Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    03/03/2021    0 recensioni
Nel 2018 Shizuka Higashikata, la figlia adottiva di Josuke, vive una vita monotona nella tranquilla Morioh-cho.
Una notte la sua vita prenderà una svolta drastica, e il destino la porterà nella misteriosa città italiana di La Bassa, a svelare i segreti nascosti nella sua fitta nebbia e nel suo sottosuolo, combattere antichi pericoli e fare nuove amicizie, il tutto sulle rive di un fiume dagli strani poteri.
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Terza riscrittura, e possibilmente quella finale, dell'attesa fanpart di JoJo postata per la prima volta qui su EFP nel lontano 2015.
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Prequel: “La battaglia che non cambiò nulla (o quasi)”
*Spoiler per JoJo parti 1, 2, 3, 4 e 6*
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Aggiornamenti saltuari.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Josuke Higashikata, Jotaro Kujo, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Il tragitto di ritorno fu molto più lento ed estenuante dell’andata, o almeno così parve a Shizuka.

Lei era così fiera di sé stessa! Si sentiva forte, invincibile, e aveva sviluppato uno stand fisico, ne era sicura. 

Suo padre aveva sminuito la cosa, anzi, ne sembrava quasi infastidito. 

“Sarà stato uno degli stand di quelle ragazzine a farlo, non tu” aveva sbottato, mentre si stavano dirigendo al punto di ritrovo qualche ora prima. “Non credere che ti lascerò ancora andare in giro dove vuoi, o prendere parte in un combattimento. Tu non sai combattere!”

Shizuka non aveva parlato al padre per tutto il giorno, e in realtà, ora che erano in auto tutti assieme ed erano quasi tornati al Colori del Tramonto, non aveva parlato con nessuno.

Era furiosa. Suo padre ancora la considerava una debole bambina da proteggere- capiva il suo punto di vista, che fosse preoccupato per lei, ma non concepiva come lui potesse ritenerla così inferiore.

Lei non era inferiore. A nessuno.

Eppure si era sempre sentita tale. A scuola a Morioh quando non sapeva né la lingua né le usanze, e ora in quel gruppo, dove era la più giovane e l’unica senza nessuna esperienza nella battaglia. Era stanca.

Avrebbe voluto spalancare le sue nuove ali e volare via… dove l’aveva già sentita quella frase?

“Allora, il collaboratore?” chiese Okuyasu agli Hirose, durante quel lungo e silenzioso tragitto in auto. Prima, molto prima erano arrivati i convenevoli per le escoriazioni sul corpo di Josuke e su quel combattimento, ma la questione di quel giornalista labassese era rimasta sepolta. 

“Collaboratrice.” lo corresse Yukako, concentrata sulla strada. “Una certa Matuzia. Tipa inquietante.”

Detto da Yukako, doveva essere davvero una donna spaventosa.

“Non ci ha spiegato molto, ma ci ha detto che domani ci guiderà per La Bassa e che abbiamo bisogno di una guida, o ci perderemmo. A quanto pare La Bassa è molto labirintica come città.” concluse Koichi.

Ma nessun discorso sembrava attecchire in quel giorno cupo e mesto. Josuke continuava a guardare fuori dal finestrino, a fissare il nulla davanti a sé, quell’Italia che non si aspettava. Vuota, desolata, e oscura. Quel cielo tra il bianco e il grigio e quell’atmosfera nebbiosa che smorzava il verde brillante dell’erba e dei boschi incolti attorno ai fossi, il giallo del grano, il rosso dei mattoni delle antiche abitazioni.

“La Banda…” borbottò tra sé e sé, troppo piano perché potesse essere sentito dagli altri, sotto la radio che dava canzoni pop dal ritmo alcune volte accattivante, alcune volte stucchevole. Cos’era davvero la Banda? La ragazza dai capelli azzurri aveva chiamato l’altra boss, ma sembravano decisamente troppo giovani -dovevano aggirarsi intorno all’età di Shizuka- per far parte di una qualche organizzazione governativa, o di ricerca come la Fondazione Speedwagon. Quando prima aveva chiesto a Koichi se ne aveva mai sentito parlare, aveva risposto che le scritte sulle fontane recitava proprio quello. Gentile concessione della Banda, ma per quanto ne sapesse non c’era nessuna connessione con la SPWfoundation.

Avrebbe chiesto, il giorno dopo, spiegazioni a questa fantomatica collaboratrice labassese.

Ancora assorbito nei suoi pensieri e nei suoi dubbi, quando l’auto parcheggiò nel parcheggio protetto dell’hotel Colori del Tramonto, Josuke si diresse senza salutare nessuno nella sua camera.

Lì le stanze erano spaziose, e la sua era specificamente divisa in due camere da letto, una per sé e una per Shizuka, che si era rifiutata di condividere la camera col padre. Meno male, pensò Josuke spezzando quel treno di congetture che si stava compiendo nella sua mente riguardo i vampiri e la città di La Bassa e un gruppo di ragazzine combattenti. Shizuka non si era nemmeno degnata di guardarlo, nemmeno di tenergli la porta per entrare pur vedendo i grossi tagli sulle braccia del padre. Era furiosa, e anche se lui le fosse morto di fronte sapeva che lei non avrebbe reagito.

“Shizu, vieni qui e aiutami con le garze.” le intimò, indicando la valigetta che Josuke si portava sempre dietro, piena di attrezzi del mestiere e kit del pronto soccorso. Fortunatamente era un dottore e sapeva cavarsela da solo.

Shizuka però continuò a camminare furiosamente, verso la porta che separava le sue camere. 

Sod off.

“Shizuka. Per favore.”

Il per favore di Josuke suonava, però, più come un ringhio rabbioso che una richiesta, e ciò non fece altro che innervosire di più la ragazza. Alzò indice e medio e si chiuse la porta alle spalle, che fece altri due decisivi click- si era chiusa dentro.

No, Shizuka non l’avrebbe aiutato. Sapeva perchè si stava comportando così, per la questione dello stand, della debolezza, del fatto che Josuke non volesse che la figlia prendesse parte a scontri che evidentemente non avrebbe mai potuto vincere. Non importava. Aveva ragione Josuke, e Shizuka prima o poi l’avrebbe capito, con le buone o con le cattive.

I tagli sulle braccia non sanguinavano più grazie all’evoluzione dei poteri di Crazy Diamond, che gli consentiva di guarire molto più rapidamente dalle proprie ferite, ma guarire rapidamente significava dover comunque passare per il doloroso processo di sanguinamento, cicatrizzazione e guarigione. 

E disinfettarsi faceva male nello stesso modo di chiunque altro. 

Qualcuno bussò alla porta.

“Jos? È permesso?”

Josuke strabuzzò gli occhi, e impiegò qualche secondo a rispondere alla voce di Okuyasu. “Oh. Sì, è aperto.”

E Okuyasu fece il suo ingresso nella camera, illuminato solo dalla luce del corridoio alle sue spalle. I capelli argentati, sciolti lungo le sue spalle larghe, lo facevano sembrare avvolto da una luce angelica e Josuke si ritrovò completamente rosso in viso come una ragazzina che pensa al ragazzo per cui ha una cotta. Effettivamente non era tutto così lontano dalla realtà. Quando Okuyasu si sedette al suo fianco sul letto, Josuke si accorse di quanto gli fosse mancato, davvero. Non fisicamente- erano vicini di casa del resto a Morioh- ma emotivamente.

“Hai bisogno aiuto per le medicazioni, vero?”

“Già.”

“E Shizuka non intende aiutarti.”

“Già.”

Josuke, però, non riusciva a rispondere in nessun altro modo. Era così difficile…

Indicò a Okuyasu la stessa valigetta che aveva indicato a Shizuka ma, al contrario della ragazza, lui fu obbediente e la recuperò subito.

Seguì tutte le parole e indicazioni di Josuke, come disinfettare con l’alcohol, come applicare quella crema speciale, in che modo fasciare con le garze e con la sopragarza.

Okuyasu fece, fece tutto quello che gli veniva detto come un bravo vicario. Era sempre stato solo questo per tutti quegli anni, no?

Prima che Josuke si stufasse di quella relazione sbagliata, di quella vita angusta, e partisse per l’occidente e per una nuova vita. 

Okuyasu non lo vedeva come un pari? Lo vedeva come qualcosa di diverso, come tutti gli altri? Okuyasu parlava e discuteva con Yukako e con Yuuya e con tutti gli altri ma obbediva e annuiva solo a Josuke. Non era di compagnia, non era qualcosa in cui Josuke si sentisse alla pari.

Solo un’altra persona che lo considerava un estraneo. 

Senza pensare ad altro- magari al fatto che Josuke stesse pensando qualcosa di sbagliato, che qualche sua azione facesse reagire così Okuyasu- ritornò il freddo e apatico nuovo Josuke che era tornato a Morioh dopo dieci anni di assenza. 

Ora che ci pensava, Okuyasu non gli mancava davvero più.

“Ti ringrazio, Oku, ora vorrei riposare…” borbottò Josuke, facendo un vago cenno con la mano all’altro uomo- di andarsene. Il suo compito era stato svolto.

Nell’ombra, non vide- o fece finta di non vedere l’espressione delusa di Okuyasu. Un’ombra di confusione nel suo sguardo, di sgomento, di qualcuno che si chiede se era stato saggio aspettare per tutti quegli anni.

Oku si alzò, si chiuse la porta alle spalle e il silenzio e l’oscurità tornarono su Josuke, e nella sua testa scoppiò di nuovo il caos.

Al piano inferiore dell’albergo c’era un bar, aperto tutta notte. Avrebbe potuto farci un salto.

 
   
 
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