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Autore: Beatrix Granger    02/03/2021    7 recensioni
"Questa storia partecipa al contest "Una crociata per la Dramione IC" indetto da BessieB sul forum di Efp"
Erano passati solo due giorni, anzi anche di meno. Solo 37 ore e 40 minuti. Eppure un’eternità sembrava essere trascorsa dalla morte della sua Astoria. O almeno così pareva a Draco. I secondi si erano tramutati in giorni, i minuti in anni. Gli sembravano già lontani gli ultimi suoi sguardi, le sue parole di conforto, i dolci e leggeri baci a Scorpius, le carezze gentili con cui aveva asciugato le lacrime che Draco aveva versato. Astoria Malfoy, prima di tutto Astoria Greengrass, perché dei Malfoy non aveva mai avuto nulla: lei, buona, gentile, caritatevole Astoria. La luce della sua vita, strappatagli così repentinamente. “Perché nella mia vita c’è posto solo per tragedie e disastri?” si interrogò Draco.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Questa storia partecipa al contest "Una crociata per la Dramione IC" indetto da BessieB sul forum di Efp
 


28 agosto 2019
Village Road, Denham, Buckinghamshire

Erano le nove di sera di una afosa serata di fine agosto quando Hermione Jean Granger planò con la solita eleganza sul tappeto persiano del suo salotto. Grazie al camino presente nel suo ufficio al Ministero aveva raggiunto in pochi secondi il cottage nel Buckinghamshire, a poco meno di un’ora di strada babbana da Londra.

Spazzò via con un rapido gesto quei pochi residui di polvere che erano rimasti sul suo vestito color vinaccia. Poi fece volare magicamente giacca e borsetta nell’armadio dell’ingresso, calciò disordinatamente via gli stiletti neri che si costringeva a portare – facevano un male tremendo, ma si sottoponeva anche a quella tortura pur di attenersi meglio al suo ruolo istituzionale – e si lasciò cadere pesantemente sul divano verde salvia. Era stremata, come ogni sera.

Al secondo muto gesto della bacchetta giunse in suo soccorso dalla cucina un bicchiere colmo di vino rosso. Era un po’ troppo colmo: ultimamente non stava troppo attenta alle dosi di vino e si serviva generosamente. Quando lo prese malamente al volo, la superficie ondeggiò e una vermiglia goccia le cadde sul tessuto di cotone e seta del divano. “Un sorso, poi pulisco…” pensò deglutendo la bevanda, guardandosi intorno un po’ spaesata in quella casa che era sua da una quindicina d’anni. “Meglio anche un secondo sorso.” aggiunse chiudendo gli occhi e cercando di scomparire all’interno dei morbidi cuscini verde e avorio. Stare in quella casa le faceva male; riapriva quotidianamente una ferita che tentava in ogni modo di far guarire, e così non si cicatrizzava mai. Sanguinava ogni giorno da mesi, e lei ormai si sentiva dissanguata.

Dopo qualche minuto riaprì gli occhi, decisa a trovare la forza per pulire, per alzarsi, anche solo per mangiare qualcosa. Appoggiò il bicchiere sul tavolino lì di fronte, prese la bacchetta e cercò la macchia sulla fodera verde. Prima ancora di poter pensare Gratta e netta, lo sguardo le cadde su un’altra macchia, poco distante ma quasi nascosta; una macchia di cioccolata. Doveva essere stato Hugo – solo lui osava mangiare le cioccorane sui divani di seta di mamma - prima di trasferirsi alla Tana.

Un paio di giorni e anche lui sarebbe andato ad Hogwarts insieme a Rose. Durante l’estate aveva tentato di passare più tempo possibile insieme a loro, erano andati anche qualche giorno al mare; ma gli impegni da Primo Ministro avevano tenuto troppo occupata Hermione. Gli impegni del Ministero e la mancanza del sostegno del marito, che ormai era quasi ufficialmente ex marito. Era stato lui ad aver suggerito che fosse più sano per i ragazzi stare alla Tana, passare del tempo con i nonni e con i cugini piuttosto che stare con lei. Aveva intelligentemente omesso “e vederla in quello stato”.

Hermione stava per compiere quarant’anni ed era ancora una bella donna. Ma i suoi doveri e la separazione la stavano facendo invecchiare troppo in fretta: era dimagrita improvvisamente, le rughe agli angoli degli occhi e sulla fronte si erano fatte più profonde, e i primi capelli bianchi avevano fatto capolino. E stava bevendo qualche bicchiere di vino in più, cosa che Ron aveva subito notato e sfruttato per farla passare per una madre snaturata. Era riuscito a metterle più o meno contro tutti: Harry, Ginny, tutti i Weasley.

Quel pezzo di caccabomba di Ronald Weasley che, dopo vent’anni dall’ultima manifestazione, aveva ritirato fuori quella maledetta vena di invidia e gelosia che aveva sempre pervaso il suo carattere. I suoi attacchi in passato erano sempre stati rivolti verso Harry: il Sopravvissuto, il Prescelto, L’imbattibile, Colui che sconfisse per sempre il Signore Oscuro. Quanto aveva invidiato Harry in passato, abbandonandolo o abbandonandoli entrambi… Per fortuna ad un certo punto gli era passata. Ma nel momento in cui era stata eletta Primo Ministro, Ronald aveva diretto quegli stessi velenosi sentimenti verso sua moglie. Il loro matrimonio era andato subito in frantumi.

Una lacrima, l’ennesima in quei mesi, le sfuggì e andò a bagnare il tessuto verde del divano.

Le sue elucubrazioni vennero repentinamente interrotte da un leggero ma deciso picchiettio alla finestra. A quel punto doveva alzarsi per forza. Sul davanzale era appoggiato un delizioso piccolo gufo reale: era Sefi, il gufo di Astoria. Era da quasi un mese che non la vedeva; sapeva che stava male e ormai giorno dopo giorno Hermione si aspettava di ricevere la tragica notizia. La sua cara amica, ormai la sua unica amica, era in punto di morte. E lei non sapeva proprio cosa avrebbe fatto senza di lei.

Con un sospiro accettò la lettera dal piccolo gufo, ringraziandolo con un buffetto sulla testa. Lui subito spalancò le ali e tornò da dove era venuto: Astoria non si aspettava risposte. Hermione tremò, nonostante i quasi trenta gradi che c’erano in casa. Richiuse la finestra, tirò energicamente le tende, tornò sul divano e recuperò una coperta dal pouf contenitore che si trovava lì in parte. Era agosto, c’erano trenta gradi ma lei aveva freddo. Un freddo che nessun fuoco o coperta avrebbe potuto sanare: stava gelando dentro.

Poi iniziò a leggere, la sottile e affilata e confusa scrittura di Astoria, resa ancora più indecifrabile dallo sforzo e dal dolore. Lesse con il cuore che già le sanguinava, non pronto a subire anche quella perdita.
 

Mia cara Hermione,

con le mie ultime forze ti scrivo questa lettera amica mia. La morte sarà il balsamo delle mie sofferenze, perciò non ti penare per me. Mi hai già donato vent’anni di vita, e di quelli ti ringrazio. È per merito tuo che la mia esistenza ha effettivamente avuto un senso; grazie a te che ho potuto fare del bene e migliorare nel mio piccolo questo mondo dove viviamo. Questo mondo in cui continueranno a vivere i nostri figli; e io mi sono battuta e continuerò a pregare perché sia un mondo migliore di quello in cui siamo nate e cresciute noi due.

Dolce Hermione, sono qui a chiederti un ultimo favore. Ti chiedo di vegliare sui miei cari: sono sempre i vivi a soffrire, non chi muore. Chi muore va in un luogo più bello, dove la terra è soffice, l’erba ondeggia al vento e i fiori spargono il loro dolce profumo. Un luogo dove c’è silenzio e pace, e non ci sono più sofferenze. Dove non c’è ieri, né domani. Per dimenticare il tempo, per dimenticare la vita, per dimenticare la morte.

Chi resta in vita invece deve accogliere un vuoto, un vuoto in cui perdersi è così facile. Sono in pensiero per Scorpius, ma l’ho cresciuto bene; è stato lo scopo della mia vita, e non penso si perderà. Ma Draco…

Per Draco ho paura Hermione. Ho paura che lui possa tornare ad abbracciare quell’oscurità da cui ho faticato tanto a farlo uscire. E se lui si perderà, allora Scorpius rimarrà veramente orfano, perché avrà perso un padre e una madre nello stesso istante: poco importa che Draco sia ancora in vita.

Lo so che chiederti di vegliare su un Malfoy è troppo. Io, io me ne rendo conto e non lo pretendo. Ti chiedo solo se ti è possibile, fallo per me, fallo per Scorpius. Come ben sai, chi deve subire i danni sono sempre i bambini. Pensa a Rose, pensa a Hugo, e pensa un po’ anche al mio bambino.

E veglia su di te. Lo so che ti sto lasciando nel peggiore momento della tua vita. Non me ne volere. Ma promettimi questo: piangerai, berrai, digiunerai; farai a pezzi foto, lettere, libri e cuscini; butterai regali, brucerai la sua scopa, schianterai Ronald Weasley (non sarebbe male, mi gusterei la scena anche da lassù). Ma ad un certo punto tornerai a fiorire: per te, per i tuoi figli, per le persone che ti amano e che ti apprezzano. E per tutte quelle persone che credono in te e ti hanno scelta come loro Ministro. Io in primis.

Per sempre tua,
Astoria
P.S. Ti amo come una sorella, cara Hermione

 

«Ti prometto che ci proverò Astoria, anche ad aiutare Draco.» disse Hermione, sperando che la sua amica potesse in qualche modo sentirla, e morire serenamente.

Hermione non ebbe il tempo di piangere, di provare paura o cordoglio. Una fiammata verde si fece largo nel camino, e una lettera volteggiò fuori. Hermione la aprì con mani frenetiche e tremanti, rischiando quasi di strapparla. Era dal Ministero, la grafia era inequivocabilmente quella di Janice Halley, la sua segretaria. Vi erano scritte solo quattro parole, quattro parole che contenevano una verità per lei in quel momento inconcepibile. Astoria Greengrass era morta.

 
***
 

30 agosto 2019
Cimitero di Trowbridge, Wiltshire

Erano passati solo due giorni, anzi anche di meno. Solo 37 ore e 40 minuti. Eppure un’eternità sembrava essere trascorsa dalla morte della sua Astoria. O almeno così pareva a Draco. I secondi si erano tramutati in giorni, i minuti in anni. Gli sembravano già lontani gli ultimi suoi sguardi, le sue parole di conforto, i dolci e leggeri baci a Scorpius, le carezze gentili con cui aveva asciugato le lacrime che Draco aveva versato. Astoria Malfoy, prima di tutto Astoria Greengrass, perché dei Malfoy non aveva mai avuto nulla: lei, buona, gentile, caritatevole Astoria. La luce della sua vita, strappatagli così repentinamente.

“Perché nella mia vita c’è posto solo per tragedie e disastri?” si interrogò Draco, mentre guardava sconsolato la lucida bara di legno nero, contenente tutto quello che restava della sua dolce metà, mentre veniva portata via.

Si trovava davanti alla cappella di famiglia, nel cimitero di Trowbridge. Sullo strano edificio a semicerchio, caratterizzato da una porta e due bifore circondati da colonne e ricche decorazioni, capeggiava la targa dei Malfoy. E a lui sembrava tutto sbagliato. Non solo quel nome e il motto di famiglia “Sanctimonia Vincet Semper”, che onorava tutto quello contro cui Astoria si era battuta in vita. Ma anche tutto il resto. I propri genitori, Narcissa e Lucius, che in rigoroso silenzio piangevano la morta, facendo finta di non averla disprezzata dal primo all’ultimo giorno del loro matrimonio. Scorpius, che era rimasto attaccato alla bara, in un ultimo tentativo di non voler lasciare andare la sua mamma. Daphne, l’amorosa sorella, che piangeva in maniera incontrollata, stringendo forte al petto il nipote. Tutto quello non sarebbe dovuto succedere. Era tutto sbagliato.

E poi c’era la schiera di parenti, amici e colleghi di lavoro. Per non parlare del comitato in rappresentanza degli elfi domestici. Erano una folla immensa, che riempiva completamente il prato circostante, tanto da non far scorgere l’erba un po’ ingiallita dal rovente sole d’agosto e i tanti fiori spontanei viola e bianchi. Tanto da non far vedere tutte le altre tombe, e neanche la chiesa. Tutti erano lì per lei, per la sua Astoria. Non se lo era aspettato.

Soprattutto non si era aspettato lei, il Ministro della Magia in persona, a cui era stato dato il posto d’onore al fianco dei signori Greengrass, e che nascondeva il viso dietro un paio di ampi occhiali da sole e la veletta nera del cappello. Erano state colleghe per un paio d’anni nell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, ma non sapeva che fossero legate. Non così legate da spingere la granitica Hermione Granger a farsi sfuggire il paio di lacrime che le avevano solcato il viso.

La mano di Scorpius improvvisamente circondò la sua e lo distolse da quei pensieri. I suoi occhi grigi, così simili ai propri, erano scuri di dolore, rabbia, paura. Avrebbe avuto bisogno di un padre forte, coraggioso, saggio; un padre che facesse anche da madre. Nella loro coppia invece era sempre stata Astoria quella saggia, quella forte, e lui non sapeva proprio come crescerlo quel bambino di tredici anni con il cuore spezzato. Perché il cuore spezzato ce l’aveva anche Draco; e un cieco non può insegnare ad un altro cieco a vedere. Un muto non può insegnare ad un altro muto a parlare. Un uomo privato di tutto l’amore non può insegnare ad un bambino ad amare. Draco sfilò la sua mano da quella di Scorpius, appoggiandogliela più discretamente sulla spalla.

Draco stava affondando, stava per annegare. L’unica sua speranza era non portare con sé suo figlio. Mantenere le distanze, come per altro aveva già fatto in quelle 33 ore e 45 minuti, gli sembrava la cosa più saggia. Almeno quello lo poteva fare per lui. Doveva resistere solo per altri due giorni, poi sarebbe partito per Hogwarts. E lui sarebbe potuto diventare il fantasma di se stesso in santa pace.

La cerimonia era finita. L’ometto basso e con i capelli color paglia che aveva officiato la funzione aveva smesso di parlare e si era già avviato lungo il vialetto di ghiaia, la veste nera troppo lunga che si trascinava nella polvere. E tutta quella folla ora si riversava su Draco, volendo stringergli la mano e fargli le condoglianze. Avrebbe sentito parole di conforto – nessuno avrebbe potuto confortarlo – o ricordi di quanto era stata buona e gentile Astoria Malfoy. Sale sulle sue ferite, a ricordargli ancora di più quanto avesse perso. Lo strazio dello strazio, e avrebbe dovuto sopportarlo in silenzio.

Ci mise quasi un’ora per ricevere tutti, evitando di mandarli a quel paese tanto la rabbia gli cresceva dentro ad ogni saluto. Rabbia perché Astoria non poteva essere morta, perché quelle condoglianze non avevano alcun senso. Perché, tra tutti, era morta lei? Avrebbe ceduto ogni suo bene, avrebbe sacrificato la sua vita se avesse potuto, pur di salvare quella di Astoria.

La sua famiglia si era già avviata da un pezzo verso Villa Malfoy, portando con sé un annientato Scorpius, lasciandolo da solo in quel triste compito. Erano invece rimasti i Greengrass, che in quel momento stavano finendo di parlare con la rispettabilissima Ministra. Ma anche loro erano arrivati ai saluti di rito.

I Greengrass, stretti gli uni agli altri nel tentativo di sorreggersi a vicenda, iniziarono ad allontanarsi. Solo Daphne si girò verso di lui, lanciandogli una lunga occhiata di triste e lacerante comprensione per quel vuoto che sentiva anche lei, prima di abbandonare definitivamente quel luogo. Nel cimitero erano rimasti solo in due, oltre alla scorta di Auror d’ordinanza. Hermione Granger fece loro cenno di allontanarsi, e Draco li vide raggiungere le berline blu del Ministero parcheggiate di fronte alla chiesa.

Lui si girò verso la cappella di famiglia, a nascondere una singola lacrima che gli rigava il volto. Aveva resistito per ore, senza lasciar trasparire l’ombra di un’emozione sul viso; sarebbe stato un segno di inequivocabile debolezza, e suo padre glielo avrebbe rinfacciato a vita. Un Malfoy non piange, tanto meno per la morte di una traditrice del proprio sangue. Aveva già passato mezza vita a rinfacciargli l’assurdità di quel matrimonio con una donna che non condivideva i principi della purezza di sangue e della loro supremazia sugli altri. Era inutile gettare ulteriore benzina sul fuoco, tanto più adesso che lei era morta.

Con un rapido gesto della bacchetta sigillò la porta, quella porta che li avrebbe separati per sempre, e dal terreno fece sbucare un alto rampicante, che andò a circondare le colonne e a creare una verde cornice alla porta. Con un ultimo gesto i teneri boccioli si schiusero, lasciando spazio alla splendida fioritura delle rose bianche, il fiore simbolo dell’amore e della purezza. Il suo ultimo dono per lei. Non si era accorto che Hermione Granger l’aveva affiancato, e che insieme a lui aveva fatto spuntare dal terreno diversi arbusti, facendoli fiorire delicatamente. Altre rose bianche.

«Erano i suoi fiori preferiti.» proferirono all’unisono.

Draco Malfoy rimase stupito dal fatto che la Granger conoscesse quel piccolo particolare. Astoria era sempre stata una persona particolarmente riservata e non dava confidenza facilmente alle persone; neanche a quelle che le stavano più vicine. Si girò verso la Ministra, e vide il suo viso, ora scoperto e in pieno sole, rigato da fiumi incontrollabili di lacrime. Anche lei aveva mantenuto un contegno quasi irreprensibile fino a quel momento, ma evidentemente aveva deciso che a lui poteva rivelare tutto il dolore per la morte di Astoria Malfoy.

Lui si rese conto che qualcosa, o anche molte cose gli stavano sfuggendo. Avrebbe voluto farle molte domande, ma lei lo anticipò.

«Malfoy, questo luogo non è adatto per parlare. Se vuoi farmi delle domande, se sei interessato alle risposte che potrei darti, questo è il mio indirizzo.» disse Hermione Granger porgendogli un particolare biglietto da visita color verde salvia con la mano guantata. Poi aggiunse «Questo è un lasciapassare. Senza di esso, anche conoscendo l’esatto indirizzo, non saresti in grado di trovare la mia casa. Ed è personale: quel biglietto ha una memoria tattile.»

«Come i Boccini…» rispose lui, ricordando i bei tempi in cui giocava come Cercatore nella squadra dei Serpeverde. Sembrava cento vite prima.

«Esattamente. Quindi solo chi l’ha toccato per primo può utilizzarlo come lasciapassare.»

«Io non …» iniziò lui, con quel tono sprezzante che assumeva ogni volta che voleva mettere una certa distanza tra sé e qualcun altro.

«Questi sono problemi tuoi, Malfoy. Ho fatto una promessa ad Astoria, e proverò a mantenerla per la mia parte. Tutto il resto dipende solo da te.» concluse Hermione Granger, dandogli le spalle e facendo un paio di passi verso le macchine del Ministero.

«Non penso Weasley gradirà la mia presenza in casa sua.» disse lui trattenendola. Era una cosa stupida da dire, ma gli venne automatico.

«No, non ci sarà nessun problema. E quella casa è mia.» rispose lei, riprendendo senza girarsi a camminare. La sua voce era fiele, denso e mortale. Forse le voci che giravano su una separazione in casa della Ministra non erano poi così errate. E lei era diventata velenosa, acida quanto lui. Forse erano entrambi rimasti soli, e per la prima volta nelle loro vite avevano qualcosa in comune.

Draco Malfoy passò le successive quarantotto ore non perdendo mai di vista l’amato Scorpius, ma da lontano. Non si avvicinò, non gli dedicò parole di conforto né gesti affettuosi, non consolò il suo povero cuore spezzato. Non ne aveva le risorse. Quindi accolse con tutto il giubilo di cui in quel momento era capace l’arrivo del primo settembre e la partenza del figliolo per Hogwarts.

Insieme e in silenzio raggiunsero il binario 9 e ¾ della Stazione di King’s Cross: Draco nel suo classico abito grigio antracite, Scorpius con un completo non molto differente da quello del padre. Come gli somigliava suo figlio: gli stessi capelli biondo platino, gli stessi occhi grigi, le stesse paure che aveva avuto lui a quell’età. Intorno a loro bambini felici ridevano e gridavano, e genitori altrettanto felici li baciavano e abbracciavano, chi piangendo chi no. Loro erano diversi, erano Malfoy, e avrebbero mantenuto un contegno. Draco guardò negli occhi il figlio, appoggiandogli le bianche mani sulle spalle.

«Mi raccomando…» fu l’unica cosa che riuscì a dire. Il ti voglio bene che avrebbe voluto esprimere rimase solo una sensazione fugace sulle labbra. Suo figlio gli rivolse uno sguardo angosciato, e Draco, nonostante tutti i propositi di tenerlo lontano dalle proprie tenebre interiori, lo strinse forte a sé e gli bacio i sottili capelli. Poi lo lasciò andare, senza nessuna ulteriore parola, e lo vide salire mesto sul treno.

Poco più in là c’erano anche i Potter, Ronald Weasley e la Ministra. Tra di loro c’era il gelo, era palpabile. Ma forse era così evidente solo per lui che li conosceva da sempre e che aveva visto il magico trio affiatato come non mai. Chiunque altro avrebbe probabilmente visto solo dei genitori concentrati sui propri figli e una Ministra che dispensava a destra e a manca saluti e sorrisi. Era brava a mantenere quella facciata. Probabilmente più brava di lui, che a quelli che si erano avvicinati per rivolgergli la parola e fargli le condoglianze aveva borbottato un caustico grazie.

Anche loro lo videro, e gli inviarono un lieve segno di saluto. L’unica a mostrare un po’ più di attenzione fu Hermione Granger, che gli rivolse un mezzo sorriso triste. Poi indicò con un cenno del capo la carrozza dell’Hogwarts Express. Dapprima lui non capì cosa volesse, guardandola con uno sguardo interrogativo. Lei ripeté il gesto, e allora si girò. Suo figlio era seduto nel posto finestrino, da solo in uno scompartimento completamente vuoto; sul suo viso era dipinta una maschera di sofferenza. Draco guardò di nuovo la Ministra, che gli fece un altro cenno, alzando inequivocabilmente gli occhi al cielo in segno di esasperazione.

Draco si avvicinò prudentemente alla carrozza. Non sapeva bene cosa fare. Spesso i bambini trovano strade più facili e più dirette per esternare i loro sentimenti; spesso i bambini hanno molto da insegnare agli adulti. Come quando Scorpius Malfoy vide il padre avvicinarsi e appoggiò il palmo di una mano contro il finestrino, in cerca di un ultimo contatto. Draco seguì il gesto e lo imitò, come un bambino che impara qualcosa di nuovo. Le due mani erano sovrapposte, e anche senza toccarsi avevano permesso alle anime di padre e figlio di sfiorarsi.

Mentre risuonava il fischio del treno e questo partiva, Draco pronunciò quelle tre piccole parole che il figlio aveva tanto aspettato. «Ti voglio bene.» sussurrò. Scorpius non poteva averlo sentito tanto il suo tono era stato flebile, ma sorrise, un sorriso pieno d’amore. Aveva letto le labbra e aveva capito; e con il cuore più leggero si apprestava a frequentare il terzo anno della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.

Draco si girò per ringraziare la Granger, ma era circondata da amici e sostenitori, e non ne ebbe il modo. Si smaterializzò immediatamente, riapparendo nel salotto di quella casa vuota e tetra che a quel punto era diventata Villa Malfoy. Non c’erano più neanche la voce e i giochi di Scorpius a distrarlo. Solo il vuoto lasciato da Astoria.

Con lo sguardo lui la cercò in ogni angolo della casa: nel giardino delle rose e nel gazebo, in cucina, in camera da letto, in biblioteca. Di lei era rimasto solamente il profumo, quello suo e dei fiori che aveva coltivato con tanto amore e che adesso avvizzivano in giardino e nei vasi. Tutto sapeva di morte. Anche lui puzzava di morte: la sentiva dentro.

Si diresse verso il mobile degli alcolici, che era sempre ben fornito in previsione di possibili ospiti. Recuperò la bottiglia di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio barricato e due bicchieri, come aveva fatto tutte le sere da quando si erano sposati. Guardò in tralice il secondo bicchiere e lo rimise a posto. Non c’era più Astoria con cui condividere le serate in biblioteca. Poi ci ripensò e lo riprese. Li avrebbe riempiti entrambi e li avrebbe bevuti entrambi, come se Astoria fosse stata ancora lì. Come se il mantenimento di quella piccola abitudine domestica la potesse ancora tenere in vita vicino a sé.

Una decina d’ore più tardi, e anche numerosi bicchieri più tardi senza aver mangiato nulla, Draco Malfoy stava rigirando tra le dita il biglietto da visita di Hermione Granger. Era ubriaco, completamente ubriaco, e non riusciva a mettere in fila due pensieri, forse neanche due parole di senso compiuto. Cervello e corpo avevano ognuno vita propria e non riuscivano ad essere complementari. Motivo per cui, nonostante il cervello gli dicesse che era tutt’altro che una buona idea, si smaterializzò viaggiando fino al Buckinghamshire. E si ritrovò a bussare pesantemente alla porta di un delizioso cottage in Village Road.

 
***
 

“Che strazio di giornata!” pensò Hermione mentre rientrava a casa. Al Ministero era stato tutto piuttosto tranquillo, motivo per cui quella sera era rincasata relativamente presto. Se le nove di sera potevano essere definite presto. La mattinata invece era stata una vera e propria mazzata.

Aveva sempre pensato che non ci potesse essere niente di più triste che separarsi dai propri figli il primo settembre, sapendo che non li avrebbe rivisti per mesi. Quella giornata aveva appena confutato la sua teoria. C’era qualcosa di più doloroso, molto più doloroso. Come rivederli dopo molti giorni e scorgere i loro atteggiamenti un po’ freddi, soprattutto da parte di Rose. Notare che Ron stava in disparte, marcando una netta distanza da lei, e così anche Harry e Ginny. Sentire addosso i loro sguardi accusatori.

“Ma accusatori di cosa? Di aver fatto carriera? Di avere successo? Di essere diventata il Ministro della Magia come tutti loro avevano sognato vent’anni prima, così da poter veramente difendere i deboli ed evitare che non ricapitasse mai più niente del genere? Di essere una donna che non vuole essere solo moglie e madre, e di aver osato dimostrare di essere migliore del marito?” pensò lei.

Hugo l’aveva abbracciata affettuosamente, forse troppo piccolo per aver capito cosa bolliva nel calderone. Ma Rose no: era grande, era intelligente, era come lei. Aveva capito tutto, ed era rimasta distante. Hermione aveva paura che Ron stesse tentando di mettergliela contro, inventandosi chissà cosa. Possibile che stesse diventando così meschino? L’aveva già fatto con i loro comuni amici: non poteva escludere niente.

La cosa più difficile era stato mantenere un aplomb impeccabile per tutto il tempo, dato che erano sotto gli occhi di mezzo mondo magico. Aveva dovuto salutare tutti, rispondere a tutti, sorridere a tutti, ringraziare tutti. Si sarebbe molto volentieri buttata sotto il treno davanti a tutti, in un perfetto remake magico di Anna Karenina. Sarebbe stato decisamente meno straziante che fingere di essere la perfetta Ministra della Magia con la famiglia perfetta, i figli perfetti e il contegno perfetto.

«Maledizione!» sbraitò Hermione mentre risaliva le scale del cottage dirigendosi al primo piano. Dopo un lungo bagno rilassante, si sentì in parte ritemprata. Decise di indossare la t-shirt e i pantaloncini comodi da casa, così da passare una placida oretta davanti alla tv. Non aveva mai smesso quella abitudine babbana, innanzitutto perché era una consuetudine che le piaceva molto, soprattutto vedere i vecchi film in bianco e nero. E poi perché così rimaneva aggiornata su quel mondo da cui proveniva e a cui in qualche modo era rimasta legata. E poteva sempre tornarle utile per gli affari del Ministero.

Aveva appena finito di sbocconcellare un paio di crackers stravaccata sul divano quando qualcuno bussò alla porta. Guardò l’ora: erano le dieci e mezza. “Chi diavolo può essere a quest’ora? Se fosse una cosa urgente dal Ministero, avrebbero usato il camino…” pensò Hermione mentre apriva la porta in ciabatte.

Davanti a sé c’era Draco Malfoy: vestito come il mattino, sgualcito e con i capelli completamente spettinati, lo sguardo appannato e un odore di Whisky da stendere chiunque a dieci metri di distanza. Era completamente ubriaco, e non appena Hermione ebbe iniziato a pronunciare «Malfoy, che cosa ci fai…» le rovinò addosso, rischiando di farli crollare entrambi a terra. Per fortuna Hermione aveva in mano la bacchetta – la prudenza non era mai troppa – e riuscì a lanciare un silenzioso Wingardium Leviosa prima che la situazione degenerasse.

Il corpo mollemente svenuto di Draco Malfoy era sospeso a mezz’aria. Hermione lo guardò con disapprovazione piantando le mani sui fianchi. «Cosa dovrei fare adesso di te, Malfoy?» chiese, rivolta a lui o a se stessa indifferentemente. In una giornata già di per sé drammatica, ci mancava solo un ex Mangiamorte, famoso politico e Purosangue, svenuto ubriaco sull’uscio di casa sua.

Però non poteva lasciarlo lì. Con un sospiro Hermione si riscosse, facendo strada al corpo levitante all’interno e adagiandolo sul divano verde salvia del salotto. Di sicuro non l’avrebbe portato in una delle camere da letto al piano di sopra. Spense la tv, recuperò con un gesto della bacchetta un morbido cuscino di piume da una delle camere e glielo sistemò gentilmente sotto la testa. Poi abbassò tutte le luci e gli augurò silenziosamente una buona notte. La augurava ad entrambi.

Il mattino seguente Hermione si svegliò presto, come al solito. Era sempre stata mattiniera, e da quando lavorava al Ministero anche di più: era sempre stata la prima ad arrivare e l’ultima ad andare via. Quando scese al piano di sotto, già vestita per andare al lavoro, trovò Malfoy ancora disteso sul divano che dormiva serenamente. Si mordicchiò il labbro inferiore, indecisa sul da farsi. Astoria le aveva chiesto di prendersi cura di lui, era stata la sua ultima richiesta in punto di morte. E lei aveva promesso. “Maledizione!!!” pensò.

Lasciò la borsa e la giacca all’ingresso, e si diresse in cucina. Ad un suo gesto la macchinetta del caffè si accese e iniziò a rigurgitare caldo liquido scuro. Sotto la campana di vetro trovò la torta di mele che aveva comprato un paio di giorni prima in pasticceria, e che ancora non aveva toccato. Tagliò una fetta per lui, e poi, visto che tanto il coltello ormai era sporco, ne tagliò una piccolina anche per sé, che ingurgitò in due bocconi. Armata di piattino e di tazza di caffè tornò in salotto, e li depose sul tavolino basso davanti al divano. Quando si fosse svegliato, avrebbe trovato qualcosa da mangiare. Astoria sarebbe stata fiera di lei. Quindi uscì di casa e si smaterializzò: usare il camino avrebbe voluto dire svegliarlo.

Quando rientrò quella sera, la trovò intonsa, come se nessuno ci fosse stato oltre a lei. Il cuscino non c’era più, il divano era stato rassettato, il piattino e la tazza erano stati lavati, asciugati e messi a posto. Hermione si chiese se non si fosse immaginata tutto, per la stanchezza e il calo degli zuccheri. La risposta arrivò con un nuovo colpo alla sua porta un paio di ore più tardi e al ripetersi della stessa scenetta quasi in maniera identica: Malfoy ubriaco, lo svenimento, il divano, la colazione, lei che se ne andava il mattino dopo mentre lui ancora dormiva.

La terza sera fu diversa, nettamente diversa. Era tornata a casa tardissimo: avevano avuto un grosso problema al Ministero con un gruppo di Goblin ribelli. Per l’ennesima volta stavano combattendo per l’utilizzo delle loro bacchette e l’uso della magia. Erano quindi le undici passate quando uscì dal camino, e non aveva fatto in tempo ad appoggiare i piedi sul tappeto persiano che urla e strepiti la raggiunsero dalla porta d’ingresso, accompagnati da tonanti colpi su di essa.

«Granger, dannazione, apri! Dove diavolo sei finita? Smettila di fare la finta tonta e vieni ad aprire questa stramaledetta porta. Non me ne frega niente se ti sei già stancata di me sul tuo divano. L’hai promesso ad Astoria, ricordi? Apri, per tutti i Gargoyle gorgoglianti!»

“Ma che vuole quest’uomo da me? Cosa ti ho fatto di male Astoria per farmi subire anche questo? Non avevo abbastanza problemi di mio secondo te?” si chiese lei, mentre ancora vestita di tutto punto – con il suo tubino blu notte, i capelli raccolti in un dolce ed elegante chignon, le perle che portava ai lobi delle orecchie e come girocollo – andò ad aprire la porta.

Stava per cantargliene un quattro a quello screanzato, ma si bloccò. Appena era comparsa sull’uscio della porta Draco Malfoy si era improvvisamente zittito e, nonostante il colore già pallido della sua pelle, era evidentemente sbiancato. La stava guardando come se avesse visto un fantasma, con gli occhi sbarrati e impauriti. Hermione non ci stava capendo più niente.

«Astoria…» proferì lui, il tono della voce basso e roco, senza staccarle gli occhi di dosso. «Astoria!» ripeté quasi sognante.

«Malfoy, non capisco cosa…» ma non fu in grado di terminare la frase. Malfoy aveva annullato la distanza tra di loro con due lunghe falcate, l’aveva stretta in un abbraccio ferreo, e infine l’aveva baciata. Un bacio appassionato, anzi disperato, mentre con le braccia la stringeva sempre di più, come a tentare di evitare che lei potesse scappare e andarsene. Un bacio che sapeva prepotentemente di Whisky.

Hermione tentò di respingerlo, di fare pressione con le mani sul suo petto, ma non ci riuscì. Era molto più forte di lei, il cui corpo minuto era diventato ancora più debole e fragile in quei mesi di digiuno. Chiuse gli occhi come li aveva chiusi lui, e si lasciò baciare da Draco Malfoy. Un lungo bacio sensuale, carico d’amore e di passione. Un bacio che non era destinato a lei, ma non ci poteva fare niente e lo accolse lo stesso.

Quanti mesi erano che nessuno la baciava? Dopo Ron non c’era stato nessun altro, non se lo poteva permettere. Si potevano facilmente immaginare le barzellette e i titoloni sulla Gazzetta del Profeta se lei, il Ministro della Magia, fosse andata in giro a raccattare amanti da portarsi a letto. E pure fregandosene di questo – anche se lei non era in assoluto la persona in grado di fregarsene –, il tempo dove l’avrebbe trovato? Avrebbe dovuto rubare una delle nuove GiraTempo dall’Ufficio Misteri per riuscirci.

Poi Draco Malfoy interruppe il bacio, forse rendendosi conto che non era ricambiato, e guardò meglio chi aveva davanti. Una pallida consapevolezza fece breccia nel suo cervello annebbiato dall’alcol, e prima di svenire per la terza volta, cadendo rovinosamente a terra, riuscì solo a proferire «Merda!».

«E basta!» si trovò ad urlare una irritata Ministra della Magia sull’uscio di casa propria. «Ora basta, non ne posso più. Questa è una casa rispettabile, non un albergo. E di sicuro non un luogo dove smaltire le sbronze tra un bacio e l’altro Malfoy!» lo sgridò Hermione mentre per la terza volta lo faceva levitare sul divano. Lo lasciò cadere con meno grazia del solito e non recuperò neanche il cuscino. Poteva solo ringraziare che non lo lasciasse dormire per terra in giardino.

Sbattendo rumorosamente i piedi per terra per il fastidio e la stanchezza raggiunse camera sua. Per sicurezza la chiuse a chiave. Visto quello che era appena successo, non si poteva mai sapere. Poi guardò il letto: era talmente stremata che si sarebbe buttata a dormire con ancora i vestiti addosso. Poi decise che non era il caso: amava troppo quel tubino blu notte. Ne avevano comprato una coppia identica lei e Astoria, e non avrebbe mai rischiato di rovinarlo.

La mattina seguente tutto era calmo e tranquillo in quella nuova routine, con Malfoy sempre angelicamente appisolato sul suo divano. Quando si diresse in cucina per imbastire la colazione, recuperò un pezzo di pergamena e una piuma autoscrivente. Dettò per cinque minuti buoni il biglietto da lasciare insieme a caffè e torta all’ubriacone spiaggiato. Poi se ne andò come sempre a fare il proprio dovere, mentre Draco Malfoy continuava a venir meno ai suoi.

 
***
 

Quando Draco si svegliò quell’ennesima mattina sul divano verde salvia, le tempie gli pulsavano violentemente, la testa gli doleva come non mai, e aveva la bocca completamente riarsa. C’era qualcosa che l’aveva perseguitato nei sogni, o forse che era successo prima di addormentarsi, ma non riusciva proprio a ricordarselo. Quando si mise seduto, si accorse di avere il collo tutto indolenzito; questa volta non c’era nessun comodo cuscino di piume a sostenergli il nobile capo. La cordiale accoglienza della Ministra stava svanendo in fretta.

Allungò una mano sul tavolino basso lì di fronte, certo di trovare la consueta fetta di torta e la tazza di caffè caldo. La torta era piuttosto buona, mentre il caffè era davvero pessimo: chissà che schifezza di miscela usava la Granger. Ma lo trangugiò lo stesso: la caffeina era indispensabile in quelle mattine. Poi trovò il biglietto che lei gli aveva lasciato, e passò più volte dal pallore totale al paonazzo leggendo quelle righe.

Illustrissimo sig. Malfoy,

dato il prolungarsi di queste sue visite, ritengo opportuno individuare alcuni punti in comune – leggasi regole – da rispettare se vuole continuare a frequentare questa casa.

Punto primo. La pregherei di non presentarsi ubriaco fradicio, tanto da andare in coma etilico ogni volta che bussa alla mia porta. Sarebbe molto gradita la possibilità di vederla semi lucido e in grado di sostenersi da solo, senza rischiare di essere travolta e di dover farla levitare sul mio divano. Sarebbe oltremodo gradita la possibilità di bere insieme un bicchiere ricordando congiuntamente una persona che stava a cuore ad entrambi e anestetizzando insieme il dolore.

Punto secondo. La mia, oltre che essere una casa rispettabile, è la casa di un Ministro della Magia. Ritengo quanto mai inopportuno che lei si metta a urlare e strepitare sul mio uscio di casa a certe ore della notte. Indipendentemente dagli incantesimi che la proteggono dagli sguardi altrui, non sta bene. E di sicuro non è il caso che persone più o meno ubriache ci bivacchino davanti o strillino in quella maniera. Indi per cui ho dato istruzioni alla porta di farla entrare nel caso lei arrivasse prima del mio rientro. Almeno così salviamo le apparenze.

Terzo, ma non ultimo per importanza. Le sarei immensamente grata se evitasse di baciarmi nuovamente come ieri sera, qualsiasi possa essere la motivazione. Questo punto quindi si abbina perfettamente al primo, e ritengo che nella pienezza delle sue facoltà mentali e in una fase di astemia lucidità, questo difficilmente possa accadere una seconda volta.

Le invio i miei più cordiali saluti
Ministro della Magia
Hermione Jean Granger

P.S: spero che la torta le sia piaciuta.

«Cosa diamine avrei fatto? Baciato la Granger? Impossibile, assolutamente impossibile!» sbraitò Draco. Poi ripercorse mentalmente i pochi ricordi, o piuttosto quelle poche istantanee della sera prima. Era arrivato, ubriaco come sempre, e aveva bussato. Nessuno era venuto ad aprirgli,e aveva continuato a bussare, urlare e maledire per un bel pezzo. Si era seduto, disteso, forse pure addormentato sulle pietre dell’ingresso del cottage nell’attesa.

Poi aveva visto Astoria, la sua amata Astoria, con il tubino blu notte e i capelli raccolti come li acconciava sempre lei. Quanto era bella! Con quegli occhi color cioccolato…

No, ripensandoci, quelli non erano gli occhi di Astoria: erano castani, mentre i suoi erano azzurri. Come aveva potuto non accorgersene subito? Occhi castani, capelli castani, casa della Granger… Quando il suo rallentato cervello riuscì a mettere in fila quei pensieri, dalle sue labbra uscì un sintetico ma quanto mai adeguato «Merda, merda, merda. Ho baciato la Granger. Merda, merda, merda! Ho praticamente assalito la Ministra della Magia.»

Si alzò di scatto, mise tutto a posto come al suo solito, riportò i piatti in cucina e imboccò l’ingresso per andarsene. Per un secondo prese in mano il bigliettino da visita, rigirandoselo tra le dita mentre pensava se non sarebbe stato meglio restituirlo.

Poi ci ripensò, lo mise in tasca insieme al biglietto che lei gli aveva scritto – con quel P.S. terminale che era la cifra di Astoria - e si chiese cosa avrebbe fatto per tutto il giorno se non avesse potuto bere. Perché nonostante tutto, soprattutto nonostante i litri di alcol che stava ingurgitando, quel divano verde salvia stava diventando la sua zattera, un’ancora di salvezza a cui si stava aggrappando come un naufrago. E a dispetto del suo comportamento piuttosto discutibile, la Granger non glielo stava sottraendo. Stava veramente cercando di mantenere la sua promessa. E a lui quel divano verde salvia serviva. Stare a Villa Malfoy gli era praticamente insostenibile.

Uscì dal cottage conscio che quella sera sarebbe tornato da sobrio. Pronto a fare il terzo grado alla Ministra della Magia.

 
***
 

Quando Hermione rientrò quella sera, si accorse subito di non essere sola. Non solamente per la luce accesa in cucina, ma soprattutto per il profumino delizioso che proveniva da quel lato della casa. Quando si affacciò alla porta, rimase basita davanti alla scena che aveva davanti. Draco Malfoy, con le maniche della camicia bianca arrotolate a scoprire gli avambracci – e il Marchio Nero -, stava cucinando nella sua cucina. Due erano le possibilità: o aveva perso il senno lei, o aveva perso il senno lui.

Lui alzò i suoi famigerati occhi grigi su di lei, occhi vigili e attenti, e disse. «Bentornata signora Ministra.»

Hermione continuava a non capacitarsi di ciò che stava avvenendo. Riuscì solo ad esclamare «Ma si può sapere che stai facendo Malfoy?»

«La cena, mi pare ovvio!» replicò lui. «Comunque, siamo tornati al tu Granger? In tal caso hai giusto il tempo per farti una doccia e scendere per cena; ho ancora qualcosina da completare, tipo la salsa.»

«Io, io non capisco…»

«Non è necessario. Anche se mi aspettavo di meglio dalla più brillante studentessa di Hogwarts della sua generazione. Basta che te ne vai e mi lasci finire.»

«Va bene…» rispose laconica lei, mentre prendeva la strada della propria camera. Pensava di averle viste tutte in vita sua, e invece non era affatto così. Era appena stata cacciata dalla propria cucina da uno dei suoi acerrimi rivali politici. Ripensandoci, Ronald non aveva mai preparato un pasto in quella cucina in tutti quegli anni, neanche la colazione per i bambini. Ora invece c’era un nobile e famoso politico che spignattava di sotto allegramente. Il mondo non la smetteva di stupirla.

Riemerse mezz’ora più tardi, dopo una doccia e un cambio d’abito. Aveva asciugato i capelli alla buona, e quindi erano molto elettrici e voluminosi, un po’ come quando erano stati studenti insieme ad Hogwarts. Dalla sua enorme cabina armadio aveva scelto un vestito di lino giallo, non troppo aderente e non troppo vistoso. Quando scese al piano terra trovò la tavola imbandita e Malfoy che la aspettava. Tutto era tremendamente strano, inusuale, fuori da ogni previsione. E non sapeva bene che dire o che fare.

«Spero che ti piaccia l’arrosto.» proferì lui.

«Certo.» rispose lei.

«Allora possiamo metterci a tavola.» concluse Malfoy.

«Io non…» provò a ribattere.

«Non hai molta fame Granger? E chissenefrega. Ho cucinato e ora mangi. Stai praticamente avvizzendo, sei più magra di Astoria nei suoi ultimi giorni. E francamente non so come tu possa mantenere la promessa fatta a lei se muori prima di inedia.» rispose acido. Poi aggiunse «Inutile che mi fai la paternale sulla mia ubriachezza molesta tramite un bigliettino. Almeno io sono in lutto per una moglie meravigliosa e insostituibile. Tu tenti di suicidarti per una inutile testa rossa del cavolo, che per sfortuna tua è ancora in vita. Merlino, c’è da vergognarsi Granger!»

Hermione lo guardò a bocca aperta. Era stato duro, scorretto, villano. E aveva ragione su tutti i fronti. Hermione chiuse la bocca che era ancora spalancata e si sedette docilmente a tavola, mentre lui tagliava l’arrosto e lo serviva neanche fosse il padrone di casa. Tutta quella scena aveva del surreale.

Mangiarono in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri, o dall’imbarazzo. Poi Draco Malfoy le versò il terzo bicchiere di vino rosso, un ottimo vino rosso che aveva scelto personalmente, e iniziò l’interrogatorio.

«Bene. Comincia dal principio. Come vi siete conosciute tu e Astoria?»

«Ehm, mmm, bene.» disse Hermione, pulendosi elegantemente la bocca con l’angolo del tovagliolo. «Diciamo che l’incontro cruciale è stato durante la Battaglia di Hogwarts.»

«Dove, quando?»

«Nelle cucine. Lei sarebbe dovuta uscire dal castello con tutti gli altri dei primi anni, scortati da Lumacorno. Ma si è separata dal gruppo ed è andata nelle cucine per salvare gli elfi domestici, per convincerli a scappare con loro.»

«La solita avventata idealista. Tipico suo. E quindi?»

«Ero andata lì per lo stesso motivo, quando un Mangiamorte stava per sopraffarla e l’ho schiantato. A quel punto mi doveva una vita, come era solita dire lei. E siamo diventate amiche.»

«Non è possibile, non ti ha mai neanche nominata.» replicò lui asciutto.

«All’inizio l’abbiamo tenuto nascosto perché la situazione era ancora difficile tra Grifondoro e Serpeverde. Poi è arrivato il fidanzamento con te, e a quel punto il segreto è diventato una necessità. Già i tuoi genitori la odiavano per le sue idee, per il mondo magico che desiderava per sé, per te e per Scorpius. Non voleva mettere altra benzina sul fuoco sbandierando un’amicizia con una delle paladine della guerra contro Voldemort. In aggiunta, tu ti sei buttato in politica, e lei non voleva intralciarti.»

«Perché avrebbe dovuto intralciarmi? Che danni avrebbe potuto arrecarmi?»

«Hai presente tutte quelle belle iniziative per la libertà degli elfi domestici, dei centauri, eccetera che ho portato avanti anni fa?»

«Non è possibile. Quelle contro cui ho votato no all’interno del Wizengamot?»

«Precisamente. Io ero la faccia pubblica, lei il mio alleato segreto. E finanziatore. Mi dispiace dirti che nonostante il tuo voto contrario, sono stati i fondi dei Malfoy a sovvenzionare quei progetti.»

«Maledizione Astoria!» disse Draco alzandosi di scatto da tavola. «Avrebbe potuto dirmelo, avrei capito.» aggiunse infine.

«Non lo sapeva nessuno, neanche Ronald o Harry. Era una cosa nostra, il nostro segreto. Nonostante fosse stanca e già debilitata, quando sono diventata capo del Dipartimento per la Regolazione delle Arti Magiche mi ha chiesto un lavoro. Io gliel’ho sconsigliato, viste le sue condizioni. Con Scorpius che andava a Hogwarts due anni fa, aveva però bisogno di fare qualcosa, qualcosa di veramente utile per la comunità. Fisicamente non ce la faceva a rimanere rinchiusa in casa con i tuoi tutto il tempo, malattia o no. Ha insistito per settimane, finché non ho ceduto. Sai quanto testarda fosse…»

«Si, purtroppo lo so.» concluse lui.

Poi scese un silenzio totale. C’era molto altro da dire su Astoria Greengrass, vent’anni di amicizia. Hermione conservava scatole intere di sue lettere in soffitta. C’era molto da dire, ma era tanto e niente allo stesso tempo. Perché chi l’aveva conosciuta bene e amata sentiva già in cuor suo come stavano le cose, e non servivano dettagli o racconti prolissi. Draco era uno di questi.

Quel silenzio mise a disagio entrambi. Draco Malfoy guardava fuori dalla finestra, cercando nella notte stellata le risposte alle sue domande. Hermione si alzò da tavola e si diresse verso il pianoforte lì vicino. Senza neanche pensarci iniziò a far scorrere le morbide dita sulla tastiera, mettendo insieme le note e gli accordi di uno dei brani preferiti di Astoria. Nelle poche occasioni in cui si erano incontrate in quella casa, avevano passato il tempo chiacchierando e suonando. Astoria era una pianista eccezionale.

Malfoy si girò turbato e la guardò con uno sguardo indecifrabile. Poi chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quella dolce musica che anche lui evidentemente conosceva bene, e una lacrima sfuggì al suo controllo. Hermione pianse con lui, ricordando la Astoria che ambedue avevano amato e che aveva lasciato soli entrambi. Da soli ma con qualcosa in comune, per la prima volta in quarant’anni.

Draco versò altri due bicchieri di vino rosso, poi si avvicinò al piano. «Per Astoria!» disse alzando il bicchiere al cielo.

«Si, per Astoria!» rispose Hermione senza smettere di suonare, mentre lui si sedeva sul lungo sgabello a fianco a lei.

«Se sai persino di questa musica, allora la conoscevi proprio bene. La suonava sempre a Scorpius, tutte le sere. E prima di lui a me, in biblioteca.» aggiunse Draco assorto, lasciandosi pervadere dai ricordi. Hermione si limitò ad annuire.

Quando Hermione ebbe terminato il brano, Draco iniziò a premere delicatamente sui tasti. Dalle prime note Hermone la riconobbe subito: era Jeux d’enfants, di Bizet. Un brano da suonare a quattro mani. Anche questo piaceva tanto ad Astoria, l’avevano suonato insieme.
«Ti farebbe piacere…» iniziò a chiedere Draco timidamente.

«Ma certo!» rispose lei pronta nel suo abito giallo di lino, con i capelli mossi dalla leggera brezza che entrava dalle finestre, mentre pensava ai loro cuori in frantumi e a tutto quell’amore che ancora contenevano. Erano vasi rotti che spandevano. Le mani di Hermione aspettarono il momento giusto e poi andarono ad unirsi alle sue, coordinando i movimenti mentre le note dolci si libravano nell’aria. Sembrava tutto così giusto, così naturale.

Anche quel brano giunse al termine, e Draco finalmente si rivolse a lei, non per sé né per Astoria. «Volevo chiederti scusa, per ieri sera…»

«Un Malfoy che si scusa. Incredibile!» lo canzonò lei, tentando di cambiare discorso. L’idea di parlare di quel bacio la metteva a disagio.

«No, veramente Granger. Io ti ho scambiato per un attimo per…»

«Astoria? » concluse lei, e lui annuì. «Il vestito blu, vero? Ci sono arrivata solo dopo. Sai, li avevamo comprati uguali. Non fartene una colpa Malfoy, eri ubriaco.»

«Non così ubriaco.»

«Abbastanza ubriaco da svenire tre sere di seguito davanti alla mia porta. Direi che eri ubriaco a sufficienza; lo direbbe anche Astoria.» Fece una pausa. Non sapeva se dirglielo o meno, e si sistemò nervosamente i capelli dietro l’orecchio. Decise che tanto valeva andare fino in fondo.

«Astoria mi ha scritto una lettera, il 28 agosto.» Draco la guardò smarrito. “Chissà se ha scritto anche a lui.” si chiese Hermione prima di proseguire. «Mi ha chiesto di prendermi cura di te e di Scorpius. Era preoccupata soprattutto per te; riteneva che saresti ripiombato nell’oscurità senza di lei.» disse lasciando indugiare il proprio sguardo sul Marchio Nero.

Draco si accorse della zona in cui era puntato il suo sguardo. «Ci sono molti tipi di oscurità Granger. Astoria ha fatto di me un uomo, un uomo coraggioso per giunta, amandomi e rendendomi migliore; e per questo le sarò eternamente grato, letteralmente. Mi ha toccato profondamente, ha cambiato il modo in cui vedevo il mondo. Questo tipo di oscurità» disse indicando la cicatrice che faceva bella mostra sull’avambraccio sinistro di Hermione «l’ho abbandonata vent’anni fa a Villa Malfoy, già prima che Bellatrix ti incidesse la pelle a sangue e ti torturasse. Prima di Astoria. Per tutte le altre forme, lei era la mia luce e adesso sono cieco. Non so da dove iniziare per non perdermi…»

«Da Scorpius?» propose lei discreta.

«Pensi davvero che non starebbe meglio senza di me?» chiese caustico, lasciandosi sfuggire una risata amara e guardando da un’altra parte. La paura aveva fatto presa sugli occhi grigio argento di Draco Malfoy.

«Nessun figlio può stare bene senza i propri genitori. Farei giusta una eccezione per genitori come un certo Lucius…» disse scherzando, e Draco abbozzò un sorriso. «Nonostante quello che sta succedendo tra me e Ronald, non vorrei mai che i miei figli dovessero scegliere. Indipendentemente da quello che lui sta facendo o sta dicendo in giro sul mio conto.» si confidò. Draco rimase in silenzio, non sapendo cosa dire.

«Se non mi credi, pensa all’altro giorno a King’s Cross. Quel bambino ha un bisogno disperato di suo padre, che ama e venera come nessun altro. È già sufficientemente dura per lui aver perso la madre, che era il suo punto di riferimento. Non allontanarlo da te Draco.»

Era la prima volta che Hermione chiamava Draco Malfoy per nome, e se ne stupì. Anche lui fu colpito da quello strano gesto di confidenza tra di loro, due genitori soli con figli adolescenti. Quante cose potevano avere in comune, nascoste da strati di orgoglio e pregiudizi?

Per la prima volta Hermione guardò il Draco Malfoy adulto, levando dai propri occhi il velo di preconcetti che aveva vestito per anni. Era un uomo, era un padre amorevole, era stato un marito devoto e adesso era un vedovo affranto. Non era più il bambino viziato che aveva conosciuto lei, quello che faceva il bullo con tutti e la chiamava Mezzosangue. Astoria l’aveva veramente reso un uomo migliore, perché l’amore può fare miracoli e cambiare le persone, ma non può far crescere le rose in un terreno sterile. Da qualche parte c’era sempre stato del buono in lui, anche se lei lo vedeva solo adesso che aveva messo a nudo la sua anima. Quanto poteva essersi sbagliata in tutti quegli anni su di lui?

“Forse sei un’anima difficile da salvare, Draco Malfoy, e la strada da percorrere sarà lunga come attraversare un oceano. Ma ce la farò, ce la farò per Astoria, per Scorpius, e forse anche un po’ per te.”

Dopo un silenzio assordante lui affermò «Grazie Hermione, per tutto. Se Astoria ti ha scelta come amica e confidente c’è un motivo: lei aveva sempre i suoi validi motivi. Grazie di aver anche solo preso in considerazione di vegliare su di noi. Ti sei già prodigata molto più di quello che hanno fatto numerosi sedicenti amici e parenti. Ti sono grato. E la gratitudine di un Malfoy vale quanto una tua promessa. È per sempre.»

Draco Malfoy tornò a guardare il piano e a suonare intensamente le musiche preferite della sua defunta moglie. E ad Hermione tornarono in mente le parole dette da Silente al loro primo anno. “La musica! Una magia che supera tutte quelle che noi facciamo qui!”

Chissà se la musica avrebbe guarito Draco Malfoy; chissà se li avrebbe guariti entrambi.

 
***

28 agosto 2020
Cimitero di Trowbridge, Wiltshire

Caro Draco, amore mio,

questa è l’ultima lettera che ti scrivo. Ormai sarà passato esattamente un anno da quando ti ho lasciato. Un anno e questa è la mia dodicesima lettera. Dodici lettere per dirti quanto continuerò ad amarti per sempre, e per insegnarti a tornare ad amare. Non vivere di ricordi, per quanto belli e dolci siano: sei un uomo meraviglioso, nonostante quello che tu possa pensare. E sono certa che riuscirai ad andare avanti benissimo anche senza il mio aiuto…

Sei stato la mia vita Draco, ma il mio destino era di essere solo un capitolo della tua. Di capitoli il tuo libro è pieno, e ce ne saranno tanti altri senza di me, te lo prometto. Ce ne sono stati già diversi, non è vero? Per quanto difficili e duri, per quanto ti sembrasse impossibile, ci sono stati. Li avrai respinti, ti sarai arrabbiato, ma ci sono stati. Perché la tua vita continua!

E allora ecco il mio consiglio, l’ultimo e il più importante: non avere paura di innamorarti ancora, cerca il segno che ti faccia percepire l’arrivo di qualcosa di nuovo che cambierà il tuo destino. Cerca chi ti ha salvato la vita, perché ti ha fatto un dono immenso. Ed è qualcuno di prezioso. Non lasciar andare le persone preziose. Ce ne sono poche su questa terra, e non tutti sono così fortunati da incontrarle. Io ne ho incontrate due e mi ritengo già oltremodo fortunata.

Non tenere a distanza le persone preziose e l’amore: sono ciò che rende questa vita degna di essere vissuta. Me lo prometti?

Sempre tua,
Astoria

P.S. Ti amerò per sempre Draco, ovunque io sia
 

Draco rilesse per la centesima volta l’ultima lettera della sua defunta moglie. Era veramente l’ultima? La speranza di quelle lettere, arrivate una al mese, l’aveva tenuto a galla per un anno intero. Le lettere e Hermione.

Hermione che gli era stata vicino ma a distanza, rispettando i suoi tempi ed i suoi spazi. Accogliendolo fin dall’inizio, quando lui non era stato neanche disposto ad accettare la realtà di quella morte insensata. Accogliendolo quando lui non aveva ancora accettato quello strano rapporto tra di loro, che chiunque altro avrebbe definito di amicizia; prima che lui potesse anche solo contemplarne l’idea. Accogliendolo quando l’aveva baciata qualche giorno prima, senza neanche pensarci, solo perché aveva fatto un gesto gentile, uno dei tanti suoi gesti gentili, e poi scappando via come un codardo. Questa volta non poteva dare la colpa all’ebbrezza come un anno prima.

Hermione gli aveva salvato la vita. Era a lei che Astoria si riferiva? Aveva previsto che le due persone che le stavano più a cuore, sole e ferite, avrebbero avuto bisogno l’una dell’altra per tornare a vivere? Aveva previsto che potesse nascere un sentimento? “Non tenere a distanza le persone preziose e l’amore.” Aveva previsto che coincidessero in un’unica persona? Aveva già previsto tutto un anno prima, quando aveva mandato all’amica quella lettera con la sua preghiera?

Quando sentì dei passi avvicinarsi nel cimitero, richiuse la lettera e la nascose nella tasca dei pantaloni. Nascose lì anche l’anello di fidanzamento di Astoria, l’anello dei Malfoy, che aveva cercato per un anno intero e che lei aveva allegato a quell’ultima lettera. Quando quella mattina aveva trovato la tanto sperata busta e l’aveva aperta, non aveva creduto ai suoi occhi. Astoria aveva previsto davvero tutto, e a Draco sfuggì un sorriso.

Astoria non si trovava in quella tomba austera davanti a lui, fredda di pietra e di marmo. Astoria, il suo angelo custode, era in cielo e aveva vegliato su di lui per tutto quel tempo. Non le era stato necessario rimanere sulla terra come fantasma, non aveva lasciato niente di incompiuto. L’aveva accompagnato per un anno intero tramite poche preziose lettere e aveva passato il testimone alla sua migliore amica, certa che avrebbe fatto del suo meglio per aiutarlo e proteggerlo.

Migliore amica che stava in quel momento arrivando al suo fianco, per celebrare insieme il primo anniversario della morte di Astoria Malfoy. Non era sicuro sarebbe venuta, non dopo il bacio, non dopo che era scappato. E invece lei era lì, per Astoria e per lui. Come sempre. Era una donna straordinaria e Astoria aveva ragione, preziosa. Non si tengono lontane le persone preziose e l’amore.

Dopo qualche attimo di imbarazzato silenzio, Draco allungò timidamente una mano verso la sua, stringendogliela dolcemente. Ricevette una leggera stretta di risposta.

«Scusami per l’altro giorno, sono scappato come un codardo.»

«Sei un idiota Draco.»

«Lo so. Idiota e codardo.» rispose lui strappandole un mezzo sorriso. «Tu invece sei meravigliosa, coraggiosa, unica. Ti sarò eternamente debitore per tutte le vite che hai salvato.»

«Tutte le vite?» chiese lei titubante, continuando a guardare la tomba della famiglia Malfoy.

«Non hai salvato solo Astoria vent’anni fa. Ti ha scelto come sua messaggera, e per questo hai salvato me, hai salvato Scorpius!»

«Continui a sembrare sempre più idiota Draco. Io sono stata solo il tramite, appunto; per il resto hai fatto tutto da solo.»

«Dubito fortemente che ce l’avrei fatta senza di te. Ti sembrerei ancora più idiota se ti chiedessi, nel bel mezzo di un cimitero e davanti alla tomba della mia defunta moglie, di sposarmi?» Questo Hermione non se lo era aspettato, e si girò stupita.

«Hermione Jean Granger, illustrissima Ministra della Magia, mi concederebbe l’immenso onore di trascorrere il resto della sua vita al fianco di questo idiota, codardo, spesso piuttosto villano, inutile Purosangue?» ripeté lui prendendole entrambe le mani e guardandola negli occhi. Visto il contesto non propriamente gaio, almeno aveva provato a buttarla sul ridere.

I suoi occhi color cioccolato brillarono e rispose ridacchiando. «Molto volentieri, egregio Draco Lucius Malfoy. Tuo padre questa non te la perdonerà mai…»

«Me ne farò una ragione se sarai al mio fianco.»

«Per sempre?» disse lei abbracciandolo.

Lui un “per sempre” l’aveva già promesso una volta, ed era durato poco, decisamente troppo poco. Serviva qualcosa di più duraturo, la sola eternità poteva non essere sufficiente per quel nuovo sentimento. «Per sempre, e anche un giorno in più.» concluse lui baciandole i morbi capelli.

“Te lo prometto Astoria.” pensò Draco, prima di andarsene dal cimitero. Quel giorno Astoria aveva preso commiato da lui con l’ultima lettera, e lui lo stava prendendo da lei, chiudendo le porte alla sua vita di prima, ai ricordi tristi e ai rimpianti. Era pronto ad iniziare quel nuovo capitolo che lei gli aveva donato, abbracciato alla donna che aveva scelto per lui.

 

 
ANGOLO DELL’AUTORE
Che ne dite di questa Dramione decisamente stravagante? Non più giovani adolescenti, ma quarantenni con tutti i loro problemi di figli, lavoro, separazioni e lutti. Con un inizio Angst (spero di averlo reso bene), un prosieguo con qualche battuta e scenetta divertente (avercelo un Draco che spignatta in maniche di camicia), un lieto fine che desideravo per entrambi.
Momento note e riferimenti. Innanzitutto il titolo, che costituisce anche le frasi finali, riprende i versi di Shakespeare in “Come vi piace” e l’ho sempre adorato. Nelle parole della lettera di Astoria ad Hermione invece mi sono liberamente ispirata ai versi sulla morte di O. Wilde in The Canterville Ghost.
Dato che le mie ispirazioni sono sempre un bel miscuglio di frasi, immagini e musiche, ci sono da segnalare: il divano-zattera che fa riferimento al celebre quadro La zattera di Medusa; la scena del piano con il vestito giallo mi è stata ispirata dal bellissimo brano “Over The Love” di Florence & The Machine; il cimitero di Trowbridge e la tomba di famiglia a semicerchio esistono realmente.
Infine, il nome Hermione deriva dal dio greco Hermes, e significa letteralmente messaggero degli dei. In questa storia, dove le lettere costituiscono l’inizio e la fine e tutto il motore dell’azione, Hermione assume proprio il ruolo di messaggera, di tramite per Astoria, e tutto l’idea di base della OS è nata da qui e dal film P.S. I love you.
Ringrazio come sempre tutti coloro che hanno letto, recensito, aggiunto tra le preferite/seguite/da ricordare.
Beatrix
   
 
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