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Autore: FarAway_L    04/03/2021    1 recensioni
«Parti», era un grido misto a paura, «Metti in moto o per noi sarà la fine».
Era la mano di Nathan quella che stava scuotendo nervosamente la spalla di Camylla, la quale sembrava essere entrata in un limbo di emozioni pericolose e contrastanti. Quella più dominante però, era il panico. E per quanto si sforzasse di voler girare la chiave per far partire quella benedetta auto, non riusciva a muoversi. Neanche ad emettere nessun suono. Solo, fissava la strada difronte a sé attraverso occhi persi. Arrendevoli.
Le sirene della polizia cominciavano a farsi vicine e ben udibili.
Troppo vicine. Troppo udibili.
A ritmo scandito.
Stavano arrivando.
MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo VI.
5.921 parole

 
Ma a te sembra facile dirti che sto bene 
quando tutto non va ed è brutto stare insieme
perchè scordo che era e il ricordo mi  fa male
del rapporto che c'era, prima di questa canzone, io e te
Cosa siamo diventati io e te?
Sono quello che odiavi di me

 
Camylla chiuse con discrezione la porta, spingendo lievemente con il fianco per far sì che entrambi i bordi combaciassero alla perfezione, pregando silenziosamente di riuscire a fare meno rumore possibile e lasciando con delicatezza che la maniglia tornasse nella sua posizione originale.
Il rumore metallico dello scatto della serratura fece stringere istintivamente gli occhi a Camylla che bloccò per una breve frazione di secondo la mano sinistra a mezz'aria: aveva smesso persino di respirare, per concentrarsi su altri possibili terzi rumori non provenienti da sue azioni.
Era circondata da luce tenue pomeridiana che timidamente cercava di farsi spazio tra le tende bianche appese per l'intera lunghezza della finestra sita alle spalle di Camylla; il silenzio calmo ed apparente  stava scaturendo in realtà agitazione mista ad eccitazione, nervosismo misto ad adrenalina. 
Si voltò lentamente, nonostante si fosse assicurata essere la sola persona all'interno della stanza e si perse ad ammirare la perfezione di ciò che le si stava presentando dinnanzi ai suoi occhi: gli scaffali avevano il compito di sorreggere scatole di color paglierino, dove sulla facciata principale vi era scritta a penna nera una grossa lettera; erano posizionate in ordine alfabetico per facilitarne la ricerca. Due piccoli tavoli quadrati di vetro si trovavano ai lati della finestra: su di uno di essi era posta una fotocopiatrice, sull'altro un semplice porta-penne. 
Era un ambiente pulito, profumato e ordinato: il lavoro puntiglioso e maniacale di Eryn rispecchiava in ogni centimetro. Quella era la stanza degli archivi, del catasto e dell'abbandono, eppure Camylla dovette ammettere essere più accogliente di casa sua.
Con una fugace occhiata, Camylla visualizzò lo scatolone con la lettera “M” - il motivo per la quale si trovava in quel posto in quell'esatto momento anzichè essere posizionata davanti alla scrivania cercando di completare il lavoro che Lucas le aveva ordinato di compiere.
Si avvicinò a passi svelti, sistemandosi nervosamente al meglio gli occhiali: non avrebbe dovuto trovarsi lì; quella stanza non era accessibile ai praticanti, a maggior ragione senza permesso di uno dei due capi. Camylla si ritrovò a sbuffare mentre con la mano destra stava afferrando la maniglia del rettangolo: tremava ma si sentiva viva; aveva paura ma voleva osare. 
Si guardò nuovamente intorno, passando a rassegna gli scaffali che la circondavano, accertandosi per l'ennesima volta di essere realmente la sola all'interno della stanza. Un piccolo rumore stava significare che Camylla aveva appena posizionato la pesante scatola sul tavolino in vetro.
Con gli occhi vigili e attenti, stava osservando tutti i cognomi scritti in corsivo presenti sui fascicoli che con le dita stava scorrendo velocemente.  «Marshall, Martin, Miller..», Camylla stava quasi bisbigliando ma era certa essere quasi arrivata all'obiettivo finale,  «Mills!», afferrò con entusiasmo la cartella oggetto della sua ricerca: si morse il labbro inferiore con ferocia, consumata dalla curiosità di poterla aprire all'istante. Optò per dirigersi alla fotocopiatrice situata difronte per poter duplicarne il contenuto e rimettere l'originale al proprio posto. 
Si mosse in fretta, giocherellando nervosamente con la gamba destra: con le dita tamburellava sulla lastra fredda mentre i suoi occhi fissavano minacciosi i numeri sul display azzurro che si modificavano troppo lentamente. 
La vibrazione all'interno della tasca dei jeans fece sobbalzare Camylla: lo estrasse con fatica, impacciata nei movimenti veloci e sconnessi. 
«Pronto?! Thomas», Camylla stava sussurrando mentre il suo sguardo non riusciva a staccarsi dalla fotocopiatrice.
«Cam?! Ci sei? Che combini?», la voce squillante di Thomas fece imprecare silenziosamente Camylla che distaccò leggermente il proprio telefonino dall'orecchio.
«Te lo spiego più tardi», stava parlando caoticamente, «Dimmi».
«Cam?! Ti sento male», Thomas alzò ulteriormente il tono della voce che fece nascere uno sbuffo sonoro dalle labbra di Camylla.
«Non posso parlare», decise di portarsi una mano alla bocca per racchiudere il suono e distaccarlo dalla fotocopiatrice ancora in funzione.
«Perchè? Che stai facendo?», le domande inopportune di Thomas fecero scuotere la testa a Camylla.
«Perchè ti ho risposto?!», Camylla pose quel quesito a voce alta più a sè stessa che alla persona posta all'altro lato della cornetta. I suoi occhi avevano ripreso a vigilare per l'intero perimetro della stanza: troppo rumore era andato creandosi in pochissimo tempo e questo rendeva Camylla ulteriormente più nervosa.
«Ti chiamo dopo», riagganciò senza neanche aver dato a Thomas la possibilità di reclamare o chiedere spiegazioni: gli avrebbe mandato un breve messaggio non appena fosse uscita da quella scomoda situazione e fosse tornata alla scrivania.
«Forza..», Camylla spintonò leggermente la fotocopiatrice, come se quel semplice gesto avesse avuto il potere di accelerare il lavoro e si trovò a domandarsi per quale reale motivo avvesse accettato di compiere tale azione suggerita da Nathan: era semplicemente stato convincente, deciso e diretto con le sue parole; affascinante e minaccioso allo stesso tempo. Camylla non era stata in grado di replicare, abindolata dalla tranquillità trasmessa da Nathan.
Una volta terminata quell'attesa snervante, Camylla riposizionò il fascicolo rigorosamente chiuso all'interno dello scatolone, riportandolo al proprio posto sullo scaffale. Afferrò le centinaia di pagine fotocopiate, cercando di appiattirle e far aderire al meglio i fogli tra loro. Cercò di nasconderle all'interno del maglioncino, con il braccio sinistro ben saldo davanti allo stomaco: si osservò rapidamente, scuotendo amaramente la testa. Non sarebbe riuscita ad ingannare nessuno, sarebbe dovuta solamente essere rapida e svelta nel raggiungere la propria posizione, cercando di attirare il meno possibile l'attenzione.
Si sentiva agitata, in fermento, preoccupata, eccitata, nervosa, viva
Camminava a passi spediti, con occhi vigili cercando di captare qualche sguardo interrogativo rivolto nella propria direzione; cercando di intercettare qualsiasi tipo di domanda silenziosa che qualche tirocinante avrebbe potuto porli. Camminava frettolosamente, pregando mentalmente affinchè i fogli potessero reggere la pressione e resistere nel cadere precipitosamente a terra; cercava di schivare chiunque le passasse troppo vicino alla spalla.
«Scusa, sei tu Evans?», una voce leggera e indecisa le arrivò da dietro, smorzandole il respiro e bloccandole il  battito cardiaco. Si voltò lentamente cercando di indossare un sorriso spontaneo.
«Sì», il tono di voce le uscì quasi come un sussurro mentre tentava di stringere ulteriormente a sè le numerose copie ancora calde.
«Il capo ti sta cercando», la ragazza dai capelli ondulati neri sorrise, mostrando dei denti ricoperti da un sottile strato di ferro. Si portò alla bocca una tazzina fumante, probabilmente contente del caffè, e cominciò a muovere dei passi in direzione opposta.
«Grazie», Camylla rispose debolmente, ritrovandosi a chiedere se fosse stato un ringraziamento udibile. Socchiuse gli occhi, propensa a raggiungere il prima possibile la propria scrivania e deporre in un angolo remoto del terzo cassetto il fascicolo.
Quando si ritrovò a dover nascondere i fogli, i suoi movimenti era ben selettivi e agili: frettolosi ma attenti, nervosi ma scrupolosi. Girò la chiavina per far scattare la sicura in modo che nessun altro avrebbe potuto aprire il cassetto, e vi tirò un sonoro sospiro di sollievo.
«Evans, dov'eri finita?!», la voce di Lucas, troppo vicina e troppo decisa, la fecero sobbalzare. Alzò lo sguardo, osservando il proprio capo guardarla sporto oltre il bordo della scrivania.
«In bagno», provò a giustificarsi cercando di far perno sulle gambe per tornare in posizione eretta. La piccola chiave di sicurezza a rigirarsi tra le mani. «Sarei venuta nel suo ufficio adesso».
Lucas scosse la stessa, «Preparati, dobbiamo andare da un cliente», con l'indice sinistro stava gesticolando nella direzione di Camylla.
«Ok..», Camylla si mosse impercettibilmente sul posto, sistemando il proprio maglioncino con la mano, «Da chi?», domandò curiosa e del tutto sorpresa da tale richiesta.
«Mills», risposta secca e decisa che non lasciava intendere nessun tipo di replica, «Ti aspetto all'entrata tra cinque minuti», picchiettò rumorosamente sull'orologio che avvolgeva saldamente il polso prima di voltarle le spalle e iniziare a camminare.
Camylla si ritrovò ad abbassare la testa, chiudendo gli occhi: con le mani ben salde posizionate sulla scrivania, si lasciò cadere sulla sedia. I pensieri vivi le stavano cominciando a vibrare, provocando scosse fastidiose all'interno del corpo; il peso e l'adrenalina dell'atto appena compiuto stavano lasciando spazio all'ingenuità e consapevolezza di aver appena azzardato rischiando più di quanto avrebbe dovuto; il tremolìo alla gamba celava nervosismo e ansia, non gestibili nella maniera opportuna. 
Afferrò con foga la piccola bottiglietta colma d'acqua posizionata vicino al computer ancora chiuso e spento: con difficoltà riuscì a svitare il tappino; le mani erano energiche ma titubanti, forti ma allo stesso tempo deboli. Cercò di rinfrescarsi sperando di far annegare qualche pensiero scomodo, qualche situazione divenuta poco gestibile e fastidiosa. 
Sospirò rumorosamente quando si accorse che la figura decisa e composta di Nathan stava camminando a passi svelti nella propria direzione: si perse ad osservarlo nel suo andamento forte, nei suoi tratti ben delineati e precisi, nel suo sguardo fermo e penetrante, nella sua voce talmente dura da risultare dolce, forse affascinante.
«Allora?», si era avvicinato sussurrando una domanda apparentemente ingenua. La mano destra a stringere una valigetta nera ben chiusa.
«Fatto», Camylla si alzò, sistemandosi frettolosamente il maglioncino leggermente piegazzato. Con un lieve cenno del capo, e sguardo furtivo ai cassetti sotto alla scrivania, fece intendere a Nathan dove avesse nascosto i fascicoli richiesti. «Adesso devo andare», sollevò da terra la sua borsa prima di lasciare furtivamente la piccola chiave di sicurezza vicino alla mano di Nathan appoggiata sulla lastra.
«Grazie», Nathan si guardò attorno prima di afferrare la chiavetta e nasconderla nella tasca dei jeans. «Ci sentiamo più tardi», le sorrise sincero, strizzandole l'occhio sinistro. Le voltò le spalle, lasciandole la visuale della sua schiena perfettamente fasciata da quegli abiti che calzavano in maniera maniacale.
Camylla lo osservò, chiedendosi per l'ennesima volta quale fosse il reale motivo che l'aveva appena spinta a commettere un'azione che - se fosse stata scoperta - le sarebbe costato il tirocinio. Lo osservò, chiedendosi se quel ragazzo non avesse su di lei una forza malsana, incomprensibile forse. Lo osservò, chiedendosi se quel suo essere di presenza, se quel suo essere persuasivo non l'avrebbe messa in pericolo.
Lo osservò con la bocca asciutta, la gola secca, le mani tremanti. E la voglia inspiegabile di ascoltare ancora una volta la sua voce.

La macchina sfrecciava ad una velocità elevata rispetto ai limiti consentiti, provocando rumori di clacson insistenti e moltecipli imprecazioni che fortunatamente non avrebbero potuto sentire. Camylla era composta, con lo sguardo fisso ad osservare incessantemente il poggiatesta davanti a sè, immagazzinadone ogni minimo dettaglio; la mano sinistra sulla maniglia della portiera, con la presa rapida in caso di frenata brusca all'ultimo attimo di secondo.
«Dovremmo essere quasi arrivati», Lucas, seduto alla destra di Camylla, stava riponendo il telefonino all'interno  della borsetta di pelle marrone lucida. Le gambe accavallate, lo sguardo sereno e  la tranquillità nel  portamento, emanavano uno stato di calma apparente.
Camylla annuì con la testa, pregando silenziosamente affinchè il proprio capo avesse pienamente ragione: quella guida spericolata stava rischiando di mettere a dura prova la resistenza del suo stomaco.
«Ci tenevo a chiarire una cosa», Lucas si mosse impercettibilmente, parlando con voce sottile, «Il rapporto personale che hai con Davis non dovrà in nessun modo interferire con la causa». 
Camylla si voltò di scatto, osservando Lucas con sguardo interrogativo, corrugando la fronte. «Non..», dovette schiarirsi la voce, tossendo lievemente, «Non capisco». Si limitò ad ammettere sinceramente la verità, non riuscendo effettivamente a capire il senso di quella frase.
«Il signor Mills non è tuo suocero?», Lucas si stava sistemando il nodo della cravatta, alluggando il collo verso l'alto per facilitarsi il compito. La macchina sembrava star rallentando, soffermandosi vicino ad un marciapiede poco affollato.
«Cosa?!», a Camylla venne da sorridere, allentando la presa sulla maniglia della portiera, «Assolutamente no! Neanche lo conosco».
Lucas si fermò istintivamente ad osservarla con sguardo deciso e fermo. Il silenzio calato intorno a loro fece allertare Camylla che cominciò a sentirsi a disagio e fuori posto. Deglutì a fatica, rilassando le curve della labbra e stringendo il laccetto della borsa tra le dita della mano.
«Qualsiasi cosa mi state nascondendo tu e Nathan, sappi che lo verrò a sapere», stavolta  le puntò il dito indice nella propria direzione, con fare minaccioso. «E adesso andiamo, il cliente ci aspetta», lo sportello dell'auto si aprì all'istante mostrando Alan - l'autista - fermo di fianco ad aspettare che il proprio capo abbandonasse la posizione. 
Camylla era confusa, più del dovuto. E per quanto avesse voluto cercare di capire cosa intedesse dire Lucas con quelle affermazioni, cercò di accantonare ogni pensiero pesante che premeva di poter esplodere all'esterno. Cercò di liberare la mente per potersi concentrare su ciò che sarebbe accaduto all'interno dell'abitazione dei Mills. Cercò di calmarsi per evitare di sembrare fuori posto e inadeguata. Più di quanto già non si sentisse.

Messaggio inviato: ore 06.49 pm
A: Nathan Mills
Perchè non rispondi??! Ho bisogno di parlarti

Camylla stava cercando di inserire la chiave all'interno della serratura ma il tremore alla mano le concedeva tale azione più complicata del previsto. La luce tenue del lampione posto sulla strada non facilitava Camylla: le spalle della ragazza riuscivano a coprire gran parte della luce, mettendo in pieno buio quella piccola toppa di ferro.
Stava per accendere la torcia del proprio telefonino quando quest'ultimo le cominciò a vibrare in mano, facendola sussultare. Osservò il nome sullo schermo, sperando che potesse cambiare: aveva necessità di parlare con Nathan, pretendeva di avere delle risposte esaustive.
«Hey, ciao», Camylla cercò di assumere un tono di voce sereno e alquanto felice mentre stava ancora perdendo la lotta personale con il portone di casa.
«Ciao Little C, che fai?», anche Thomas sembrava indaffarato: Camylla poteva sentire dei rumori non definiti fare da sottofondo.
«Sto cercando di entrare in casa», la voce rotta dai movimenti, «Tu che cosa stai facendo, piuttosto?», Camylla sorrise, alzando in aria la mano destra: dopo numerosi tentativi falliti, finalmente era riuscita nel suo intento. Soddisfatta nel gesto compiuto, si richiuse velocemente il portone alle spalle.
«Non ci crederai mai! Mamma ha comprato un robot da cucina», la voce di Thomas era elettrizzata: Camylla se lo poteva immaginare, lì difronte all'oggetto in questione ad ammirarlo come fosse un trofeo, mostrando un sorriso ingenuo e sincero. «Sto facendo un dolce».
«E come sta venendo?», Camylla si tolse le scarpe e con i piedi avvolti da dei calzini colorati, si diresse verso il divano di sala.
«Sembra delizioso! Sono uno chef ormai», lo sentì mettere in bocca qualcosa mentre il rumore del robot non sembrava dar tregua.
«Non vorrei deluderti ma un vero chef si sporca  le mani», Camylla si ritrovò a sorridere nonostante la stanchezza. Si portò una mano sulla fronte, spostando alcuni capelli che le stavano cadendo davanti agli occhi.
«Credi che per aprire la farina, non mi sia sporcato?!», la voce di Thomas era allegra, leggera.
«Su questo non ho dubbi, chef», afferrò il telecomando posizionato sul tavolino in vetro davanti al divano.
«Domani te ne farò assaggiare un pezzo», sentì Thomas percorrere di passi allontandosi così dal sottofondo chiassoso, «A proposito, stamani che stavi combinando?!».
Camylla scosse la testa mentre delle immagini ancora nitide di quella mattina si riproducevano senza sosta. «Delle fotocopie», dopotutto un fondo di verità l'aveva detta. Avrebbe voluto parlarne con Thomas ma in quel momento le sue palpebre stavano rischiando di chiudersi per la pesantezza, la sua schiena stava sopportando il peso di verità scomode, la sua testa conteneva informazioni sconnesse che pulpitavano di esser gridate. Semplicemente, aveva voglia di chiarezza, non di ulteriori domande a cui non avrebbe saputo rispondere.
«Gabriel ti ha dato nuovamente quell'incarico?», Camylla non seppe riconoscere se quella domanda fu detatta da una battuta spontanea o se Thomas lo stesse chiedendo seriamente. Sorrise però, appendendo qualsiasi speranza.
«Lucas, si chiama Lucas. Non Gabriel!», Camylla cercò di scandire bene il nome del proprio capo. E cercò di non rispondere alla domanda scomoda posta incosapevolmente dall'amico.
«Sarà, ma secondo me ha più la faccia da Gabriel», si ritrovò a tirare un leggero sospiro di sollievo notando l'argomento scivolare pian piano verso altro.
«Piuttosto, hai intenzione di tornare a frequantare le lezioni?», ne approfittò per ricambiare a Thomas una domanda dalla digeribilità incerta. La tv mostrava le scene di una rapina finita male avvenuta in un supermercato.
 «Se non dovesse andare la carriera da chef, tornerò all'università», lo percepì sorridere ma Camylla sapeva che prima o poi avrebbero dovuto seriamente approfondire anche quell'argomento.
«Allora ti conviene cominciare a studi..-», mentre stava cambiando canale, il suono del campanello la fece bloccare a mezz'aria. «Scusa Little T, hanno suonato», parlò lentamente, domandandosi chi potesse essere a quell'ora della sera senza preavviso. Spense la tv mentre sentiva Thomas pronunciare qualche frase che recepì in maniera sconnessa.
«Sì, ok», cercò di tagliare corto Camylla, camminando incerta verso il portone di casa, «Ciao», riattaccò la cornetta e appoggiò il telefonino sul piccolo mobile posto vicino all'ingresso prima di chiedere chi ci fosse all'esterno della casa.
«Sono Alyssa, insieme a Theo e Nathan», voce squillante e del tutto inaspettata sorprese Camylla che rimase per qualche secondo ferma immobile sul posto, con la bocca asciutta e una confusione in testa che non le permetteva di poter pronunciare nessuna frase di senso compiuto.
«Apri, per favore», stavolta Camylla potè riconoscere la voce di Theo, che la stava supplicando se non altro di poter entrare e ripararsi di conseguenza dal freddo pungente di quella serata autunnale di Ottobre.
Camylla si mosse lentamente, allungando titubante il braccio verso la porta: cominciò a domandarsi il motivo per il quale i suoi amici si fossero presentati inaspettatamente e senza preavviso dinnanzi la sua abitazione, nonostante un pizzico di consapevolezza la stava punzecchiando fastidiosamente; cercò di riassestare le proprie idee, per poter porre le domande giuste e ricevere altresì risposte esaustive; aveva estremo bisogno di parlare con Alyssa, che non sentiva dalla sera precedente dopo la discussione avvenuta con Khloe; aveva necessità di parlare con Nathan e della situazione riguardante suo padre; aveva il repellente bisogno di farsi capire, di far capire di star arrivando al limite, di pretendere una pausa da tutto e di star fuori dal loro inutile piano.
Aprì il portone, ritrovandosi difronte tre sguardi differenti, uno più penetrante dell'altro. Sembravano essere l'uno più pericoloso dell'altro. E in quell'esatto momento Camylla si rese conto di aver commesso il più grande errore della sua vita: non avrebbe dovuto permettere di far entrare quelle persone all'interno della propria abitazione. In quegli sguardi ci lesse la propria condanna, senza possibilità di fuga.
«Che ci fate qui?», provò a domandare con fare incerto mentre i suoi gesti ne tradivano i pensieri: si spostò leggermente alla propria sinistra per dar modo loro di varcare  la soglia e chiudere fuori il freddo della sera. Consapevole che del freddo ormai, si era già andato ad insidiare tra le mura della casa.
«Dobbiamo definire qualche dettaglio», fu Alyssa a parlare con la sua determinatezza schiacciante. Il sorriso beffardo ad incorniciarle il volto, di quei sorrisi che ingannano, illudono. Feriscono.
«E avete pensato bene di auto-invitarvi?», quel sorriso scaturì in Camylla una reazione istintiva: fu colpita al cuore, che cercò di reagire con voce più dura. Meno insicura di quanto ci si aspettasse.
«Certo, sareste dovuti venire da me così magari avremmo chiesto consiglio a mamma Sophie», Alyssa stava continuando a sorrisere nonostante la pronuncia di quelle parole risultassero provocatorie, «Perchè non ci ho pensato prima?!», concluse quella domanda retorica picchiettandosi una mano sulla fronte mentre con lo sguardo sembrava star cercando supporto in Theo.
«Sei l'unica di noi ad abitare da sola», Nathan parlò delicatamente, socchiudendo leggermente gli occhi.
«Potevate avvertire, magari», Camylla si rilassò istintivamente alle parole di Nathan, cercando conforto in quella persona pericolosa. Incrociò le braccia al petto mentre stava osservando i ragazzi dirigersi in sala.
«Ti sono sempre piaciute le sorprese», Alyssa allargò le braccia indicando i presenti nella stanza. La sua fronte corrugata, la smorfia sulla labbra e il tono allusivo fecero rabbrividere Camylla: stentava a riconoscere la sua amica.
«Si può sapere che problemi hai?», Camylla si mosse in avanti, assottigliando gli occhi: tutta quell'assurda situazione le stava cominciando a dare alla testa.
«Dimmelo tu», mentre Theo e Nathan stavano prendendo posto sul divano, Alyssa se ne stava in piedi, «Che prendi le difese di Khloe!».
«Io non ho preso le difese di nessuno», stavolta toccò a Camylla sorridere nervosamente: non riusciva a credere a ciò che Alyssa le stava dicendo; faceva fatica persino a credere di doversi spiegare. «Vi ho solo consigliato di parlarne a voce, come persone adulte», si passò una mano tra i capelli, sospirando piano.
«Potremmo non parlare di questo?!», Theo prese parola, debolmente. Le sue guance si tinsero lievemente di rosa. Era visibilmente a disagio, considerando il suo coinvolgimento all'interno di quella storia.
«Se tu avessi fatto l'uomo, questa situazione non si sarebbe mai creata!», a Camylla quella frase uscì diretta e senza freni. Si ritrovò a sbarrare gli occhi e ad aprire leggermente la bocca, una volta resasi conto di ciò che aveva pronunciato a voce troppo alta. 
«Che vorresti dire?», Alyssa corrugò la fronte, in attesa di risposta da Camylla.
«Sono sicura che tua abbia capito», improvvisamente a Camylla balenò per una breve frazione di secondo una possibile idea fattibile. Si sistemò al meglio gli occhiali prima di puntare lo sguardo verso quello di Nathan, «Comunque, io ho bisogno di parlare con te. Adesso».
Camylla rilassò le braccia lungo i fianchi mentre aspettava che Nathan abbandonasse la posizione comoda presa sul divano e la seguisse nella stanza accanto, lasciando per qualche minuto Alyssa e Theo da soli. Si ritrovò a pregare frettolosamente affinchè almeno quella situazione imbarazzante potesse essere risolta nel migliore dei modi.
Camylla sentiva dietro di sè i passi decisi di Nathan: era arrivato il momento di provare a far chiarezza riuscendo a prendere qualche informazione sulla causa ancora in corso riguardante suo padre. Doveva approfittare dell'attimo per provare a cercare di capire qualcosa in più che potesse aiutarla a mettere in luce tutto il caos andatosi a creare nel giro di poco tempo.
Socchiuse la porta e notò furtivamente Theo parlare con Alyssa: si ritrovò ad annuire debolemte con la testa, come a volersi convincere di aver preso la giusta decisione, prima di voltarsi in direzione di Nathan.
«Mi piacerebbe sapere perchè Lucas pensa che tuo padre sia mio suocero», dovette gesticolare e ripetersi per ben due volte quella stessa frase lentamente in testa prima di poterla esporre a Nathan: non era sicura di aver centrato i gradi di parentela.
«Non ne ho idea», Nathan sorrise liberamente, sorpreso da tale scoperta, «Davvero pensa questo?!».
«A quanto pare», Camylla scostò la sedia posta davanti al tavolo e si lasciò cadere malamente: era stanca, mentalmete e fisicamente. «Pensa anche che stiamo nascondendo qualcosa», con l'elastico al polso nascosto dai braccialetti, Camylla cercò di legarsi i capelli in uno chignon frettoloso.
«Su questo ha ragione», anche Nathan decise di mettersi seduto sulla sedia, con i gomiti poggiati sulla lastra di vetro del tavolo e i pugni chiusi della mano a sorreggere la testa.
Camylla socchiuse gli occhi, «Ti ho aiutato prendendo quel fasciolo ma non farò altro», stava quasi sussurrando, consapevole di aver commesso una piccola infrazione che inconsapevolmente le aveva donato adrenalina e vitalità.
«Ti ringrazio per averlo fatto ma quello è stato solo il primo passo», stava parlando lentamente ma con decisione. Sicuro e fermo, talmente tanto da far vibrare la spina dorsale. «Com'è andata oggi?».
«E' andata», Camylla si ritrovò in difficoltà nel rispondere. Si limitò a quella semplice e banale affermazione, consapevole di star provocando altre domande.
«Cosa vi siete detti?», Nathan assottigliò gli occhi mentre decise di abbandonare le braccia sul tavolo.
«Sai che non posso dirtelo», scosse la testa, sicura della propria decisione: non avrebbe infranto il segreto professionale, nonostante stesse fremendo dalla voglia di poter gridare tutta la matassa di confusione che premeva di venir enunciata.
«Camylla», la sua voce era lenta, delicata. Pericolosa. «Ho chiesto io a Lucas di poterti far lavorare al caso», lo sguardo fisso, penetrante.
A Camylla crollarono velocemente quelle poche certezze che era riuscita lentamente a crearsi; poteva sentirne i frammenti divulgarsi sparsi, allontandosi sempre di più da una verità lontana; sentiva vacillare una sicurezza debole ed incerta; poteva sentire l'odore di una sconfitta amara che si stava insediando nella pelle, nelle ossa, nelle vene.
Il silenzio assordante era rumore fastidioso per le orecchie di Camylla. Il gelo della stanza la stava facendo rabbrividire.
«Credevo ci fossi arrivata», contrariamente da quanto si sarebbe aspettata, nel tono di voce di Nathan, Camylla ci sentì una nota di dispiacere. Ma nonostante questo, faceva fatica a parlare: aveva così tanto da chiedere da non sapere da dove iniziare.
«Ho davvero bisogno di sapere se esiste una remota possibilità di salvare mio padre», Nathan si alzò dalla sedia cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro per la lughezza della stanza. Si passò una mano tra i capelli, non riuscendo a scompigliarli.
Quelle parole colpirono Camylla più di quanto avrebbero dovuto: osservò Nathan nei gesti, nelle piccole azioni, nei movimenti incerti. Lo ascoltò nelle parole non dette. 
Davis, quello stesso pomeriggio, non si era dichiarato colpevole di omicidio del suo (ex)socio in affari Foster James nonostante tutte le prove sembrassero ammettere il contrario: così facendo avrebbe potuto trarre maggiore profitto e prendere il pieno controllo dell'azienda. Il compito di Lucas e Camylla sarebbe dovuto essere quello di trovare un qualsiasi cavillo vacillante che potesse insinuare un dubbio al giudice presente in aula. 
«Ci..», Camylla provò ad emettere una frase di senso compiuto ma le risultò essere più difficile del previsto. Si schiarì la gola, «Ci dobbiamo lavorare con intensità», perchè purtroppo quello che erano riusciti a trovare non risultava essere abbastanza solido da presentare dinnanzi ad una giuria.
«Il fascicolo di stamani forse potrebbe aiutare», Nathan si fermò al centro esatto tra la credenza e il tavolo da cucina, puntando i suoi occhi verdi profondo in quelli spauriti ed incerti di Camylla. «E' una vecchia causa in cui mio padre fu incastrato».
«Sì ma Lucas..-», Camylla era confusa, spaesata. Non per dover difendere una persona presumibilmente colpevole, perchè nell'esatto momento in cui aveva deciso di voler intraprendere la strada per divenire avvocato si era arresa all'idea che quel lavoro avrebbe preveduto anche quel lato. Si ritrovava appesantita dal dover difendere il padre di una persona a lei conosciuta; si ritrovava compressa in una situazione caotica che di chiaro aveva ancora poco.
«Non aspetto che a Lucas venga in mente, per questo ti ho chiesto di prenderlo», Nathan stava parlando con foga, velocemente. «Lo studierò io e ti passerò le informazioni».
«Non potresti, c'è il legame parentale-sentimentale», Camylla era timorosa nel contraddire Nathan: stava parlando debolmente, con la testa bassa e le mani a giocare tra loro.
«Non m'interessa!», Nathan battè il pugno sul tavolo, facendo sobbalzare Camylla per lo spavento: lo osservò in quegli occhi freddi, sicuri; lo ascoltò con quella voce forte, decisa. Alta.
«Hey, tutto bene lì?», la voce di Theo arrivò chiara e preoccupata.
«Sì, tra poco vi raggiungiamo», Nathan parlò senza interrompere il contatto visivo creatosi con Camylla.
Di nuovo quel silenzio incessante talmente rumoroso da far girare la testa. Di nuovo quel gelo che si attacca alle ossa, regalando brividi continui di freddo. Di nuovo quella sensazione di disagio, di ansia. Di nuovo quel sentirsi inutile. Una pedina di un gioco assurdo; un burattino senza voce, senza mani, senza gambe. Senza possibilità di replica. Di scelta.
«Perchè vuoi rapinare una banca?», a Camylla uscì senza freni una domanda che tra tutte aveva cominciato a chiedere di venir espressa. Si mosse impercettibilmente sulla sedia, continuando a guardarlo negli occhi.
«In caso mio padre andasse in prigione, la cauzione su rilascio sarebbe altissima», incrociò le braccia al petto mentre con il fianco sinistro si appoggiò al bordo del tavolo.
«Faremo in modo che non ci finisca», deglutì a fatica cercando di pesare attentamente le parole da dire. Non avrebbe sopportato un'altra reazione improvvisa da parte di Nathan.
«E se così non fosse?», domandò lentamente Nathan.
«Lucas è uno dei migliori in città», una risposta debole ma veritiera. Un sussurro che celava preoccupazione.
«E' vero ma non ho la sicurezza matematica che vincerà», Nathan si grattò la guancia mentre scuoteva la testa come a voler rafforzare la sua opinione al riguardo.
«Hai idea che se dovessero beccarti, finiresti pure te in prigione, sì?», Camylla riuscì a raschiare una piccola parte rimanente di sicurezza. Con il piede fece perno sul pavimento per permettere alla sedia di spostarsi ed avere la possibilità di posizionarsi eretta.
«Dovessero beccarci», la corresse Nathan, indicando con il dito indice entrambi i presenti nella stanza, «Ma comunque questo non succederà», con fare ovvio aprì entrambe le mani davanti al petto, sorridendo debolmente.
«Secondo il tuo ragionamento però, neanche su questo hai la sicurezza matematica», Camylla si mosse impercettibilmente sul posto, riposizionandosi - per l'ennesima volta - al meglio gli occhiali.
«Vero ma mi fido di chi ho al mio fianco», Nathan accorciò le distanze, arrivando vicino al viso di Camylla: si stavano osservando intensamente; stavano cercando di scavarsi dentro per cercare risposte silenziose che ancora non erano riusciti a dirsi a parole.
«Non ti fidi di Lucas?», a Camylla stava mancando il respiro e la sua bocca risultava essere più secca del previsto. Si ritrovò a maledirsi per quella reazione ingenua e banale. Quasi infantile.
«Pochi avvocati prendono davvero a cuore una causa ed il cliente», stava parlando piano, continuando a penetrare con le iridi verdi in quelli castani di Camylla. «Alla maggior parte interessa il guadagno».
«Sì ma se vinci una causa, il guadagno è maggiore e la fama aumenta», Camylla fu costretta a distogliere lo sguardo per osservare il contenitore di latta rosso che all'interno racchiudeva la rimanenza di un pacchetto di biscotti.
«Ok, allora diciamo che amo il brivido», Nathan allungò la mano destra per sorreggere il mento di Camylla e soffiarle delicatamente quella cruda verità.
Camylla era preda completa del tocco di Nathan: deglutì a fatica mentre sentiva la sua schiena rispondere positivamente alle parole che aveva appena udito. Nella sua testa continuavano a martellare pensieri contorti, intrecci di informazioni che non riuscivano a liberarsi; il peso di frasi leggere sembrava essere come macigno, che annientava ogni ragionamento sensato. 
«Se posso», dovette schiarirsi la gola e compiere due passi indietro, «Potresti sempre prendere in considerazione l'idea di un prestito», Camylla faticava a capire il reale motivo che stava spingendo Nathan nella direzione sbagliata: sapeva che ciò che stava sentendo non era la piena e concreta verità.
«Così dovrò ripagarlo per minimo dieci anni e con gli interessi?!», Nathan corrugò la fronte mentre aveva ripreso a camminare freneticamente avanti e indietro per la stanza.
«Nathan, non prendiamoci in giro», Camylla poggiò entrambe le mani sul tavolo, cercando di sorreggere un peso schiacciante che non riusciva più a tenersi dentro, «Perchè vuoi farlo? E perchè mettere in pericolo altre persone?», scosse la testa per permettere ad alcuni pensieri di accantonarsi momentaneamente. 
Camylla vide Nathan bloccarsi per voltarsi di scatto nella propria direzione: aveva uno sguardo duro, profondo. Gli occhi serrati incutevano tremore, paura, angoscia. Lo vide riprendersi lentamente il posto a sedere sulla sedia vicino al tavolo.
«Vuoi davvero la verità?», stava parlando con determinazione mista ad arrendevolezza. Camylla si ritrovò ad annuire con la testa, compiendo la stessa azione svolta da Nathan pochi attimi prima: si lasciò cadere sulla sedia, pronta a far chiarezza, almeno in parte.
«Il fascicolo che hai preso stamani riguarda una causa tra mio padre e il signor Patel», a quelle parole Camylla drizzò la schiena, attribuendo quel cognome alla persona direttore della presunta banca oggetto di rapina. «Qualche anno fa erano soci in affari fino a quando un dipendente si tolse la vita. Il caso fu archiviato come suicidio ma fu proprio Patel ad ucciderlo», Nathan stava parlando senza sosta, senza pause, senza prendere respiro. Camylla stava cercando di immagazzinare ogni singola parola.
«Mio padre intentò una causa contro di lui ma Colin - o per meglio dire il suo avvocato - fu bravo a stravolgere le carte in tavola così che sembrasse essere colpevole mio padre». Si passò una mano tra i capelli prima di abbassare la testa e appoggiare il mento sopra al palmo.
«Lo vorresti fare per vendetta?!», Camylla stava parlando piano, sussurrando una verità venuta fuori che stava avendo il potere di stravolgere ogni minimo pensiero logico.
«Ha rischiato di rovinare mio padre!», con il dito indice stava picchiettando sul tavolo mentre stava parlando a denti stretti. «E nonostante sia un assassino, è riuscito a fare soldi. Non li merita!», stava sputando fuori tutto l'odio tenuto a freno per troppo tempo. I suoi occhi celavano rabbia, gridavano dolore.
«Anche tuo padre è un assassino», parlò di getto, spontenamente. Si bloccò nell'esatto momento in cui si accorse di aver enunciato a voce alta un pensiero istintivo.
«Maledizione Camylla!», ancora un pugno battuto forte sulla lastra di vetro. «Pensi davvero che possa aver ucciso quell'uomo?», una domanda gettata al centro esatto del tavolo. La delusione in quella domanda scomoda.
 «No, scusa. Hai ragione», Camylla scosse la testa socchiudendo gli occhi: stava muovendo nervosamente la mani davanti al proprio petto. «E' che non so cosa pensare», quella sarebbe dovuta essere una scusa in sua difesa. Una sincerità staccata dal suo inconscio.
«Ti dico io cosa devi pensare», stavolta Nathan si ritrovò a parlare piano: probabilmente anche lui aveva sentito movimento proveniente dalla stanza adiacente alla loro, «Non è stato lui e questa tua reazione è il motivo per cui non mi fido di Lucas».
«Che state combinando?», la voce squillante di Alyssa arrivò distorta nelle orecchie di Camylla, che era stata colpita da un'ondata travolgente, fredda e ghiacciata. 
«Chiarivamo alcune questioni», gesticolò Nathan mostrando un sorriso aperto di cortesia. «Voi avete risolto?».
«Sì», ad Alyssa si arrossarono leggermente le guance rosastre mentre sorrideva ingenuamente a Theo che le stava strusciando delicatamente la mano sulla schiena. «Grazie», stavolta parlò in direzione di Camylla la quale stava osservando la scena in disparte, non ricevendo appieno tutte le informazioni che si stavano scambiando. Si ritrovò a rispondere sorridendo debolmente.
«Forza allora! A lavoro!», l'energia nella voce di Nathan fece battere le mani ad Alyssa mentre Theo, che portava a tracolla una borsetta nera, tirò fuori un block-notes ed un paio di penne. 

05 Ottobre.

Camylla chiuse con discrezione il portone di casa, stando attenta a non farlo sbattere: il vento di quel martedì mattina stava soffiando incessante, muovendo numerose foglie e alzando terriccio secco che provocava fastidio agli occhi.
Stava posando a fatica le due buste colme di spesa sul tavolo della cucina: nel momento esatto in cui aveva udito il suono della sveglia avvenuto soltanto poche prima, aveva deciso di saltare le lezioni all'Università. Aveva mal di testa, si sentiva stanca, senza forze.
La nottata era trascorsa a rilento, tra movimenti sconnessi nelle lenzuola alla ricerca di una posizione comoda e viaggi infinti in bagno, con riflessi sfuocati nello specchio e acqua bollente in pieno volto. Era stata una nottata in cui i pensieri avevano vorticato incessantemente, provocando agitazione di stomaco; una nottata che portava con sè ancora troppe domande sospese in cerca di risposte; una nottata amara, passiva.
Camylla cominciò a svuotare le buste mentre osservava nel lavello ancora i piatti, i bicchieri e le posate usate la sera precedente: Alyssa, Theo e Nathan avevano cenato lì, in quell'esatta stanza, eccitati all'idea della stesura del piano; con brillantezza negli occhi ad ogni dettaglio accurato riscritto sul foglio. Mentre Camylla ascoltava, inerme. Imbottita di informazioni surreali, di nozioni sconosciute, di definizioni che non erano riuscite ad attirare l'attenzione sulla ragazza. Camylla ascoltava il suo nome essere pronunciato a gran voce, senza obiettare.
Era preda di un gioco che non avrebbe voluto giocare ma da cui sembrava impossibile restarne fuori.
Quando il campanello suonò, Camylla aveva ormai quasi finito di sistemare la spesa: le mancava da posizionare il pacchetto di zucchero all'interno del cassettone posto vicino alla credenza.
Andò ad aprire senza neanche chiedere chi fosse, sicura nel trovarci la persona che stava aspettando.
«Ciao», Camylla si mosse all'indietro, facilitando l'entrata, «Grazie per essere venuto».
«Sapevo che avremmo dovuto parlare prima o poi», Theo sorrise incerto mentre posizionava il suo cappotto all'attaccapanni.
«Sediamoci in sala», Camylla le indicò la strada, nonostante il ragazzo sapesse esattamente dove si trovasse la stanza in questione. «Vuoi un caffè?», una domanda di cortesia, chiesta solamente per pura gentilezza.
«No, grazie», Theo scosse la testa come a voler rafforzare la sua risposta, «Parliamo».







 

IM BACK!
Con enorme ritardo, eccomi a pubblicare il sesto capitolo.
Qua possiamo ammirare Camylla commettere una 
piccola infrazione. Verrà mai fuori?! Lucas se ne accorgerà?
Poooi, ho voluto alleggerire un pò la tensione prima della grande bomba: ho inserito una breve conversazione con Thomas (che sembra intenzionato a divenire chef..).
Ed eccoci a loro! Camylla e Nathan! 
E' venuto fuori che è grazie a quest'ultimo se lei sta lavorando ad un caso e non fa più fotocopie (poverella). E che il motivo principale nel voler rapinare una banca è la 
vendetta.
Che ne pensate?! Ma poi, secondo voi, Davis Mills è innocente?
Infine, abbiamo Camylla che ha necessità di parlare con Theo. Chissà, chissà..
Siate liberiiii e senza freniiii :)

L'ultima cosa: cercherò di essere puntuale nella pubblicazione del settimo capitolo ma ahimè, non posso promettere niente. Ne ho troppe da fare. Aiuto!
Un bacio,

G. xx


  
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