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Autore: BabaYagaIsBack    07/03/2021    0 recensioni
Vol. 2
In un corridoio d'ospedale, con il cuore incapace di placarsi, Jay si rende conto di come sia facile incasinare tutto. Mentre si aggrappa con ferocia alla speranza comprende che a Jace è bastato partire, a Seth confessarle il suo amore e a lei lasciare un messaggio in segreteria. Nulla più. I sensi di colpa allora iniziano a lambirle le caviglie, ancorandosi nella carne dei polpacci, e d'improvviso si scopre incapace d'affrontare ciò che le si prospetta davanti.
Impaurita e confusa, Jay arranca tra i rapporti logorati dalle sciocchezze tenute segrete. Fugge senza meta da coloro che fino a quel momento aveva creduto di non poter perdere, obbligandoli infine a levarsi le maschere - da quelle più sottili a quelle più pesanti.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter Three
§ The one to blame §
part two

 

"Love, I have wounds

Only you can mend
You can mend oh oh oh
[...]

Feel, my skin is rough
But it can be cleansed
It can be cleansed, oh oh ohAnd my arms are tough
But they can be bent
They can be bent
And I wanna fight
But I can't contend"

Can't PretendTom Odell

Apro gli occhi su un soffitto bianco latte, sentendo un peso familiare schiacciarmi contro il solito materasso che sa di casa, ma non di conforto. I raggi del sole entrano dagli spazi tra le tende, vi si riflettono sopra timidamente, ed io mi chiedo quanto e se ho dormito, esattamente come ieri - non nego di star ancora cercando una risposta. Queste due notti mi hanno sfiancata, facendomi perdere la cognizione di ogni cosa. Tra insonnia e incubi mi sono rigirata nel letto senza sosta, ho contato pecore e minuti, ho guardato in lontananza le foto appese alle pareti, lo schermo troppo luminoso di un telefono troppo silenzioso. Ho cercato il calore che sento mancare nelle coperte spesse, tra i cassetti dove conservo magliette rubate, prestate, richieste - tutto inutilmente.
Mi copro il viso con il braccio, incastrandomi nella piega del gomito e sospiro, esausta. Tutta questa situazione sta diventando estenuante.

Gli incisivi affondano nella carne del labbro, premono, ma ciò che ne ricavo è un fastidio che non riesce a distrarmi.

Sono passate settantadue ore da quando abbiamo fisicamente lasciato i corridoi del Queen Charlotte's and Chelsea, eppure la mia mente è rimasta lì, fremente. Osserva la porta verde salvia che divide la sala d'attesa dal pronto soccorso e aspetta, ansiosa, di poter varcare quella soglia per correre incontro a Charlie - ma non si può, né con la fantasia né con il corpo. I medici non ce lo permettono, dicono che è troppo presto, lui ancora troppo debole. Così restiamo aggiornati attraverso le brevi telefonate che Molly fa a Jace, raccontandogli che i momenti di veglia del figlio durano giusto qualche minuto e nell'arco di una giornata si possono contare sulle dita di due mani, quando va bene. Per quello che sappiamo, Charlie spesso si sveglia digrignando i denti, supplicando per degli anti-dolorifici; altre volte, più sporadiche, è troppo stanco per riuscire a dire più di qualche parola.
Non riesco nemmeno a immaginarlo. O più probabilmente non voglio, perchè mi uccide pensarlo lì, in quel letto che trasuda dolore, malattia e morte, che ha visto decine di altre persone prima di lui - alcune ben più fortunate, altre decisamente meno. L'aria, ogni volta che mi figuro il suo viso tumefatto, o il suo corpo costretto in bendaggi e sfigurato da lividi e punti di sutura, sembra rarefarsi a tal punto da potermi far cadere a terra, boccheggiante come un pesce strappato dal mare. Muoio lentamente sapendo di essere io il colpevole di tutto ciò - e se da un lato vorrei andare da lui, gettarmi in lacrime al suo collo e supplicarlo per il perdono, riversandogli addosso tutto ciò che ho provato, dall'altro vorrei sparire dalla sua vita, in modo da non potergli più fare alcun male.

Se lo merita, no? Dopotutto lui è bontà, gioia, amore...

Un singhiozzo, inaspettatamente, mi fa sussultare. Non riesco a fermarlo, esce di bocca prima che la volontà possa concepire cosa stia succedendo, e subito dopo sento le lacrime scendere ancora lungo le tempie. Svelte e calde si rifugiano tra i capelli, che ancora puzzano di quel sonno che non sono certa mi appartenga, per nascondersi, mortificate, vergognose.

Ogni volta che mi ritrovo qui, sola in questa stanza che mi pare stringersi su di me, come una gabbia, loro si palesano, ricordandomi ciò che vorrei dimenticare, cancellare, strappare dalla mente e dal tempo, riavvolgendo il nastro e tornando sul ciglio di casa Benton, in modo da lasciare un messaggio diverso.

Torna da me, sì, perchè ho bisogno di te più che di qualsiasi altra cosa al mondo.
Sali in macchina, raggiungimi, ma fallo pure con calma, che tanto ti aspetto. Hai capito, Charlie-boy? Io sono qui, non vado da nessuna parte perché l'unico posto in cui vorrei essere è tra le tue braccia, ora, gli direi proprio così.

Vomito un altro singulto, poi ancora uno. Mi tappo la bocca con la mano - e mentre il palmo soffoca il mio dolore, le unghie cercano di rompere la pelle della guancia, agganciarsi nella carne, e impedire alla voce di attirare qualsiasi persona presente in questa casa.

Non voglio che vedano.
Non voglio che chiedano.
Non voglio che sappiano.

Così resto nel mio letto a piangere ancora, come una vigliacca. Mi lascio intossicare da tutto ciò che ho fatto e provato in questi giorni, dalla colpa e dal dolore che non mi vogliono abbandonare, che sementano dentro di me mettendo radici. E da quel marciume nasceranno erbacce: cicuta, aconito napello, stramonio e abro che mi avveleneranno se Charlie non uscirà da quel fottuto ospedale e con le sue mani le sradicherà dal mio intestino.

Ma non so quando accadrà. Non ho date precise, sicurezze a cui aggrapparmi; e forse quando finalmente i nostri occhi si incontreranno ancora sarà già troppo tardi, il mio animo sarà sfigurato per sempre - e sarebbe la degna ricompensa per il casino che ho creato, giusto?

Toc toc.
Qualcuno d'improvviso bussa, io sussulto.
Le unghie finalmente riescono a graffiare sul serio, sono certa abbiano lasciato lievi mezzelune ai lati della bocca perché avverto il fastidioso bruciore dei tagli a fior di pelle - dovrò trovare un modo per nasconderli, non posso permettere che notino quanto stia andando a fondo.

«Tesoro?» La voce di mia madre giunge flebile da oltre la porta. «La colazione è pronta, se...» la sento titubare appena, incerta anche lei su come sia giusto comportarsi. E come biasimarla? Non era preparata a trovarsi in mezzo a una situazione come questa, nemmeno se lo sarebbe immaginato, ma nella mia visione egoistica delle cose, in un altro momento, forse lo avrei preteso. Oggi non credo di averne le forze, sono troppo occupata a combattere con me stessa.
Catherine non ha fatto nulla di sbagliato, sta provando a tamponare le ferite, seppur con dei mezzi del tutto privi di efficacia. Di punto in bianco si è trovata due dei suoi figli fatti a pezzi da una tragedia mancata. Li ha visti uscire felici, pronti per festeggiare, e poi è finita con l'andare a prenderli davanti ai cancelli di un ospedale: gli occhi gonfi, le guance segnate, i cuori torturati.
Nemmeno sforzandomi potrei incolparla per la sua ignoranza.
«Beh, se ti va di unirti a noi...»

Deglutisco a fatica, sforzandomi di togliere il braccio da davanti agli occhi.
Nuovamente il bianco del soffitto si palesa di fronte a me, mi assale. Più lo guardo, più sembra calare verso di me.

«Sì, arrivo» rantolo per inerzia, incapace di capire se sia davvero quello che voglio o meno. 

   
 
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