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Autore: GoldenRing    03/03/2021    0 recensioni
Judith chiuse gli occhi e lasciò che per pochi minuti ancora il calore del sole le entrasse dentro per riunire quei pochi pezzi della sua anima, del suo orgoglio e della sua femminilità. Parti che l'avevano resa quell’essere donna, una guerriera ma che l’Organizzazione aveva portato via esattamente 304 giorni fa. I ricordi, le urla, le catene riaffiorarono alla mente e la spinsero a riaprire gli occhi troppo stanchi dagli incubi ricorrenti.
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Un brivido di freddo le percorse il corpo tanto da stringersi nella sua giacchetta di jeans. Cercava calore nel cingersi le spalle con le braccia perché ormai il sole non la riscaldava più, o meglio, non era quello il calore di cui Judith aveva bisogno.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nota autrice
Ciao a tutti!

La storia fa parte di un progetto molto più grande ma che purtroppo non ho mai scritto ma non per questo la storia è incomprensibile, anzi. Ad essa tengo molto, è anche la prima storia che scrivo su questo sito, fatemi sapere cosa ne pensate, grazie. :)) 
Chiedo venia per eventuali errori :((
Buona Lettura 
-Raffa




Erano trascorsi dieci mesi dall’ultima volta che Judith sentì la luce del sole riscaldarle dolcemente il volto. Si trovava sul balcone di un’antica e lussuosa villa in periferia che veniva utilizzata dai Blackson come centro di comando contro l’Organizzazione. Judith chiuse gli occhi e lasciò che per pochi minuti ancora il calore del sole le entrasse dentro per riunire quei pochi pezzi della sua anima, del suo orgoglio e della sua femminilità. Parti che l'avevano resa quell’essere donna, una guerriera ma che l’Organizzazione aveva portato via esattamente 304 giorni fa. I ricordi, le urla, le catene riaffiorarono alla mente e la spinsero a riaprire gli occhi troppo stanchi dagli incubi ricorrenti. Con la mano tremolante si spostò la camicia troppo larga e con estrema delicatezza ripassò con le bianche e affusolate dita i margini delle cicatrici. Si soffermò su di una che le era stata inflitta poche settimane fa. Era un male ogni volta che ci ripensava. Un pomeriggio di due mesi fa decise di ribellarsi e di non voler essere sottomessa ancora una volta dalla guardia di turno. Allora decise di calciare, divincolarsi dalla possente presa dell’uomo ma senza i risultati sperati. Si procurò solo dolore in più: calci, spintoni e soprattutto quella frase che la incitava a non andare via, a non scappare perché tutto ciò che le stava facendo era giusto e sembrava ancora che glielo sussurrasse all’orecchio la notte. Un brivido di freddo le percorse il corpo tanto da stringersi nella sua giacchetta di jeans. Cercava calore nel cingersi le spalle con le braccia perché ormai il sole non la riscaldava più, o meglio, non era quello il calore di cui Judith aveva bisogno. Il suo sguardo si posò su un albero di limoni e sul suo inebriante profumo.

Dopo che l’uomo aveva abusato di lei e si fosse preso tutto quello che di femminile vi è in una donna, estrasse il coltello dalla tasca e, dopo essersi alzato, le incise un taglio provocandole una ferita sul fianco sinistro sul quale tutto il tempo l’uomo aveva poggiato la sua mano. Un taglio che significava che per quanto lei un giorno potesse essere libera, una parte di lui sarà stata sempre incisa sulla sua pelle.
Da lì in poi i suoi ricordi erano confusi, c'era del sangue, dello sporco e l'incapacità di reagire, di muoversi, di trovare la forza di alzarsi, incapacità che la costrinse a lasciarsi lì, stesa, a piangere tutte le sue lacrime mentre l’odore di un limoneto fuori la cella si diffondeva per tutta la stanza.
Judith, ora, voleva piangere, sfogarsi, urlare, reagire al vuoto che aveva dentro ma non ci riusciva perché aveva pianto e urlato per troppo tempo, senza che nessuno mai riuscisse a sentirla, senza che mai suo fratello riuscisse a sentirla.
“Judith, finalmente ti ho trovato” sorrise Sebastian “vieni dai, la riunione sta per iniziare. Anche tuo fratello è di la”. Judith era troppo persa fra sé e i suoi ricordi per ascoltarlo e solo al terzo tentativo si girò verso di lui.
“Judith, tutto bene? Ti stiamo aspettando, anche Cameron si è già avviato verso la sala” chiese toccandole la spalla “dai vieni che sta anche per iniziare a piovere”.
Judith tremò al tocco e indietreggiò mentre annuiva a Sebastian regalandogli un falso sorriso. Prima di rientrare un fulmine cadde a terra colpendo l'albero in giardino.
Insieme si avviarono e percorsero il lungo corridoio che portava alla sala delle riunioni. Tra i due era calato un silenzio tombale spezzato solo dal rumore martellante dei passi. Sebastian avrebbe voluto chiederle di nuovo come si sentisse ma si limitò a guardarla camminare: movimenti lenti e disconnessi, braccia conserte e mani che stringevano le proprie spalle. Di sicuro avrà passato le pene dell'inferno e pensò che forse un "ora andrà tutto bene" non sarebbe servito a nulla. Non sapeva che si sbagliava di grosso.
Entrarono nella stanza. Sebastian indicò la sua sedia a Judith mentre lui e pochi altri rimasero all'impiedi intorno ad un tavolo rettangolare di vetro temperato, circondato da un grande schermo spento collegato ad un pc e da una libreria così raffinata che Judith era convinta fosse di legno di ciliegio. Davanti lo schermo c'era Diana, la sorella di Sebastian. Era strano quanto i due si somigliassero. Bisognava guardarli attentamente per notare in realtà quanto i due fossero diversi. I piccoli gesti, come il spostarsi i capelli oppure il modo di porsi, di gesticolare e di parlare.

I fratelli erano intenti a spiegare il piano per salvare la vita ad Agave, regina delle ninfe e protettrice della natura che era in fin di vita a causa dell'attacco dell'Organizzazione.
“Il piano è molto semplice: la regina Agave non vivrà ancora a lungo e solo la magia di Judith può salvarla. Esiste un vecchio rito con il quale risvegliare la forza della natura che aiuterà la regina velocizzando il processo di guarigione” iniziò a spiegare Diana dopo essersi schiarita la voce attirando l'attenzione di tutti.
“In caso contrario noi non riuscissimo a salvarla è inutile dire quali sarebbero le conseguenze della morte di sua regina. Catastrofi, tsunami, terremoti ed eruzioni vulcaniche. Ci sarebbero delle conseguenze non solo sulla nostra gente ma anche sulle persone comuni e sulle ninfe che morirebbero portando con sé la vita della natura” continuò Sebastian “noi potremmo anche sopravvivere ma la gente che non ha i nostri stessi poteri morirebbe all'istante. E ciò non deve accadere. Nessuno vuole veder morire i propri cari” concluse Sebastian soffermandosi con lo sguardo su Jonathan che seppur preoccupato gli sorrise.
Judith cercava gli occhi di Cameron. Era ormai libera da giorni ma non aveva ancora avuto il piacere di poter riabbracciare il fratello. Non credeva che seppur così vicini lui non aveva avuto il tempo di una visita. Cameron era seduto su una sedia, in disparte, con le gambe incrociate, un braccio appoggiato allo spigolo della finestra e con l'altra mano si manteneva la fronte mentre i suoi occhi vagavano una volta sulla figura di Diana e un'altra volta, oltre la finestra, sulle foglie degli alberi che cadevano a terra.
“Quindi tutto chiaro? Avremo bisogno di te, Judith. Sei dei nostri?” chiese Diana sorridendole dolcemente mentre si avvicinava verso di lei. Judith ricambiò lo sguardo ma si sentì spaesata perché ancora una volta si era persa nei ricordi dei suoi giorni più bui.
“Sei l'ultima rimasta a conoscere il rito e l'unica nel saperlo eseguire. Sebastian potrebbe darti una mano se lo desideri in quanto sia tu che lui siete fratelli gemelli di Ascenditori”. Judith annuì e sorrise flebilmente. “Sicuri che ce la fa? Non la vedo in gran forma” chiese qualcuno dal fondo della sala “potrebbe spiegarlo a Sebastian così da farlo lui” continuò una seconda persona.
Cameron sbuffò sonoramente e per la prima volta disse qualcosa “sta bene, non vedete? E poi non può farlo Sebastian”
“Se il rito andasse male sarebbero peggiori le conseguenze” obiettò infine. Non aveva staccato lo sguardo dalla finestra mentre invece tutti lo fissavano. Judith non rispose lasciando intendere che la risposta del fratello bastasse per tutti e tre.
“Bene, allora possiamo andare” disse Diana tirando un sospiro di sollievo come chi ha appena saputo che l'apocalisse è stata scansata. Uscirono tutti e proprio quando stava per farlo anche Cameron, Judith riprese a parlare dopo giorni.

“Come fai a sapere realmente come sto se non hai mai chiesto?” il fratello si bloccò di colpo e il suo cuore iniziò ad accelerare dalla paura perché il momento era arrivato e non poteva tirarsi indietro. “Cosa?” chiese Cameron pur avendo capito perfettamente la domanda. Tornò indietro mentre Jonathan borbottò un ‘vi lascio parlare da soli’ dirigendosi verso la porta.
“Da quando sono qui non mi ha mai chiesto come stessi, non ci siamo parlati e non lo facciamo da più di un anno, non mi hai abbracciata, non mi hai neanche degnata di uno sguardo per tutto il tempo da quando sono seduta su questa sedia. Il panorama è forse più importante di tua sorella?” chiese con lo sguardo abbassato intenta a guardare le sue scarpe.
“Co- cosa? Cosa stai dicendo? Certo che no...” balbettò Cameron.
“Sono giorni che finalmente vedo la luce del giorno ma una domanda continua a perseguitarmi da più di dieci mesi ormai. Ed ora il solo pensiero è diventato un groppo alla gola” continuò Judith mentre a poco a poco la sua vista si annebbiava dalle lacrime. Non voleva piangere, voleva essere forte per almeno quei cinque minuti. Per suo fratello che sempre è stato così perfetto.
“Sapevi che ero rinchiusa in una cella dall'Organizzazione?” Judith alzò lo sguardo vedendo che il fratello prendeva troppo tempo nel rispondere alla domanda.
Non poteva crederci. “Cameron, ti ho fatto una domanda: lo sapevi?” Judith a quel punto ansimava e tremava al solo pensiero.
Si” rispose “lo sapevo”.
“E perché non sei venuto a cercarmi? Perché… perché mi hai dimenticato?” sussurrò mentre le lacrime le rigavano il viso. Non le importava più ormai essere vista in quello stato pietoso, non dopo che aveva perso così tanto.
“Sai” continuò “quando ero seduta in quella stanza fredda, la guardia mi ripeteva ogni giorno che mi avevi dimenticata, che non valevo il tuo tempo, che non ero più nulla per te”
“Judi non è vero. Io… sai che non potr..”
“Ma io negavo sempre perché mio fratello mi avrebbe salvato. Cavolo se lo avesse fatto seppur questo significava unirsi all'Organizzazione, seppur questo significava mettersi in pericolo e donare la propria vita perché era così semplice farlo ed io non riuscivo a capire il perché tu non fossi mai venuto. Perché se fossi stata io al tuo posto sarei morta nel tentativo di salvarti, avrei dato tutta me stessa se ciò avesse significato non farti vivere neppure un giorno in quella cella. E pure per me sono stati 304. Perché? “
Cameron si avvicinò alla sorella, prese le sue mani e le baciò mentre le lacrime gli scendevano lungo le guance.
“Sono stati orribili perché più passava il tempo e più le cose più care che avevo si affievolivano sempre di più: la speranza di poterti vedere dietro le sbarre a prendere a calci la guardia che ha abusato di me. Ti ricordi quando eravamo piccoli non volevi neanche che i ragazzi mi si avvicinassero. Te lo ricordi? Te lo ricordi Cam? Perché io mi sono dovuta aggrappare a questo. A questi ricordi di noi da piccoli”. Judith dovette prendere un respiro profondo mentre cercava di calmare il pianto. “Ti hanno violentata? Judith io, io farò di tutto, te lo giuro. Io…” Cameron era in preda alle emozioni più disparate. Odio, rabbia, frustrazione, era sconvolto e non riusciva a concepire l'idea di quanto sua sorella avesse sofferto e che ora era proprio lì, davanti a lui, con i vestiti troppo lunghi e con i segni violacei ai polsi e alle caviglie.
“Ma sai la cosa più brutta qual è stata?” lo interruppe la sorella questa volta guardandolo negli occhi. “Alcuni ricordi di te stavano scomparendo giorno dopo giorno, non ricordavo più il suono della tua risata, il tuo profumo, e quanto fossero morbidi i tuoi capelli al tocco. Mi stavi scivolando tra le dita giorno dopo giorno e non potevo fare nient'altro che abbandonarmi all'idea che non saresti venuto perché dopo mesi in cui te lo ripetono non puoi fare altro che crederci”.

Cameron mantenne tutto il tempo lo sguardo abbassato, sapeva di aver sbagliato, sapeva che se solo avesse provato ad alzare e ad incrociare gli occhi della sorella avrebbe visto nient’altro che dolore, disperazione e rassegnazione. Quegli occhi azzurri così diversi dai suoi, poteva solo immaginare quanto fossero spenti e pieni di lacrime. Dopo pochi attimi Cameron cercò di trovare le parole adatte per poter parlare. Non cercava scuse, non ne aveva. Voleva essere perdonato per ciò che aveva fatto. Alzò lo sguardo e vide quanta distruzione c'era negli occhi della sorella e sapeva che nessun perdono poteva cancellare il senso di colpa che lo stava divorando da dentro. “Si, sapevo che ti avevano rapita, sapevo dove ti avevano portato e che il costo della tua liberazione era quello di unirmi all'Organizzazione. Ma sono stato fermato perché non ti avrebbero mai lasciata vivere anche se mi fossi unito a loro. Non sai quante volte avrei voluto correre da te, a liberarti e ad abbracciarti ma il pensiero che avrebbero potuto ucciderti e la paura che provavo sono state come delle catene che mi hanno bloccato. Ma credimi se ti dico che non ci è stata notte in cui non pensassi a te e in cui non mi sia pentito della scelta che ho fatto. Ti ho abbandonata e non merito nessun perdono. lo so. Sono stato egoista, ipocrita perché ti ho chiesto di aiutarci quando non ne avrei nessun diritto” Cameron non smetteva di piangere e tra un respiro e l'altro continuava a parlare. Judith decise di scivolare tra le sue braccia e di rannicchiarsi sul suo petto. Ma Cameron si scostò, prese le sue mani continuando a parlare. “Voglio che tu sappia che non ti ho guardato, non ti ho parlato o non ti ho abbracciato perché io… perché io non ne ho avuto il coraggio. Io non sono alla tua altezza, io ti ho fatto soffrire così tanto, ho macchiato la tua purezza con il mio egoismo e con la mia meschinità. Io non ne valgo la pena, Judi”. La sorella lo guardò con estrema dolcezza e gli toccò i capelli per poi eliminare con le dita le lacrime dalle guance.
“Ma se tu me lo permetterai, se potrai mai concedermi il tuo perdono, io migliorerò. Potrò proteggerti dall'Organizzazione e da qualsiasi pericolo” Cameron si sedette a terra, la sorella gli baciò la fronte mentre seduta si rannicchiò al suo petto. “Perdonami Judith per tutto quello che ti ho fatto”

“Dimmi che non è troppo tardi”.
 


 
   
 
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