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Autore: Europa91    02/03/2021    3 recensioni
[Demon & Exorcist AU]
[Soukoku]
La famiglia di Chuuya viene sterminata da un demone e lui non ha nessun ricordo del suo passato. Viene salvato e cresciuto da un Ordine di esorcisti, sognando il giorno in cui potrà ottenere la sua vendetta.
“Non avrebbe mai perdonato i demoni per ciò che avevano fatto. Non poteva farlo”.(…)
Dazai è uno dei demoni più potenti dell’Inferno ma ora deve trovarsi una sposa.
“Quanti millenni hai Dazai-kun? Non pensi sia giunto il momento di pensare ad un erede?” (…)
Un incontro e un piccolo malinteso cambierà per sempre il corso delle loro vite.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sisters and Demons'
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Cow-t 11 – Quarta settimana – M1

Prompt: 005 - Ira

Fandom: Bungou Stray Dogs

Rating: SAFE (menzione a morti e sangue, sempre leggero angst)

Numero Parole: 4144

Note: La storia è ambientata in un AU dove abbiamo demoni, esorcisti. Diciamo che questa storia è solo una piccola missing moment di un qualcosa di molto più vasto e confusionario. Nel senso che esisterebbero (per ora solo nella mia mente) un prequel, un sequel e tantissima altra roba (tipo tre/quattro spin off). Questa one shot si è praticamente scritta da sola dopo una mattina/pomeriggio di plottaggio intenso con il mio neurone Holie <3. Partendo da Chuuya vestito da suora, il resto è venuto da sé. Ovviamente il titolo l’ha scelto lei perché, non la smetterò mai di dirlo, io con i titoli sono una frana. Probabilmente anzi sicuramente, pubblicherò altre storie collegate a questa perché mentre scrivevo parlavo e la storia è andata avanti. Grazie Cow-t per questi prompt XD

 

 

 

 

 

 

Aveva solo sette anni quando era successo. Chuuya Nakahara non conservava alcun ricordo della sua infanzia prima di quel giorno. La sua vita era iniziata in seguito a quell’evento, che sarebbe stato in seguito etichettato come l’incidente del villaggio di Suribachi.

Quando aveva aperto gli occhi, il piccolo Chuuya aveva visto solo sangue, tanto sangue. Il bambino, aveva debolmente allungato la sua manina fino a raggiungere il corpo ormai senza vita della madre al quale era ancora aggrappato. Aveva provato inutilmente a chiamarla, scuoterla. Poi si era rivolto verso suo padre, disteso qualche metro più avanti. Anche lui non aveva risposto nonostante avesse provato ad urlare con tutto il fiato che conservava nei polmoni. Non aveva pianto il piccolo Chuuya, non aveva fatto nulla. Quando aveva capito la situazione si era semplicemente seduto in un angolo e aveva vegliato sui corpi dei genitori.

Fu così, che un paio di giorni dopo, i Cacciatori dell’Ordine lo avevano trovato.

Era solo un bambino di sette anni, spaventato, disidratato, denutrito, sporco del sangue dei genitori, eppure, miracolosamente, era uscito illeso da quel massacro. Un demone aveva attaccato il villaggio di Suribachi e Chuuya era l’unico ad essere sopravvissuto a quella carneficina. Più avanti, il rosso avrebbe scoperto che era stato solo grazie a sua madre, che gli aveva fatto da scudo con il proprio corpo. Glielo avrebbe raccontato il suo stesso carnefice ghignando divertito al solo ricordo di quella scena mentre si pregustava il momento in cui anche il ragazzo avrebbe fatto la stessa fine.

Chuuya non ricordava nemmeno il suono della voce di sua madre, quando pensava a lei rivedeva solo quel cadavere dagli occhi vitrei. Aveva preso il colore dei capelli dalla donna che lo aveva messo al mondo, ma non sapeva dire se avesse ereditato altro, semplicemente perché per quanto si sforzasse non riusciva a ricordarlo. La sua vita era iniziata quando un cacciatore, un certo Arthur Rimbaud lo aveva avvolto tra le sue braccia per poi condurlo verso quella che sarebbe stata la sua nuova casa. La sua nuova vita.

L’Ordine della Maddalena era un’antica confraternita di suore che vivevano in clausura, cercando di combattere le orde di demoni che l’oscuro Signore inviava sulla Terra. Erano una sorta di esorcisti che lavoravano sotto la direzione del Vaticano. Era in uno di questi conventi che Rimbaud, un cacciatore dell’Ordine, lo aveva condotto e dove era stato accolto come una sorta di piccolo miracolo.

Chuuya non aveva parlato per il primo mese, ma le suore erano state pazienti con lui. Avevano cercato di farlo sentire a proprio agio, non avevano insistito. Come se sapessero che il bambino avrebbe parlato solo quando si sarebbe sentito pronto a farlo. Rimbaud era solito passare spesso al convento, gli portava molti doni, libri, giocattoli e lo trattava come una sorta di fratello minore. Era stato proprio a lui, che Chuuya aveva rivolto le prime parole. Aveva aspettato fossero soli, in giardino;

«Perché?» aveva chiesto innocentemente prima di scoppiare per la prima volta a piangere.

Perché tutto quello era successo, perché i suoi genitori erano dovuti morire, perché quel demone aveva scelto proprio il loro villaggio. Il rosso avrebbe ricevuto delle risposte a quegli interrogativi solo moltissimi anni dopo.

In quel momento, Chuuya era solo un bambino, ed era arrabbiato. Era stato privato della sua famiglia, della sua infanzia, dei suoi ricordi. Quel giorno, mentre singhiozzava stretto tra le braccia di Rimbaud, del suo salvatore, giurò a se stesso che non avrebbe avuto pace fino a quando non avrebbe eliminato ogni demone sulla faccia della Terra. Quei mostri avrebbero dovuto pagare per i loro peccati.

Le suore predicavano il perdono, Chuuya però sapeva di non poterlo elargire tanto facilmente. Non avrebbe mai perdonato i demoni per ciò che avevano fatto. Non poteva farlo.

Era semplice parlare di porgere l’altra guancia. Quante sorelle del convento avevano visto ciò che aveva visto lui? Aveva vegliato per giorni i cadaveri dei suoi genitori. Non ricordava nulla di loro, né i loro nomi né il suono delle loro voci, come poteva esserci un perdono per quello? Anche perdonando non avrebbe riavuto ciò che gli era stato tolto.

Nemmeno con la vendetta, gli ricordava la voce di Rimbaud nella sua testa. Questo lo sapeva, ma nella sua mente di bambino era più facile scegliere di odiare il nemico piuttosto che cercare di comprenderlo. Era ancora giovane Chuuya, non conosceva nulla del mondo, avrebbe appreso ogni nozione negli anni a venire, le suore dell’Ordine e il cavaliere si sarebbero occupati della sua educazione.

Così i giorni avevano lasciato posto ai mesi, e i mesi si erano trasformati in anni.

A quattordici anni Chuuya aveva raggiunto l’età minima per entrare nel Ordine come novizio. Era stato il reverendo Rimbaud ad aiutarlo personalmente con lo studio e l’addestramento necessario. A prima vista non l’avrebbe mai detto, ma aveva scoperto che il cavaliere che tanti anni prima lo aveva salvato era un membro importante della loro confraternita, oltre ad essere ovviamente un prelato. Aveva udito delle voci al riguardo Chuuya, secondo le quali Rimbaud avesse esorcizzato oltre cento demoni in passato ma poi, in seguito ad un certo evento si era ritirato dal servizio attivo. Era accaduto un paio di anni dopo averlo salvato. Il rosso avrebbe voluto domandare al reverendo qualcosa in merito, ma non sapeva come fare e non voleva risultare inopportuno.

Arthur Rimbaud si era occupato di lui. Lo aveva salvato. Aveva creduto nelle sue potenzialità. Avrebbe fatto il possibile per non deluderlo. Per questo si era impegnato anima e corpo nello studio e nelle lunghe sessioni di allenamento.

Non aveva dimenticato Chuuya, né tanto meno perdonato. Il suo odio e risentimento verso i demoni era cresciuto giorno dopo giorno, alimentando una fiamma dentro di lui. Sarebbe diventato un cavaliere, un esorcista e avrebbe liberato il mondo da quella piaga che erano i demoni. Li avrebbe estirpati tutti, dal primo all’ultimo. Non vedeva l’ora di incontrarne uno, gli avrebbe dato ciò che si meritava. Peccato, che vivendo tra le mura del convento i suoi contatti con l’esterno fossero limitati, per non dire nulli.

Nel corso degli anni il rosso era uscito forse un paio di volte e sempre scortato dalla presenza calma e rassicurante di Rimbaud. Non ricordava nemmeno come fosse vivere al di fuori dal convento. Le uniche immagini scolpite nella sua mente erano del villaggio di Suribachi distrutto e pile di corpi deformati. Quella volta, si era aggrappato a Rimbaud e aveva chiuso gli occhi, sperando di svegliarsi e scoprire che tutto quello fosse solo un incubo, ma ovviamente non era stato così. I suoi genitori erano morti e lui era sopravvissuto. Una delle sorelle gli aveva più volte ripetuto che le vie del Signore erano infinite, non doveva porsi troppe domande, se quella volta si era salvato era perché lassù qualcuno aveva altri piani per lui. Avrebbe tanto desiderato sapere quali.

Per quanto si sforzasse Chuuya non riusciva a condividere quella fede incrollabile. Era più forte di lui, voleva e doveva vendicarsi. I demoni andavano e venivano a piacimento dal loro mondo togliendo la vita a degli innocenti. Cosa avevano fatto di male gli abitanti del suo villaggio? E i suoi genitori? Perché erano dovuti morire e perché lui era ancora vivo? Li avrebbe uccisi tutti dal primo all’ultimo. Per questo si era addestrato in quegli anni. Non vedeva l’ora di scendere in campo e dimostrare finalmente il proprio valore. Sterminando la razza dei demoni avrebbe salvato molte vite e nessuno avrebbe più dovuto patire ciò che aveva passato lui.

Fuori dalle alte mura del convento c’era un piccolo villaggio, di nemmeno un centinaio di abitanti. Chuuya non aveva avuto altri bambini con cui giocare, era sempre stato circondato da adulti forse per questo aveva sempre cercato di sopprimere atteggiamenti infantili. Si era promesso che sarebbe diventato un cavaliere forte e temuto come Rimbaud, avrebbe protetto e salvato gli innocenti come il reverendo aveva fatto con lui. Quel uomo era diventato un modello da imitare e negli anni l’ammirazione di Chuuya nei suoi confronti non era diminuita, se possibile era solo aumentata. Ogni mese attendeva con ansia il giorno in cui Rimbaud attraversava le porte del convento e veniva a trovarlo. Ormai si stava avvicinando il suo quindicesimo compleanno e moriva dalla voglia di sapere quale regalo l’uomo gli avesse preparato. Era il suo primo anno da novizio ed era sicuro sarebbe stato speciale.

Quella mattina Chuuya non aveva sentito la sveglia. Solitamente era abituato a svegliarsi all’alba al suono delle campane che segnavano i vespri, ma per qualche strano motivo quel giorno si era voltato dall’altra parte e aveva dormito un paio di ore in più del necessario. Nessuno si era premurato di svegliarlo. Così si era ritrovato a correre per il convento in ritardo con la tabella di marcia dei suoi incarichi. Quel giorno toccava a lui occuparsi del giardino e seminare l’orto ma ormai era mattino inoltrato, non sarebbe riuscito a finire prima dell’ora di pranzo. Mentre correva per l’edificio il ragazzo aveva finito con l’inciamparsi nella sua lunga tunica nera da novizio ed era finito con il rotolare giù per le scale, rovesciandosi addosso anche il sacco di terra per concimare che aveva tra le mani. Le sorelle erano subito accorse in suo soccorso.

Quella giornata era iniziata decisamente male ma quello non era che l’inizio.

Purtroppo i suoi indumenti avevano finito con l’odorare di concime, per non parlare del fatto che aveva strappato in più parti il suo abito talare. Una delle sorelle più giovani si era così offerta di prestargli uno dei suoi vestiti. Chuuya era minuto e gli sarebbero calzati a pennello. Il ragazzino era parecchio suscettibile riguardo la sua altezza. Non ci avrebbe fatto caso se fosse vissuto solo in compagnia delle suore ma vedere Rimbaud lo portava senza volerlo a volersi confrontare e paragonare a lui. Un giorno, sarebbe diventato alto come il suo modello, per questo aveva iniziato a bere molto latte.

«Chuuya-kun ti dona moltissimo» e le sorelle avevano annuito.

Il rosso si sentiva leggermente a disagio ed essere vestito come una donna ma in fondo si trovava al sicuro dentro al convento. Nessuno l’avrebbe mai visto conciato in quel modo. Era solo per una giornata. Decise ugualmente di nascondersi i capelli sotto al velo, doveva ancora terminare di concimare l’orto e il sole iniziava ad essere fastidioso.

Ventiquattrore vestito da suora non gli avrebbero di certo cambiato la vita. Ovviamente si sbagliava.

 

***

 

Dazai era uno dei demoni più potenti dell’inferno. Aveva più di un migliaio di anni ed era famoso per la sua intelligenza e spietatezza. Giravano molte voci riguardo a quel bellissimo demone tentatore, la più famosa recitava: la più grande sfortuna dei nemici di Dazai era essere nemici di Dazai.

La lista dei suoi peccati era lunga e scritta col sangue. Era un demone subdolo, si diceva amasse sussurrare nelle orecchie delle sue vittime portandole a compiere il suicidio. Lo stesso Satana più volte, nel corso dei secoli, si era complimentato personalmente con il demone per il suo brillante operato. Mori, il Re Infernale sotto il quale Dazai si trovava ad operare, lo considerava il suo pupillo, un meraviglioso e raro diamante, ed era certo che prima o poi avrebbe finito con l’usurpare il suo posto nella gerarchia infernale.

Quel giorno però la quiete di Dazai stava per essere turbata da un evento inaspettato al quale non era preparato.

Mori lo aveva convocato al suo cospetto e già di per sé la cosa era abbastanza sospetta. L’ultima volta che il Boss (era così che i subalterni si riferivano a lui) l’aveva mandato a chiamare, risaliva a qualche secolo prima ed era stato per assassinare un Papa. Dazai aveva iniziato a fare delle ipotesi ma nessuna di esse si avvicinava anche solo lontanamente al vero motivo di quel richiamo.

Il demone era entrato senza alcuna esitazione nella stanza e aveva attraversato con poche falcate, l’ampio salone. I pavimento nero era macchiato di sangue, segno che chiunque lo avesse preceduto doveva avere fatto arrabbiare il suo signore. Mori se ne stava comodamente seduto sul suo trono ornato da file di scheletri umani. Gli aveva sorriso cordialmente, per poi esordire senza preamboli o inutili giri di parole:

«Dazai-kun è giunto il momento che tu ti trovi una sposa»

Il demone per poco non aveva urlato dalla sorpresa.

«È uno scherzo vero?» il Boss aveva sorriso mefistofelico;

«Nessuno scherzo è un ordine diretto del nostro Imperatore. Quanti millenni hai Dazai-kun? Non pensi sia giunto il momento di pensare ad un erede?»

Dazai aveva notato una strana scintilla ardere negli occhi del superiore e non gli piaceva per niente. Ovviamente il vero intento di Mori era un altro, ma non riusciva a capire quale potesse essere. Se mai avesse concepito un erede sarebbe stato solo una minaccia per il Re infernale. Sospirò stancamente decidendo di stare al suo gioco, in fondo poteva essere divertente. Era da un po' che non si abbandonava alla lussuria con qualche donna. C’erano senza ombra di dubbio dei lati positivi nell’avere una moglie, anche se la fedeltà non faceva per lui.

«Se è un ordine del nostro Imperatore non posso che eseguirlo» e fece per andarsene.

«E ora dove stai andando, Dazai-kun?» gli aveva domandato curioso.

«Sulla Terra, voglio cercarmi una sposa. Le donne umane sono sempre così focose»

Mori non aveva ribattuto. Si era limitato ad appoggiare pigramente la testa contro un bracciolo. Elise lo aveva raggiunto e aveva preso a massaggiargli il volto; accarezzandolo lievemente. Era una ragazzina dall’aspetto di adolescente ma in realtà era la sposa del Boss. I demoni potevano mutare il loro aspetto come meglio preferivano e Mori aveva un debole per le minorenni.

«A che pensi Rintarou?» chiese dolcemente;

«Spero che il mio piano abbia successo»

«Piano?» aveva domandato il giovane demone continuando a cullare il suo signore, come se si fosse trattato di un bambino.

«Mia cara, ho sempre un piano» concluse prima di tirarla verso di sé e baciarla.

Così Dazai aveva finito per recarsi sulla Terra. Erano un paio di secoli che non risaliva in superficie e una parte di lui era curiosa di scoprire quanto il mondo degli esseri umani fosse cambiato. In più, non c’era passatempo migliore per un demone che tentare di sedurre ingenue vergini e portarle sulla strada della perdizione eterna.

Si ricordò di non essere lì per divertirsi ma per cercare una sposa. Sbuffò contrariato, avrebbe potuto spassarsela per un centinaio di anni e poi mettere la testa a posto. Si, pensò, era un piano perfetto.

Dazai non sapeva da dove iniziare, poi sentì delle risate. Provenivano da un convento. Si mise a sorridere, quale luogo migliore per iniziare il suo ultimo secolo da scapolo? Cosa c’era di meglio che indurre al peccato delle innocenti, giovani e vergini suore?

Si avvicinò alle mura premurandosi di modificare il suo aspetto. Aveva adocchiato una giovane novizia adolescente, il suo aspetto da demone adulto l’avrebbe sicuramente spaventata. Optò per una versione quindicenne. Per sicurezza nascose pure le corna e adeguò il suo vestiario. Se doveva recitare una parte lo avrebbe fatto al meglio.

Ad ogni passo poteva sentire l’adrenalina crescere sempre di più dentro di lui, era eccitato come non accadeva da secoli. Era a caccia. Non esisteva nulla di più appagante per un demone.

Si era arrampicato su di un albero per spiare all’interno delle mura, in questo modo aveva potuto osservare meglio la giovane suora intravista prima. Stava trasportando da sola un secchio d’acqua continuando a fare la spola tra un pozzo e il piccolo orto del quale si stava occupando. Era minuta ma aveva la forza necessaria per sollevare da sola il carico, ne rimase stupito. Che fine avevano fatto le timide e fragili fanciulle che si rinchiudevano in clausura?

Una sorella si era proposta di aiutarla ma la giovane aveva sorriso e aveva preferito continuare da sola. Dazai era sempre più colpito. Poi ricevette il colpo di grazia.

Chuuya aveva caldo, aveva trasportato per una decina di volte da solo l’acqua dal pozzo all’orto, visto che qualche giorno prima l’impianto d’irrigazione si era guastato e loro ovviamente non erano in grado di ripararlo. Così si era rimboccato le maniche e aveva fatto del suo meglio per terminare i suoi incarichi giornalieri. Era indietro sulla tabella di marcia e arrabbiato con se stesso per aver oziato troppo. Trasportare tutta quell’acqua inoltre sarebbe stato un ottimo allenamento per rinforzare i muscoli delle braccia.

Ormai il sole era alto nel cielo, doveva mancare qualche minuto a mezzogiorno. Senza porsi troppi problemi, il ragazzo decise di togliersi il velo e immergere il volto in quel liquido fresco cercando un po' di sollievo. Erano le prime giornate primaverili ma erano abbastanza calde da provocargli noia. Quel tessuto era una vera seccatura e lo faceva sudare tantissimo.

Dazai a quella visione era rimasto senza fiato. La giovane suora si era levata il velo mostrando una cascata di capelli rossi come le fiamme dell’inferno. Si era immersa il viso nell’acqua per qualche secondo per poi riprendere fiato. Era la visione più bella che il demone avesse mai visto in tutti i propri millenni di vita. Le gocce d’acqua scendevano sinuose lungo quel capelli meravigliosi. Dazai ne seguiva come ipnotizzato il corso. Improvvisamente ogni suo proposito di celibato andò in frantumi. Giurò a se stesso che quella suora sarebbe diventata sua moglie.

Solo allora Chuuya sembrò notare la sua presenza. Vide un ragazzino che dimostrava circa la sua età appoggiato ad una pianta al di fuori delle mura del convento. Lo sconosciuto lo fissava con l’espressione più idiota che avesse mai visto. Arrossì di colpo. Quel moccioso lo aveva visto vestito da donna.

«Che cazzo hai da fissare?» si mise a urlare mentre cercava di rimettersi in fretta il velo in testa.

«Guardavo te» ammise l’altro sorridendo in un modo che Chuuya etichettò subito come irritante.

«Non hai mai visto nessuno trasportare dei secchi d’acqua per bagnare l’orto?»

«Non avevo mai visto una ragazzina minuta e fragile come te farlo»

Chuuya stava per esplodere, avrebbe tanto voluto prendere a pugni quel fastidioso ragazzino, poi sembrò ricordarsi di un particolare, era ancora vestito da suora, l’idiota doveva averlo scambiato per una ragazza. Non lo stava insultando ma la sua rabbia non fece altro che aumentare.

«Ah, chi sarebbe minuta? Ho quindici anni devo ancora crescere!» si mise a urlare, non sapeva perché ma aveva sentito il bisogno di giustificarsi. In più, il rosso odiava i commenti sulla propria altezza. Con poche parole quello sconosciuto aveva toccato un tasto dolente e stava rischiando di fargli saltare l’intero sistema nervoso.

Dazai alzò le braccia al cielo in segno di resa.

«Perdonami credevo di averti fatto un complimento ehm come ti chiami dolcezza?»

«Punto primo, non l’ho detto e punto secondo, non osare mai più chiamarmi dolcezza o vengo fino a lì e ti riempio di pugni»

«Che linguaggio. Credevo che al convento non vi insegnassero questo genere di cose»

Ogni secondo che passava quella furia rossa gli piaceva sempre di più.

Chuuya si mise a ridere, incrociando le braccia al petto con orgoglio.

«Questo non è un convento come tanti, sono un novizio dell’Ordine della Maddalena»

A quella rivelazione Dazai assunse un’espressione seria. Così quello era uno degli avamposti del famoso Ordine che un paio di secoli prima lo aveva messo con le spalle al muro. Era per colpa di quegli esorcisti se Odasaku… non ci voleva pensare. Erano passati molti anni da allora, da quando il suo amico era morto per causa sua.

Chuuya aveva notato quel repentino cambio di atteggiamento. Ebbe quasi il dubbio di aver parlato troppo ma in fondo l’esistenza del Ordine non era un segreto.

«Hai mai incontrato dei demoni?» gli chiese. In fondo era curioso, non aveva mai parlato con qualcuno di esterno.

Dazai tornò a rivolgergli lo sguardo e a sorridergli con quella sua faccia da schiaffi;

«Oh come mai questa domanda così ardita mia piccola suora?» c’era una nota vagamente provocatoria nel suo tono di voce.

«I demoni hanno ucciso la mia famiglia. Un giorno li sterminerò tutti dal primo all’ultimo»

Si erano guardati a lungo negli occhi e Dazai ad un certo punto giurò di essersi perso nella profondità e nella decisione di quello sguardo. Aveva rivisto le fiamme dell’inferno ardere dentro quegli occhi così blu. Era così bella quella ragazzina, così decisa. Doveva essere sua e lo sarebbe stata.

«Mi dispiace per la tua famiglia» aveva risposto dopo un po'.

«E per rispondere alla tua domanda di prima, si ne ho incontrati»

Chuuya aveva sgranato gli occhi per la sorpresa. Si era avvicinando allontanandosi dal pozzo per raggiungere le mura.

«Ti prego raccontami, come sono quelle creature?»

Dazai pensò solo ad una cosa, era troppo carina. Vista da vicino la novizia era ancora più bella. Così ingenua e innocente, proprio come piacevano a lui, ma con quel fuoco indomabile. Qualcosa gli suggeriva che non sarebbe stata una preda facile da conquistare ma in fondo era meglio così, le sfide lo avevano sempre interessato.

«Sono esattamente come gli esseri umani, hanno i loro pregi e i loro difetti»

Chuuya storse il naso;

«Vallo a dire ai cadaveri dei miei genitori»

«Anche gli umani si ammazzano tra loro e si fanno la guerra, non sono solo i demoni ad uccidere a questo mondo»

«Perché mi sembra che tu li stia difendendo?» Dazai sorrise;

«Non li sto difendendo, te l’ho detto, anche tra i demoni ce ne sono di buoni e cattivi, sono più simili agli umani di quanto loro stessi vogliano ammettere»

«Mi è stato insegnato a temere i demoni e a combatterli»

«E ti è stato insegnato bene. Con le tue idee di sterminio potresti cacciarti nei guai mia piccola novizia»

«Chiamami un’altra volta in quel modo e giuro che non risponderò delle mie azioni»

«Cosa direbbe la madre superiora se ti sentisse parlare in questo modo?»

«Mi appoggerebbe credo» Dazai scoppiò a ridere;

«Sei fantastica» disse prima di lanciarsi dalla pianta alla quale era ancora aggrappato, per atterrare a qualche metro da lui.

Era di poco fuori dalle mura, ovviamente essendo un demone non poteva entrare in un terreno consacrato. Chuuya si avvicinò ulteriormente fino a raggiungere il portone che li separava, poteva vedere quel ragazzino sorridergli da oltre le sbarre.

«Potevi romperti il collo razza di idiota» il demone sorrise;

«Dazai, mi chiamo Osamu Dazai»

«Non mi importa»

L’altro restò in attesa. Alla fine il rosso si trovò quasi obbligato a cedere, quel ragazzo lo metteva a disagio;

«Chuuya, mi chiamo Nakahara Chuuya, contento ora?!»

Dazai fece qualche passo in avanti fino ad afferrargli un braccio passando attraverso le sbarre che li dividevano, fu questione di pochi secondi. Prese Chuuya e lo tirò a sé facendo collidere le loro labbra, poi lasciò la presa. Si passò la lingua sulle labbra, non smettendo per un secondo di sorridere.

«Ora si, sono contento mia piccola Chuuya»

Il rosso non sapeva cosa fare o dire, era come pietrificato. Quel ragazzino sconosciuto lo aveva appena baciato. Non capiva nulla la sua mente era andata in completo blackout. Si passò una mano sulle labbra realizzando in un secondo momento che quello era il suo primo bacio, ed era stato un altro ragazzo a rubarglielo. Sarebbe finito all’inferno per questo.

«Brutto deficiente si può sapere cosa ti è preso?»

Era livido di rabbia, se non ci fossero state quelle sbarre a separarli Chuuya era certo che lo avrebbe ammazzato a suon di botte. La cosa che maggiormente lo infastidiva era l’atteggiamento calmo che quel Dazai ostentava. Come se quel bacio fosse stato perfettamente normale. Quando di normale in quella situazione non c’era nulla.

«Avevo voglia di baciarti e l’ho fatto tutto qui. Non vedo dove sia il problema»

«Il problema…» aveva iniziato col dire, per poi interrompersi, non sapeva nemmeno da dove iniziare. Erano entrambi dei ragazzi, lui faceva parte di un ordine religioso che praticava il celibato, erano entrambi dei ragazzi, lui era vestito da suora, erano entrambi dei ragazzi, qualcuno avrebbe potuto vederli, erano entrambi dei ragazzi…

Chuuya era nel panico. Sapeva che non sarebbe riuscito a gestire tutto quel mare di emozioni che lo stavano invadendo. Continuava a toccarsi le labbra e il suo sguardo settava da Dazai al terreno. Sentiva il viso in fiamme.

Il demone si era nuovamente avvicinato captando il suo disagio, non nascondendo affatto di come fosse soddisfatto per il risultato ottenuto. Sembrava divertirsi molto mentre Chuuya voleva solo urlare.

«Sai Chuuya, ho appena deciso che farò di te la mia sposa»

A quelle parole il rosso esplose.

  
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