Ser Elsa come insegnante prima e rivale poi. Le loro lettere non erano mai sigillate, in modo che chiunque potesse leggerne il contenuto. Le prime contenevano schizzi di mosse accompagnate da una descrizione dettagliata—cinque anni dopo, erano mere note per la progressione di una partita.

Ser Elsa Relda non era possente, ma possedeva una naturale imponenza che, a tempo debito, gli avrebbe fatto guadagnare la lealtà dei suoi subordinati. Era giovane e poco esperto, ma un occhio attento poteva già cogliere i semi di quelle virtù confacenti un uomo maturo e ammirevole. Con sufficiente tempo ed esperienza, Ser Elsa sarebbe diventato un condottiero, così come suo padre era un ottimo capitano. Tuttavia, era ancora impacciato con le dame, anche se la sua timidezza fanciullesca rendeva il suo fascino più intrigante.

Era bello, Elsa Relda, con quei suoi lineamenti raffinati che lo facevano sembrare un principe del sangue. Era bello, Elsa Relda, con la pelle e i capelli baciati dal sole e gli occhi come schegge del cielo d’alta quota. Era bello, Elsa Relda, alto e fiero nell’armatura scintillante dei Paladini del Dahrak d’Argento, o galante nel semplice farsetto di lana.

Albirea non lo amava, né tantomeno era attratta da lui, così come non aveva un reale interesse nella Corona di Elanne. Tuttavia, il Signor Padre era deciso ad adottare proprio Elsa Relda, la persona più vicina all’ideale di marito di Albirea.

«Il vostro Netrarg si irrita sempre così facilmente?» chiese ella.

«V’è troppa slealtà e perfidia in Eimerado per i gusti di Mornaü», rispose Ser Elsa, grattandosi il mento mentre studiava la scacchiera.

I pensieri di Albirea andarono a sua madre e a suo fratello, a Eria Ántere e alle concubine. E al signor Padre. Non poteva pensare a un uomo più perfido di lui, anche senza le voci su come avesse ucciso i suoi fratelli e nipoti.

Albirea strinse le labbra. Poteva solo avanzare un pedone laterale invece che attaccare il centro senza mettere in pericolo il suo alfiere. Tuttavia, sorrise mentalmente. Il pedone sarebbe stato presto dimenticato e, se riusciva a distogliere da esso l’attenzione di Ser Elsa, avrebbe potuto raggiungere l’estremità della scacchiera ed essere promosso a regina.

«La scorsa estate pareva alquanto contento, quando avete scortato la corte a Barsent», Albirea disse con un sorriso che non le toccava gli occhi mentre la torre di lui catturava il pedone. Ah, ma non era la prima volta che Ser Elsa intuiva la sua strategia.

«Chi non lo sarebbe nel ritornare nel suo paese natio?» rispose Ser Elsa, scoccando un sorriso affettuoso al Netrarg prima di tornare a concentrarsi sulla scacchiera.

«Seguirete la corte anche questa estate? Potremmo avere più occasioni per una buona partita», suggerì Albirea con genuino entusiasmo, catturando il suo cavallo con la propria regina.

Ser Elsa scosse la testa, la sua voce e il suo sguardo meditabondi mentre studiava la scacchiera. «I Paladini del Dahrak d’Argento partiranno per Bal’avash—»

«Bal’avash?!» Albirea prese qualche respiro, cercando di calmare il cuore che le rimbombava nelle orecchie. «Sua Devozione ha dichiarato una guerra sacra? Non dovrei essere sorpresa: le Letture ingiungono agli Uomini Liberi di Vernolia di sradicare quei barbari schiavi dei demoni.»

Non era necessario parlare delle vie commerciali, delle mine, e della seta di ragno che poteva essere trovata solo a Bal’avash. O di come il territorio annesso fosse la porta d’ingresso dell’esercito vernoliano per entrare in Dwerissi. Non erano argomenti che si confacevano a una fragile fanciulla, o che un uomo timorato degli dèi come Ser Elsa Relda potesse approvare.

«No, non sarà una guerra santa. Ma come può Sua Altezza ignorare i ribelli, dopo che essi hanno ucciso un bimbo innocente?» Il suo basso ringhio le ricordò lo sprezzo del Signor Padre.

«Ah. Dunque i sospetti di mia sorella Miana sono fondati…» rispose Albirea, fingendo di soffocare un singulto.

«Uno dei compiti di papà come nuovo viceré sarà in effetti di investigare il decesso del giovane Conte Saril Tevoul.» Ser Elsa inarcò un sopracciglio mentre ella muoveva il proprio pezzo. Egli si chinò sulla scacchiera—era così vicino che Albirea colse un effluvio dei suoi cuoi e della speziata austerità dell’angelica—e la fissò negli occhi. Il suo alfiere di alabastro catturò la regina di giada di lei. «Vi chiedo venia, mia signora: scacco alla regina», disse egli, anche se non sembrava affatto dispiaciuto.

Albirea storse le labbra in una smorfia mentre la sua regina veniva tolta dalla scacchiera. Ser elsa sarebbe andato via per almeno un inverno, adozione o meno—tutto e il contrario di tutto poteva accadere in un inverno. Strinse la gonna fra le mani, sollevata che Ser Elsa potesse imputare la reazione alla partita. Per un momento, Albirea scorse un sorriso sul suo volto. Eppure, un battito di cuore dopo, Ser elsa si irrigidì in un attenti, mentre il suo Netrarg ringhiava minaccioso.

Il Signor Padre, il Quinto Principe, guardò in cagnesco Albirea, la quale si alzò con un movimento fluido e aggraziato, mormorando i saluti formali con un perfetto inchino. Ella attese una risposta, una mano nell’altra e ritta come un fuso; con la testa alta ma lo sguardo abbassato. Il Principe Akamareo invitò Ser Elsa ad avvicinarsi con un gesto della mano, ignorando Albirea come se ella non fosse che una delle tante statue che ornavano il cortile. Solo dopo che il capitano e i suoi due figli si furono allontanati, il signor Padre rivolse i suoi occhi di ghiaccio alla figlia.

«Sembrate una squattera colta in flagrante.» La sua voce, poco più di un sussurro, era tagliente come una lama di acciaio euhrosiano che colpiva lì dove avrebbe fatto più male.

«Dite, Signor Padre, mio Principe?» rispose Albirea, simulando ingenuità e sgomento. «Ho appena perso il mio pezzo più potente in una partita a scacchi.» Batté un dito contro le labbra strette, inarcando le sopracciglia. «Che cosa farebbe Deneveo per riscattare la regina? Avete dei suggerimenti, Signor Padre, mio Principe?»

Il Principe Akamareo strinse gli occhi; poi prese un pezzo dalla scacchiera. «Ignoriamo cosa vi passi per la testa, tuttavia vi ricordiamo due cose. La prima: elsa Relda non è per voi. E la seconda»—Pose il pezzo nel palmo della mano di lei, chiudendovi le dita sottili attorno—«non dimenticate il vostro posto.» Le lasciò la mano come se fosse qualcosa di immondo. «Tu»—Non guardava Meritia neanche quando le dava un ordine diretto—«desideriamo che ella indossi il suo miglior abito.»

Albirea strinse le labbra, fissando il Signor Padre fino a quando non lasciò il cortile. Solo allora ella schiuse le dita.

Un pedone di giada.

Una parte di lei avrebbe voluto lanciare il pezzo contro la parete. Eppure, il signor Padre non si curava di come fossero vestite le sue figlie. Era quell’ordine una prova che egli volesse annunciare l’adozione di Ser Elsa Relda e il loro fidanzamento quella sera stessa? Significava che Albirea avrebbe sposato Ser Elsa prima della sua partenza per Bal’avash? Quel territorio barbaro non si confaceva a una fanciulla dabbene, ma se seguire il suo sposo significava lasciare Palazzo Nidiacéo e le vipere che vi abitavano, Albirea sarebbe partita con gioia.

Chiamò Meritia a sé con un gesto della mano. «Scopri se ha qualcosa in serbo», Albirea sibilò, inclinando la testa appena in direzione del Signor Padre.

L’ancella s’inchinò, dichiarando una scusa abbastanza forte per essere udita da chiunque passasse vicino, prima di dirigersi verso gli ingressi della servitù.

Albirea, invece, ripose il pedone sulla scacchiera, a una casella dall’ultima riga di Ser Elsa. Solo una mossa, e sarebbe stato promosso a regina.

 

 

Manuisti: ordine religioso cavalleresco votato al Dio Manuos, atto a combattere i nemici della Fede.
Egidigeri del Tempio: ordine religioso cavalleresco, votato al Dio Januos. Fondato da Meniar il Conquistatore per la protezione della Fede e dei pellegrini.
Leigh: Unità di misura, corrispondente a circa 118 cm
 Ritorno di Manuos: Festività vernoliana mobile: cade durante la prima luna mensile nuova dopo il solstizio d’inverno
 [RP6]Kargy: Isolotto a poche miglia a nord di Eimerado, sede locale dei Paladini del Dahrak d’Argento
   
 
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