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Autore: Mercurionos    01/03/2021    1 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Capitolo 20 – Piano per lo Scombussolamento dei Saiyan, Parte 2 – Anno 2, 11 Germinale
 
“Certe volte non riesco proprio a capire voi uomini.”
“Cosa c’è di male nell’allenarsi un poco di mattina? Dovresti provarci anche tu, ogni tanto.”
“E per quale motivo? Ah già, per diventare una degna erede del popolo saiyan e bla bla bla senza dimenticare l’onore, la forza, la spietatezza e altro bla bla bla… Io voglio dormire di notte, diamine!”
Pump si era svegliata in una stanza gelida e vuota. Si era alzata, lavata, vestita. Da sola. Era scesa per le scale dei dormitori, attraversato il cortile lambito dai primi lumi del mattino. Da sola. La mensa della sezione A, d’altro canto, quella mattina era piena di vita. Chiacchiericci e schiamazzi animavano la grande stanza, tanto che il semplice tentativo di comprendere le parole dei propri commensali pareva un’impresa. Sulle labbra di tutti, lo stesso argomento, le menti dei cadetti completamente assuefatte dal pensiero di poter, finalmente, guidare una nave spaziale.
 
Certo, molti avevano già potuto sperimentare l’uso della comoda, intuitiva ed ergonomica plancia di comando delle navette imperiali, i piccoli vascelli biposto tanto usati per gli spostamenti rutinari; ancor di più, anzi, proprio tutti i cadetti del N.I.S.B.A. possedevano una M.U., la sfera d’assalto la cui sola vista, mentre solcava il cielo di un pianeta non ancora conquistato, incuteva timore nei cuori di innumerevoli popolazioni. Le condizioni atmosferiche erano perfette, quel giorno: cielo blu, scuro, come il mare profondo; nessuna nuvola, se non all’orizzonte; Cold e Colder, le lune di Neo Freezer, erano ferme allo zenit, bersagli luminosi al centro della volta celeste.
 
“Allora, siete pronti?”
Mirk si lasciò cadere con forza sulla seggiola ancora libera. Il tavolo vibrò per qualche istante. La pappetta d’avena si fece largo sul mento di Vegeta e Radish.
“Pulitevi.” Gladyolo pareva nervoso. Più del solito, ecco.
I saiyan si passarono il polso sulle labbra, sfregandosi con forza. I loro guanti, però, restarono bianchi. Che ciò sia accaduto a causa di una dimenticanza del disegnatore oppure grazie all’incredibile ed inenarrabile tecnologia autopulente di stampo imperiale… Si è voluta lasciare al lettore la libertà di scegliere.
 
Vegeta ridacchiò: “Pronti per cosa? Pigiare qualche pulsante e lasciar fare tutto al pilota automatico? Ma per piacere.”
“Sento già che oggi potrei morire.”
“È già tanto che non sei morto stamattina, Radish.”
“Tranquillo, Vegeta, lo so. E non ho voglia di sfidare nuovamente il destino. Penserò io a pilotare la navetta.”
“Fa’ come vuoi, è noiosissimo.”
“Da quando in qua sfrecciare per lo spazio a velocità folli è noioso?”
“Da quando sono in grado di farlo senza uno stupido rottame che mi spinge per il nulla cosmico.” E si alzò, subito accompagnato da Mirk.
 
Radish si calò mogio sulla propria scodella. Vegeta non aveva torto, lui stesso sapeva volare con disinvoltura, ma, a differenza del principe, non aveva mai avuto l’occasione di pilotare un’astronave. Quando era piccolo aveva utilizzato soltanto la sfera d’assalto, che richiede ben poca partecipazione alle manovre di volo. Prima ancora che avesse fatto squadra con Vegeta, era stato qualche volta nelle grosse navi di trasporto dell’esercito in compagnia di Nappa e degli altri saiyan della loro squadra, ma non aveva mai visto una cabina di pilotaggio, men che meno un vero e proprio ponte di comando.
 
“Ehi Pump, pensi che comandi somiglino a quelli degli speeder di Luud?”
“No. Abbiamo già studiato come sono fatte le plance di comando, e non si somigliano. E tra l’altro, cosa dovrei saperne io? Mutchi lasciava guidare sempre te.”
La risposta che ricevette il ragazzo fu molto più fredda del previsto. Pump si piegò frettolosamente di lato, per evitare il suo sguardo. Andò a sbattere contro la piccola Dylia, proprio quando stava per alzarsi. Pump scattò in piedi, barcollò per qualche istante, confusa. Le girava la testa, alzò un palmo per tenersi la fronte, ma non fu abbastanza attenta: la mano le si schiacciò in volto con forza, colpendo in pieno lo scouter.
 
Si riassestò. Tutti la stavano guardando. Il vetrino del rilevatore le aveva lasciato un bel solco rettangolare, una linea rosso vivo sulla guancia, sul naso e sulla fronte. Agitò il capo, non per riprendersi, ma per sfuggire ai loro sguardi. Alzò gli occhi in cerca di una parete, di un qualsiasi punto lontano da fissare per potersi calmare e riprendere fiato. Non lo trovò. Vide nero. No, non era diventato tutto nero. Era solo un punto, una forma appuntita, disordinata, scomposta.
Perché è così lontana?
La sua vista si acuì di nuovo. Scese lungo il suo capo cinto di nero.
Diamine se è stempiato.
La fronte alta, dura, gli occhi nero pece come i capelli. Il sorriso.
Sorride!
Sorride?
Sorride.
 
Non stava guardando lei. Perché avrebbe dovuto guardarla, perché avrebbe dovuto distogliere lo sguardo da una visione tanto migliore? La stava fissando, ci stava parlando, con il margine del labbro inarcato, un’espressione così inusuale sul volto del principe. Ma non stava guardando lei, ma l’altra. Lei era pallidina, non bianca lattea; aveva quel singolo, semplice cespo nero, come il suo, ma non una chioma ribelle, accesa, vermiglia come il sole al fare della sera; era forte, ma non fortissima; era brava, ma non eccelleva. Non era come lei, non le importava, almeno questo continuava a ripetersi, ma continuava a vederlo sorridere, mentre le parlava, di continuo, di continuo, la seguiva, era scappato con lei, per migliorarsi, per crescere, allontanarsi ancora, sempre più lontano, se lo sentiva sfuggire dalle mani, più lontano, più forte, ma c’era di mezzo lei, sempre c’entrava lei, lui sorrideva, ma perché parlava con lei, non con un saiyan, ma con lei, con lei!
 
Lanciò un braccio contro la colonna di cemento, si aggrappò al nulla. Tutto girava, sopra e sotto si mescettero, c’erano mille odori, tutto era bianco, ridotto ad una macchia disgustosa. Che peso, la gravità era sempre quella, ma le gemettero i fianchi, oppressi dal nulla. Non capiva, non riusciva a capire, nemmeno si era accorta di non capire. Perché proprio quel giorno? Cosa era successo? Quale evento così singolare aveva spezzato la sua mente? La stavano chiamando? Chi erano quelli che si stavano avvicinando a lei? Di chi erano quelle mani? Scivolò lungo la colonna, strinse le dita, le unghie si sollevarono graffiate dal ruvido muro, era solo uno dei dolori che sentiva, tutto coperto da quel grido straziante che le stava spaccando il cranio, la accecava, la assordava. Perché facevano così male le spalle? La stavano stringendo? Chi c’era davanti a lei?
 
“PIANTALA.”
La stanza tornò orizzontale. La macchia opaca dinanzi a lei si rivelò essere Radish. La stava tenendo, forte, forse un po’ troppo, per le spalle. Aveva delle mani grandi, calde, ma anche molto vigorose. Si guardarono per un istante.
“Pump!” la chiamò Radish, ancora una volta.
“Eh?” No, non era stato lui a gridarle di smetterla. Si guardò intorno, a sinistra, poi a destra. E incontrò degli occhi diversi da quelli di Radish. Non neri, calmi, rotondi, preoccupati. Bianchi, torvi, abbaglianti. Il lungo ciuffo di capelli di Gladyolo ondeggiava nell’aria come trasportato dal vento. Continuò a fissarla, infiammato da un sentimento complesso, che Pump non riuscì a comprendere, in quel momento. Ma nello sguardo veemente del principe dai capelli bianchi si celava una nota sottile, non di odio, non di rabbia, ma di paura.
 
Pump agitò le spalle, liberandosi dalla presa di Radish. Il ragazzone fece qualche passo all’indietro per lasciarle un po’ di spazio.
“È tutto a posto? Ti senti male?”
Lei lanciò lo sguardo oltre le sue spalle. Vegeta era ancora lì, in piedi, dall’altra parte del tavolo, vicino alla porta. Parlava ancora con Mirk. Non si erano accorti di nulla.
“Sto bene.”
Un rantolo rumoroso risalì dalla gola della ragazza. Scosse nuovamente la testa. A grandi boccate, cercò un po’ d’aria nello stanzone affollato.
“No che non stai bene, sembri uno straccio.”
“Grazie mille.”
 
“Radish, – Il saiyan si voltò: questa volta Gladyolo si era rivolto a lui, e aveva usato parole udibili da tutti – portala in infermeria. Falle dare qualche integratore, o lasciala qualche minuto nella medical machine, per quanto poco possa essere utile.”
Fece spallucce: “Come vuoi. Dillo tu a Mirk.”
Gladyolo non fece caso alle richieste del ragazzo: “E datevi una mossa. Dovete essere sul campo entro mezz’ora.” E se ne andò, con Bueno e Dylia al suo seguito. Non dissero nulla, fecero giusto un cenno con il capo, e si congedarono.
“Dai, vieni. – disse Radish alla compagna – Magari ti faranno passare il pallore, perlomeno.”
 
Pump portò la mano sullo scouter. Il volto le faceva ancora male. Premette rapidamente i piccoli tasti sulla superficie dell’apparecchio: c’era un avviso, un messaggio dal professor Malaka, inviato la sera precedente. “Abbinamenti esercitazione”. Sì, era vero, e solo allora se ne ricordò. Lo aveva già letto, pochi istanti prima che fosse uscita dal dormitorio, convinta di non averci dato troppo peso. Evidentemente si era sbagliata. Il nome di Mirk apparve sullo schermo traslucido del suo scouter. Chiuse gli occhi, in cerca di un respiro. Radish stava aspettando l’amica e, in silenzio, maledisse Vegeta, per il suo talento immeritato, per la sua arroganza e la sua noncuranza, e sé stesso, per la propria inadeguatezza.
 


Grazie mille per aver letto questo capitolo, non perdetevi il seguito!
   
 
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