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Autore: Alarnis    04/03/2021    4 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Errore!

 
Anche Braccioforte non aveva dubbi dovesse aiutarlo, perché lo tirò per un braccio per consigliargli di tacere e non cadere nei tranelli di Malia, che tutto era tranne un’amica e ora infatti sorrideva tagliente da dietro un grezzo bancone.
“Sentiamo… Devi entrare a Rocca Lisia?” continuò l’uomo dandogli le spalle mentre l’amico che gli era accanto iniziava a ridacchiare, ingobbito sotto il mantello che lo avvolgeva e ne camuffava fisico e lineamenti. La voce era interessata ma per nulla amichevole mettendo in chiaro aspettasse una risposta. “Non è così difficile entrare.” continuò l’uomo misurato lasciando intuire ci fosse effettivamente una concreta possibilità.
Moros strattonò il braccio per sottrarsi all’amico, sporgendo collo e capo per sapere di più di quei due. “Testa dura!” brontolò Braccioforte; disprezzando la curiosità della giovinezza, non mascherando fosse risentito. Moros lo confortò bonariamente sulla spalla, ma ora non aveva tempo di stare a sentirlo.
“Credo esista un passaggio segreto.” sviolinò il suo pensiero ai due, tuttavia ridicolizzato dall’amico burlone del biondo che azzardò “Tu dici?”, come fosse una diceria ma non escludesse potesse essere la verità.
La speranza di Moros ebbe un’impennata, quanto un ridimensionamento nel sentirsi consigliare con voce pacata dal biondo, “Conosco un altro metodo per entrare.”.
L’uomo si alzò flemmatico: una ragguardevole altezza e prestanza nelle spalle, che per ora era l’unica cosa che vedeva, mentre l’ottimismo di Moros ebbe un vero e proprio tracollo quando spiritoso e velenoso al tempo stesso il compagno del biondo suggerì, nell’atto stesso di venire in piedi anche lui, mentre scostava il mantello che lo avvolgeva “Così riabbraccerebbe Nicandro.”.
“Noi entriamo da soldati, tu da prigioniero!” disse sicuro il biondo: ora non c’era più nulla da ridere per nessuno.
Ora, li riconosceva: Ottavio e Vittorio, guardie di Gregorio Montetardo.
Si maledì di non aver dubitato, per essere così scioccamente caduto in inganno credendo fossero chi poteva aiutarlo. Il più anziano Ottavio, cedette il passo al più giovane Vittorio, dagli occhi neri che tanto contrastavano con il color grigio turchese dei capelli, scomposti alle spalle; un unico ciuffo lungo e liscio che rimaneva fluente ai lati dell’occhio sinistro. La bocca larga dalle labbra minute in un viso romboidale di pelle diafana. “Sarà un piacere!” avvertì Vittorio avanzando e traendo dalla giubba un pugnale.
Moros indietreggiò “Che accoglienza, ragazzi!” temporeggiò, mentre anche Ottavio controllava la situazione pronto a intervenire, quasi mettesse alla prova quello che considerava un pivellino che controllò nei movimenti con quei suoi occhi neri, a forma di mandorla.
Vittorio fece una smorfietta infantile con il naso, evidenziando quanto il viso fosse d’un giovane; coetaneo di Moros.
“Le spade dove le avete lasciate?” indagò Moros risentito, ma fu Ottavio che intervenne “Il comandate Lavia ci ha lasciato in ricognizione. Non cercavamo te!” mise in chiaro, mentre i pochi tavoli si svuotavano o gli avventori si ingoffivano per occultarsi e non venir immischiati.
Malia si versò da bere incurante dello scontro, anzi sembrando godersi lo spettacolo, una mano a grattarsi sulla scollatura.
Vittorio aveva preso a giocherellare con il pugnale, roteando il polso mentre avanzava al ritmo di Moros che indietreggiava.
Non deve intervenire Ottavio o sono guai, si disse Moros. Era abile e tenace; pure testardo e, non sarebbe tornato al castello senza di lui avendolo tra le mani. Quando aveva servito come scudiero di Guglielmo l’aveva conosciuto rigido e inflessibile e sempre allineato al tenore degli ordini che gli venivano impartiti.
“Non è leale!” appuntò Moros “Dovevate dichiararvi.” ne punzecchiò l’ego, mentre altrettanto provvedeva a rifornirsi di un’arma: lo stiletto che teneva sotto il mantello. Era sempre restio a usarlo, si disprezzò.
“Non è che a Gregorio interessi proprio?” disse retorico Vittorio, trovando divertente la sua battuta di spirito, mentre avanzò di scatto per un affondo.
Moros sentì il vibrare l’aria mentre la lama inclemente fendeva su di lui, osteggiata dallo stiletto. Il viso di Vittorio avanzò verso il suo, come quello di uno spiritello crudele, ma giurò che fu il soffio di un gigante e non la sua resistenza a scaraventare il coetaneo lontano, quasi all’estremità opposta della sala.
Vide Ottavio reagire fulmineo in aiuto del compagno; pronto ad un corpo a corpo contro Braccioforte che sembrando proteggersi dal suo affondo lo intrappolò col gomito, per reagire: una furia che sembrò far avvampare l’aria. I bronchi che suggerirono “Scappa!”.
Moros non ebbe probabilmente una reazione altrettanto veloce rispetto a ciò che si aspettava Braccioforte perché fuggirono assieme. Braccioforte lo prese per mano senza complimenti portandolo con sé, come un bimbetto spaurito.
“Ti manca la tecnica, ragazzo!” suggerì nella fuga mentre correvano a scapicollo inoltrati nella foresta, dopo vari “Di qua!” e “Di là!” e ancora “Di qua!” inoltrandosi sempre di più.
“Ehhh, basta!” si offese ad un certo punto, tirando bruscamente il braccio, stanco di restare a seguito e sballottato a sinistra e a destra. Non l’avesse mai fatto perché un paterno ceffone lo fece cadere all’indietro a terra.
“Grazie!” si congratulò Braccioforte, voltandosi irritato per non vederlo, prima fosse tardi e decidesse di prenderlo a calci sul sedere dopo avergli impartito la sua seconda lezione. La prima amicizia. La seconda fiducia.
“Hai ragione!” confermò “Grazie.” aggiunse senza incertezza o risentimento “Da solo non ce l’avrei mai fatta!” annunciò leale. La terza lezione e, forse la più importante o solo quella di cui lui aveva più bisogno!
   
 
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