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Autore: Aspis95    03/03/2021    0 recensioni
Kwalls afferra all’istante l’avambraccio di Clorice, la nana fa altrettanto e mentre i suoi muscoli si tendono nello sforzo di liberare l’amico dal terreno, avverte una sensazione di calore sprigionarsi dal suo braccio e diffondersi lungo tutto il corpo. La sorpresa iniziale nel vedere le proprie ferite rimarginarsi, nel sentir svanire l’indolenzimento, è dissipata dal sorriso sghembo rivoltole da Kwalls. “Per questo ti ringrazierò più tardi” scherza, facendogli un occhiolino ora che sono spalla a spalla.
“Pensate di venire a darmi una mano o volete prima tornare a fare i vostri comodi in locanda?” Gul'Dan si volta appena verso di loro, gli artigli grondanti di sangue. “Non essere geloso tesoro, posso occuparmi anche di te” gli urla di rimando Clorice. “E per te, brutta bestiaccia.” Il suo sguardo si fissa sui rossi occhi porcini della bestia che li sta attaccando, mentre con un gesto coreografico si sfila l’ascia bipenne da dietro la schiena, per impugnarla a due mani. “Non mi piace lottare con la cena.”
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le mura di Passofreddo non erano l’opera architettonica più imponente del regno di Tymeria, ma così infuocate dalla luce del tramonto scaldavano il cuore dei viaggiatori. Dopo giorni tra il freddo delle montagne non aspettavano che un luogo che ricordasse loro casa. Varcati i cancelli si diressero verso la locanda della Mela Verde, dove sapevano che Khandra avrebbe riservato loro una calorosa accoglienza. 

 

A est della struttura una luce accesa, come annunciato nella lettera. Le finestre sono piuttosto piccole e alte però, non riuscirebbe in alcun modo a intravedere ciò che si cela dall’altra parte. Segue il profilo delle mura, muovendosi il più silenziosamente possibile, fino a trovarsi di fronte a quella che parrebbe una piccola porta di servizio. Sapeva di essere attesa, certo. Ma sicuramente non si aspettava che la porta venisse lasciata aperta per lei. Allungando la mano, bussa leggermente sullo stipite, a risponderle è il silenzio più totale. Non saprebbe dire cosa, ma qualcosa di tutta quella storia inizia a puzzarle; la tentazione di lasciar perdere e tornare indietro si fa sempre più forte. Ma gli ordini della Chiesa non sono quelli. Si fa forza inspirando a pieni polmoni una boccata di quella gelida notte invernale ed entra dentro.
All’interno, una piccola stanza, arredata con tutto l’essenziale per una persona. C’è una branda, un armadio, una libreria, una sedia con qualche indumento ripiegato sopra. Il corridoio su cui la camera si affaccia gira a sinistra, supera un piccolo bagno sulla destra. Oltre, una porta chiusa, da cui filtra la luce. Dev’essere la stanza in cui ha appuntamento. Di nuovo bussa e, di nuovo, nessun suono le giunge in risposta. La mano corre velocemente ad accarezzare l’elsa della scimitarra appesa al fianco, quasi a volersi assicurare che sia ancora lì, prima di posarsi sulla maniglia.
La stanza non è propriamente caotica. Certo, è più confusionaria di quanto dovrebbe essere, più confusionaria di quanto si sarebbe aspettata, ma in fondo si tratta di una persona che non ha mai incontrato prima, cosa potrebbe saperne lei del suo senso dell’ordine? Si dà una rapida occhiata intorno, nota subito la tazza sopra la scrivania e appoggiandoci appena sopra il dorso della mano la sente ancora tiepida. Altre due tazze identiche sono invece riverse sul pavimento. Chinandosi a studiarle più da vicino avverte il leggero odore di menta che si sprigiona dall’infuso rovesciato in terra.

*** 

Cos’è questa cosa che sta sentendo? Fa troppo caldo, è troppo stretto. Ma dove è finito? È troppo buio, non si vede un accidente. Prova a girarsi a destra e a sinistra, strizza un po’ gli occhi, tenta di mettere a fuoco. Aspetta, aspetta. Vede… niente, no, non vede niente. No, forse un filo di luce entra, in effetti. Prova ad allungare gambe e braccia, non gli sembra di essere legato, ma sente di essere in uno spazio stretto, che gli impedisce di muoversi liberamente. Addosso, ha un peso enorme.

“La vuoi smettere di muoverti? Mi stai dando un fastidio cane”. Il rimprovero suona troppo vicino al suo orecchio e, per un attimo, smette di divincolarsi. Non è sicuro che servirà a qualcosa, ma giusto per non lasciare niente di intentato, prova a chiedere un poco convinto “Aiuto!”.

***

L’armadio ha chiesto aiuto? Si alza lentamente dal pavimento, le dita di nuovo scattate verso l’impugnatura dell’arma. Fissa il mobile incassato nella parete. “Rozek?” azzarda con un filo di voce.

“Figlio di puttana a chi?” la voce si è fatta più forte. “Aiuto, ho detto!”

“Smettila di urlarmi nell’orecchio, idiota!”

“Ma non sto urlando!”

Sembra che qualcosa, che qualcuno si stia muovendo contro le ante nel tentativo di aprirle. 

“C’è qualcuno là dentro?” Chiede titubante, avvicinandosi. Di missioni ne ha svolte tante, ma che un informatore la aspettasse rinchiuso in un armadio non le era mai capitato.

“Muoviti, ti prego, tiraci fuori di qui.”

Solleva il gancio che era stato messo a sicura e subito si sposta di lato per evitare che qualsiasi cosa si trovi lì dentro le cada addosso. 

Improvvisamente privi di un sostegno che li sorregga ammassati l’uno sull’altro, i due ragazzi rotolano sul pavimento. Si portano le mani a stropicciarsi gli occhi, la luce sembra accecante, i contorni sono ancora indefiniti, sentono la testa pulsare. Ronden si tasta il busto, si tasta le gambe, controlla che ogni cosa sia al suo posto. Non sembra che manchi niente. In una tasca, le sue dita incontrano il sacchettino con le foglie dell’infuso lasciatogli da Rozek.

“Dov’è quel figlio di puttana?” urla saltando in piedi, realizzando tutto d’un tratto ciò che è successo e guardandosi intorno freneticamente. “E tu chi sei?”

Di fronte a lui, una stangona in abito scarlatto. Non si tratta di una veste volgare, ma comunque piuttosto attillata, che dà l’idea di una persona molto sicura di sé e molto a suo agio nel proprio corpo. Al di sopra, un mantello di lana, fermato sul davanti da una spilla di ferro recante un simbolo religioso. I lunghi capelli corvini, acconciati in una treccia che le ricade su una spalla, sono intrecciati con dei sottili fili colorati. Gli occhi, di un viola intenso, fissano prima lui, poi il fratello, ancora intontito sul pavimento.

“Chi sei?” chiede di nuovo, infondendo nella voce un tono più sicuro, e nel farlo mette mano a un coltello. Eléison china il capo da un lato, studiando questi due ragazzi quasi completamente identici, con lo stesso taglio di capelli e gli stessi occhi verdi. L’unica, leggerissima, differenza che potrebbe notare è una piccola voglia sul sopracciglio destro del giovane di fronte a lei. È incuriosita dalla goffaggine con cui sembra volerla minacciare con quell’arma.

“Quanti anni avete?” chiede con un sorriso.

“Diciotto” rispondono all’unisono e si scambiano un’occhiata. Ormai è quasi l’alba, le prime luci del sole fanno capolino dalla finestra. Ronden torna a guardarsi intorno, perplesso e ancora un po’ intontito da quanto accaduto quella notte. “C’era Maestro Rozek per caso, lo hai visto passare?”

Quel nome riporta subito Eléison alla sua missione, al vero motivo per cui si trova lì. Per quanto ben lieta di salvare bambini umani finiti chissà come rinchiusi dentro un armadio, non è quella la ragione della sua visita. E l’assenza dell’uomo con cui avrebbe dovuto incontrarsi, unita al disordine generale di quella stanza, alla comparsa inaspettata di quei due ragazzi... il presentimento che qualcosa non sia andato per il verso giusto, che qualcuno, forse, sia arrivato prima di lei, si fa strada tra i suoi pensieri. 

“Voi lo conoscete?” lo chiede con urgenza, forse non tutto è perduto.

“è il nostro…” Inizia Rukeil, rimasto qualche passo più indietro rispetto al fratello.

“è il suo” si intromette Ronden bofonchiando. 

“...maestro.” Conclude l’altro, senza scomporsi. “Ci ha cresciuti lui.”

“Molto bene, ragazzi. Io avrei bisogno di disquisire col vostro Maestro. Faccende da adulti, capite”

“Siamo adulti, non siamo bambini.” La voce stizzita di Ronden sale di tono nell’affermare quelle parole, che però non sortiscono l’effetto sperato, suscitando nell’altra una risata soffocata.

“Come se tu potessi avere tanti più anni di noi” 

Solo in quel momento, nello sbuffare quel commento, il ragazzo sembra rendersi conto delle orecchie a punta della donna, che pure non si sforza di nascondere, come molti altri membri della sua razza, ma che anzi sono messe ancora più in evidenza da quella acconciatura, sono ostentate con orgoglio. 

Eléison inizia a fare un veloce calcolo mentale considerando l’età umana e tra sè e sè mormora con un sorriso “Credo in effetti che potrei essere la vostra bis bis bis… bis nonna”.

Ora anche Rukeil la sta osservando incuriosito. Se c’è una cosa che gli salta subito all’occhio è quell’abito che indossa; non è un classico abito da viandante. Gli elfi che a volte hanno visto per le strade della città erano sempre vestiti con abiti molto semplici, ma allo stesso tempo raffinati; con tuniche comode e larghe. Non certo con vestiti così attillati. Di un colore del genere, poi. Sono abituati a vedere gli elfi portare dei colori abbastanza naturali, sulle tonalità del bianco, del verde e del marrone. Sicuramente, pensa tra sé e sé, come lei non ne hanno mai viste.

   
 
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