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Autore: Alarnis    06/03/2021    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nemici e Amici

 
“Vivremo sempre assieme.” rifletté sicuro il bambino più grande accennando con la testa il suo proposito: un taglio disarmonico dei capelli scuri in occhi freddi come l’acciaio, che tuttavia in quel momento brillavano di luce.
“Vivremo nella foresta e io farò il taglialegna.” continuò programmando il loro avvenire, mentre il viso del più piccolo si incupiva inizialmente nel pensare di vivere in una foresta, la casa delle streghe, ma che di fronte alla sua sicurezza, annuiva in assenso fosse un’ottima idea. Del resto i taglialegna nelle favole vincevano sempre.
Da quando Nicandro era stato consegnato alla zia Matilda, madre di Moros, i due cugini, avevano legato più che fossero fratelli. Un incendio aveva distrutto i beni e la famiglia di Nicandro, lasciandolo unico superstite ma non esente da molte bruciature sul braccio e gamba sinistra. La perdita dei genitori il motivo per cui una vecchia vicina si era decisa a condurre Nicandro dalla zia per convincerla ad occuparsene.
“Uno più o uno meno.” aveva scrollato le spalle Matilda. Se ne sarebbe disinteressata comunque e Moros, poco più che tredicenne, non aveva avuto dubbi su questo!
Infatti, Matilda era stata svelta a scaricarlo agli altri figli, ma con talmente tanta noncuranza da convincere Moros a reagire e comportarsi all’opposto di quanto la donna si aspettasse, facendo del suo meglio per far sentire Nicandro a proprio agio.
Nicandro gli si era seduto accanto, sul pavimento, in silenzio.
Le loro mani si erano strette, per dormire si erano avvicinati, nelle passeggiate si erano affiancati, diventando a poco a poco uno parte dell’altro.
Braccioforte lo lasciò raccontare della sua vita, come lui aveva fatto altrettanto con l’amico.
“Ecco siamo arrivati!” annunciò sollevato l’omone, “Questa notte dormiremo qui.” indicò il capanno con il grosso dito.
Questa volta fu Moros a frenare l’amico intimando il silenzio; facendo il segno con l’indice ci fosse probabilmente qualcuno: appesa ad asciugare c’era una brocca lucida e, colpita dal sole sembrava essere stata lavata da poco.
Braccioforte sembrò orgoglioso di lui e allo stesso tempo seccato di non averla notata, prima che Moros non lo spingesse di malo modo, urtandolo maleducato.
“Che fai?” sbottò Braccioforte, girandosi e vedendolo allargare le mani con i palmi aperti “Scusa, non è colpa mia!” disse Moros.
Dietro a Moros un giovane dai capelli rossi e dal viso pallido puntava una spada alla schiena del giovane.
Un nome sfuggi a Braccioforte “Alberico!”, indietreggiando, mentre questi annunciava incredulo “Tu?”.
“Che mi prenda un colpo?” si accavallò al rosso un uomo bruno dagli onesti occhi azzurri. “Braccioforte!” lo accolse, come gli fosse commilitone.
Vecchi compagni lo erano davvero. Sotto il comando di Zelio, dai tempi di Iorio e Alberico e Federico anche con Ludovico, di cui erano sempre stati inseparabili amici.
“Ludovico Chiarofosco? Siete ai suoi ordini?” esclamò Moros non riuscendo a restare zitto, intervendo. Non ci volle molto perché li seguisse dentro il capanno.
Ludovico lo accolse come un nemico: in maniera guardinga, fissandolo con labbra all’ingiù quasi fosse indeciso se lasciarlo in vita. Non aveva un viso amichevole, ma viste le circostanze Moros poteva comprenderlo.
Era un giovane alto, di spalle larghe e fisico atletico. Più alto di Moros di una decina di centimetri. I suoi capelli erano biondo castano e grosse lunghe ciocche cadevano davanti il viso fino alle sole guance. La fronte era ampia e lasciata scoperta. Gli occhi erano verde arancio.
“Qual cattivo vento ti porta da noi!” parlò inclemente Lodovico rivolto a Braccioforte “E’ dalla morte di mio padre che non ti vedo!” indagò sottile.
“Mia moglie è morta!” tagliò corto l’amico, mettendo in chiaro avessero perso entrambi persone care.
“Sì!” accettò Ludovico con un tono della voce greve. Poi investigatore “Ho sempre pensato fosse più che una coincidenza!” chiarì. Gli occhi fissi sull’espressione di Braccioforte, quando indagò “Tuttavia ho trovato sospetta la tua decisione di congedarti dal castello, pur non avendo prove per muoverti accuse.”. Lo condannava di aver preso parte all’assassinio del proprio padre.
Braccioforte trattenne la sua furia, stringendo un pugno, finché non divenne livida l’intera mano. “La pernice gliela diede Zelio in persona, ma che prove avevo?” perse le staffe, prima a parole, poi scagliando un pugno sulla parete, tanto da far scuotere l’intera costruzione, che vibrò.
Federico frenò l’amico invitandolo a calmarsi. Il tetto di paglia e fascine, scuotendosi, fece cadere un leggero nuvolo di polvere: quasi un soffio di cenere che finì addosso a tutti loro.
La situazione era tesa ma liberatoria allo stesso tempo, per entrambi.
Zelio era la causa di tutto! Lui il responsabile della morte di Iorio e di Betta. Lui l’artefice della presa di Rocca Lisia.
“Mi vendicherò!” promise Ludovico: lo sguardo acceso. Gli occhi tizzoni ardenti.
“La vendetta, non riporterà in vita Betta.” lo esortò Braccioforte, subito dimensionato da Federico che augurava “Rocca Lisia è la nostra casa! Dobbiamo batterci per lei.” disse orgoglioso “Per te!” confermò lealmente al suo signore.
“Hai ragione.” approvò solo in quell’istante il biondo giovane.
“Per vendetta o per orgoglio.” approvò il rosso Alberico, sbilanciando il suo pensiero, che non escludeva a priori nessuno dei due sentimenti.
Moros sentì di poter intervenire. “Qual è il vostro piano?”.
   
 
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