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Autore: Laisa_War    03/03/2021    1 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Hylde arrestò la sua corsa verso Kattegat quando si trovò di fronte all’abitazione dei fratelli Lothbrok. Aspettò che il suo respiro tornasse regolare e che le passasse il fiatone, prima di aprire con calma la porta. Era certa di trovarlo addormentato, perciò volle assicurarsi di fare meno rumore possibile, camminando in punta di piedi e setacciando le diverse camere.

Lo trovò in una bella stanza non eccessivamente arredata, ma dall’aspetto sufficientemente confortevole, con morbidi tappeti sul pavimento e numerose coperte calde distribuite sul letto dalla struttura in legno massello, riconobbe la mano di Floki nelle raffinate intarsiature.

Accese un paio di candele, conscia del fatto che non mancasse tanto tempo al tramonto, e le posò su un piccolo tavolino vicino alla testa del letto su cui Ivar riposava.

Si sedette su uno sgabello accanto a lui e lo vide ancora sofferente, nonostante dormisse profondamente. Aveva delle marcate occhiaie, scavate sotto agli occhi ben chiusi, il viso pieno di goccioline di sudore, che Hylde tamponò via con un panno pulito, con un gesto lieve e delicato. Gli accarezzò piano la testa, muovendo le dita tra i capelli scuri liscissimi, all’inizio con un po’ d’esitazione, per paura che potesse disturbare il suo sonno. Non successe, non si svegliò, ma avvenne comunque un leggero cambiamento: il viso contratto in una smorfia di dolore si rilassò e vi comparve un sorriso rilassato.

A Hylde si scaldò il cuore di fronte a quella tenerezza, senza riuscire a credere che quella fosse la stessa persona capace di tanta rabbia e spirito vendicativo.

Lasciò la casa quando il cielo cominciò ad imbrunire, ripromettendosi di tornare a trovarlo il giorno dopo, in veste ufficiale di guaritrice.


Mantenne la promessa l’indomani, non appena concluse le proprie mansioni quotidiane e dopo aver soccorso le persone coi malesseri più impellenti, rimanendo fedele al suo ruolo ed alle sue responsabilità.

Approfittò del primo momento di calma per dirigersi verso la casa di Ivar. Bussò e venne accolta da Ubbe, che la salutò con un sorriso stanco, proprio mentre si accingeva ad uscire dall’abitazione. Prima di entrare, Hylde gli chiese come stesse Ivar e lui rispose con ironia: «Irritabile come sempre.». Era un buon segno, cosa che sollevò decisamente l’umore della ragazza. Si congedarono dopo quel breve scambio di parole, dato che Ubbe doveva vedersi con Brandr, poco tollerante verso i ritardatari.

La giovane entrò e si guardò in giro, non c’era traccia degli altri fratelli, nella casa regnava il silenzio, rotto soltanto dallo scoppiettare della legna bruciante nel focolare.

Si diresse verso la camera di Ivar ed entrò bussando sullo stipite della porta, annunciandosi. Vi trovò il ragazzo disteso comodamente sul grosso letto, col busto alzato e la schiena appoggiata ai morbidi cuscini di piume. La studiava con l’aria di chi si sente colpevole, come per capire se fosse ancora arrabbiata con lui, se lo avesse perdonato,voleva cogliere ogni minima sfumatura sul volto della ragazza.

«Hai un aspetto orribile.», esordì Hylde, trattenendo a stento un grosso sorriso divertito.

Ivar rise, mostrano i denti bianchi e sani, sollevato ne vederla di buon umore. Col suo solito sarcasmo, rispose al commento: «Così parlò la diretta discendente di Freyja.». Era segno di quanto si sentisse meglio, nonostante fosse ancora un po’ sofferente.

Hylde ricambiò la sua gioia e lo guardò con gli occhi di ghiaccio scintillanti, era contenta di rivederlo, benché la delusione provata nei giorni precedenti fosse ancora viva nella sua mente.

Il ragazzo la guardò a sua volta, per poi distogliere nuovamente gli occhi da lei, rabbuiandosi ed intimandole: «Vattene, non voglio che tu mi veda così.». E poi aggiunse, con un pizzico di sfacciataggine del tutto non richiesta: «Torna a baciare Sigurd.».

Eccolo, di nuovo sulla difensiva. Lei decise di non ascoltarlo, si avvicinò al letto su cui era disteso e replicò con grande serietà: «Non sei nella condizione di dirmi cosa fare e, francamente, non lo sarai mai.». Si sedette sulla sponda, proprio di fianco ad Ivar, che parve rassegnato di fronte alla decisione di Hylde di restare, ma anche positivamente sorpreso da quella risposta decisa.

Lei continuò a parlargli, rimanendo seria, facendosi ascoltare davvero e con attenzione: «Quel bacio con Sigurd non ha significato nulla, per me. Volevo solo pareggiare i conti con te, dopo la nostra discussione. Un gesto stupido.».

Ivar tornò a guardarla, con un ghigno incuriosito, ma ostentando ancora una certa lontananza emotiva, con tono quasi offeso: «Cosa ti ha fatto pensare che potesse fregarmene qualcosa?».

«Non lo sapevo. Ma ho visto come hai ridotto la faccia di Sigurd. Ancora una volta, hai reagito da idiota.». Hylde assestò quella scoccata meravigliandosi di se stessa, in vita sua non era mai stata così diretta, così lucida nell’esprimere la propria opinione.

Il ragazzo si zittì, consapevole di quanto lei avesse ragione, non aveva scusanti. Incassò il colpo e rimase in ascolto, rapito dalla determinazione di quella ragazza dolce, ma decisa nei momenti più giusti.

«E a proposito di azioni idiote, non permetterti mai più di mancarmi così di rispetto. Non ti ho mai trattato come uno stupido, e lo sai. Non sono io il nemico, Ivar.», concluse Hylde, reprimendo con tutta la sua volontà l’istinto di piangere, e quindi dar sfogo a tutte le emozioni messe da parte per difendersi, per essere forte. Cercò di resistere alla voglia che aveva di abbracciarlo e di rispondere così all’affetto provato nei suoi confronti.

Ivar si sciolse, sentendosi nuovamente in colpa, percependo la sofferenza della persona che aveva trattato peggio in assoluto. Senza pensarci, con un atto istintivo, le prese la mano e se la portò in grembo, giochicchiando con le sue dita, alla ricerca delle parole più sincere: «Mi dispiace, Hylde. Non meritavi di esser trattata così, ti ho spaventata, avrei potuto ferirti. Me la sono presa con te senza un motivo valido.». Spostò lo sguardo dalla mano agli occhi della ragazza, che sembrava pietrificata da quei gesti veri e genuini. «Sei l’amica più cara che ho. Non succederà più, lo giuro sugli dei di Asgard.». Era serio e avrebbe fatto di tutto per mantener fede a quelle frasi. L’avrebbe protetta da chiunque, persino da se stesso, smuovendo mari e montagne con la potenza del dio Thor solo per far sì che non si trovasse mai in pericolo.

Buttando giù quella maschera arrabbiata e delusa, Hylde si sciolse a sua volta e tornò gentile come sempre, mentre stringeva in modo delicato la mano di Ivar ancora a contatto con la sua: «Non so quanto sia saggio giurare sugli dei, ma so che manterrai la promessa.».

Archiviato definitivamente quell’argomento, decise di tirare su gli animi ad entrambi, cambiando discorso: «Ti vedo meglio oggi, ieri stavi decisamente peggio. Per fortuna l’infuso di belladonna ti ha aiutato a riposare...».

«Sei stata qui ieri?», l’interruppe lui, di nuovo sorpreso.

Hylde si strinse nelle spalle, un po’ imbarazzata: «Volevo assicurarmi che non stessi troppo male, sono pur sempre un’infer...». Si bloccò un attimo, accorgendosi dell’enorme lapsus, e si corresse subito: «Una guaritrice.».

Il giovane non ci fece troppo caso, distratto dalla gentilezza di Hylde che, pur essendo stata arrabbiata con lui, si era premurata di controllare le sue condizioni. Pensò di non meritarsi affatto quella persona nella sua vita, non riusciva a capacitarsi del perché gli dei lo avessero omaggiato così generosamente, ma scacciò via quei pensieri e fece riemergere il suo ghigno sarcastico: «Lo avevo sentito dire, che fossi diventata guaritrice...». Continuò trattenendo una risata: «...non so quanto Kattegat possa definirsi al sicuro,ora.». Quanto gli era mancato stuzzicarla così.

Iniziando a ridere, Hylde finse di offendersi ed afferrò velocemente il piccolo cuscino appoggiato sullo sgabello accanto al letto. Glielo tirò in faccia esclamando: «Stolto di un vichingo!», e lo colpì piano per diverse volte, senza fargli male.

Anche Ivar rise di gusto, parando con le mani quanti più colpi gli fosse possibile, fino a quando una piccola fitta alla gamba destra non gli impose di smettere, mettendo fine al gioco. Imprecò, scaraventando un pugno sul morbido materasso, ma il dolore passò subito, per fortuna.

Hylde si scusò per averlo fatto agitare, con la paura di avergli provocato quella fitta, e si sbrigò a consegnargli una nuova boccetta di crema per contrastare un po’ di dolore, contenuta nella piccola sacca tenuta a tracolla sul fianco. Nel frattempo, lui tentò di rassicurarla, dicendole che non era colpa sua, e prese la crema con un impeto di gioia, dato che aveva quasi finito quella che gli era stata regalata precedentemente.

«Stavo pensando che forse il dolore che provi non sia una cosa così negativa.», disse Hylde, prendendo il coraggio necessario a condividere l’idea balenatale in testa la notte prima.

Ivar la guardò come se si trovasse di fronte ad una pazza, come se lei avesse perso il senno all’improvviso.

La giovane si scusò per non essere stata abbastanza chiara, mentre lo aiutava a mettersi in una posizione più comoda, che gli alleviasse un po’ di fastidio: «Intendo dire che sarebbe peggio se non sentissi nulla. Il dolore e il fatto che qualche volta tu riesca a muovere le gambe mi fanno pensare che possa avvenire un miglioramento.».

«Stai dicendo che potrei riuscire a camminare?». Ivar era basito, con gli occhi sbarrati e la totale attenzione rivolta a Hylde, in assoluto ascolto.

Lei cercò di calmarlo e di non farlo agitare, perché non c’era nessuna garanzia, erano tutte ipotesi e nessuna certezza: «Non lo so, Ivar. Non posso prometterti nulla in questo momento.».

La fece avvicinare a sé e le accarezzò la guancia con la mano ruvida, rivelandole: «Prima sapevo di non avere possibilità, ora gli dei mi mandano te, che mi offri una via d’uscita. Mi basta questo.». Hylde, davvero commossa da quelle parole, appoggiò la sua fronte contro quella di Ivar, un contatto intimo, che rivelava quel profondo affetto che aleggiava tra di loro, nei loro cuori.

Il ragazzo rimase fermo, afferrando febbrilmente quel momento come se temesse di non poterne vivere altri in futuro, godendosi il tocco leggero della giovane donna sul suo viso e sul collo. Annuì con grande entusiasmo quando lei decise: «Cominceremo a lavorarci quando il dolore sarà sparito.».

Entrambi alzarono leggermente lo sguardo, i loro occhi si scrutavano con minuziosa attenzione, la pelle delle loro fronti sembrava prendere fuoco ad ogni secondo passato a contatto tra loro. Entrambi si sentirono grati di trovarsi lì in quel preciso ritaglio di tempo, dove nessuna cosa al mondo avrebbe potuto ferirli. Le loro labbra così vicine.

«Hylde, ti cerca... Oh.». Era stato Sigurd a parlare, rimasto impalato all’ingresso della stanza, con ancora la mano sulla maniglia della porta lignea e gli occhi spalancati. Il suo sguardo esprimeva imbarazzo e genuina, bruciante gelosia.

La ragazza si staccò subito da Ivar, rossa in viso, portandosi qualche ciocca di capelli dietro le orecchie. Ivar invece rivolse al fratello uno sguardo omicida, infastidito da come Sigurd avesse interrotto quel momento di puro idillio.

Sigurd si schiarì la voce, riprendendo il controllo, e tornò alla frase che aveva iniziato poco prima: «Munin ti cerca, faresti meglio a raggiungerla.». Abbassò lo sguardo ed uscì immediatamente di casa, volatilizzandosi.

Hylde avrebbe tanto voluto ringraziarlo di averle portato il messaggio, ma quando aprì la bocca per parlare, Sigurd aveva già abbandonato la camera. Tornò ad osservare Ivar, ancora intento a maledire mentalmente il fratello, e si congedò: «Il dovere chiama.». Gli regalò un sorriso raggiante, per stemperare un po’ d’imbarazzo.

Come al solito, il giovane vichingo non riuscì a rimaner serio di fronte all’allegria della ragazza ed annuì.

«Torno a farti visita appena mi è possibile.», gli spiegò Hylde alzandosi e dirigendosi verso l’uscita , proprio mentre Ivar le rispondeva: «La prenderò come una promessa.».
  
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