Anime & Manga > Cells at Work - Lavori in corpo
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Autore: Moriko_    07/03/2021    1 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [AA2153 centric]
"Nel profondo del tuo cuore un piccolo desiderio inizia a farsi strada. Vorresti iniziare un dialogo con quella voce che dal tono ti sembra amica, alla ricerca di una frase, o anche solo di una singola parola, che possa darti maggiore sollievo.
Quasi spezzata dalla commozione, quella voce - che proviene da una persona che ben conosci - riesce a prenderti per mano, quella mano gronda di sangue a causa dei violenti colpi che hai appena inferto, senza più lasciarla.
Intorno a te è ancora tutto nero, ma questo luogo non ti sembra più così soffocante come prima. Quando quella voce riprende a parlare, la ascolti con attenzione, senza battere ciglio e nella speranza che possa fornirti quell’aiuto che, in realtà, stavi inconsciamente cercando."

Anche nelle tenebre più cupe, dove ormai tutto sembra perduto, una voce arriva a rischiarare un animo affranto per i tragici eventi della vita.
[Capitolo 8 del manga | Episodio 11 dell'anime di Cells at Work! BLACK]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'From darkness to light'
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Fanfiction

Sommario. 

"Nel profondo del tuo cuore un piccolo desiderio inizia a farsi strada. Vorresti iniziare un dialogo con quella voce che dal tono ti sembra amica, alla ricerca di una frase, o anche solo di una singola parola, che possa darti maggiore sollievo.

Quasi spezzata dalla commozione, quella voce - che proviene da una persona che ben conosci - riesce a prenderti per mano, quella mano gronda di sangue a causa dei violenti colpi che hai appena inferto, senza più lasciarla.

Intorno a te è ancora tutto nero, ma questo luogo non ti sembra più così soffocante come prima. Quando quella voce riprende a parlare, la ascolti con attenzione, senza battere ciglio e nella speranza che possa fornirti quell’aiuto che, in realtà, stavi inconsciamente cercando."

Anche nelle tenebre più cupe, dove ormai tutto sembra perduto, una voce arriva a rischiarare un animo affranto per i tragici eventi della vita.

[Un'altra breve storia introspettiva, questa volta sull'episodio 11 di Cells at Work! BLACK e del corrispondente capitolo 8 del manga.

Seguito di "Abyss" e altro tentativo di 2nd person POV.]

 

 

VjaoeiX

Light.

 

 

 

 

Nel silenzio della tua stanza, nel profondo di quell’abisso nel quale ti ritrovi, lentamente la profonda angoscia che ti sta avvolgendo cede il passo a un altro sentimento che non hai mai provato.

Amarezza.

È una diversa forma di tristezza. Ciò che è accaduto ti brucia ancora nell’intimo, ma ora è diverso. Un senso di rassegnazione mista a rancore sta dominando la tua anima: rassegnazione che ha cancellato ogni segnale di fiducia per il futuro, rancore verso questo ambiente che non ha fatto altro che complicare la tua esistenza.

Il significato, l’importante valore del lavoro che hai imparato prima di essere catapultato in questo mondo non ha mai avuto ragione di esistere. Hai sbagliato tu ad illuderti, ad affezionarti a qualcuno e a credere che quel legame sarebbe durato per sempre.

Solo ora capisci il valore delle parole del tuo primo senpai, del sopprimere le emozioni per lavorare.

Forse, in questo mondo, sei tu quello inadeguato.

Inizi a pensare che sei tu quello sbagliato, perché hai sempre avuto pensieri e aspettative diverse dalla maggior parte di coloro che hai conosciuto. Inizi a pensare che non dovevi nascere in questo mondo, perché a differenza di altri colleghi non ti sei mai voluto lasciare influenzare dai precipitosi eventi e adeguarti a questo ambiente ostile, continuando ad avere la mente lucida e affollata da quei innumerevoli “perché” ai quali non sei mai riuscito a trovare una risposta.

Ma anche se fosse stato così, se anche solo una di quelle domande avrebbe avuto una logica risposta... a cosa sarebbe servito continuare a lavorare?

Per migliorare il mondo? Per una soddisfazione personale?

No - ormai lo sai molto bene: non esiste nulla di tutto questo. I vostri sforzi, i sacrifici che ci sono stati... non sono serviti a niente. È come se a nessuno - e in modo particolare all’intero organismo - davvero importi delle innumerevoli energie che ogni giorno dedicate al vostro lavoro: è come se questo ambiente stia provando indifferenza nei vostri confronti, restando fermo a osservarvi senza battere ciglio, con freddezza.... o, probabilmente, anche disprezzo, dal momento in cui tutti voi vi state trovando in questo inferno per sua volontà.

 

Ma lui... sarà davvero consapevole della nostra esistenza? Delle nostre sofferenze? Di qualsiasi cosa noi proviamo o pensiamo? Che tutto ciò che sta facendo ci sta distruggendo... anzi... sta distruggendo anche lui?

 

Forse non lo è affatto, ed è proprio questo che sta recando alla tua anima l’amarezza più grande.

A questo punto, un insidioso pensiero inizia a farsi strada nella tua mente.

 

Basta.

 

Con questo pensiero che aumenta il suo rimbombo minuto dopo minuto, riesci ad alzarti dal letto e ti affacci al balcone della tua abitazione. Dalle grigi nubi che riesci a scorgere da lontano, capisci che un’altra feroce battaglia si sta svolgendo in quella direzione, provocando altre innocenti vittime che sono state coinvolte, loro malgrado.

 

Io...

 

Ti senti sempre più perso, in questo mondo nel quale non riesci più a trovare lo scopo per il quale sei nato.

Non sarebbe servito a niente continuare a lavorare. Non puoi più farlo, non dopo ciò che è accaduto, non dopo aver tradito la fiducia di chi aveva sempre creduto in te.

Affezionarsi ad altre persone... nemmeno. In un attimo il pensiero vola ai tuoi kohai, al loro sguardo di fiducia e ottimismo nel lavoro che anche loro stanno svolgendo - lo stesso sguardo che anche tu avevi quando hai iniziato a svolgere l’importante compito che ti era stato assegnato.

Prima o poi... anche loro...

D’altro canto, non ti senti più nella posizione di fare loro da maestro. Cosa potresti insegnare a loro, se in questo momento ti stai sentendo un pessimo esempio di vita?

Proprio tu, che agli occhi di tutti sembravi essere una persona da ammirare: un instancabile lavoratore, che è sempre riuscito a mettere in pratica tutto ciò che aveva imparato in passato; una persona gentile e disponibile con gli altri, capace di alleggerire il carico del lavoro di chi è arrivato dopo di te e ha ancora così tanto da imparare.

Proprio tu, che sembravi così innocente... e, invece, ti senti macchiato di una grave colpa: sei stato il responsabile della morte del tuo migliore amico, e sei stato a un passo dal mettere a repentaglio la vita dei vostri colleghi.

Che razza di lavoratore modello potresti essere, se finora non hai fatto altro che tradire la fiducia di chi aveva sempre creduto in te? Hai commesso fin troppi errori... e, sì: arrivi a pensarlo.

Forse sarebbe meglio se...

Così la tua mente si offusca sempre di più, precipitando nelle tenebre più profonde di quell’abisso che l’ha avvolta.

Volti le spalle a quel lontano scenario di cruenta lotta e rientri nella tua stanza. Ti guardi intorno, dando un’occhiata fugace a ogni dettaglio di quell’angolo dove finora ti sei rifugiato, lontano da un mondo tragico.

L’ultimo oggetto che ti soffermi ad osservare è quella fotografia, che è finita sul pavimento in un impeto di rabbia non appena sei rientrato nella tua dimora.

Ti viene di nuovo da piangere, ma cerchi di stroncare sul nascere tutte quelle lacrime che vogliono sgorgare dai tuoi occhi ancora lucidi. Di fronte a quell’immagine colma di gioia ripeti in pensiero un continuo «Mi dispiace», perfettamente consapevole che anche se quelle parole fossero uscite dalle tue labbra, non sarebbero mai arrivate al destinatario... perché quella persona non è più in grado di udire la tua voce, mai più.

E questo provoca in te ancora più dolore.

A fatica riesci a distogliere lo sguardo da quella fotografia e la lasci lì, senza rimetterla al suo posto; poi ti dirigi verso la porta d’ingresso. Questa volta non indossi la giacca e il cappello, come hai sempre fatto: pensi che non ti serviranno per ciò che hai in mente di fare.

In fondo... non stai tornando a lavoro. Non sei più in grado di farlo.

In un caso del genere, quando non si hanno più le capacità necessarie per svolgere al meglio i propri doveri, resta solo una cosa da fare.

L’ultima, quella estrema.

 

... voglio farla finita.

 

 

 

Ti rendi conto di aver toccato il fondo di quell’abisso quando niente riesce a persuaderti dal fermarti. Nessuna voce sembra essere in grado di aiutarti a risalire quel baratro, così da poter rivedere nuovamente la luce.

La tua anima, già percorsa da mille crepe per le dure prove che la vita ti ha messo davanti, si è infranta in quel brusco impatto con il fondo di quel precipizio. Per quanto provi ad alzare più volte lo sguardo verso l'alto, ti sembra di vedere solo nero: sei immerso nel buio più totale, quello che riesce a assorbire ogni tentativo di bagliore che vuole illuminare il fondo dove ti stai trovando.

C’è una voce, dolce e sottile, che ti sta implorando di fermarti. Per quante volte cerchi di ignorarla, quella voce è sempre lì: così ostinata nel voler esserti d’aiuto, ma allo stesso tempo così flebile al punto da non riuscire più a distinguerla nella miriade di urla che si sono elevate in quel luogo.

In quella caduta tu sei morto. La tua anima lo è, sebbene ogni arto del tuo corpo continui a muoversi: in realtà volevi farla finita anche fisicamente, ma non te l’hanno permesso perché - per questo mondo - tu hai ancora il diritto di vivere, nonostante tutti gli errori che hai commesso.

Anzi: hai il dovere di continuare a vivere.

Com’è possibile? - ti sei chiesto più volte, ma nessuno è riuscito a darti una risposta. L’unica che ti è stata data è che sei ancora in grado di lavorare, e quella risposta per te è stata troppo assurda quanto priva di fondamento.

È stato proprio in quel momento che, mentre stringevi i pugni, hai sentito l’impatto con il fondo del baratro nel quale stavi precipitando: in quel momento la tua anima è morta, ormai incapace di ragionare con lucidità.

Così hai avuto un altro pensiero. Se non potevi scomparire del tutto da quel mondo, potevi fare in modo di usare il tuo corpo in un altro modo: alzare lo sguardo verso il cielo e urlare la tua disperazione, mettendo insieme tutte le forze che ti sono rimaste per aumentare il tuo furore.

Ti è bastato un attimo per riuscire a liberarti dell’involucro che teneva a freno la tua rabbia, lasciandola finalmente libera di scatenarsi. Perché, laddove non basta svolgere il tuo lavoro per migliorare la situazione... esiste un altro modo per cercare di far capire all’organismo che la situazione è disperata.

La ribellione.

 

«Datti una svegliata, stronzo!»

 

Tra i rumori dovuti ai forti colpi che stai dando alle macerie, quella voce che ti sta chiamando sta diventando sempre più debole. La rabbia è troppo forte, al punto che inizi a usare i tuoi pugni contro le macerie fino a farli sanguinare, e la tua anima è troppo a pezzi per riuscire a placare il suo furore.

Non vuoi fermarti, non puoi fermarti dal fare del male a questo mondo... non dopo tutto quello che ti ha fatto, che vi ha fatto.

«Non fermarmi!» urli con grande disperazione, per cercare di mettere definitivamente a tacere quella voce che ti sta supplicando. Speri di non sentirla più dopo il tuo grido di rabbia mista a sdegno, perché questa volta sai di avere ragione, di fare la cosa giusta: questo mondo ha scelto il linguaggio della sofferenza per parlare a voi, ed è proprio attraverso la sofferenza che ora vorresti rivolgerti a lui.

Fargli del male, restituendogli tutto ciò che voi avete patito, in un certo senso.

Dopotutto è questo che si merita un individuo del genere... no?

 

Ma è proprio in quel turbinio di pensieri che, in un attimo, riesci a fermarti. Lo fai perché qualcuno ha bloccato i tuoi movimenti... non in modo brusco, anzi: lo ha fatto nel modo più gentile che entrambi conoscete.

Un abbraccio.

Resti immobile, senza cercare di liberarti da quella dolce presa. Vedi ancora tutto nero, ma in questo ambiente oscuro qualcosa è cambiato: quell’abbraccio sembra aver placato la tua rabbia, e questa volta ti fermi ad ascoltare le parole che sono rivolte a te, proprio a te.

«Hai assolutamente ragione. Però fare questo non serve a nulla.»

Non solo quell’abbraccio: ora anche quella voce sembra placare il tuo animo affranto. Non riesci a contraddirla, a dirle che c’è qualcosa di sbagliato in ciò che ti sta dicendo - e questo non perché è una voce a te familiare, ma perché sembra essere in grado di leggerti nel pensiero.

In fondo non ti sta rimproverando per ciò che stavi facendo... anzi: ti ha dato ragione.

Così senti di poter confidare a quella voce tutto ciò che stai provando e il perché di quella tua azione improvvisa e ribelle, che contrasta con il tuo essere pacifico.

 

«Questa è l’unica cosa che posso fare, ormai. Non c’è altra scelta che lamentarsi col corpo.»

 

Nel profondo del tuo cuore un piccolo desiderio inizia a farsi strada. Vorresti iniziare un dialogo con quella voce che dal tono ti sembra amica, alla ricerca di una frase, o anche solo di una singola parola, che possa darti maggiore sollievo.

Quasi spezzata dalla commozione, quella voce - che proviene da una persona che ben conosci - riesce a prenderti per mano, quella mano gronda di sangue a causa dei violenti colpi che hai appena inferto, senza più lasciarla.

Intorno a te è ancora tutto nero, ma questo luogo non ti sembra più così soffocante come prima. Quando quella voce riprende a parlare, la ascolti con attenzione, senza battere ciglio e nella speranza che possa fornirti quell’aiuto che, in realtà, stavi inconsciamente cercando.

Di quelle parole che ora ti sono rivolte, in particolare una emerge più volte.

 

«Ti capisco. Capisco fin troppo bene il tuo dolore.»

 

Capire ciò che provi.

Ti è sempre sembrato che nessuno l’avesse fatto, prima d’ora: in questo mondo è stata sempre data la priorità alla parola lavoro, quel lavoro nel quale era necessario sopprimere ogni forma di emozione, per non essere coinvolti nella tragicità degli eventi che ogni giorno accadono.

Non c’è mai stato spazio per l’angoscia, il pianto, la rabbia: sentimenti che sono sempre stati inghiottiti nel ritmo frenetico di una vita senza pause, dove la parola d’ordine è sempre stata “lavoro”.

Ti è sempre sembrato che nessuno avesse mai sofferto, che bisognava provare indifferenza, la stessa che questo organismo sembra rivolgere nei vostri confronti.

Invece... in un attimo, scopri di aver sbagliato ad aver creduto in una cosa del genere.

 

«Per quello soffriamo tutti. Io stessa ho perso più volte le speranze per questo mondo.»

 

Scopri di non essere più il solo ad aver provato quei sentimenti contrastanti, a esserti chiesto tutti quei “perché” che non avevano mai trovato risposta, non perché erano i tuoi dubbi a essere fuori luogo ma perché, in realtà, nessuno aveva mai saputo darti una risposta.

Tutti soffrono in questo mondo - nessuno escluso - e, per quanto si impegnino per svolgere al meglio i lavori che sono stati assegnati, di fronte a un ambiente nero ciascuno di loro ha avuto dei momenti di cedimento. È accaduto nel silenzio della loro intimità, lontano da tutti, per un motivo molto semplice: dovevano mostrarsi forti, soprattutto per coloro che sarebbero venuti dopo di loro, perché sapevano che prima o poi anche loro sarebbero caduti in quello stesso baratro dal quale è sempre stato difficile risalire... ma non impossibile.

Lo hanno fatto per dare conforto, e cercare di alimentare la fiamma di quella flebile speranza che ogni giorno rischiava di spegnersi.

 

«Anche se siamo tutte diverse, ognuna di noi svolge il proprio dovere per proteggere questo mondo. Il compito di noi che restiamo è proseguire l’opera delle compagne che ci hanno lasciate prematuramente cercando di proteggerlo, non distruggerlo.»

 

Per quanto questo mondo stia cadendo a pezzi... è pur sempre la vostra casa. È il luogo dove siete nati, ed è lo stesso luogo che ha dato vita ai vostri cari che vi hanno preceduto, gli stessi che non hanno esitato - nemmeno per un solo istante - a dare la loro vita nella speranza di costruire un mondo migliore.

«Devi averne cura», già.

Loro si sono sacrificati per te, per lei, per ciascuno di voi. Lo hanno fatto per proteggervi, senza tirarsi indietro, per la fiducia che hanno sempre riposto in voi e con la speranza di lasciare ogni cosa nelle vostre mani. È vero: non sapete ancora se un giorno riuscirete a cambiare questa terribile situazione, anche solo di poco, però il loro sacrificio non è stato del tutto vano.

La loro scomparsa non è stata colpa vostra: non siete stati voi a ucciderli ma, piuttosto, sono stati loro a scegliere il sacrificio. Sarebbero potuti fuggire e lasciarvi al vostro destino, ma non l’hanno fatto per proteggervi, perché vi hanno voluto bene e non avrebbero mai voluto vedervi morire.

Proprio come ha fatto il tuo migliore amico, che in quegli ultimi momenti ha dimostrato un coraggio che mai avevi visto prima in lui.

 

«Non è colpa tua se lui è morto.»

 

Di fronte a questa nuova consapevolezza i tuoi occhi si spalancano, e la nebbia nella quale la tua anima era immersa inizia a diradarsi.

 

«Smetti di incolpare te stesso. Non farti carico di tutto da solo.»

 

Accanto a quelle ultime parole, un piccolo raggio di luce inizia a rischiarare il tuo animo affranto, e all’improvviso torni a vedere ogni cosa, sia il mondo che ti circonda - che è ormai un cumulo di macerie - che l’identità di quella voce amica che non ha fatto altro che confortarti e restarti accanto in questo momento difficile della tua vita.

Non sei più sul fondo di un tetro baratro, e ti rendi conto di non essere più da solo.

Le lacrime tornano a scorrere impetuose, come se avessero finalmente trovato la giusta energia per distruggere quel grande ostacolo che le teneva ancorate agli occhi.

È un pianto di disperazione? Di sollievo? Non lo sai ancora bene: sai solo che ora vuoi lasciarti andare a quel pianto liberatorio, incurante se gli altri lo odano o meno. Anzi, in questo momento non ti sta importando di loro... perché vuoi dare libero sfogo ai tuoi sentimenti e lasciarti cullare dal calore di un gesto amichevole: una mano sulla spalla, che ha lo stesso vigore di quell’abbraccio nel quale eri stato accolto poco prima.

Ti senti di nuovo come se ti trovassi in una bolla, che ti isola da ogni cosa che ti circonda e dove il tempo sembra essersi fermato. Ma questa volta, rispetto a prima, non sei da solo: in quella bolla di apparente solitudine siete in due, e per te l’unica cosa che conta è il restarci il più a lungo possibile, perché senti di averne bisogno.

Le parole che ti sono appena state rivolte ti sono state di grande conforto. Lo è la sua presenza, la presenza di quella leucocita, e lentamente inizi a renderti conto del grande peso che tutto ciò sta avendo sul tuo animo affranto.

 

Non sono da solo. Non sono l’unico a soffrire... non sono io quello sbagliato in questo mondo!

 

Ti rassicuri, sapendo che non sei il solo ad affrontare una difficile battaglia, dove tutti possono morire da un momento all’altro e dove è in gioco la sopravvivenza non solo delle singole esistenze, ma di un intero sistema che inizia a cedere.

È la battaglia della vita, di quella vita che ora ti sembra più sopportabile da affrontare, al fianco di quella persona che hai sempre ammirato.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

È da una settimana che ho in progetto di scrivere una sorta di seguito di "Abyss", perché non volevo far finire quella scena nella totale depressione e disperazione.

Da lettrice del manga sapevo già a grandi linee cosa ci aspettava nell'episodio 11 del BLACK... però ho preferito aspettare proprio l'uscita dell'episodio prima di buttare giù "altre due righe" (per modo di dire perché questa storia è ancora più lunga di quella precedente, aaah!)

E, vi dirò: ho fatto bene ad aspettare. L'episodio è stato struggente: ha avuto un focus ancora maggiore su ciò che il manga ha già raccontato... e dannazione, anche questa volta ha fatto male. In senso buono, rispetto a quella precedente.

Io che so già come va a finire l'intera storia non vi nascondo che ho trovato dei paralleli con altri due capitoli del manga, il 43 e il 48, dove viene ripreso proprio il significato del compito di coloro che finora sono sopravvissuti... ma qui siamo ancora all'inizio, per cui niente spoiler sul futuro. Per ora vi basti sapere che quello di coloro che restano in vita è un tema che ritornerà più volte nella serie (insieme alle sofferenze, ma penso che lo avevate capito. XD)

Tornando alla mia storia, questa volta l'ho suddivisa in due parti, e in più ho evitato di parlare di ciò che è accaduto nella milza perché... sì: quella è stata fin troppo dolorosa e straziante per me. Avrei rischiato di fare un “Abyss 2” - non che questa non lo sia nella prima parte; ad ogni modo, questa volta non sono riuscita a scrivere qualcosa anche su quella scena: troppo, troppo intensa anche per una scrittrice come me che è abituata a trattare di argomenti angst...

Spero che il testo sia stato in grado di esprimere i tormentati sentimenti espressi in questo particolare e delicato momento della serie: anche questa volta ho scritto tutto di getto, lasciandomi guidare da ciò che l'ispirazione ha avuto da offrirmi.

Alla prossima!

--- Moriko

 

 

   
 
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