Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Angelica Cicatrice    05/03/2021    0 recensioni
E se i personaggi del gobbo di Notre Dame si trovassero in un'altra storia del tutto diversa, e con ruoli che non avete mai preso in considerazione? Se Quasimodo fosse il principe scomparso di un lontano paese, come la Russia? Ed Esmeralda è una ragazza truffaldina che spera di trovare un sosia del principe per una bella ricompensa? Sì, è la trama di Anastasia, ma pensateci bene, potrebbe sorprendervi se amate entrambi i mondi e i generi. Perciò se siete curiosi addentratevi in questo racconto crossover.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo, Clopin, Esmeralda, Febo, Quasimodo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                        Un punto in comune

Il paesaggio era ricoperto da un fitto manto di neve, la temperatura si era abbassata di molti gradi sotto lo zero, e il buio regnava sovrano. Tutto sembrava normale, in una tipica notte invernale, al confine tra San Pietroburgo e la Bielorussia. Ma c’era qualcosa che rovinava l’atmosfera. Dalla bocca di un dirupo, dove una volta si ergeva un ponte, una densa nuvola nerastra si allargava a vista d’occhio. Quella notte era stata partecipe di un terribile incidente ferroviario. Il treno, partito da San Pietroburgo, era stato colpito da chissà quale sfortunato evento, e aveva messo in pericolo i suoi ignari viaggiatori. Meno male che nessuno si era fatto male. Ma al capitano Febo quella notizia gli sarebbe costata cara. Con la frustrazione e il timore nell’animo, l’uomo scrisse una lettera, la sigillò e la affidò al suo falco personale. Era un messaggio per il suo padrone Klod Frollo.
“Eh no, quel’epilogo non gli sarebbe piaciuto affatto”.

P.v. Febo

Il mio fedele compagno, messaggero alato infallibile, era da poco partito con la lettera. Dovevo assolutamente avvisare Frollo sulla questione: il piano, che avevo personalmente architettato, era andato in fumo. Proprio come la locomotiva schiantata in quel burrone. Peccato che quei tre vagabondi si erano salvati per un pelo. Tutto fumo e niente arrosto. E chi ne avrebbe pagato le conseguenze? Una volta saputa la notizia, perché già lo sapevo in largo anticipo, sarebbe andato su tutte le furie. Klod Frollo poteva trasformarsi in una tempesta inarrestabile, tanto grande era il suo odio e la sua ossessione per i Beltov. Lui affermava che quel piano era strettamente necessario per il bene del nostro paese, ma era evidente che dietro ci fosse anche un motivo del tutto personale. Credo che fosse legato a quel periodo, quando fu esonerato dal suo ruolo di consigliere dello zar, per poi essere cacciato dalla corte. Non aveva mai digerito quell’umiliazione. Sospirai e piccole nebbioline di vapore si addensarono nell’aria. Speriamo solo che il gioco valga la candela, pensai. Ma sinceramente, per me tutta quella faccenda era così assurda. Avevamo ben altri problemi in Russia, invece di pensare a un probabile erede di sangue reale scampato alla rivoluzione. Inoltre, non eravamo neanche certi che fosse il vero principe scomparso. A un certo punto, il flusso dei miei ragionamenti fu rotto dal verso del falco che stava tornando. Appena si appollaiò sul mio braccio, trovai un piccolo rotolo di pergamena che era stato fissato a una delle zampe. Deglutendo, sfogliai la pergamena e trovai scritte a mano queste parole:

“Non potevi darmi notizia peggiore di questa! Non possiamo permettere che quel moccioso deforme arrivi fino a Parigi per incontrare lo zar. E tu lo sai, Febo, se ciò accadesse a quali conseguenze comporterebbe. Se non hai abbastanza determinazione per te stesso, pensa allora a tuo padre. Tutto quello che lui ha sacrificato per la giusta causa, per il bene comune, per la nostra amata Russia, diventerà vano se tu dovessi fallire questa impresa. Ne va del nostro futuro. Perciò non temporeggiare, insegui il principe Kyazimodo, tienilo d’occhio e informami sulla sua prossima tappa. Ti manderò nuovi ordini il prima possibile.
Non deludermi ancora”.

L’ultima frase mi lasciò un po’ interdetto e seccato. Strinsi nel pugno il messaggio fino a ridurlo in cartaccia.
Non potevo negare che la mia situazione era intollerabile. Essere il lacchè di quell’uomo era l’ultima cosa che desideravo. Non riuscivo a sopportarlo. Da quando era diventato alleato fedele di Lenin e preso posto come capo della squadra Unione Rossa, Frollo esercitava il potere anche sulla maggior parte delle forze armare del Paese. Sarei dovuto diventare un soldato a tutti gli effetti. E invece, ero un semplice sottoposto di un vecchiaccio che si dava arie da dittatore. E la povera gente, i cittadini comuni, stava continuando a soffrire nonostante le molte promesse.
Non era quello che aveva sognato mio padre…
Avvertivo tanta amarezza e malinconia. Ripensai al passato che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Nonostante la ripugnanza che avvertivo, Klod Frollo aveva ragione su una cosa che mi stava a cuore. Mio padre aveva dato tutto se stesso per la giustizia e la libertà del nostro popolo. Era stato un generale coraggioso, e per tutta la sua vita aveva fatto il suo dovere, fino a quando scoppiò la rivolta. Onorare la sua memoria, eguagliarlo per le sue grandi gesta e diventare un uomo d’onore, era il mio sogno più grande. Mi strinsi nelle spalle, incrocia le braccia per darmi maggiore calore, mentre riflettevo sul da farsi. Ma alla fine, la ragione e il senso del dovere diedero la risposta ai miei dubbi. Se le deduzioni del mio padrone erano giuste, allora dovevo continuare la missione, e fermare il viaggio del presunto principe. A qualsiasi costo.
Coprendomi il volto con la sciarpa di lana, spronai il mio cavallo Achille, senza indugi attraversammo la collina e ci lasciammo indietro il burrone oscuro dove erano sepolti gli ultimi resti di quella carcassa di ferro.

P.v. Kazy

-Andremo a piedi fino a Parigi?!- si lagnò Clopin, mentre camminava strascicando i piedi nella neve.
-In Germania prenderemo una barca- gli rispose un po’ esasperata sua sorella.
-Ah, allora arriveremo a piedi fino in Germania- si sfogò nuovamente lo zingaro.
-No, mio Signore, prenderemo un autobus – alzò gli occhi al cielo la gitana.
Erano ormai due ore che stavamo camminando nel bel mezzo di una campagna innevata. Il posto era isolato e immerso nell’oscurità. Se non fosse stato per il lume accesso che portava Clopin, tirato fuori dalla sua logora valigia, avremo camminato nel buio totale. Davanti a me, i due fratelli gitani non facevano altro che punzecchiarsi a vicenda. Mi chiedevo come facessero ad avere ancora tutta quella energia e voglia di parlare, soprattutto Clopin. Ma ero così esausto che ormai avevo smesso di ascoltare i loro battibecchi. Accanto a me, c’era la piccola Djali, che avanzava lentamente senza emettere alcun belato. Anche lei era sfinita dal lungo viaggio. Alla fine, però, una domanda giunse spontanea anche al sottoscritto:
-Dove stiamo andando?-.
Esmeralda, l’unica ragazza del gruppo, si voltò nella mia direzione. Sotto la tenue luce della luna il suo orecchino brillò come una moneta d’oro.
-Da queste parti si trova una locanda – mi avvisò lei, e dalle sue labbra uscirono nebbioline di vapore – ci fermeremo lì per questa notte e poi proseguiremo domani mattina -.
Quella notizia mi fece curvare un sorriso di sollievo. Finalmente un posto caldo! Non mi importava se si trattava di una locanda o di una stalla, mi bastava un luogo dove poter riposare.
-Quanto manca?- chiesi nuovamente, e intanto tutte le mie energie perdute si stavano risvegliando.
-Lo vedi quel bagliore laggiù? Ecco, dobbiamo arrivare lì- affermò Esme, puntando un dito a pochi metri di distanza da noi. Una luce dorata si stagliava lontana, ma non troppo da essere irraggiungibile. Con la grinta e la volontà rigenerate, i miei passi si fecero più veloci. Ma Djali, avvertendo in anticipo l’aria accogliente e calda della nostra destinazione, arrivò per prima dopo una corsa a perdifiato. Quando varcammo la porta erano le 23.30. Dopo tutto quello che ci era capitato avevamo perso la cognizione del tempo. Ci accolse il proprietario del posto, un po’ intontito dal sonno e con tanto di vestaglia e babbucce. I miei compagni di viaggio gli spiegarono la nostra esigenza, mentre io mi mantenevo in disparte. A parte i due fratelli, a cui ormai mi stavo abituando, non  riuscivo ancora a mostrami ad altre persone. L’uomo ci concesse di alloggiare in due stanze, una l’avrei divisa con Clopin, mentre l’altra, più piccola, era riservata ad Esme. Fu una vera fortuna trovarsi su un morbido materasso, con tanto di cuscino e coperta. Niente pavimenti duri e umidi. Peccato solo, che la cucina non era disponibile. Il mio stomaco brontolava senza darmi tregua, ma pazienza, era già abbastanza avere un tetto sopra la testa. La mezzanotte si stava avvicinando e dopo averci augurato un buon riposo, ci barricammo nelle nostre stanze. In pochi minuti io e Clopin familiarizzammo con il posto. Era una stanzetta grande abbastanza per ospitare due persone, molto ordinaria e semplice. C’era giusto il minimo indispensabile, ma per me era perfetto, di certo mille volte migliore di quello che potevo avere all’orfanotrofio. In quel momento, tornando con la mente a ritroso, ripensai a Klaus, il mio migliore amico. Chissà come se la stava passando? Nonostante fossi felice di quel nuovo inizio, e di essermi lasciato alle spalle brutti episodi di quel luogo, sentivo comunque la sua mancanza. Quella malinconia mi tormentava, aggiungendo anche la fame, e il russare del mio compagno di stanza, non riuscivo a chiudere occhio.
-Rox…Roxanne…-.
I miei occhi si aprirono e un po’ scocciato mi alzai dal letto. Sul piccolo comodino, proprio vicino a me, c’era la candela. Dopo averla accesa, facendo un po’ di luce nella stanza, mi guardai attorno. Ero certo di aver sentito qualcosa, dissi tra me e me. O forse me lo ero solo immaginato. La luce della fiammella arrivò a illuminare lievemente la figura di Clopin, che era disteso sul letto, profondamente addormentato. Sul suo petto nudo era accoccolata Djali, anche lei che sonnecchiava. Guardandoli insieme, sembravano un fratellone con la sorellina timorosa di dormire da sola. Mi venne spontaneo sorridere, colto dalla tenerezza del momento. Quei due erano diventati molto amici, a quanto pare.
-Roxanne…man cher…- disse all’improvviso il gitano. Stava parlando nel sonno!
Clopin, ancora nel mondo dei sogni, strinse la piccola Djali e le diede un bacio sul musino. Dal canto suo, la mia amichetta sbadigliò e diede una leccata, o un “bacio” di rimando al suo amico, che intanto era tornato a russare.
Che scenetta buffa!
 Mi portai una mano alla bocca per frenare il suono della mia risata. Meglio non svegliarli. Così alla fine, dato che il sonno mi era passato del tutto, decisi di uscire da lì e perdere un po’ di tempo. Sgattaiolando via in assoluto silenzio, mi avviai al piano inferiore, esattamente nella saletta dove venivano accolti i clienti. Il mio stomaco stava ancora reclamando cibo. Avrei dato qualunque cosa anche per poche briciole di pane. Mentre rimuginavo su quel dettaglio, appena entrai nella sala mi accorsi che c’era qualcuno. Ebbi quasi un sussulto quando un’ ombra scura si mosse.
-Ah,Kazi! A quanto pare non sono l’unica a soffrire di insonnia- disse con voce bassa la zingara.         
La trovai seduta sul davanzale di una finestra, leggermente aperta con le tendine che svolazzavano nella brezza della notte. Sorridendomi mi fece cenno di avvicinarmi e mi porse qualcosa. Era una mela. L’istinto mi guidò subito verso di lei e accettai il cibo che mi stava offrendo. Divorai il frutto in pochi morsi.
-Grazie, ne avevo proprio bisogno- le dissi, mentre finivo ogni singolo residuo di polpa.
-Figurati. Anche io avevo fame, e quindi sono andata a dare un’occhiata nelle cucine. Ho trovato della frutta nel cesto degli avanzi e ne ho approfittato- mi spiegò, mentre si girava tra le mani il torsolo della sua mela.
-Ma…- dissi, un po’ titubante – questo non è rubare?-.
La mia amica sollevò le spalle, con un’espressione vaga e disinvolta sul viso.
-Io e Clopin preferiamo chiamarlo “ aiutare a evitare gli sprechi”. Insomma, converrai con me sul fatto che sia un vero peccato buttare nella spazzatura questo dono prezioso-.
Rimasi a riflettere su quelle parole. In effetti, vedendola da un certo punto di vista, Esmeralda non aveva tutti i torti. C’erano molte persone che morivano di fame, alcuni arrivavano perfino a nutrirsi di piccoli animali pur di sopravvivere. La gente che si poteva permettere il cibo ogni giorno a volte non sapeva quanto fosse fortunata. 
-Forse, hai ragione- annuì, e senza pensarci oltre, sgranocchiai il torsolo della mela che avevo lasciato. La ragazza dalla pelle ambrata mi guardò spalancando gli occhi, colpita da quel gesto. Non disse nulla, abbozzò un mezzo sorriso e decise di seguire il mio esempio. Aveva compreso la mia condotta e ne rimasi commosso. Dopo aver finito, mi appoggiai su uno sgabello vicino alla finestra, dove lei si era accomodata.
-Però, mi dispiace per tuo fratello – ricominciai, mantenendo il tono della voce più basso possibile. Non era il caso di dare disturbo ai proprietari o agli altri presunti ospiti della locanda.
-Perché?- mi chiese Esme, curiosa. In quel momento notai che portava ancora il berretto che le nascondeva la chioma ondeggiante. Era un vero peccato. I suoi capelli erano così belli e fluenti, di un corposo nero ebano.
-Abbiamo mangiato mentre lui è rimasto con lo stomaco vuoto. Mi sento un po’ in colpa adesso -.
Ero davvero dispiaciuto, ma ripensando a come lo avevo lasciato poco prima, mi veniva da ridere.
-Non preoccuparti per lui- disse lei, con un risolino che rendeva la sua voce alterata – Clopin può rimanere senza cibo per tanto tempo. Il problema è quando va in astinenza di vino. Allora diventa intrattabile-.
Soffocammo entrambi le risate, cercando con ogni sforzo di controllarci. Avvertivo una piacevole sensazione. Vederla in quello stato, piena di entusiasmo e di ironia, la trovavo ancora più affascinante. L’avevo notato anche durante la nostra disavventura sul treno, quando il suo viso si era illuminato da una forte emozione. Esme era una ragazza forte e piena di volontà. Ma stavo scoprendo anche un altro lato del suo carattere, ed era meraviglioso quando si lasciava andare e diventava più spontanea.
-Beh, credo che possiamo stare tranquilli, almeno per stanotte, dato che sta dormendo come un sasso -.
La mia amica sorrise divertita, annuì e si sistemò meglio sul davanzale.
-E tu, come mai non riesci a dormire? – mi chiese all’improvviso. Strofinai le mani tra loro, come al mio solito, ma risposi senza tentennare.
-Un po’ di malinconia, niente di grave- spiegai, posando lo sguardo fuori la finestra. Il cielo notturno era costellato da una miriade di stelle. Era una notte splendida. Senza rendermene conto, tra una parola e l’altra, raccontai alla mia amica un po’ del mio passato trascorso in orfanotrofio. Lo feci, forse, perché avevo semplicemente bisogno di parlarne, per sfogare quel momento malinconico e triste. Esme ascoltò con attenzione, senza interrompermi neanche per un secondo. Dopo un po’ mi sentì più leggero.
-Hai avuto giorni molto duri,questo è certo –cominciò lei –ma per fortuna non eri del tutto solo. Il tuo amico ti è stato vicino e ti ha aiutato a superare ogni difficoltà. Quindi, comprendo la tua nostalgia. Questo Klaus deve essere una persona molto preziosa-.
In quel momento sentivo gli occhi che pizzicavano per la commozione. Le parole della zingara mi avevano colpito nel profondo e mi rincuoravano. Era davvero bello parlare con lei, perché  mi ascoltava e non muoveva alcun giudizio. Inoltre, ogni volta che mi guardava negli occhi, non temevo più nulla, neanche il mio aspetto deforme che potesse turbarla. Provavo una meravigliosa sensazione di libertà e gioia, che assomigliava a quello che aveva scaturito l’amicizia con Klaus. Ma con Esmeralda c’era qualcosa di speciale, me lo sentivo alla base dello stomaco. Strofinandomi un occhio, cercando di ricacciare indietro le lacrime, infine annuì, sereno. Rimanemmo per qualche minuto in silenzio, osservando rapiti la luna piena che splendeva, alta e imponente sul mantello nero del cielo.
- Durante questi anni, hai mai ricordato qualcosa?- mi chiese ad un tratto la fanciulla. Quella domanda mi giunse così improvvisa che mi lasciò del tutto impreparato.
-A dire il vero no, almeno niente di tanto importante- le risposi,con un po’di amarezza – ancora oggi faccio qualche sogno strano, ma è così vago e sfumato-.
Avrei voluto raccontarle di tutte le mie incertezze sulla questione. Di tutti quei volti che vedevo, o credevo di vedere. Della splendida donna dalla pelle ambrata, i cui lineamenti mi ricordavano proprio l’ amica che avevo di fronte. Ma erano tutti dettagli a cui non sapevo dare una spiegazione logica. Era così snervante non riuscire a ricordare. Ti sembra che tutto di te stesso si muova solo grazie al flusso degli eventi, che tutto dipenda da forze maggiori e non per tua volontà. Perdere la tua identità ti rende schiavo di mille domande a cui non potrai mai dare risposte. Esmeralda si accorse del mio stato d’animo e sospirando mi disse:
-Non scoraggiarti, Kazi. In fondo non è così terribile, perdere la memoria-.
Un senso di fastidio, nato da un’inaspettata delusione, mi fece irritare.
-Invece ti sbagli- dissi con fermezza – Io darei qualsiasi cosa pur di riuscire a ricordare-.
Esmeralda, che stava scrutando il paesaggio, girò il capo per guardarmi. Nei suoi bellissimi occhi c’era un velo di apatia che mi fece spaventare. Quelle gemme sembravano così spente e colme di tristezza.
-Avere memoria di coloro che ti amavano e poi abbandonato…è più doloroso di non avere alcuna memoria-.
Rimasi spiazzato da ciò che le mie orecchie udirono. La fanciulla distolse lo sguardo dal mio e tornò subito ad ammirare il cielo notturno. Sembrava così a disagio, come se mi avesse appena svelato qualche segreto che non doveva neanche accennare. Con coraggio mi avvicinai di più, e con molta delicatezza le sfiorai un braccio per attirare nuovamente la sua attenzione.
-Esme, cosa intendi dire?- le chiesi mentre i nostri occhi si incontrarono. La gitana esitò per un momento, ma poi, il suo viso si incupì di più e rispose:
-Niente-.
Eccola di nuovo. Era tornata ad essere la zingara cinica e distaccata. Quel suo lato così freddo mi metteva sempre in difficoltà e non sapevo come comportarmi. Anche la nostra prima chiacchierata non era stata una delle migliori. C’era qualcosa di ostile in lei, una nota stonata che veniva fuori ogni volta che i nostri argomenti si facevano complessi e profondi. Specialmente se si trattava di casa e famiglia. Ero ormai certo che volesse evitare in ogni modo di parlare di se,della sua vita o del suo passato.
-Io invece credo di no – aggiunsi, cercando di muovermi cautamente. Purtroppo non ebbi il tempo per aggiungere qualcos’altro, che la fanciulla si scostò dal davanzale, mantenendo lo sguardo basso.
I cammei cuciti sullo scialle che le fasciava i fianchi tintinnarono tra loro.
-E’ tardissimo – disse con tono serio – Meglio andare a dormire. Domani dobbiamo svegliarci molto presto -.
Esme lasciò frettolosamente la sala, senza neanche darmi la buonanotte. Rimasi in quell’angolo, accanto alla finestra, imbambolato come una statua. Mi sentivo così male. Nonostante le mie buone intenzioni, sapevo che ero stato invadente. Il senso di colpa mi stava divorando il cuore, mentre ripensavo a quella frase, così semplice ma fredda come il ghiaccio.

“Avere memoria di coloro che ti hanno amato e poi abbandonato…è più doloroso di non avere alcuna memoria”.

 Poi mi tornò in mente un dettaglio che avevo trascurato. In sostanza non sapevo quasi nulla di Esmeralda. Le uniche informazioni che avevo erano che lei, insieme a suo fratello Clopin, aveva origini franco-spagnole. Era una zingara che viveva a San Pietroburgo, nel quartiere dei gitani, tutti che provenivano dalla lontana Andalusia. Ma chissà da quanto tempo? Inoltre, dov’erano i suoi genitori, la sua famiglia? A quel punto un pensiero mi scosse come una scarica elettrica.
Come avevo fatto ad essere così ingenuo…!?
Esmeralda e Clopin erano sicuramente orfani, proprio come me. Questo spiegava tante cose, come ad esempio quell’espressione vuota che la mia amica assumeva davanti alle domande scomode che le riguardavano sul personale. Ma il dettaglio più triste era che entrambi erano stati abbandonati, magari quando erano ancora due bambini. Certo, anche io forse ero stato abbandonato, ma la mia condizione era leggermente diversa. Esme, avendo i ricordi intatti, portava dentro di se tutto il dolore patito. Una verità amara che l’avrebbe accompagnata per il resto della vita. Solo in quell’istante compresi appieno le sue parole, i suoi sentimenti nascosti. Avevo già immaginato che portava sulle sue spalle un passato difficile. Ma dopo quella notte realizzai di aver scavato solo una minima parte nel cuore tormentato della bellissima e misteriosa gitana dagli occhi smeraldo.

PV. Esme

Senza pensarci troppo mi avviai verso la mia stanza, con passo felpato e silenzioso. Mentre attraversavo lo stretto corridoio, dall’altra parte del muro avvertivo il pesante e inconfondibile russare di mio fratello. Proseguì in punta di piedi per evitare di svegliarlo. L’ultima cosa che desideravo in quel momento era attirare l’attenzione su di me. Chiusi la porta alle mie spalle e mi ritrovai nella piena oscurità della stanza. Senza accendere la candela, mi tuffai sul materasso, feci volare via il berretto che portavo assiduamente e tuffai la testa sul cuscino sgualcito. I capelli, finalmente liberi, ricaddero sinuosi come piccole onde. Volevo solo addormentarmi, sprofondare in un sonno profondo, svuotare la mente.
“No, non voglio pensarci! A che serve, in fondo?”.
Questa  e altre mille frasi mi vennero incontro, per placare l’ondata di ricordi che si stava schiantando nella mia testa. Non era la prima volta che mi succedeva di affrontare un crollo temporaneo. Solitamente riuscivo sempre a tornare padrona delle mie emozioni, esorcizzare il dolore, la delusione, qualsiasi sentimento negativo che mi tormentava mente e anima.
“Esme, non è proprio da te cedere in questo modo. Vedi di riprenderti alla svelta…” pensai ancora tra me e me, mentre mi rigiravo nel letto. Ma più cercavo di scappare da ciò che stavo provando, più mi sentivo in balia delle mie emozioni. Non riuscivo proprio a togliermi dalla testa la conversazione tra me e Kazi, avvenuta poco prima.
Mi rigirai di nuovo, con le gambe ormai raggrovigliate tra le lenzuola. Che fastidio!
Non so esattamente quanto tempo passò, ma il mio corpo continuava a rifiutarsi di abbandonare lo stadio di veglia. Alla fine, stufa di quella ridicola situazione, mi girai nuovamente e in posa supina, aprì gli occhi, fissando il vuoto del soffitto.
“Sei davvero patetica!” mi rimproverai come se la mia anima si fosse spaccata in due. Forse per via della mancanza di un’altra figura femminile, più matura, autoritaria, mi ero inventata quel metodo per darmi forza e coraggio, per superare momenti problematici. Questo perché non avevo mai conosciuto davvero mia madre.
“No, Esme, ora stai superando il limite! Smettila subito!”.
Esasperata dai miei stessi rimproveri, mi coprì il viso con le mani, come se bastasse a calmare il flusso dei miei pensieri. Ma inevitabilmente nella mia testa tornarono a galla i pochi ricordi sui miei genitori, quando ero ancora una bambina di pochi anni. A quei tempi ero così spensierata. Nonostante la povertà e i disagi di una vita da gitani, ero felice. Poi tutto scomparve in quel giorno, quando io e Clopin fummo portati via, lontano dalla nostra famiglia. Sebbene non ricordavo molto della bella Andalusia, ero certa che fosse molto diversa dalla fredda e rigida San Pietroburgo. Non avrei più assaporato il clima tipico della Spagna e anche in quel momento mi chiedevo se mai lo avessi davvero vissuto. Ero stata strappata dal mio mondo d’origine e costretta a vivere in un  altro che non mi apparteneva, come una rondine costretta a lasciare il suo nido.
Padre, madre, perché ci avete fatto questo?...Per il nostro bene, per il vostro? Non lo so, ma fa così male.
Inavvertitamente una lacrima mi scese giù per una guancia. Ammetto che ne rimasi sorpresa, ma al tempo stesso avvertivo una stretta al cuore. Con quella goccia silenziosa ero giunta a una consapevolezza che mi fece tremare il cuore.
“Lo hai capito, eh? Per tanto tempo ti sei atteggiata da guerriera forte e invincibile. Credevi di tenere tutto sotto controllo, che niente di tutto ciò avrebbe scalfito la tua armatura di ferro. E ora guardati. Sei ancora quella bambina smarrita, spaventata, che si chiede perché è stata abbandonata dalle stesse persone che dovevano proteggerla. Fa ancora male, vero Esmeralda?”
Un nodo alla gola, così soffocante da farmi mancare il respiro, mi strinse con forza e allora accadde ciò che non avrei mai sospettato. Un pianto doloroso, che era rimasto sopito da troppo tempo, stava reclamando la sua esistenza e così insieme alla rabbia e alla delusione represse dentro di me. Avevo quasi dimenticato cosa si provasse durante uno sfogo così straziante. E tutto questo perché, per un botta e risposta con quel ragazzo?
Quel ragazzo deforme aveva toccato un tasto molto dolente. Certo, ero consapevole di non aver motivo di angosciarmi in quel modo, e in fin dei conti, quante volte mi era capitato? Molte volte mi veniva anche da sorridere, scherzandoci su, e allora tutto finiva nel dimenticatoio. Ma con Kazi, e non so come spiegarmelo, era così diverso. Anche in quella occasione, sul treno, avevamo avuto una discussione simile e la cosa mi aveva scossa non poco. Per la prima volta nella mia vita mi ero sentita… presa alla sprovvista, insomma, messa in difficoltà. E la cosa peggiore era che stavo rischiando di cedere del tutto.
A quel punto non sapevo più come mi sentivo nei riguardi di Kazi. Avrei voluto odiarlo per avermi messa così a disagio, per avermi “spogliata” delle mie difese con i suoi modi insistenti, ma pur sempre gentili. Ma proprio per via del suo spirito così ingenuo, non riuscivo a provare antipatia per lui. Inoltre, quella sua tenacia nello scoprire se stesso e le sue origini, mi sorprendeva sempre di più. A lui interessava l’idea di poter essere un rampollo reale. I titoli e le ricchezze non lo sfioravano minimamente . Lui desiderava solo riavere indietro la sua famiglia o almeno ciò che ne era rimasto.
Kazi era l’esatto opposto di me. La sua purezza d’animo avrebbe potuto oscurare perfino un uomo di chiesa.
Non avevo mai conosciuto un tipo come lui. O forse sì…

La mattina seguente, ai primi raggi del sole, fui svegliata da alcuni colpi alla porta. Mio fratello fu sorpreso nel vedermi ancora assonnata e priva di forze.
-Sorellina, di solito sei sempre così mattiniera. Che ti è successo? -.
Con gli occhi impastati dal sonno, gli feci una smorfia, e lui mi rispose con una risata fastidiosa.
-Colpa del letto. Preferisco dormire sui cuscini nella tenda- cercai di mentire. Appena fui pronta scesi al piano inferiore, cercando di darmi un’aria decorosa nonostante i continui sbadigli. Nella sala c’erano Clopin e Kazi ad aspettarmi, ovviamente insieme alla capretta. Il ragazzo gobbo mi accolse con un lieve saluto, alquanto timoroso. Mi chiedevo se fosse rimasto male dal mio comportamento nelle ultime ore. Ma non c’era tempo da perdere per le incomprensioni, quindi ci congedammo dal proprietario della locanda, recuperammo le nostre cose e uscimmo. Fummo fortunati nel trovare un passaggio su un carretto che ci avrebbe condotto alla città più vicina. Proprio come avevo promesso al lagnoso Clopin avremo preso un autobus per arrivare in Germania. Ci aspettava un lungo e faticoso viaggio. Erano trascorsi pochi minuti dalla partenza, ma quasi nessuno aveva voglia di intavolare un discorso. Tranne quel chiacchierone di mio fratello. Con il dondolio del carretto che ci cullava ritmicamente avevo solo voglia di appisolarmi.
-Non  so voi, mes ami,ma stanotte ho dormito benissimo- disse mio fratello, pimpante e pieno di vita.
Quella notizia mi fece rodere il fegato siccome la sottoscritta aveva un disperato bisogno di recuperare almeno qualche oretta di sonno. Dall’altro canto, mi sembrava strano vedere Clopin così attivo e di buon umore.
Ogni mattina faticava anche solo ad aprire gli occhi, figuriamoci essere carico di energie. Non era da lui.
-Buon per te- risposi, generando poi l’ennesimo sbadiglio – hai fatto bei sogni?-.
- Oh, sì. Ho fatto un sogno meraviglioso. Da favola –.
Sia io che Kazi notammo l’espressione dello zingaro trasformarsi. Non potevo leggere nella mente del mio fratellone, ma avevo qualche sospetto sui motivi di quell’atteggiamento strano. Appoggiandosi sui sacchi di patate nel carretto, i suoi occhi si fecero sognanti mentre ammirava un punto indefinito, in alto nel cielo mattutino.
-Cosa hai sognato?- intervenne il ragazzo dai capelli ramati. Quella era la sua prima frase della giornata.
-Che eravamo finalmente a Parigi- rispose, liberando un sospiro troppo lungo e mantenendo quell’aria ammaliata e stupida. Djali, la capretta, lo raggiunse e gli diede una leccata sulla faccia che lo fece tornare alla realtà. Lo stupore improvviso che si materializzò sulla faccia di Clopin ci fece sghignazzare. Fingendosi offeso, abbracciò il collo della capra e ignorandoci si mise a parlare con lei.
-Che antipatici! Su, man cher, lasciamoli perdere e pensiamo a Parigi. Anche tu non vedi l’ora di vederla, vero?-.
Djali gli rispose con un belato allegro e lui sorrise soddisfatto.
-Tu sì che mi capisci!Allora dobbiamo festeggiare!- annunciò poi, e tirò fuori dall’interno del suo cappotto una bottiglia di vino. Non mi ci volle molto per capire dove l’avesse trovata. Nella cucina della locanda c’era una piccola cantina. Alzai gli occhi al cielo e una mano sulla fronte.
- Non credi che sia troppo presto per bere?- gli feci notare, mentre lui aveva già stappato la bottiglia.
-Suvvia, sorellina, un goccetto non mi farà certo male-  disse, e in meno di pochi secondi si era già scolato un quarto del nettare rosso. Non ero contraria nel “prendere in prestito”,almeno il minimo necessario, come cibo e acqua. Ma se si trattava di vino per me potevamo anche farne a meno. Peccato che non era lo stesso per mio fratello. Passarono le ore e quel tragitto si faceva sempre più noioso e monotono. Clopin, che aveva tenuto viva l’atmosfera con il suo spirito solare, senza accorgersene aveva quasi finito la bottiglia. Alcune volte aveva cercato di incoraggiare Kazi ad unirsi a lui, senza riuscirci. Il nostro compagno di viaggio era astemio e aveva rifiutato con fermezza. Tra un singhiozzo e l’altro, lo zingaro ci aveva tenuto compagnia con i tipici canti gitani. Infine, le mie aspettative si fecero reali quando lo vidi cascare dal sonno, con la bottiglia quasi vuota stretta in una mano. Sospirando scossi la testa in maniera contrariata.
-Ma guardalo! Riesce a dormire in qualsiasi situazione. Che invidia!- pensai ad alta voce, senza curarmi che Kazi mi stesse ascoltando. Per tutto quel tempo era rimasto chiuso nel suo mutismo e a parte Clopin non si era rivolto a me neanche per un momento. Ce l’aveva con me?
Quella situazione stava diventando sempre più pesante. Non andava affatto bene. Decisi di fare un piccolo passo avanti, così mi girai verso di lui e scoprì che mi stava osservando. Aggrottai la fronte e mi venne spontaneo chiedere:
-Che c’è?-.
-Oh, nulla- mi rispose con un filo di voce. Dopo aver dato un’ultima occhiata a mio fratello, che dormiva come un bimbo, mi diede nuovamente la sua completa attenzione e si schiarì la voce.
- Ascolta, Esme – cominciò con molta calma, come se stesse preparando le parole giuste – a proposito di ieri notte…volevo chiederti scusa-.
Avevo immaginato che la cosa sarebbe spuntata fuori da un momento all’altro, ma non mi aspettavo delle scuse. Il gobbo mi fissava con i suoi occhi,di quel bel verde speranza, colmi di dispiacere.
-Ehm, mi stai chiedendo scusa? – iniziai, dopo essermi presa qualche secondo – e per cosa?-.
Kazi cominciò a giocare nervosamente col suo inseparabile ciondolo.
-Per essere stato invadente- mi spiegò, evitando per un attimo il peso del mio sguardo – avrei dovuto capire che non volevi continuare quell’argomento. E invece ho insistito. Mi dispiace davvero-.
Nonostante tutto, quella confessione mi colpì più di quanto avessi creduto. Sarà stato il tono dolce della sua voce, o quello sguardo mortificato, oppure un po’ tutto nell’insieme. La verità era che tutto di Kazi riusciva a sorprendermi.
-Non preoccuparti, non è successo nulla – cercai di rassicurarlo. Ma lui scosse la testa, convinto.
-Invece dovevo assolutamente scusarmi – disse con fervore, ma cercando di non alzare troppo la voce.
-Sai, è da stamattina che…- cominciò a raccontare, per poi lanciare un’altra occhiata a Clopin - …che cercavo il momento giusto per parlarti-.
-Davvero? Hai avuto tutta questa pazienza?!- gli chiesi, cercando di soffocare un risolino.
-Non volevo metterti di nuovo a disagio – si giustificò tormentando il ciondolo tra le dita. Anche quella rivelazione mi lasciò senza parole. Nessuno in vita mia, almeno da come ricordavo, era stato tanto attento e delicato nei miei riguardi. Per una gitana come me, era già abbastanza se riusciva a stare al mondo. Ero così abituata ai giudizi negativi, ai soprusi, che non mi aspettavo più nulla di buono, né una parola gentile,né tanto meno rispetto. Il ragazzo timido e impacciato che mi avrebbe portata al successo era riuscito perfino a incrinare la maschera che mi nascondeva al resto del mondo.  Mi aveva resa più spontanea e nonostante il dolore per i ricordi, che lui stesso aveva rievocato, mi sentivo meglio. Le sue parole avevano ricucito le ferite al mio posto.
Alla fine curvai un sorriso davanti a tanta preoccupazione e mi lasciai andare.
-Sei una persona sorprendente, Kazi- affermai e vidi il suo viso deforme illuminarsi di un’ espressione serena e rassicurata. Sembrava che la tensione tra noi stesse sfumando.
-E tu sei una persona davvero in gamba- disse a sua volta – non ho mai incontrato una ragazza come te. Ti ammiro molto. Inoltre è solo grazie a te, e a Clopin ovviamente, se sto riuscendo ad andare a Parigi-.
 A quel punto, il mio umore mutò ancora. La verità, quella nuda e cruda, la conoscevamo solo io e Clopin. L’ignaro sosia del principe Kyazimodo non sapeva ancora nulla del nostro piano, dei veri motivi per cui avevamo iniziato quell’avventura, e che tutto stava ruotando intorno a un fine specifico. Fino a quel momento non mi ero mai posta il problema, l’idea di usare le menzogne o metodi poco ortodossi non mi avevano scalfito la coscienza neanche per un istante. Ma qualcosa stava cambiando. Quel merito che Kazi mi associava e che non mi apparteneva, mi scosse profondamente e provai un sentimento agrodolce.  Mi sentivo quasi in colpa per quello che stavo facendo. Forse dovevo solo smetterla di pensarci. In fondo anche se si trattava di una truffa, era vero che lo stavo aiutando a realizzare il suo sogno. Se la vedevo in quel modo non era così riprovevole. All’improvviso il carretto balzò, forse per via di un sasso lungo la strada, e ci fece sussultare.
Nel frattempo  ero tornata coi piedi per terra.
Istintivamente mi voltai verso mio fratello. Lo ritrovai in tutt’altra posizione: a gambe all’aria e la testa ficcata in mezzo a due sacchi. Anche Kazi mi imitò e a quello spettacolo non potè che ridere divertito.
-Incredibile, non si è neanche svegliato! – disse, allargando un gran sorriso. La scena era davvero buffa,in effetti.
-Così si impara. Questo è quello che succede quando non mi da retta, lo zuccone – intervenni, marcando la frase con tono severo. Tanto già sapevo cosa sarebbe successo al suo risveglio: tante lagne per il mal di testa da sbronza. Avvertì ancora qualche risata da parte del mio compagno di viaggio e allora mi girai verso di lui.
Ripensai a tutte le belle parole, colme di gentilezza nei miei confronti, e allora mi tornò in mente un dettaglio.
-Kazi, c’è una cosa che avevo dimenticato di dirti- cominciai con un po’ di titubanza – Non ti ho ancora ringraziato per avermi aiutata quella volta. Sul treno-.
Per via del mio spirito autonomo e indipendente non mi era mai capitato di essere la fanciulla in pericolo bisognosa dell’aiuto di un cavaliere. Lo trovavo sciocco solo a pensarci. Kazi rimase per un attimo atterrito, ma subito dopo un lieve rossore si dipinse sulle gote,bianche come il latte. Dovevo ammettere che era adorabile. Passandosi una mano dietro al collo, fece una smorfia che era un misto tra imbarazzo e felicità.
-Oh, non c’è di chè- fu la sua semplice risposta. Sembrava proprio che le cose fossero tornate tranquille.
-Comunque, Esme, giuro che non tornerò sull’argomento – aggiunse lui, facendo un lieve respiro – ma sappi che se avrai mai bisogno di confidarti, su qualsiasi cosa, io ci sarò per te. Perché siamo amici-.
“Amici”. Per qualcuno poteva sembrare incredibile, ma era la prima volta che udivo quella parola, carica di calore e umanità. E Kazi l’aveva enfatizzata così tanto, usando solo il timbro armonioso della sua voce. Ed ecco di nuovo quella sensazione alla base dello stomaco. Poi, quella nota agrodolce. Infine la voce nella mia testa.
“Esme, ti stai facendo coinvolgere…pensa solo al piano, o ti perderai”.

Mentre Kazi, Esmeralda, Clopin e la piccola Djali erano quasi arrivati alla loro metà, a San Pietroburgo qualcuno stava architettando un nuovo malefico piano. Klod Frollo, che aveva sfogato la sua rabbia sfogliando libri e manuali antichi, era in procinto di creare un’arma infallibile. Qualcosa di più subdolo di una corsa impazzita verso il burrone. Più invitante di un comodo viaggio in treno. L’uomo vestito in nero, chiuso nel suo studio poco illuminato, rovistava col mestolo una specie di pozione dal colore violaceo.
-Questa volta non mi scapperai, principe Kyazimodo. Aspetto con ansia il tuo prossimo sonno e allora non ti sveglierai mai più- proferì Frollo, mentre versava un po’ di quella miscela in una boccetta di vetro. Il falco di Febo era da poco tornato con nuovi aggiornamenti, e il tiranno gli affidò la sua preziosa creazione che sarebbe arrivata a destinazione. Tutto era ormai pronto e Frollo già pregustava il sapore della completa vendetta. 

 

   
 
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