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Autore: Felpie    08/03/2021    3 recensioni
A quindici anni, Amy è convinta di sapere tutto ciò che ci sia da sapere sulla vita. Conosce la letteratura inglese, la matematica e la storia e ha una ben precisa opinione su diverse tematiche.
A quindici anni, Amy sa che cosa siano i sensi di colpa, che la birra non le piacerà mai e che non piangerà mai per un ragazzo.
...
A quindici anni, Amy è convinta di non sapere nulla di ciò che le riserverà il futuro: non sa se vuole andare al college, non sa se le piacerà mai la birra e non sa se ci sarà qualche ragazzo che riuscirà a fare breccia nel suo cuore.
A quindici anni, Amy sa che, per qualsiasi cosa, Jack sarà al suo fianco.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Jack McPhee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le donne lo sanno
C'è poco da fare
C'è solo da mettersi in pari col cuore
Lo sanno da sempre
Lo sanno comunque per prime
Le donne lo sanno
Che cosa ci vuole
Le donne che sanno
Da dove si viene
E sanno per qualche motivo
Che basta vedere
E quelle che sanno
Spiegarti l'amore
O provano almeno
A strappartelo fuori
E quelle che mancano
Sanno mancare
E fare più male
Possono ballare un po' di più
Possono sentir girar la testa
Possono sentire un po' di più
(Le donne lo sanno - Ligabue)






Alla veneranda età di quindici anni, Amy Lindley è convinta di sapere tutto ciò che c’è da sapere sulla vita. Conosce la letteratura inglese, la matematica e la storia e ha una ben precisa opinione su diverse tematiche. A quindici anni, Amy Lindley è la ragazza più bella di Capeside: gli occhi chiari sprizzano curiosità e furbizia, i capelli biondi sembrano brillare sotto il sole estivo, i boccoli dolci che le cadono lungo la schiena mentre corre – corre, corre ovunque, perennemente in ritardo – e il fisico perfetto, pur senza fare sport – nella squadra delle cheerleader non c’è voluta entrare, le era sembrata una cosa troppo banale – attira sguardi passionali da molti.

A quindici anni, Amy Lindley si è sentita dire il primo “no” di tutta la sua vita da suo zio Jack, alla richiesta di andare alla festa di Jason, un ragazzo dell’ultimo anno, nella sua villa con piscina. A nulla sono valse le sue suppliche e le sue lamentele: Jack è stato categorico, non vuole assolutamente che lei partecipi a quella festa, non quella sera.
Amy sbuffa, protesta e pesta i piedi e Jack non può dirle quanto somigli incredibilmente a sua madre in quel momento perché non manterrebbe ferma la sua posizione, altrimenti. Ma conosce Jason, gli ha fatto da insegnante e sa benissimo che tipo è e quella sera vorrebbe davvero che Amy restasse a casa con lui. Le ha proposto patatine fritte e film comico, una cosa che la ragazza ha sempre amato, ma lei è stata irremovibile.

“Se non mi farai andare alla festa, rimarrò chiusa in camera. Tu non sei mio padre, non puoi darmi ordini!” decreta, con un tono che non ammette repliche, prima di salire le scale e sbattere la porta con malagrazia.

Jack sospira, tornando in salotto a correggere il test a sorpresa somministrato quella mattina agli alunni dell'ultimo anno: non poteva aspettarsi niente di diverso da una ragazzina testarda e determinata come Amy, ma non per questo era stato facile. La situazione rimane invariata per tutto il pomeriggio e quando Doug torna dal lavoro ci mette un attimo a capire che c’è qualcosa che non va in casa.
“Le hai detto di no?”
“Ho sbagliato?”
Doug scuote la testa “No. Però mi sa che ceneremo da soli, stasera.”
“Mi ha detto che non sono suo padre e che non posso dargli ordini.”
Doug sospira, bacia il compagno e prepara la cena e poi, come giudice di pace, porta il piatto con pollo e patate alla ragazza; bussa ma, non sentendosi rispondere, apre comunque la porta.
“Ti ha mandato lui?” sibila Amy, le braccia incrociate sul petto, così strette che Doug ha per un attimo paura che la ragazza non respiri; Amy è seduta sul letto e guarda ostinatamente verso il muro, senza alcuna intenzione di girarsi verso lo zio.
“No. Ti ho portato la cena” replica l’uomo, appoggiando il piatto sulla scrivania “E per dirti che non è la fine del mondo, ci saranno altre feste.”
Amy lo fulmina con lo sguardo.
“Non guardarmi così, Amy. Ci saranno davvero altre feste. Fidati di me, ne devo stroncare una alla settimana ormai.”
Cerca di farla ridere, ma la nipote acquisita non varia di una virgola la sua espressione.
“Non puoi capire, zio. Dovevo andare a questa festa, mi ha invitato Jason in persona” sottolinea la ragazza, come se questo spiegasse tutto.
“Ti inviterà di nuovo.”
“Jason Wright non invita nessuno di nuovo. E nessuno dice di no a Jason Wright.”
“Questo Jason Wright è un cretino se non ti invita di nuovo.”
“Zio Doug, non puoi capire” ripete la ragazza, tornando a fissare il muro davanti a lei; l’uomo sospira.
“Ti lascio la cena. Mangia, d’accordo? Con la pancia piena ti sentirai meglio.”
“Non ho fame.”
Doug ignora l’ultima frase della ragazza e torna di sotto, dove con un’occhiata fa capire al compagno che non è andata molto meglio che a lui e che per quella sera dovranno rassegnarsi a mangiare da soli.
Non appena lo zio esce dalla stanza, Amy si alza dal letto e spalanca l’armadio: lei, a quella festa, ha tutta l’intenzione di andarci. Perciò si toglie rapidamente i pantaloni della tuta con cui stava in casa e la maglietta sporca con la macchia di salsa barbecue ormai indelebile e si infila un paio di jeans neri ed il giubbetto di pelle. Dopo essersi messa un filo di matita e un velo di mascara, afferra il telefono e le chiavi di casa e si cala giù dalla finestra: negli anni ha imparato che ci sono degli appoggi sul muro e che, con l’aiuto della grondaia e delle sporgenze, può scendere senza problemi – e, soprattutto, senza farsi vedere. Salire è più difficile, ma potrà passare dalla porta: per quando tornerà i suoi zii saranno già andati a dormire.

Si incontra con Sam, la sua migliore – e unica – amica nella via che si incrocia con quella di casa sua e insieme vanno alla festa.
“Non pensavo che i tuoi zii ti dessero il permesso” confessa l’amica.
“Non me l’hanno dato, infatti.”
“Sei scappata?”
“Uscita senza il loro permesso” la corregge Amy “Non mi lascerò sfuggire l’occasione di essere una quindicenne normale. È la prima volta che ci invitano ad una festa e che sembrano dimenticarsi che vivo con l’unica coppia gay di Capeside e io non ho intenzione di mancare.”
Quando le due ragazze arrivano alla villa, la festa è già in pieno svolgimento: la musica è altissima e si sente fin da fuori, ogni ragazzo ha un bicchiere in mano e tutti sembrano divertirsi; Amy e Sam si avvicinano al tavolo delle bevande e prendono una birra, facendo una smorfia subito dopo.
“Questa cosa è amarissima, come fa la gente a berla?”
“Magari dopo un po' inizia a piacere…” risponde Amy, pulendosi la bocca con la manica “Questa è la… seconda volta che beviamo la birra?”
“Terza, c’è stata anche quella volta a casa tua. Tuo zio se n’era accorto alla fine?”
“Aveva pensato fosse stato suo fratello a berla. È venuto a casa nostra un paio di giorni dopo, aveva degli avanzi di un matrimonio che avevano organizzato nel suo ristorante. Guarda, c’è Jason!”
Le due ragazze si girano verso il capitano della squadra di football della scuola: alto, ben piazzato e dai capelli biondo cenere, Jason Wright è il sogno proibito di gran parte della popolazione femminile della scuola. E sta andando verso di loro.
“Amy, sei riuscita a venire” esclama mellifluo, afferrando una birra “Sono contento di vederti.”
“Hai una bellissima casa, complimenti” risponde Amy, guardandosi intorno “Ma i tuoi genitori non ci sono?”
“Fuori città. Abbiamo tutta la notte” sogghigna il ragazzo “Vuoi venire a fare un giro? Sempre che la tua amica sia d’accordo.”
Le due si scambiano un’occhiata divertita e Amy ridacchia “È d’accordo.”
Il ragazzo sorride soddisfatto e trascina la ragazza da ogni parte, presentandola ai suoi amici, offrendole da bere e proponendole di ballare; dopo un po' Amy, ubriaca dall’alcol e dalle risate, non ci capisci più nulla e non riesce a smettere di sorridere e chiacchierare. Passa tutta la sera con Jason, che sembra molto contento della sua compagnia: la fa sedere sulle sue gambe, le sfiora il collo e le solletica la pelle, mentre Amy continua a ridere, allegra. Lo segue quando va in camera e ricambia il bacio quando le labbra del ragazzo si appoggiano sulle sue: sanno di birra e sono morbide, però la sua lingua è invadente, ma Amy non se ne cura. Non si cura nemmeno quando il ragazzo le infila una mano sotto la maglietta, né quando gli slaccia il reggiseno dopo averle tolto la maglietta; però, quando sente il bottone dei jeans saltare, la sua mente torna all’istante lucida: lei non ha mai fatto sesso e non sa se quello che vuole sia farlo così, ubriaca e con gente che continua ad aprire la porta sperando di trovare la stanza vuota.
“Aspetta…”
“Uhm… no…” mugugna l’altro, senza staccarsi dalle sue labbra.
“Puoi… possiamo… fermarci?”
“Perché… non ti piace…?”
“No, ma… sono… io non ho mai…”
“Non vuoi…?” mormora Jason, imprigionandola tra il suo corpo e il muro “Mi hanno detto che… ci sai fare, sai… ti ho invitato per questo... volevo vedere se era… vero…”
“Jason… mi lasceresti andare…?” domanda Amy, improvvisamente impaurita.
“Dai, Amy… non pensavo fossi così frigida. Sai... per una che vive con due gay…”
“Cosa c’entra?!”
“Credevo ti… avessero insegnato meglio… cosa si fa alle feste…”
Amy si irrigidisce, spaventata “Per favore, lasciami andare.”
“Amy, non fare la difficile…” continua l’altro, baciandole languido il collo e toccandole il seno.
“Ti ho detto di lasciarmi stare!” esclama la ragazza, spingendolo indietro e coprendosi con le braccia la pelle nuda.
“Cazzo, Amy, non rovinare tutto. Ci stiamo divertendo” sbuffa l’altro, avvicinandosi di nuovo, ma la ragazza afferra rapidamente la maglietta.
“Tu ti stai divertendo.”
“Sì, io. E allora? È questo che si fa alle feste. Se tu sei così sfigata da non essere mai andata alle feste forse i tuoi zii hanno sbagliato qualcosa. Troppo impegnati a scopare che a preoccuparsi di te?”
Lo sguardo di Amy si fa di fuoco: a quindici anni, Amy è una ragazza che sa cosa vuole e sa che cosa non vuole. E sicuramente non vuole ascoltare uno stupido giocatore di football insultare la sua famiglia.
“Sei un pezzo di merda, Jason.”
“Sai dire anche le parolacce? Quelle non sono troppo adulte per te?”
“Vaffanculo” dichiara la ragazza, uscendo di corsa, tenendosi la maglietta e il giubbino di pelle davanti al petto; nessuno fa troppo caso a lei, o forse sì, non le importa. Afferra la mano di Sam, seduta in disparte a bere dell’acqua da una bottiglietta e la trascina fuori di casa, prima che possa ribattere, e solo quando sono per strada si riveste, incurante che gran parte degli invitati l’abbiano vista mezza svestita.
“Che è successo?!” domanda preoccupata Sam.
“Nulla. Ti dispiace se andiamo?” taglia corto in fretta la ragazza; delle lacrime di rabbia le scorrono lungo le guance e non cessano nemmeno quando saluta l’amica. Non hanno detto una parola lungo la strada e Amy ha praticamente corso per rimanere da sola: si sente anche in colpa ad aver rovinato la serata all’amica, strappandola ad una festa in cui magari si stava anche divertendo, ma in quel momento la rabbia verso Jason supera qualsiasi cosa: non aveva alcun diritto di insultare la sua famiglia che, certo, perfetta non è, ma è comunque speciale. Non aveva alcun diritto di toccarla, di trattarla come un’oggetto e di dirle certe cose.

A quindici anni, Amy è convinta che i maschi siano degli stronzi e che le calde lacrime che le scendono dagli occhi in quel momento saranno le uniche che mai verserà per loro.

Torna a casa quasi di corsa nell’ultimo tratto ed è contenta di vedere le luci spente; apre dal portone d’ingresso, cercando di fare il più piano possibile e va in camera, dove entra in fretta e si chiude la porta alle spalle. Quando accende la luce, però, lancia un urlo: suo zio Jack è addormentato sul suo letto, i pantaloni della tuta e il vecchio pile a scacchi che si mette sempre la sera per evitare di prendere freddo sui reni. L’uomo sbatte le palpebre, come a capire dove si trovi in quel momento e si gira verso la figlioccia: la ragazza è immobile sulla porta ed è convinta che anche zio Doug si sia svegliato per colpa del suo urlo e che l’aspetti una bella ramanzina.
“Amy…” mormora Jack, mettendosi seduto e stropicciandosi gli occhi “Sei tornata… che ore sono?”
Una rapida occhiata all’orologio appeso al muro dà un’idea ad entrambi di che ore siano: è tardi, molto tardi, e Amy ha violato qualsiasi coprifuoco possibile e immaginabile – senza considerare il fatto che sia uscita senza permesso e di nascosto.
“Zio Jack… io…”
La voce della ragazza trema leggermente, nonostante tutti i suoi tentativi di farla uscire il più normale possibile.
“Sei andata alla festa?”
Amy abbassa lo sguardo e Jack scuote la testa.
“Zio… mi dispiace… avrei dovuto…”
“È successo qualcosa?” domanda intuitivo l’uomo, alzandosi ed incamminandosi verso la nipote; Amy si mordicchia il labbro inferiore, cercando di trattenere le lacrime, prima di correre contro il petto dello zio e nasconderci la faccia sporca di mascara colato. Gli sta macchiando il pile probabilmente ma né Amy né Jack sembrano curarsene più di tanto; Jack stringe la ragazza a sé, una mano tra i capelli e una mano sulla schiena, e Amy singhiozza piano, stringendo tra le dita il vecchio pile.
“Zio, io… mi dispiace, mi dispiace davvero” ripete la ragazza “Avrei dovuto darti retta, non sarei dovuta andare… le feste sono… orrende…”
“Amy, tesoro, io non ti ho detto…”
“Va tutto bene qui?”
Un Doug in pigiama si presenta assonnato alla porta, con l’aria da poliziotto che controlla la situazione.
“Mi dispiace averti svegliato, zio Doug…” si scusa Amy, pulendosi gli occhi con le mani e sporcandosi anche quelle inevitabilmente di nero.
“Ho letto adesso un messaggio di un collega: ha appena dovuto interrompere una festa per disturbo della quiete pubblica e per alcol libero ai minorenni… ne sai nulla?”
Ma mentre lo dice, sta sorridendo e Amy si sente più tranquilla – e molto contenta di essersene andata prima che venisse coinvolta anche lei nella retata. A quindici anni, Amy è convinta che i suoi zii la amino alla follia.
“Sono contento sia tutto in ordine anche qui” dichiara Doug, guardandosi intorno “La lascio a te, Jack, io torno a dormire. Avete una vaga idea di che ore siano?”
E con quelle parole si chiude la porta alle spalle, lasciando i due di nuovo soli.
“Alcol libero ai minorenni, eh?” commenta Jack.
“Non berrò mai più, zio. La birra fa schifo.”
“Per quanto questa frase mi sembra meravigliosa, la prenderò con le pinze. Sei ancora… giovane, potresti cambiare idea” risponde l’uomo “Anche a me all’inizio la birra non piaceva, sai? Dopo un po' ci si abitua, però, al suo sapore e lì arrivano i problemi…”
Amy sorride, con quel sorriso tanto speciale che fa sempre saltare un battito al cuore di Jack.
“Comunque il problema adesso non è l’alcol” riprende l’uomo, andandosi a mettere sul letto della figlioccia “E il fatto che pensi che Jason sia un tipo discutibile non è l’unico motivo per cui non volevo che partecipassi a quella festa.”
Amy aggrotta le sopracciglia “C’era altro?”
Jack sospira, facendole un cenno con la mano “Vieni qui, Amy.”
La ragazza, curiosa, si avvicina all’uomo e si sdraia accanto a lui, appoggiandogli la testa sul petto; Jack inizia ad accarezzarle i capelli, mentre con l’altra mano stringe quella piccola e morbida di Amy. Profuma di vaniglia, lo shampoo che usa ossessivamente, nonostante ci siano tracce d’alcol e di sudore, un odore tipico di chi torna a casa da una festa.

A quindici anni, Amy pensa che suo zio, che invece profuma di inchiostro, menta fresca e di curry per colpa della cena preparata da Doug, abbia l’odore migliore del mondo.

“Qualcosa mi dice che non ti ricordi che giorno è oggi, vero?”
Che giorno era, perché? Amy sicuramente non se lo ricorda e la stanchezza e l’adrenalina che sta abbandonando il suo corpo ora che è sdraiata a letto accanto a Jack non aiutano.
“È il compleanno di tua madre, Amy. O meglio, era, la mezzanotte è passata da un pezzo.”
“Me ne sono dimenticata…” ammette la ragazza, imbarazzata. A quindici anni, Amy sa che vuol dire avere dei sensi di colpa.
“Sì, lo sospettavo…”
“Scusami.”
“Non devi scusarti con me, Amy” mormora lo zio “Tu stai crescendo e lo capisco. Sembrerà strano ma tutti abbiamo vissuto il momento in cui volevamo scappare di casa. Io l’ho anche fatto, quando avevo solo un paio d’anni al massimo più di te.”
“Davvero? E dove sei andato?”
“Da tua madre. E dalla nonna” racconta Jack “E mi hanno accolto così bene che… ho trovato un’altra famiglia. Avevo la mia tazza personale, i miei cereali e un affetto che da tanto tempo non provavo più con la mia vera famiglia. Non è il sangue, a fare una famiglia, Amy.”
La ragazza si stringe un po’ di più al corpo dello zio che, per tutta risposta, la copre con la coperta del letto.
“Raccontami qualcosa della mamma, zio” mormora la ragazza.
“Cosa vuoi che ti racconti?”
“Qualsiasi cosa. Quello che ti viene in mente di lei. Qualcosa che non mi hai mai detto.”
“Questo è difficile, ti ho detto praticamente tutto” ridacchia Jack, grattandosi il naso.
“Quando hai capito che la mamma era la tua migliore amica?”
“Non c’è un giorno preciso, credo. E dire che Jen era la mia migliore amica è una cosa riduttiva… Tua madre era la mia anima gemella.”
Vedendo l’espressione perplessa della ragazza, Jack riprende ad accarezzarle i capelli, guardando il soffitto “Io amo zio Doug, è l’uomo della mia vita, ma tua madre… tua madre era qualcosa di più. Tua madre era la mia complice, tua madre sapeva ogni cosa di me senza che io avessi bisogno di confidargliela, tua madre era la mia perfetta metà.”
“Gliel’hai mai detto?”
“Oh sì, tua madre lo sapeva benissimo. E provava la stessa cosa per me” risponde Jack con un sorrisetto “L’anima gemella è una cosa diversa dall’amore della propria vita, Amy, e mi è servita tua madre per capirlo.”
L’uomo abbassa lo sguardo per osservarle gli occhi chiari, dove la curiosità ha scacciato via tutti i brutti pensieri e la rabbia.
“La vedo in te, sai? Ma non solo nei tuoi capelli biondi o nei tuoi occhi chiari. La vedo nel tuo modo di mettere il broncio, la vedo quando mi intimi di non mangiare troppi cereali, la vedo mentre balli per una canzone che passa alla radio. La vedo in te nei piccoli gesti ed è una cosa incredibile visto che non l’hai mai conosciuta.”
Jack le sposta una ciocca di capelli che le è caduta sulla faccia e si ferma con le dita a sfiorarle la fronte.
“Vi assomigliate tantissimo e ogni giorno me la ricordi di più. Sarebbe fiera di come sei diventata: una ragazza bella e intelligente e che sa quello che vuole.”

A quindici anni, Amy arrossisce alle parole dolci dello zio e pensa che avrebbe tanto voluto conoscere sua madre.

“Tu sei come un padre per me, zio Jack. Mi dispiace per quello che ho detto, non lo pensavo: sei quanto di più simile a un padre per me… e se il sangue non fa una famiglia, io sono contenta di far parte della tua.”
“Tu non sei parte della mia famiglia, tesoro. Tu sei la mia famiglia” la corregge Jack, divertito “Hai mai visto cosa tengo nel portafoglio?”
“Un preservativo?”
“Farò finta che tu non l’abbia detto e che tu non sappia cosa sia” risponde subito l’uomo, imbarazzato, mentre la ragazza ridacchia furbescamente “No, comunque, non ho un preservativo. Tu forse non te lo ricordi, ma quando eri in seconda elementare la maestra ti aveva dato il compito di disegnare la persona più importante della tua famiglia. E tu hai disegnato me… o meglio, credo che fossi io, mi ero riconosciuto dai capelli neri e dalla maglietta dei Lakers che amavi tanto.”
“Eri tu” conferma Amy “Mi ricordo quel disegno… ti avevo scritto…”
“… Forse non sei un papà ma sei il mio super papà…” conclude per lei Jack “Sgrammaticato, probabilmente senza senso e con parecchi errori ortografici, ma era stato il miglior regalo del mondo.”
“Mi ricordo che c’era un bambino che mi prendeva in giro perché diceva che non avessi un papà… per quello l’ho scritto” racconta Amy, sottovoce. A quindici anni, Amy spera che suo zio non si metta a piangere davanti a lei, a notte inoltrata, o, è sicura, scoppierebbe anche lei.
Ma Jack non piange e le bacia la fronte “Sono fiero di te, Amy. E non c’entra il fatto che tu sia venuta saggiamente via da una festa prima che la polizia arrestasse gran parte dei presenti… sono fiero di te perché so che sei una ragazza che crede nelle sue idee e che sa essere dolce con poco. E perché sei la miglior figlia che potessi avere.”

Alla veneranda età di quindici anni, Amy è convinta di non sapere nulla di ciò che le riserverà il futuro: non sa se vuole andare al college, non sa se le piacerà mai la birra e non sa se ci sarà qualche ragazzo che riuscirà a fare breccia nel suo cuore. Non sa se vuole vivere per sempre a Capeside o trasferirsi a New York, non sa se vuole cercare il suo vero padre e non sa quale delle tre marche di cereali che girano per casa sia la sua preferita.

Alla veneranda età di quindici anni, Amy è convinta solo di una cosa. Sa che Jack è suo padre, che il DNA lo confermi o no, e sa che il loro legame è la cosa più preziosa che ha – la cosa più preziosa che hanno.






Felpie's Corner
Non ho idea di cosa ci faccia io su questo fandom, dove non ho mai scritto né letto nulla. Forse sono qui perché Dawson's Creek è arrivato su Netflix, forse sono qui perché oggi è la festa delle donna e volevo scrivere di una ragazza che mi immagino molto forte, come la madre, forse sono qui perché volevo semplicemente provare un fandom nuovo in cui non ero mai stata.
In ogni caso sono qui, con la mia storia su Amy e Jack, e su un piccolo momento nella loro vita. Ho sempre amato l'amicizia tra Jen e Jack, è stata una delle cose più belle della serie per me, e ho voluto scrivere di loro: implicitamente, attraverso Amy, ma su di loro.
Credo che in pochi leggano storie su questo fandom, ma se qualcuno arrivasse fin qui a leggere queste parole lo ringrazio per aver speso qualche minuto per leggere la mia storia.
A presto,
Felpie

 
   
 
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