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Autore: LadyNorin    08/03/2021    2 recensioni
John Watson si era allontanato quanto più possibile da Baker Street. La decisione che lo aveva spinto a fare le valigie era molto semplice: Sherlock Holmes.
Dopo la morte di sua moglie Mary, John decide di allontanarsi da coloro che lo hanno fatto soffrire e iniziare una nuova vita. Ma forse il destino prende le sue decisioni, e nemmeno un uomo razionale come John può contrastarle.
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1:


***


[Revisionato]
John Watson aveva messo più distanza possibile da Baker Street. La decisione che lo aveva spinto a fare i bagagli era molto semplice: Sherlock Holmes.
Dopo tutto ciò che era successo, non riusciva più a sopportare di restare ancora lì, in quella casa, con quella presenza costante e perenne.
Si era sentito come se avesse ricevuto una pugnalata nella schiena. Come un tradimento.
Non riusciva più nemmeno a guardarlo in faccia dopo la morte di Mary.
E sì, per un po’ lo aveva anche odiato.
La parte irrazionale di se stesso ancora si trovava in quello stato, ma ogni tanto faceva capolino quella razionale, e provava a dargli dei suggerimenti.
Come quando gli aveva suggerito, durante le sue elucubrazioni a tarda notte, che magari, non era stata tutta colpa di Sherlock. Che nessuno aveva costretto Mary a mettersi in mezzo, e poi lui aveva già rischiato la pelle per lei. Lei lo aveva fatto perché voleva troppo bene a Sherlock per lasciarlo morire.
Già, gli voleva troppo bene… Era questo il problema delle persone che volevano troppo bene a Sherlock. Che poi finivano puntualmente coinvolte nelle sue cazzate e ne pagavano il prezzo.
Certo lui no, ormai ci aveva fatto l’abitudine, anzi, provava quasi una sorta di insano piacere nel mettersi in situazioni di pericolo mortale. Ma sapeva quello che faceva. Sceglieva per se stesso. Prima.
Dopo era diventato un marito, e dopo ancora un padre. Ora doveva scegliere la cosa migliore per la sua famiglia, e Sherlock Holmes non era tra queste opzioni.



Tuffò il cucchiaino di plastica color rosa maialino nella pappa mezza liquida e poco invitante di Rosie, e lo fece volare come un aeroplano di carta.
«Ecco che arriva il volo serale diretto a Londra Gatwick. Chiediamo alla torre di controllo il permesso di atterrare.» avvicinò il cucchiaino pieno di pappa alla piccola bocca della bambina, che la aprì emettendo dei gridolini di felicità e battendo le manine. Almeno lei aveva fame.
Era stato un periodo difficile per tutti, e ne aveva risentito anche Rosie. Avere solo pochi mesi non le impediva di sentire la mancanza della madre.
John ci provava con tutte le forze a distrarla, ma per almeno un paio di mesi la piccola era stata stressata e nervosa, piangeva praticamente sempre. Riusciva a calmarla solo dopo ore passate a cullarla in braccio, e dopo si addormentava sul suo petto, sfinita. Ovviamente non ci pensava proprio a spostarla, quindi rimaneva sul divano o sul letto finché lei non si svegliava, cosa che capitava puntualmente dopo quattro ore, e via a ricominciare tutto da capo. Nemmeno la notte andava meglio. Alla fine arrivava la mattina e finalmente crollavano entrambi, sfiniti.
Ultimamente però era tornata ad avere appetito, la notte dormiva e i pianti erano calati drasticamente, segno che le cose andavano meglio. Sarebbero andate meglio. Dovevano andare meglio, per entrambi.
Ovviamente non significava dimenticare Mary, lui le avrebbe sempre parlato della madre, ne era sicuro. Ma ora dovevano farsi un altra vita, lontani da chi creava loro solo pericoli e problemi.
Quindi no, non se ne pentiva affatto di essersene andato il più lontano possibile da lui, e no, non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura che in realtà gli mancava. Terribilmente. E poi comunque ormai non poteva più tornare sui propri passi, non dopo quello che gli aveva detto. E Sherlock doveva aver recepito bene il messaggio perché non si era più visto né sentito. Meglio così, non aveva tempo di badare anche a ui.

Mentre John si stava impegnando nell’auto commiserazione, il cellulare appoggiato sul tavolo cominciò a vibrare all’impazzata, tanto che si mise a girare su se stesso.
Allungò il collo e vide il nome di chi chiamava “Lestrade”.
D'accordo forse non aveva smesso del tutto con la vecchia vita. Ogni tanto se capitava lavora ancora per il detective di Scotland Yard.
Lasciò il cucchiaino nel piattino abbinato di Rosie, e prese il telefono.
«Si Lestrade?» rispose quasi con tono eccitato. L’idea di uscire di casa per aiutare in un caso di omicidio in fondo lo rendeva felice. Ok era una cosa orribile da pensare, però avrebbe dato qualunque cosa per usare un attimo il cervello in altro che non fosse cercare di far terminare i pianti di un bambino.
«Devi venire al parcheggio coperto che c’è a Marble Arch. Quello dopo la fermata della metropolitana.»
«Ah si ho capito quale.»
«Ti aspetto. Sbrigati.» non ebbe nemmeno il tempo di chiedere a Greg chi fosse il morto perché aveva già chiuso la comunicazione. Sospirò e si alzò, lasciando che la sedia strisciasse con le gambe sul pavimento di vecchio limoneum.
Poi si chinò e diede un bacio sulla testolina di Rosie. Adorava il suo odore. Poteva stare ad annusarla per tutto il tempo quando si addormentava sul suo petto.
«Va bene piccolina chiamiamo la baby sitter.»
Rosie squittì eccitata a quelle parole. A volte John era convinto che lei lo capisse benché avesse solo pochi mesi. Assurdo.


Gli ci volle un po’ prima di partire di casa, e un'altra mezz'ora per attraversare la parte di città che lo separava dalla scena del crimine.
Il parcheggio coperto era situato prima rispetto l’uscita della metro, il che aveva per fortuna evitato che venisse chiusa dalla polizia.
Dei poliziotti con i gilet giallo fluo fermarono il suo taxi e lui scese, dopo aver lasciato una banconota da venti sterline all’autista, che fu ben lieto di tenersi il resto.
Mostrò il tesserino, e i bravi agenti lo lasciarono passare senza proferire parola. Era una uggiosa mattina di autunno e piovigginava a tratti. Il cielo era bianco, ricoperto di nuvole grigie. Come sempre.
Passò sotto il nastro giallo che era stato messo per chiudere il viale a fianco al parcheggio. C’erano altri agenti che controllavano segni di tracce; e poco più in là, al coperto, c’era Greg Lestrade.
Richiamò la sua attenzione con un “ehi Greg” e sollevò una mano sventolandola. Il detective sollevò lo sguardo dal taccuino e gli fece segno di avvicinarsi.
John non perse tempo.
«Allora che abbiamo?» chiese curioso.
Il corpo della vittima si trovava tra una colonna di cemento, un parcheggio vuoto e un SUV nel posto dopo. Ora che si era avvicinato a Greg poteva vederlo bene. Quello che doveva essere decisamente un uomo adulto, si trovava riverso a terra, in posizione supina. Ed era un vero casino.
«Beh ancora non si sa molto, serve l’autopsia lo sai. Ma credo lo abbiano pestato a morte.» Il tono di Greg era quasi rassegnato, come se la violenza con cui aveva a che fare ogni giorno non bastasse per capire che il mondo era un posto malvagio.
John si chinò sul povero malcapitato.
Sotto c’era una grossa chiazza di sangue quasi rappreso, doveva essere li da un po’.
Era girato pancia sotto quindi non poteva vederlo in faccia.
Aveva i capelli imbrattati di sangue e appiccicati tra loro, si vedeva almeno una ferita alla testa. Quella che doveva essere una camicia di un qualche tonalità di azzurro era strappata in più punti, sotto si vedevano altri segni, era tutto un casino di lividi, tumefazioni, e ferite sanguinanti.
Lestrade gli allungò un paio di guanti in lattice. Gli infilò e mise una mano sotto il corpo, per girarlo.
Se il resto era un casino, la faccia era praticamente irriconoscibile.
«Qualche documento?»
Greg scosse la testa.
«Niente di niente.»»
«Una rapina finita male?» azzardò John.
«Nah sembra una cosa troppo personale. Come se l’animale che ha ridotto così questo poveretto se la sia presa per qualcosa e abbia voluto dargli una lezione.»
«Non saprei, allora perché portargli via i documenti?
Te lo ricordi il caso di Stubbylee Park?»
«Ma chi i due ragazzi massacrati al parco dal branco? Nah non mi sembra questo il motivo. Guarda com’è vestito, ha delle scarpe che costano minimo duecento sterline.»
«E che vuol dire, magari a qualcuno ha dato fastidio proprio per questo.»
«Io ti ripeto che è personale.»
John fece una smorfia ma continuò ad esaminare la vittima.
Aveva il lato destro del viso gonfio, l’occhio era nero e aveva assunto le dimensioni di una pallina da golf, sul lato del labbro c’era una grossa spaccatura che lasciava in vista i denti rossi per il sangue. Il lato destro era messo un pelo meglio. Il sopracciglio aveva un taglio profondo e c’erano abrasioni sulla fronte, probabilmente dovuti all’urto con l’asfalto. Lo zigomo era di un insano color giallo e viola.
Abbassò con due dita il colletto della camicia, inorridendo. Più strisce di diverse tonalità di viola scuro spiccavano sul collo.
«Credo abbiano tentato di strangolarlo.»
«Scherzi?” anche il tono di Lestrade era pieno di disgusto per tanta cattiveria. Si chinò sopra le spalle di John, per poter vedere meglio.
«Vedi?» John toccò quei segni con la punta delle dita.
«Secondo te quanti anni ha?» chiese Lestrade.
«Difficile a dirsi con la faccia ridotta in queste condizioni, ma direi… Sulla trentina. Anno più anno meno.»
«Con che razza di animale schifoso abbiamo a che fare?»
«Non ne ho idea ma dobbiamo sbrigarci a prenderlo.»
«Lo hai più sento?» l’improvviso cambio di discorso del detective lo aveva lasciato sorpreso, gli ci volle qualche secondo per capre di cosa stesse parlando.
«No.» tagliò corto sperando che la cosa finisse li.
Si mise in ginocchio, accanto alla vittima. Prese a spostargli le ciocche completamente appiccicate dal sangue, che si erano attaccate alla fronte.
Con una lentezza infinita sollevò l’unica palpebra che era rimasta abbastanza libera. Aveva gli occhi iniettati di sangue, e una pupilla nera che lo stava fissando.
«Cazzo!» balzò in piedi talmente velocemente che Lestrade aveva lasciato cadere tutto quello che aveva in mano e stava per tirare fuori la pistola dalla fondina.
«Cosa, che succede?» doamndò Lestrade con tono allarmato.
«Chi cazzo lo ha controllato?»
Greg sbatte le palpebre, evidentemente confuso.
«In che senso?»
«Chi ha controllato che fosse effettivamente morto!»
«Cosa? Che vuol dire effettivamente morto? Non c’era più polso!»
«E’ ancora vivo!» John quasi lo urlò, mentre cercava di capire il da farsi.
La mascella di Lestrade sembrò staccarsi e cadere a terra da quanto era sbigottito.
«Che cazzo vuol dire che è ancora vivo! Merda!»
Il detective tirò fuori il cellulare da una delle tasche e compose il numero delle emergenze, richiedendo immediatamente un'ambulanza.
John nel frattempo era tornato ad occuparsi della vittima.
   
 
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