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Autore: thewindscreamsmary    03/03/2021    0 recensioni
non so come descriverlo, è passato troppo tempo. Solo il vecchio sfogo di un dolce ricordo ormai troppo lontano dalla mia attuale verità.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’improvvisa chiamata di mia madre interrompe il tranquillo pomeriggio passato fin ora a casa di una nostra amica: dice che devo assolutamente tornare a casa data l’imminente allerta rossa che si sarebbe scagliata sulla Superba da lì a poche ore. Io mi rifiuto di andare a casa e la motivazione era celata dietro alla persona protagonista di queste vicende. La motivazione di questo mio atto di ribellione è la ragazza dai capelli viola con la quale condivido alcune amicizie della classe e con la quale ho passato il pomeriggio insieme ad altre nostre amiche e compagne.

Quando finalmente mi convinco a fare rimpatriata a casa mia, lei dice che sarebbe venuta con me, dato che avremmo dovuto fare un gran pezzo di strada assieme. Scendiamo senza ombrello nonostante il diluvio: già per le scale ero emozionata all’idea di passare un po’ di tempo io e lei da sole, per lo più sotto la pioggia, e mi compare un improvviso sorriso che non sono più riuscita a togliere. Uscendo dal palazzo ci rendiamo conto che, in effetti, avremmo fatto meglio a chiedere in prestito un ombrello ma, svelato che ad entrambe piace la pioggia, ci incamminiamo giù per la discesa. Attraversiamo e passiamo dal sottopassaggio di Castelletto, già quasi inzuppate quando spuntiamo all’inizio del quartiere. Lei crede che la via più veloce per arrivare a piazza Portello sia quella di passare dal cortile della nostra scuola e ci avviamo per quella strada (io ero già in ritardo di parecchio). Mentre scendiamo i ripidi e scivolosi gradini bagnati, lei è costretta ad aggrapparsi al mio zaino per non cadere, lasciandosi libera ed indipendente dalla mia protezione solo giunte a fine scalinata. Siamo oramai fradice, tanto che i miei capelli ricci raccolti in una semplice coda paiono un batuffolo di cotone castano. Lei dice di essere preoccupata perché i suoi capelli (per i quali nutro un amore sconfinato e che erano raccolti in un piccolo muccetto) quando sono bagnati diventano ondulati e decido di prendermi la libertà di sorprenderla da dietro per sfilarle l’elastico che le reggeva i capelli. Lei prova a sfuggire alla mia presa ma fallisce, mentre io riesco a deliberare la sua corta ma morbida e profumata chioma. Rimango incantata a guardarla per dei brevi secondi, dove mi assale una sensazione di pace interiore ed euforia amplificata dall’incessante pioggia che continuava ad accompagnarci e allo sfondo cupo e oscuro dell’ambiente che mostrano il viso dela giovane, intenta a scagliarsi su di me per ciò che avevo appena fatto, leggermente oscurato dall’ombra. Mentre io provo a convincerla del fatto che ha dei bellissimi capelli, arriviamo a ciò che sarebbe dovuta essere la nostra via d’uscita, rendendoci però conto che era chiusa. Io inizio a preoccuparmi e ad imprecare contro di lei perché sarei arrivata ulteriormente in ritardo e lei si difende al suo modo innocente e simpatico dicendosi che non se lo ricordava. Facendoci strada verso altri gradini la chiama suo fratello chiedendole dove fosse, lei gli dice che sta ritornando e che è con una sua compagna di classe. Io faccio una faccia offesa ed inizio a stuzzicarla, dicendole di essermi offesa per avermi definita solo come una compagna di classe e lei inizia a scherzare dicendo che mi vuole bene e abbracciandomi a quel suo modo tenero, facendomi sentire davvero a casa come ogni volta che lo fa, aggiungendo il suo sorriso sincero, alienandomi per qualche secondo da ciò che è reale e da ciò che sto vivendo.

Un discorso tira l’altro e, arrivate in una discesa che avrebbe dovuto farci comparire all’inizio di Salita delle Battistine, mi ritrovo a doverle confessare che ciò che provavo per lei era più di un’amicizia e che era così dal primo giorno di scuola, da prima che ci parlassimo a Novembre e che quindi era così da 6 mesi. Il mio battito cardiaco acellera di colpo, il ritmo incalzante delle gocce di pioggia era di colpo aumentato e si percepiva tutto molto più fitto e intenso, una stretta al cuore mi viene guardando il suo guardo pensieroso, rigato dalle gocce di pioggia e adornato dai morbidi capelli che le scendevano, ma, al contempo, impassibile. Decido di sviare dunque la conversazione e, appena terminato l’argomento, la pioggia torna a precipitare con il medesimo ritmo che aveva avuto fino a quel momento. Siamo a Salita delle Battistine ed entrambe ci lamentiamo per i vestiti fradici e per l’acqua che, per lei, era ormai una compponetne del corpo. C’è più luce e la vedo meglio nel suo particolare andamento, tutto amplificato da ciò che è il suo stile: ha dei larghi jeans blu chiaro, una felpa colorata di arancione e blu e delle scarpe da tennis viola, insomma, l’abbinamento dei colori era una dote che quasi mai l’aveva caratterizzata. Scendiamo cautamente per quella salita che quotidianamente è ripida e pericolosa e che, ora come ora, lo è ancor di più per via della pioggia. Alzo il viso per ammirare, come al mio solito, quell’enorme guardiano blu che ci osserva dall’altro e che ammira tutte le sofferenze e le gioie terrene, facendo tesoro di quel momento e pregando a me stessa di non dimenticare nulla di ciò che era successo in una serata così speciale (e dico speciale solo perché l’avevo trascorsa in sua compagnia). Persa nel mio fantasticare dentro al cielo, mi rendo conto di non averla più accanto e mi blocco per guardare indietro. La vedo che ride guardandomi e ironizzando sul fatto che, giusto momenti prima, avevo detto di guardare in basso camminando. Rido e lei si avvicina al citofono dorato di un condominio stante sulla salita: indugia un po’ sul luminoso pannello e preme velocemente un campanello fiondandosi nel punto in cui mi trovavo prima di raggiungerla. Io la guardo persa nel suo essere lei, guardo il citofono, appoggio la mano sul capo del pannello e strascico con tutto l’impegno che avrei potuto metterci su tutti i campanelli, raggiungendola di corsa. Arriviamo a piazza Portello fantasticando su come i membri del condominio possano aver cominciato a parlare, riuniti tutti in quell’improvvisa e futile chiamata che avevo fatto e, arrivate al semaforo, ci tocca salutarci. Io devo andare verso la fermata del 18 mentre lei deve dirigersi verso le grandi e piccole vie del centro storico: inizialmente mi saluta con un semplice ciao con uno sguardo di sfida, sapendo che un saluto così freddo mi avrebbe abbastanza turbata e si riavvicina al punto in cui mi ero piantata a guardarla abbracciandomi e dicendo: ‘’Dai, ti faccio contenta’’, io le rispondo all’orecchio, con tono di chi la sa lunga: ‘’Certo, come se non facesse contenta anche te’’ (termino la frase staccandomi e allontanandomi mentre lei fa lo stesso), lei mi guarda e, incamminandosi, sorride e mi dice di si.

Arrivo alla fermata dell’autobus con una sensazione di pace totale in corpo, come se avessi appena sorseggiato 15 camomille tutte di seguito e, presa dall’emozione e dall’essermi sentita così bene per così poco, comincio a lacrimare: erano lacrime di gioia, cosa che mai e poi mai mi era capitata, accompagnate da un senso di vuoto, come se metà di me se ne fosse andata con lei ed io fossi rimasta incompleta. E così, bella zuppa, salgo sull’autobus e affondo tra le mie canzoni preferite e tra i continui riecheggi della serata appena trascorsa.

 

Mai più ho passato un momento in solitario con lei, se non quando ci siamo viste la prima volta in biblioteca per svolgere quella che sarebbe stata la nostra presentazione di geografia sull’Olanda. Quel giorno è stato, decisamente, il meno produttivo dei tre nei quali ci siamo viste per svolgere la ricerca, sia perché eravamo sole sia perché il nostro rapporto, in quelle ultime settimane, non era ancora deteriorato.

Ricordo un momento particolare di quella giornata, un momento che per sempre mi trascinerò dietro e che era un misto fra smarrimento, che io preferisco chiamare ‘’alienazione’’, gioia, incanto e pace. Io e lei ci eravamo recate dai tavolini per bambini, così da poter parlare senza disturbare altre persone e, in quel momento che ricordo cosi nitidamente, lei si era alzata per frugare tra gli scaffali dei libri per bambini mentre io ero rimasta seduta aspettando facesse una delle sue solite stupidate, ma, invece di assecondarla in ciò che diceva, sono rimasta incantata di fronte a ciò che per me appariva così bello e così impossibile, da far compiere ai miei occhi l’automatica azione di ‘’scannerizzarla’’ dalla testa ai piedi, chiedendomi come faccia una persona ad essere così infinitamente bella e armoniosa in tutto il suo complesso: aveva le sue solite scarpe da ginnastica viola, dei calzini che ancora ora mi domando cosa ci fosse raffigurato, delle pallide ma morbide gambe che erano ad un certo punto interrotte dai pantaloncini stile militare abbindolati con una catenella da essi pendente e, infine, aveva indosso una felpona nera raffigurante un fungo. I miei occhi si concentrarono particolarmente sul suo viso, sul suo naso, sui suoi capelli, su quelle labbra e su quei vivaci occhi che ancora ora ricordo con forte nostalgia. Questo, accompagnato dal fatto che mi sembrava di star letteralmente vivendo un sogno, mi ha portato ad uno stato di alienazione mentale che ha iniziato a farmi dubitare del mio essere viva, del mio essere cosciente, del fatto che stessi realmente vivendo quel momento, uno stato che mi ha completamente sconnesso dalla vita reale, come già era successo in precedenza, ma più forte, convincendo le mie forze ad abbandonarmi sola al mio stato quasi incosciente. Solo quando lei si è riseduta con in mano un libro illustrato in spagnolo sulla sirenetta, riesco a recuperarmi e a tornare a ciò che era il mondo reale composto da azioni, parole e fatti e non da sguardi, pensieri e dubbi.

   
 
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