III
Farris si versò
l’ennesima tazza di caffè. Su Elysian una
giornata durava trenta ore, ed erano più o meno le quattro
del mattino, quindi
il sole azzurro non sarebbe sorto per altre quattro ore, eppure lui era
completamente sveglio, e non era colpa soltanto della troppa caffeina
che gli
scorreva nel sangue: da quando la radio-sonda era tornata senza nessun
messaggio avvertiva una sorta di peso sullo stomaco che gli impediva di
riposare. Un rumore di passi lo spinse a voltarsi: il comandante in
seconda
Brent, la divisa stropicciata e lo sguardo stanco, era appena entrato
in sala
mensa.
«Anche lei in piedi,
Capitano?» chiese con tono strascicato.
«Purtroppo. E’
quasi una settimana che dormo poco e male, da
quando abbiamo lanciato la seconda sonda».
«Non
c’è nulla da preoccuparsi, Comandante, e lo sa
anche
lei. Ben presto la sonda rientrerà con buone notizie dalla
Terra».
«Se credi davvero che non
ci sia nulla di cui preoccuparsi,
perché neanche tu riesci a dormire?».
Il comandante in seconda scosse le
spalle, poi si avvicinò
al tavolo e si versò a sua volta una tazza di
caffè: «Colpito e affondato. Lo devo
ammettere, da quando ho visto quei banchi di memoria vuoti provo un
certo
disagio, e non aver capito cosa sia successo non ha contribuito a
conciliarmi
il sonno».
Dopo che il capo Wulf aveva fatto
rientrare la prima
radio-sonda con i comandi in remoto, lui, Brent e Nakadawa avevano
passato due
giorni e due notti a smontarla, analizzarla e rimontarla, nel tentativo
di
capire che cosa non avesse funzionato. Senza risultati: se il guasto
c’era, non
si vedeva.
«Capita, a volte, che la
tecnologia crei dei problemi senza
motivi apparenti - continuò Brent, per poi bere un sorso
dalla tazza - Sono
certo che domani la seconda sonda rientrerà con notizie
fresche».
Il comandante scosse la testa; sapeva
che non c’era alcun
motivo logico per preoccuparsi, ma nel profondo del suo cuore si era
annidato
qualcosa, una sensazione che non lo lasciava in pace un attimo. Sentiva
che
dietro al viaggio a vuoto della prima sonda c’era qualcosa di
più di un
semplice guasto meccanico; non era nulla di chiaro, solo un inquietante
campanello d’allarme.
«Spero che sia
così, Erik. Lo spero veramente» fu tutto
ciò
che riuscì a dire con voce tombale.
Il giorno dopo, non appena Nakadawa
annunciò che la
radio-sonda era entrata nel sistema, il comandante, Brent, il
guardiamarina Liu
Li Park e il capo Wulf si riunirono nella sala radio, ansiosi di
ricevere le
notizie giunte dalla Terra.
«Bene, inizio il download
del contenuto dei banchi di
memoria della sonda» disse Nakadawa, muovendo rapidamente le
mani su un
monitor.
«Finalmente avremo una
risposta» disse Brent, che mascherava
il nervosismo stringendo la mano destra con la sinistra.
«Per fortuna è
arrivata - proseguì Park - I civili hanno
iniziato a fare domande: sapevano che la risposta sarebbe dovuta
arrivare una
settimana fa. Qualcuno iniziava a preoccuparsi.
«Non
c’è nulla da temere. Solo un piccolo ritardo.
Bisogna
considerare quanto lontano ci troviamo dalla Terra, e quanti problemi
possono
crearsi per qualsiasi oggetto che li debba percorrere. Dopo sei anni,
pochi
giorni non cambiano nulla» dichiarò il capitano
Farris; sembrava, però, che con quelle parole
cercasse di convincere se
stesso quanto gli altri.
«Download completato -
dichiarò Nakadawa, e subito tutti si
avvicinarono alla radio - Va bene, sentiamo un po’ cosa ci
dicono» e premette
con decisione un punto dello schermo.
Dalla radio uscì solo un
fruscio indistinto. Il tenente
avvicinò il volto al monitor, stupefatto:
«No… non può essere…
riproviamo!». Mosse
di nuovo le mani, attese circa mezzo minuto, premette di nuovo. Ancora
fruscii.
Alzò lo sguardo cereo verso gli altri ufficiali:
«C’è…
c’è un problema,
signori. La memoria è di nuovo vuota! Niente messaggi,
nulla!».
«Verdammt,
impossibile!» sbottò il capo Wulf.
«Anche questa sonda era
danneggiata?» gridò Liu, esterrefatta.
«Impossibile, ho detto! -
sbraitò il capo tecnico, rosso in
viso e furioso - Gott im himmel, ho
controllato quella hurentochter di
una sonda quattro volte prima di lanciarla! Funzionava tutto, sarei
pronto a
giocarmi la testa su questo!».
«Deve esserti sfuggito
qualcosa, per forza!» si intromise
Nakadawa, una nota di paura nella voce.
«Nein,
non mi è
sfuggito nulla! - Wulf si voltò furibondo, verso
l’addetto radio - La sonda
funzionava alla perfezione! Dovete essere stati voi a impostare le
coordinate
sbagliate, la frequenza sbagliata!».
«Le coordinate erano
giuste, le ho controllate!» – urlò Liu,
offesa.
«E lo stesso vale per la
frequenza! Ho inserito quella
giusta!» proseguì Nakadawa, che iniziava a sua
volta a scaldarsi.
«Come fai ad esserne
sicuro?» chiese il capo, pungente.
«E tu come fai,
mangiacrauti?» urlò l’ufficiale
orientale,
alzandosi.
Il volto di Wulf divenne una maschera
di rabbia, ed il grosso
tedesco si avvicinò all’altro ufficiale con fare
minaccioso, urlando: «Sentimi
bene, schweinhund di un giapponese,
non ti permetto di…».
«BASTA!».
L’urlo del capitano
risuonò in tutta l’ala della nave,
ammutolendo i litiganti. L’ufficiale più anziano
si portò in mezzo alla sala
radio, attese qualche secondo, poi, con voce autorevole, disse:
«Litigare tra
noi non serve a nulla! Vediamo di calmarci tutti e di
ragionare». Fece una
pausa cercando di recuperare il fiato, poi aggiunse, con tono
più conciliante:
«Mi fido di voi come di me stesso, quindi se il capo Wulf
dice di aver
controllato a fondo la sonda, io gli credo, e se il guardiamarina Park
e il
tenente Nakadawa dicono di aver inserito i dati giusti, credo anche a
loro -
fece un’altra pausa, guardando il piccolo gruppo dei presenti
- Partendo da
questi presupposti, qualcuno di voi ha una spiegazione plausibile al
fatto che
non riusciamo a metterci in contatto con la Terra, se tutto funziona a
dovere?».
Gli sguardi degli ufficiali rimasero
bloccati a terra per
quasi un minuto, senza che nessuno avesse idea di cosa dire. Poi,
finalmente,
Nakadawa alzò la testa: «Io forse una spiegazione
ce l’ho».
Gli sguardi di tutti si posarono su
di lui, che, seppure a
fatica, continuò: «Può darsi,
semplicemente, che prima della partenza da Base
Luna ci abbiano dato un codice sbagliato di frequenza senza neanche
accorgersene. Basterebbe un numero errato per invalidare tutto. Forse
in questo
momento anche loro sono sorpresi quanto noi perché non
stanno ricevendo
messaggi da parte nostra. Forse, semplicemente, stiamo operando su
canali
diversi».
Tutti rimasero in silenzio,
rimuginando sulla semplicità di
quella spiegazione.
Brent non era del tutto convinto: i
radar disposti intorno
alla Terra dovevano aver rilevato la presenza delle sonde e, con un
po’ di
intuito, gli operatori dovevano anche aver capito da dove provenivano e
che,
evidentemente doveva esserci qualche problema, a causa del quale non
giungevano
messaggi. Se le cose stavano così, però, per
quale motivo non avevano spedito
loro una sonda? Prima che potesse dire qualcosa, però, il
capitano
intervenne: «Non
è un’idea insensata. In
effetti, può anche essere. A causa di un problema stupido,
ci ritroviamo a non
poter comunicare. La domanda fondamentale è: a questo punto,
cosa possiamo fare
per rimediare al problema?»
Questa volta fu proprio Brent a
rispondere, ingoiando le
proprie incertezze: «Una soluzione ci sarebbe: potremmo
riprogrammare la sonda
in modo che trasmetta e riceva, anziché su una frequenza
particolare, su tutto
lo spettro delle onde radio».
Farris fissò il suo vice
per alcuni secondi, stupito della
rapidità di quella idea: «Un po’
rudimentale come sistema, ma potrebbe
funzionare, o almeno credo» e si voltò verso
Nakadawa in cerca di conferma.
Il responsabile tecnico si
portò la mano al mento, con
sguardo pensieroso: «Dovrei riprogrammare completamente il
software della
sonda. La potenza del segnale sarebbe molto più bassa, ed i
banchi di memoria
dovrebbero essere ridotti in modo da poter posizionare delle batterie
ulteriori…
ma sì, posso farcela. Mi ci vorranno sei o sette ore di
lavoro, ma ci dovrei
riuscire».
«Perfetto, tenente. Lo
faccia» ordinò il capitano.
«E la gente della colonia?
- chiese il guardiamarina Park -
Si aspettavano di ricevere notizie già più di una
settimana fa, e molti
cominciano a innervosirsi. Cosa dobbiamo dirgli?».
«Gli diremo che le due sonde che abbiamo mandato avevano un problema al dispositivo di navigazione; adesso ce ne siamo accorti e lo abbiamo corretto nella terza. Erik, convoca quei rappresentanti che i coloni hanno nominato e spiega loro questa versione».
«E pensi che ci
crederanno?» chiese il secondo.
«Non lo so, ma spero che
vorranno crederci. Anche perché non
potremmo raccontargli la verità neanche volendo, visto che
non la sappiamo
neanche noi».
Gli altri ufficiali mantennero un
silenzio di approvazione.
«Bene, signori. Direi che
abbiamo parecchio da fare. Potete
andare».
Gli ufficiali si avviarono per uscire
dalla sala radio.
«Akira, Hans, aspettate un
momento».
Wulf e Nakadawa si bloccarono, poi si
voltarono. Erano
sorpresi: Farris non li chiamava mai per nome.
«Sentite, dovete fare una
cosa prima del lancio - il
comandante prese fiato – Voglio che programmiate alcune
videocamere perché
siano in grado di resistere al viaggio a velocità iperluce,
e che le
installiate sulla sonda, in modo che possano riprendere tutto
l'ambiente
intorno alla Luna e alla Terra».
I due rimasero in silenzio, stupiti.
«Inoltre, Akira, voglio che
tu riduca la permanenza
nell’orbita terrestre a trentasei ore, senza dirlo a nessuno,
così avremo un
po’ di margine prima di avvertire i coloni. Inoltre, quando
arriverà la
risposta, voglio che vengano avvertiti, oltre a noi tre, solo il
comandante in
seconda e la signorina Park. Non deve esserci nessun altro quando
ascolteremo i
messaggi».
Il capo Wulf non riuscì a
trattenere la sua sorpresa per gli
strani ordini: «Mein Gott, comandante, di che cosa ha
paura?».
«Non ne ho idea - rispose Farris cupo - E' proprio questo a farmi paura».