Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ice_chikay    01/03/2021    2 recensioni
MikasaxLevi
A due anni dalla fine della guerra, Mikasa e Levi si ritrovano insieme ad affrontare le cicatrici e le ferite che la guerra ed i giganti hanno lasciato nelle loro vite. Mentre l'inverno è alle porte, il loro rapporto cambia per sempre... In un mondo popolato di memorie di amici caduti, riusciranno a guarire insieme?
Una storia introspettiva sui miei due personaggi preferiti, ideata e in larga parte scritta prima dell'uscita del capitolo 131, quindi ormai in parte off canon.
Contiene spoiler per chi segue solo l'anime.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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La mattina dopo, Mikasa venne svegliata da dei colpi sulla porta della camera da letto. 

«Muoviti, siamo già in ritardo» 

La ragazza si alzò con uno sbuffo esasperato e si vestì in silenzio. Indossò come sempre il maglione azzurro di Levi ed uscì dalla camera per andarsi a sciacquare la faccia con l’acqua gelata del pozzo. Levi era seduto a tavola. Aveva sostituito i suoi vestiti da boscaiolo con dei pantaloni neri ed una camicia bianca ed il suo classico foulard attorno al collo. Se non fosse stato per le cicatrici, a Mikasa sarebbe sembrato di aver fatto un salto nel passato. 

«Non sapevo fossero richiesti abiti eleganti per andare in paese…»

«Anche se l’avessi saputo, non avresti niente da mettere, Akermann… sono giorni che indossi i miei maglioni»

Mikasa sentì il calore salirle al volto, così si diresse verso la cucina per prendere la sua tazza di tè.

Levi continuò: «è anche per questo che voglio andare presto. Dovresti comprarti qualche vestito in più…»

«Vuoi vedermi in abito da sera?»

Levi sbuffò «Non voglio vederti ibernata. Non hai abiti abbastanza pesanti per l’inverno. E rivoglio i miei maglioni indietro»

Mikasa prese la tazza e la fetta di pane imburrato e si andò a sedere. «OK non agitarti, riavrai le tue cose»

Lui nel frattempo si era alzato ed aveva preso qualcosa dalla sua branda. Mikasa lo riconobbe subito: era il cappotto militare per le occasioni ufficiali. Ricordava di averlo indossato dopo la ripresa di Shiganshina durante la consegna delle loro medaglie da parte di Historia. 

«Usa questo. La tua giacca è troppo leggera ed io non ne ho altri»

«è quasi commovente la tua attenzione alla mia temperatura corporea…» borbottò la ragazza mentre mordeva il pane con aria di sfida.

«Ridi pure, ragazzina. Poi mi darai ragione…»

«D’accordo, nonnetto…»

Levi le lanciò uno sguardo di totale disappunto, che non fece altro che farla ridacchiare. «Mocciosa…» sibilò lui a denti stretti mentre afferrava la benda e se la sistemava sul viso. 



 
Poco dopo, a cavallo, Mikasa ringraziò interiormente la testardaggine del capitano, perché senza il cappotto militare, il freddo sarebbe stato piuttosto fastidioso. 

Lasciare la radura le trasmise uno strano senso di apprensione: era come uscire da un territorio sicuro e familiare. In tutti quei giorni non aveva praticamente mai pensato seriamente alla proposta di Historia, Mitras era completamente uscita dai suoi pensieri. Adesso, l’idea di rientrare a contatto con la società la fece rimpiombare nella realtà tutto d’un tratto. Non poteva pensare di restare da Levi per sempre, era l’ora di riflettere seriamente sul proprio futuro. 

Futuro… Ormai quella parola non aveva più alcun senso. Ma d’altronde lo aveva mai avuto? Da quando i suoi genitori erano morti ed Eren era entrato nella sua vita, pensare al futuro era diventato qualcosa di inutile. Il suo futuro ed il suo presente erano con Eren, tutto il resto non aveva importanza. Che senso aveva riflettere su cosa fare della sua vita, quando ormai la sua vita non esisteva più? Mikasa si sentiva come un guscio di conchiglia svuotato: all’apparenza era bello, forte, ma al suo interno non c’era rimasto più nulla a parte l’eco del passato che era stato...che continuava a riecheggiare come il rumore del mare. 

Il suo cavallo seguì quello di Levi e la condusse dopo poco al di fuori del sentiero, sulla strada in terra battuta dalla quale era arrivata, giorni fa. Il capitano prese a destra e Mikasa lo seguì, lanciando uno sguardo alle proprie spalle, verso la strada che aveva percorso arrivando da Mitras. 

«In paese ci divideremo. Io ho delle commissioni da sbrigare, tu vatti a comprare dei vestiti.» 

La voce del capitano la risvegliò dai propri pensieri. L’idea di separarsi da lui, seppure per poco tempo, la fece sentire in apprensione. Trattenne involontariamente il fiato.

«Ce li hai dei soldi?» continuò lui, la voce leggermente annoiata.

«Chi ti credi di essere, mia madre?» rispose lei con sarcasmo, mentre spronava il cavallo per portarsi accanto a lui. 

Levi alzò le sopracciglia e la guardò, per niente impressionato.

«Che commissioni devi sbrigare?»

«Fatti gli affari tuoi»

Questa volta fu Mikasa ad alzare un sopracciglio e guardarlo male.

Levi sospirò: «Devo andare alla posta, fare qualche provvista per l’inverno… ci incontreremo a mezzogiorno alla locanda. È sulla via principale, non dovresti avere difficoltà a trovarla.»
La ragazza annuì, lasciando scorrere lo sguardo sul paesaggio attorno a sé.



Passarono un altro paio di minuti, poi d’improvviso, qualcosa cambiò. Mikasa percepì Levi irrigidirsi a cavallo, il corpo proteso in avanti, i muscoli tesi, lo sguardo d’improvviso glaciale.
Mikasa sentì come se un cubetto di ghiaccio le fosse scivolato giù nella gola, ghiacciandole tutto il corpo dall’interno.

«Qualcosa non va» La voce di Levi risuonò bassa e calma nelle sue orecchie, tagliente come la lama di un coltello. Per un attimo, la ragazza fu certa che avrebbe visto uno o più
giganti sbucare da dietro gli alberi. In un istante, lui era tornato ad essere il Capitano del Corpo di Ricerca.

Fece un cenno con la testa, verso il paese, la fronte sempre più corrugata.
Mikasa seguì la direzione del cenno e finalmente scorse ciò che aveva attirato la sua attenzione:

Una colonna di fumo nero si alzava in lontananza, al di sopra delle chiome degli alberi.
«Un incendio?» mormorò, quasi tra sé.

Senza risponderle, Levi spronò il cavallo e partì al galoppo. Mikasa sentì una scarica di adrenalina percorrerle il corpo, tutti i sensi completamente all’erta come non le capitava da mesi. Poi, si affrettò a seguirlo.


 
Sbucarono fuori dal bosco ed il paese fu immediatamente visibile. Poco fuori dalle prime case, una grande costruzione che somigliava ad un magazzino in pietra di almeno due piani, era quasi completamente avvolta dalle fiamme. Tutt’intorno, una folla di gente si affrettava con secchi d’acqua riempiti nel canale che passava accanto alla strada, ma l’incendio sembrava avere decisamente la meglio.

«Merda…» sibilò il capitano «…è la distilleria»
Questa volta, fu Mikasa a precederlo al galoppo.

Non appena furono abbastanza vicini, alcune delle persone riunite attorno alla distilleria gli corsero incontro, chiamandoli a gran voce.

«Capitano!» «Capitano Levi!»

Levi tirò le redini ed arrestò la sua cavalcatura a pochi metri dalla costruzione in fiamme.

«Avete chiamato la Gendarmeria?» domandò con tono secco, deciso.
Un brillio di fiducia si accese immediatamente negli occhi di tutti i paesani.

Fu una donna a rispondere per prima, annuendo: «Due uomini sono partiti verso il paese vicino per farli venire con i carri botte. Ma qui rischia di esplodere tutto!»

Levi smontò da cavallo con un unico movimento fluido. A Mikasa però non sfuggì lo stringersi della sua mascella quando il ginocchio sinistro si piegò sotto il suo peso. Lui si voltò verso di lei e le fece cenno di seguirlo, poi si affrettò verso la distilleria. La ragazza lo seguì rapida come un gatto, tra due ali di folla che si aprirono intorno a loro come davanti a dei salvatori promessi.
Sentì che la gente ripeteva i loro nomi sussurrando, quasi come una preghiera.

A qualche metro dalla porta spalancata della distilleria, vi era un gruppo di persone sporche di fumo e fuliggine. Due uomini cercavano di trattenere una donna che gridava e piangeva, cercando di divincolarsi per correre nel rogo.

«I miei bambini! Lasciatemi! I miei bambini»

In un istante, Mikasa si ritrovò con la mente in una città completamente rasa al suolo. Le urla di una madre che stringeva al petto il suo bambino senza vita le riecheggiarono nelle orecchie. E poi erano Shiganshina, Trost, Stohess a susseguirsi davanti ai suoi occhi ancora una volta. Deglutì con forza, mentre sentiva il suo cuore accelerare. Si sforzò di concentrarsi di nuovo su Levi, che aveva raggiunto quel gruppo.

«Che cosa è successo?» chiese, gli occhi fissi sull’incendio.

Non appena la donna che gridava sentì la sua voce e lo riconobbe, gli si lanciò ai piedi, abbracciandogli le caviglie. Il viso sconvolto dal dolore, le lacrime che scendevano dai suoi occhi e si impiastricciavano nella fuliggine.

«Capitano, i miei bambini! I miei bambini…salvate i miei bambini!»

Levi le si inginocchiò davanti, prendendole i polsi e sollevandola da terra, per guardarla negli occhi.
«Dove sono i tuoi bambini?» domandò, quasi strattonandola. Mikasa sentiva crescere un senso di nausea: era pressoché certa di immaginare benissimo dove si trovassero i bambini. E se era come pensava, difficilmente potevano essere ancora vivi. La donna non riusciva più a parlare, continuava a gemere tra le lacrime.

Uno dei due uomini che la stava tenendo lontana dal fuoco si intromise: «I suoi figli erano dentro quando è scoppiato l’incendio. Dormivano nella casa al piano di sopra. Noi lavoratori siamo riusciti a fuggire portando fuori la padrona…ma i bambini…»

Levi si voltò verso di lei, nel suo sguardo vi era pura determinazione. Mikasa gli si fece accanto, mentre lui si alzò e si tolse il cappotto. La ragazza fece lo stesso.

«Datemi due secchi d’acqua» ordinò il capitano alla folla. Due ragazzi si affrettarono a porgerglieli.
Levi ne prese uno e se lo versò sulla testa, trattenendo rumorosamente il fiato per il freddo. Rabbrividendo, Mikasa copiò i suoi movimenti e l’instante dopo si ritrovò zuppa da capo a piedi, pronta per quello che sarebbe successo dopo.

«Datemi quelle sciarpe» ordinò di nuovo Levi ai due ragazzi, che passarono a lui e Mikasa i rudi pezzi di tela che tenevano avvolti attorno al collo. I due soldati iniziarono a legarseli sul viso.

«Capitano non potete entrare là dentro…è un suicidio!» provò a protestare il dipendente della distilleria che aveva parlato prima. Levi lo gelò con lo sguardo, facendolo zittire in un istante.

«Sei pronta?» chiese poi a Mikasa, una lieve inflessione nella voce, quasi dolce. Vuoi rischiare di nuovo la vita sotto il mio comando?
Lei annuì impercettibilmente.

Levi si chinò di nuovo davanti alla donna in lacrime: «Come si chiama il maggiore dei tuoi figli?»

La donna alzò di nuovo lo sguardo su di lui, prendendogli rapida le mani tra le sue:
«Si chiama Levi»

Il capitano annuì.
«Ti riporterò i tuoi figli»

Liberò le mani dalla stretta della donna e si rivolse a Mikasa:
«Andiamo» mormorò, prima di correre dentro.
 


 
Una volta varcata la soglia, il calore delle fiamme li investì in pieno. A Mikasa sembrò di essere appena entrata all’inferno. Si coprì istintivamente il volto con le mani. Le fiamme erano dappertutto, avvolgevano ogni tavolo, muro, finestra, i grandi macchinari di metallo della distillazione, riempiendo l'aria con il loro frastuono. 

«Lì!» gridò Levi indicandole delle scale in fondo allo stanzone. «Attenta al soffitto!» 

La ragazza alzò lo sguardo: il soffitto in legno era già seriamente danneggiato. In alcuni punti, briciole di legno infuocato stavano già cadendo di sotto. Le travi potevano crollare da un momento all’altro. 

«Se quei cosi esplodono siamo spacciati…» gridò la ragazza indicando le grandi botti contenenti il liquore, accatastate nell’angolo in fondo a sinistra. 

Levi annuì impercettibilmente, lanciandole uno sguardo. «Andiamo!»  

I due corsero verso le scale, avvolti da un calore quasi insopportabile. Levi la spinse in avanti, costringendola a salire per prima. Se solo avessimo il dispositivo di movimento 3D… si ritrovò a pensare mentre scattava verso il piano di sopra.

Non appena mise piede sul pianerottolo, uno scricchiolio sinistro la fece voltare di scatto indietro. Levi era arrivato agli ultimi scalini quando la scala incendiata crollò di botto sotto il suo peso. Mikasa scattò in avanti senza pensare, mentre lui scalciò con forza gli scalini sotto di sé per riuscire a spingersi abbastanza in alto da raggiungere il pavimento del piano di sopra. Riuscì ad aggrapparsi con la punta delle dita. 

Mikasa gli prese il braccio destro ed afferrò la sua giacca già asciutta ed insieme riuscirono a tirarlo su. La ragazza non sapeva se quello che sentiva scorrere sulla propria schiena fosse sudore o l’acqua che si era gettata addosso. Rimasero seduti per qualche istante, entrambi riprendendo fiato. 

«Merda…» sibilò lui tra i denti stretti, la mano sinistra che stringeva il ginocchio. 

«Capitano, la scala… come faremo a scendere…»

Levi le lanciò uno sguardo imperturbabile dei suoi, alzandosi in piedi con un gemito. «Un problema alla volta. Troviamo i bambini»


Davanti a loro si apriva un corridoio di quelli che dovevano essere stati alcuni uffici di contabilità. In fondo vi era un’altra porta serrata. I fogli di carta degli uffici incendiati volteggiavano nelle stanze come piccole farfalle di fuoco. Mikasa ne allontanò rapida uno che le era andato a posarsi sulla spalla. Nel fare questo, si distrasse a sufficienza quasi da infilare il piede in un buco che si era creato nel pavimento di legno. Riuscì ad evitarlo all’ultimo e con lo sguardo scorse le fiamme al piano di sotto. 

«Attento al pavimento! Sta crollando tutto!» Gridò verso di lui, che adesso avanzava per primo verso la porta chiusa in fondo al corridoio. Merda, non ce la faremo mai a tornare indietro… 

Levi spalancò la porta ed entrambi si ritrovarono in quella che sembrava la cucina di una casa. Il fumo era scuro e denso, alcune finestre erano ancora integre. Le fiamme lambivano la parete di sinistra, ma il lato di destra, dove si aprivano altre due stanze, sembrava più stabile. 

«Levi! Ragazzi!» gridò il capitano, mentre apriva la prima porta sulla sua destra.

Una fiammata uscì violenta e lo avvolse. Lui barcollò all’indietro, Mikasa lo tirò a sé lontano dalle fiamme. 

«Maledizione…» disse lui, spegnendo rapidamente con le maniche le poche fiamme che gli si erano attaccate ai capelli e ai vestiti.
La stanza davanti a loro era completamente in fiamme, senza più il pavimento. Mikasa sentì il suo stomaco attorcigliarsi. Se i bambini erano stati lì, non c’era più niente da cercare ormai. 

Il capitano non perse tempo a riflettere e corse verso la porta successiva. Dopo un attimo di esitazione, la aprì con un calcio. La stanza era in condizione decisamente migliore rispetto a quella precedente: le fiamme lambivano solo la parete confinante con la stanza accanto ed anche il fumo era più rado. 

Sulla sinistra vi era un letto singolo ed un cassettone ancora completamente integri, mentre una culla sulla destra aveva le lenzuola in fiamme. 
Mikasa si lanciò in avanti verso la culla con il cuore in gola, ma la trovò vuota. Si girò verso Levi, con un’espressione costernata sul volto. 

«Levi! Dove siete?» gridò il capitano, guardandosi attorno. 

«Capitano…» iniziò Mikasa «...non sono qui...dobbiamo andare via…» 

Ma poi, da sotto il letto, si sentì una vocina che riusciva a malapena a sovrastare il fragore assordante del fuoco:
«Siamo qui!» 

Un’ondata di sollievo si sprigionò nel petto di Mikasa, mentre guardava Levi accucciarsi accanto al letto e tirare fuori due bambini di circa quattro anni il primo e sei mesi il secondo. 
Il più grande dei due stringeva l’altro a sé con fare protettivo. Entrambi erano completamente sporchi di fumo e tossivano rumorosamente. 

«Io so chi sei! Sei il capitano Levi dell'Armata Esplorativa!» gridò il bambino più grande, lanciandosi letteralmente tra le braccia del capitano. «E tu sei Mikasa Ackermann!» 

«Sì, piccolo. Ci ha mandato la tua mamma. Adesso vi portiamo fuori di qui» rispose il capitano, scompigliando i capelli del bambino che portava il suo nome. 

«Io non ho paura! Ho protetto mio fratello come un soldato del Corpo di Ricerca!»

«Sei stato molto coraggioso…» 

«Levi…» si intromise Mikasa impaziente «Non c’è più tempo» 


Il capitano si alzò in piedi, prendendo in braccio il lattante. Si rivolse al piccolo Levi: «Tu andrai con Mikasa, dovrai tenerti stretto a lei e non mollare mai la presa, pensi di poterlo fare per me, piccolo?»
Il bambino si drizzò in piedi ed imitò il saluto dell’esercito. «Signorsì, Signor Capitano!» gridò prima di lanciarsi verso Mikasa, che fece appena in tempo ad afferrarlo nel suo slancio. Sentì le braccia e le gambe ossute del bambino che si stringevano attorno al suo collo e sulla sua vita. 

Levi infilò l’altro bimbo sotto la sua giacca, tenendolo con il braccio destro mentre questo iniziava a piangere e strillare, fermandosi solo per tossire. 
«Andiamo via da questo inferno» ordinò il capitano, prima di tornare indietro da dove erano venuti. 


 
Tornati nella cucina, Levi corse verso la finestra e la spalancò_ il salto era decisamente troppo alto. Poi si accorse delle pesanti tende che scendevano praticamente dal soffitto fino a terra.
«Aiutami con queste» disse, strattonando la prima. Con l’aiuto di Mikasa, riuscirono a tirarle giù. Il fumo intanto si faceva sempre più pesante, era ormai molto difficile sia vedere che respirare, nonostante la finestra aperta.

«Troviamo un coltello»

Mikasa aprì freneticamente i cassetti della cucina, mentre lanciava sguardi preoccupati al corridoio dal quale erano venuti. Le fiamme si facevano sempre più vicine. Trovò un coltello lungo ed affilato e corse verso il capitano. Insieme, strapparono le tende per farne delle strisce più sottili e le annodarono per creare una corda.

«Bene, andiamo» ordinò Levi prima di lanciarsi nel corridoio.

Il pavimento sotto i loro piedi era messo sempre peggio. Il caldo era diventato insopportabile. Mikasa non riusciva quasi a respirare, mentre il bambino le si stringeva addosso con tutte le sue forze.

«Attenta!» gridò il capitano afferrandola per il braccio, mentre la sua gamba destra sprofondava in un nuovo buco infuocato. Con l’aiuto di lui, riuscì a liberarsi e rimettersi in piedi, mentre il piccolo Levi gemeva di paura. C'è mancato poco... pensò tra sé.

Arrivarono al ballatoio dal quale prima partivano le scale ormai scomparse. Lingue di fuoco sempre più alte lambivano le pareti. Levi fu scosso da una serie di colpi di tosse. Mikasa gli fu subito accanto, troppo concentrata sulla fuga per avere davvero paura.

«Ok» disse lui, dopo essersi ripreso «Leghiamo la corda al parapetto. Vado prima io. Testo la corda e se qualcosa va storto, vi prendo al volo…»

«Sei impazzito? Io peso meno, scendo per prima!» ribatté lei mentre fissavano la corta alla balaustra di ferro battuto.

«Fai silenzio Ackermann e fa’ come ti dico per una buona volta!»

Levi non le diede il tempo di rispondere, lanciò la tenda di sotto ed in un istante iniziò a calarsi. La stoffa si tese e scricchiolò per lo sforzo. Mikasa strinse i pugni così forte che pensò di essersi conficcata le unghie nei palmi delle mani. Poi finalmente Levi toccò terra. Al piano di sotto l’incendio era avanzato ancora, avevano troppo poco tempo.

«Va tutto bene Mikasa, venite giù!»

La ragazza riassestò meglio il peso del bambino e iniziò a scendere. Scalare una corda non era un esercizio semplice neanche per lei e le sue braccia iniziarono a tremare per lo sforzo.
L’istante dopo si sentì improvvisamente leggera: fu una bella sensazione finché non si accorse che il bambino era svenuto e stava cadendo di sotto. Riuscì a fermarlo afferrando la sua maglietta con la mano sinistra, mentre il braccio destro che sosteneva ormai da solo il loro peso le mandò una scarica di dolore dritta nella spina dorsale.

«Levi! Levi, svegliati!»
Il capitano gridò dal basso. Il bambino si risvegliò di soprassalto ed agguantò il braccio di Mikasa con tutte le sue forza, piantandole le unghie nel polso e nella mano. Iniziò a piangere e gridare. Mikasa strinse i denti, lo sforzo era così immane che il solo parlare l’avrebbe distratta.

«Mikasa!» la voce del capitano la richiamò «Devi lasciar andare il bambino!»

A quelle parole, il piccolo Levi cominciò a dimenarsi disperato, aggrappandosi con ancora maggior forza al braccio della ragazza. «No! No, Mikasa ti prego non lasciarmi cadere!»

«Ehi! Levi! Ascoltami!» gridò allora il capitano

«Guardami, ragazzino!» il suo tono era così deciso che il bambino non poté fare altro che eseguire i suoi ordini e guardarlo. «Ho bisogno che tu sia coraggioso per me, ok?» Il piccolo annuì. «Puoi fare questo per me?» Levi annuì di nuovo.

Il capitano annuì a sua volta. «Molto bene, ragazzo. Adesso ho bisogno che tu lasci andare il braccio di Mikasa.»

«Io…io…non posso!» gridò il bambino tra le lacrime.

«Certo che puoi! Ti fidi di me, piccolo?»
Il piccolo Levi annuì titubante, tirando su col naso.

«Molto bene. Ti prometto che ti prenderò a volo. Ma adesso devi lasciarti cadere, ok?»
«Sì, capitano»

«Bravo ragazzo. Al mio tre ti lascerai andare…uno…» Mikasa sentì la presa sul suo polso diminuire leggermente. «…due…tre!»

Il bambino lasciò andare e con un grido di terrore cadde giù, tra le braccia di Levi che lo prese al volo, nonostante stringesse ancora il fratellino. Il piccolo tuffò la testa sulla spalla del capitano lasciandosi andare in singhiozzi disperati.

Mentre il capitano lo calmava, Mikasa riprese a scendere, stringendo i denti per le scariche di dolore che le attraversavano a ondate tutta la schiena e soprattutto la spalla destra.

Una volta a terra, Levi le ripassò il bambino, che le si avvinghiò di nuovo addosso continuando a piangere. La ragazza gli accarezzò i capelli. «Sei stato bravissimo Levi…» gli mormorò all’orecchio.


 
I due ripresero a percorrere il lungo magazzino.

«Ci siamo quasi…» mormorò Mikasa al bambino, mentre seguiva la figura del capitano, ormai pressoché indistinguibile a causa del fumo nero che li avvolgeva.

Erano circa a metà strada verso l’uscita, quando qualcosa attirò la sua attenzione: una grossa trave del tetto si staccò e cadde verso le botti di alcool che miracolosamente erano rimaste ancora integre.

A Mikasa sembrò di vedere la scena al rallentatore: la trave che cadeva, le scintille che partivano da tutte le parti, una delle botti che si spaccava. Con l’orrore negli occhi, si voltò di nuovo.

«LEVI!»
Lui non fece neanche in tempo a voltarsi del tutto.

Poi, la forza di una esplosione li spinse in avanti, sollevandoli. Mikasa strinse le braccia attorno al piccolo Levi e le sembrò di volare di nuovo, come quando andava a caccia di giganti. Poi sbattè la schiena contro qualcosa di molto duro e d’improvviso tutto fu buio.




 
«Le abbiamo chiamate Lance Fulmine».
Mikasa apre gli occhi. Si trova in una delle aule del quartier generale dell’Armata Ricognitiva. Hange è davanti a lei, con un gesso in mano e sta indicando dei disegni sulla lavagna alle sue spalle.

Mikasa si volta, alla sua sinistra sono seduti Armin ed Eren, alla sua destra Jean, Sasha e Connie. Riesce a scorgere altri soldati attorno a sé, compresi Erwin Smith e Levi, entrambi in piedi vicino alla porta.

La voce di Hange riprende a parlare: «Si attivano con un grilletto simile a quello del Movimento 3D. Non sappiamo quante ne serviranno per abbattere il Gigante Corazzato, ma ognuno di noi ne avrà solo due a disposizione, quindi è importante non mancare il bersaglio, chiaro?»

Tutti annuiscono.

«Mi raccomando, la cosa più importante è allontanarsi abbastanza prima di tirare il detonatore. Una roba di queste può farvi saltare in aria in mille pezzi se siete troppo vicini»

«Col cavolo che mi faccio uccidere da una stupida lancia, dopo tutto quello che abbiamo passato…» le sussurra Eren nell’orecchio, con tono nervoso. Mikasa si volta a guardarlo. È vicinissimo. Ne osserva il profilo, i capelli che quasi gli ricadono sugli occhi verdi.

«Qualcuno ha delle domande?»

Mikasa alza la mano. Hange e tutti gli altri la guardano.

«Sì, Mikasa?»

Mikasa apre la bocca per parlare, poi si blocca. Un pensiero le passa per la testa: tutto questo non sta succedendo davvero. Io non sono davvero qui.

Eren si volta verso di lei, le scuote una spalla. «Ehi, tutto bene?»

Mikasa lo guarda. «Tu sei morto»

Eren spalanca gli occhi. Poi tutto diventa buio. Qualcuno la scuote con forza. Forse Eren?



 
Una voce lontana la raggiunse nelle profondità di quel buio.

«Cazzo, Ackermann svegliati!»

Mikasa provò a sollevare le palpebre. L’odore pesante del fumo, la difficoltà di respirare, il dolore alla schiena, tutto tornò in un istante.

«Non osare morirmi tra le braccia, hai capito?» Riconobbe quella voce. Levi. Spalancò gli occhi.

Il capitano la teneva sollevata. Era completamente ricoperto di polvere, una ferita all’attaccatura dei capelli sanguinava lungo tutto il suo viso, sporcandogli l’occhio buono. Lo vide passarsi con rabbia la mano sulla faccia, per cercare di pulirsi e guardarla meglio. Alle spalle di Levi, il bambino più grande la guardava con altrettanta apprensione, mentre il piccolo continuava a strillare.

Sbattè le palpebre e finalmente mise tutto a fuoco. Erano ancora dentro l’edificio in fiamme, ma si trovavano sopra un cumulo di macerie. La parete alla sua destra era mezza crollata, aprendo una breccia verso l’esterno. Le sembrò di poter ascoltare le grida della gente del posto.

«Sto bene» mormorò, mentre un lampo di sollievo balenava sul viso di Levi. La aiutò ad alzarsi e nel farlo Mikasa constatò che grazie al cielo sembrava non essersi rotta nulla. Prese di nuovo in braccio il piccolo Levi e finalmente seguì il capitano fuori dal muro crollato.

L’aria fresca la investì con tutta la sua forza e la ragazza inspirò a pieni polmoni, abbassando la sciarpa che le copriva la faccia, quasi incredula di averla di nuovo scampata. Levi le zoppicava davanti, mentre costeggiavano il fianco dell’edificio.

Scorsero le uniformi del Corpo di Gendarmeria che era arrivato con i carri botti e stava innaffiando la distilleria per cercare di domare le fiamme.

Sbucarono lateralmente tra la folla. Non appena vennero riconosciuti, tutti gli furono letteralmente addosso.

«Mamma!» gridò il piccolo Levi, balzando giù dalle sue braccia e correndo a perdifiato verso la madre, che li guardava incredula in lacrime.

«Ce l’hanno fatta!» «Capitano Levi!» «I bambini sono salvi!»

Le grida continuavano in un crescendo di entusiasmo. Levi scostò le braccia che cercavano di fermarlo e depose il lattante tra le braccia della donna della distilleria.

«Capitano…avete salvato i miei bambini…» singhiozzo lei, stringendo i figli al proprio petto.

Levi non disse niente. Mikasa scorse un tremito nelle sue mani che la mise in qualche modo in allarme.

Il resto della gente del villaggio gli si accalcò intorno. Qualcuno le porse dell’acqua, qualcuno cercava di ripulirle il viso con delle pezze bagnate.

«Lo sapevo che ce l’avreste fatta!» gridò l’uomo che prima aveva cercato in tutti i modi di dissuaderli, cercando di afferrare il capitano per il braccio. Levi si divincolò e riprese a camminare, facendosi spazio tra la folla, come per tornare sulla strada ed allontanarsi.

«Dobbiamo andare…» lo sentì dire, con un tono incerto che non gli si confaceva. L’uomo cercò di fermarlo di nuovo: «Lasciate almeno che vi aiutiamo a ripulirvi. Stanno arrivando i medici, dovreste farvi controllare!»

«Ho detto che dobbiamo andare!» rispose Levi, a voce alta, spingendolo via con tutta la sua forza. L’uomo barcollò all’indietro, interdetto. Levi riprese a camminare, sempre più velocemente verso la strada e le prime case del villaggio.

Mikasa sentì che qualcosa non andava. Si affrettò alle sue spalle.

«Grazie per la vostra offerta, ma siamo di fretta. Stiamo bene» mormorò verso l’uomo e tutti gli altri che continuavano a stargli attorno.


Levi aveva affrettato ancora il passo, ora stava quasi correndo. Mikasa continuò a seguirlo, lanciando ancora qualche ringraziamento alle offerte dei paesani ormai alle loro spalle.
Il capitano raggiunge le prime case e si infilò in una stradina laterale.

Non appena la ragazza svoltò a sua volta, lo vide appoggiato alla parete di una casa, piegato in due, che vomitava. 

 
Ciao! 
Ecco il nuovo capitolo della storia...questa volta vi lascio con un po' di suspance! :)
E' il primo capitolo con un po' d'azione, spero di aver reso bene l'idea e che vi sia piaciuto!

Fatemi sapere cosa ne pensate e tranquilli...non vi lascerò a lungo col fiato sospeso, il prossimo capitolo è in arrivo.

Chikay



 
   
 
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