COSA RESTA DELL’IMPERO?
Cosa resta dell’Impero
se non queste rovine?
Il bardo dice il vero,
al Male non c’è fine.
Sulla gloria degli antichi
camminiamo fingendoci ritti,
evoluti e tecnologici i nostri
maschi,
oltre la logica i nostri nuovi riti;
statuine di divinità perdute
decapitate dal tempo e dai trattori;
siamo in tempi di giornate infauste,
non controlliamo più i nostri umori;
i romani qui costruivano
terme, coltivavano terre,
adesso sono solo latifondi
di persone senza scrupoli;
dell’edilizia ormai involuta
restano mura spoglie di case vecchie,
la retta via è ormai perduta,
anche le nuove ville sembrano
catapecchie;
degli antichi splendori
restano queste pietre spezzate dagli
aratri
e dai trattori;
pezzi d’ossa di chissà chi,
di chissà cosa
riaffiorano assieme a frammenti di
mosaico
e di anfore ancestrali;
per le necropoli nessuna pace,
emergono distrutte e avvolte dalla
calce;
siamo una civiltà che, per il futuro,
ha deciso di perdere il proprio
passato;
siamo persone menefreghiste
che le cose d’altri spacchiamo;
siamo uomini che ci odiamo
e ci facciamo la guerra, come fauni
dispettosi;
guardiamo nel cellulare
e non il disastro che ci circonda,
una società senza fondamenta
è una realtà pronta a vacillare
al primo terremoto sociale;
e fin qui, tutto chiaro,
ma io tra questi campi
frutto del poco rispetto verso la
Terra
mi sono perso, come ho perso le rime
di questa poesia;
sarà che strada facendo
si cambia,
nulla resta come prima.
E la memoria resta qui,
perduta in questo sito archeologico
in malora,
dove gli aratri hanno fatto spazio
alle colture industriali,
ai veleni, ai mercenari odierni
dell’agricoltura;
eppure, duemila anni fa qui c’era
splendore,
vita,
nel vento quasi odo ancora le risate
degli antichi
tra anfore di vino, statue di
divinità,
con gli antenati sepolti a pochi
passi
e ormai nell’aldilà;
adesso non restano più nemmeno
gli uccelli migratori,
né verdeggianti giardini;
resta solo il pesante puzzo dei
veleni chimici,
intenti a produrre verdura fresca in
gran quantità
per le nostre tavole imbandite.
NOTE DELL’AUTORE
A un chilometro da casa mia, in un punto ormai di aperta
campagna dove adesso non c’è nulla se non la puzzolente e avvelenata verdura
prodotta in quantità industriale per le nostre tavole, riaffiorano rovine di un
antico sito romano. Si tratta probabilmente di una residenza tardo-imperiale,
dove riaffiorano pezzi di coccio, di anfore, di mosaico, di pavimenti, di vita
quotidiana di allora.
Il sito è andato in rovina, tempo fa alcuni archeologhi hanno
estratto diversi frammenti di statue e reperti vari ora conservati presso il
museo cittadino. Si tratta dei resti di Forum
Popili, quando la città sulla Via Emilia era uno splendore.
Ora non resta più molto altro, solo frammenti distrutti dai
lavori agricoli. La fine senza voce del patrimonio archeologico italiano, che
muore nel silenzio di una pandemia e nel completo disinteresse di una società
che guarda solo avanti.