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Autore: MaxT    10/03/2021    5 recensioni
Questo racconto è basato su Somewhere only we know di marianna1317, rielaborato e completato da MaxT con l'aiuto dell'autrice originale.
Anni dopo essere morto nel mondo da incubo all'interno di un libro magico, Cedric redivivo si presenta alla porta della donna che ancora lo ama, la guerriera Orube.
Al rifiuto di dare spiegazioni sulla sua resurrezione si creano sospetti e incomprensioni, mentre le storie dei due personaggi si intrecciano con le realtà dei loro mondi natii, e con esuli che vivono in incognito nella città di Heatherfield.
Combattuti tra l'affetto per Orube e il loro dovere, le Guardiane e i saggi di Kandrakar cercano risposta a una domanda: c'è ancora una minaccia nascosta nel Libro degli Elementi?
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cedric, Orube
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto dei capitoli precedenti

 

Tre anni dopo essere morto all'interno del mondo nel magico Libro degli Elementi Cedric, ferito ed esausto, si ripresenta a Villa Rudolph.

Qui abita Orube, ancora innamorata di lui e tornata sulla Terra per riaprire la sua vecchia libreria.

La Saggia Yan Lin, informata, la incarica di chiedergli come ha potuto risorgere e uscire dal Libro degli Elementi, che Orube aveva riportato nello scantinato del Ye Olde Bookshop.

Il portale di Kandrakar viene spostato dallo scantinato al negozio di animali gestito da Matt Olsen.

Per un certo periodo Cedric e Orube convivono in modo apparentemente sereno gestendo la libreria e facendo vita ritirata, ma lui non risponde ad alcuna domanda sul suo ritorno.

Infine però si fa accompagnare nel seminterrato dove c'è ancora il Libro degli Elementi, ma davanti a questo ha una reazione che allarma Orube.

All'ennesimo rifiuto di Cedric di dare spiegazioni, Orube lo lascia, ma decide di non raccontare a Kandrakar l'episodio per non peggiorare la situazione del suo ex.

Nel libro c'è tuttora lo spirito del defunto tiranno Phobos, che aveva assorbito energia magica dal portale di Kandrakar al quale era stato imprudentemente lasciato vicino da Orube. Phobos aveva resuscitato Cedric per farsi aiutare a ricreare il suo corpo. Alla ritrosia di Cedric, lo spirito lo costrinse minacciandolo di nuocere a Orube, e facendogli indossare una magica veste nera. La prima missione di Cedric fu recuperare un'ampolla contenente lacrime di Phobos custodite in una cripta nel Metamondo; la seconda fu di procurarsi trecento bulbi di un particolare fiore per trasformarli in altrettanti nuovi mormoranti. La terza missione fu recarsi a Meridian e rubare nelle case di alcuni benestanti delle piccole scorte di acqua magica.

Cedric si trattenne per settimane nel mondo del libro per iniziare la trasformazione delle piantine in mormoranti. Finita l'acqua magica, Phobos lo rimandò a Meridian per sottrarne una quantità maggiore, ma qui Cedric scoprì che la città era sorvegliatissima dopo i suoi primi furti.

Tentò di sostituirsi al funzionario Alektor, ma quando costui lo riconobbe lui lo colpì, facendolo involontariamente cadere dall'alto. In preda al panico, Cedric fuggì da Meridian.

Lo spirito dapprima se la prese con Cedric, poi decise di trasferirsi nel suo corpo per svolgere di persona la missione a Meridian. Lui però si ribellò e fuggì attraverso il portale già aperto verso Heatherfield, tormentato dalla veste magica.

Phobos gli rivolse un'ultima minaccia: se avesse rivelato ad alcuno la sua presenza nel libro, lui avrebbe trasferito a Orube tutti i ricordi esecrabili della vita di Cedric, cosicché lei lo avrebbe disprezzato per sempre.

Nel frattempo, i contatti tra le Guardiane e Kandrakar sono resi difficoltosi dalla collocazione del portale nel negozio di animali, e loro decidono di chiedere a Orube di spostarlo a casa sua, non più frequentata da Cedric.

A Kandrakar il Saggio Endarno mette in questione con gli altri Saggi la condotta di Orube e sollecita a indagare attivamente su possibili minacce ancora contenute nel Libro degli Elementi.

Su incarico di Kandrakar, Will entra di nascosto nella libreria di Cedric e vi nasconde cinque segnalibri rivelatori di attività magica.

Il giorno dopo, Orube deve ammettere con Will che ha mentito, poi va alla ricerca di una palestra di arti marziali finché incontra, sotto le mentite spoglie del maestro Stan Luther, il capo guerriero Yarr che aveva conosciuto anni prima a Basiliade.

Yarr le racconta di essere stato esiliato due anni prima perché aveva criticato la preminenza della casta dei Guerrieri e degli ideali guerreschi nella società di Basiliade. Era stato condannato a morte, ma l'Oracolo aveva segretamente interceduto affinché la pena fosse commutata in esilio.

Il fratello di Orube, Ipitlos, era tra i suoi seguaci ma sfuggì all'arresto.

La domenica dopo le Guardiane vengono a casa di Orube, e il portale di Kandrakar viene magicamente trasferito nella sua soffitta, in fondo a un armadio. Endarno raccomanda di non far avvicinare né Elyon né Cedric al portale; questo riacutizza dei malumori, e Orube inizia a isolarsi dalle altre.

L'ultimo giorno di ottobre una giovane di nome Cassandra Smith entra, in compagnia degli amici Ashley e Josh, al Ye Olde Bookshop e resta sorpresa nel riconoscere Cedric. Come se non bastasse, appena apre un libro le appare un messaggio di Phobos: questo libererà la madre di lei, detenuta a Meridian e trasformata in un fiore, se lei convincerà Cedric a scendere nello scantinato.

In realtà Cassandra è Kendrel, la figlia del defunto Lord Luksas, fuggito con lei da Meridian all'avvento di Phobos ventuno anni prima.

I segnalibri nascosti nella libreria hanno segnalato attività magica durante l'ingresso di Cassandra; le scene sono state registrate da Kandrakar e vengono mostrate alle Guardiane e a Orube. Si decide di indagare con prudenza sia sul libro del messaggio che sui tre clienti sospetti.

Il giorno dopo Cassandra si fa riconoscere da Cedric e gli domanda chi sia al potere a Meridian e come potrebbe tornarci. Su questo Cedric dà risposte incomplete perchè non vorrebbe perdere questo contatto interessante appena trovato.

Le indagini svolte dalle Guardiane non portano nessun elemento decisivo.

Loro vorrebbero affrontare direttamente Cedric per fare chiarezza; Yan Lin risponde che l'Oracolo considera la situazione delicata e vorrebbe occuparsene personalmente, ma al momento non può.

Orube si sente sempre più di peso per Kandrakar e si sfoga con Yarr, che le consiglia di parlarne con l'Oracolo.

Cassandra continua a frequentare Cedric e cerca di capire se le conviene fidarsi della promessa di Phobos, o piuttosto cercare di contattare Kandrakar per essere rimandata a Meridian; nessuno dei due scopre completamente le sue carte con l'altro.

Tempo dopo, Orube incontra finalmente l'Oracolo per parlare di Yarr e per chiedere il permesso di cercare suo fratello Ipitlos a Basiliade. L'oracolo le raccomanda la massima segretezza: il suo intervento per salvare la vita di Yarr è stato tenuto segreto a Kandrakar, per non creare divisioni interne alla congrega costituita largamente da adepti di Basiliade.

 

 

Capitolo 22

Alla ricerca di un fratello

 

 

L'immagine di Heatherfield immersa nella luce smorta di inizio dicembre, vista dalla finestra della sua camera, è appena svanita nell'intenso lampo del teletrasporto.

Dopo il breve abbagliamento, Orube si guarda tutt'attorno con emozione. Ora c'è il sole, fa caldo. L'aria è pregna dei profumi campagnoli del suo mondo natio. Sulla bassa collina a breve distanza, la sua casa natale la richiama, con il portoncino del giardino laccato di rosso scuro e i suoi tetti acuti di legno.

Tutt'attorno, vede il terreno ondulato e pratoso della periferia della città di Ashasvir, la capitale del regno degli Asha, uno dei popoli di Basiliade. Il suo popolo.

A paragone delle città terrestri questa sembra aperta campagna, con alcune case signorili perlopiù sulle sommità dei piccoli rilievi, e altre più modeste di contadini e pastori in posizioni meno panoramiche. Dalla cima di uno qualunque di questi colli si potrebbe vedere gli edifici addensarsi verso il centro città a sudovest. Agli occhi di un terrestre ciò che si vede in quella direzione potrebbe sembrare il centro di un paesino, o un centro sportivo periferico: alcuni edifici più grandi con il tetto a pagoda, i templi a forma di piramide o di colonnato circolare e alcuni palazzi del potere dalle alte terrazze. E naturalmente i giardini. La traduzione del loro nome è fuorviante: in realtà sono dei complessi di bassi edifici circondati da un muro, simili a caserme o collegi.

Orube indossa i vestiti da Guerriera di Basiliade come se dovesse tornare in visita a casa; in realtà, però, oggi non passerà a trovare la famiglia, perché è meglio che qui nessuno sappia della sua presenza.

A questo fine sta utilizzando uno degli amuleti datole da Kandrakar, che la avvolge in una bolla di invisibilità.

Con un'occhiata di rimpianto verso i muri familiari, Orube evoca un altro amuleto, una sfera verde infilata su un supporto dorato che può apparire dal suo palmo e levitare al disopra di esso.

“Ipitlos”, sussurra.

L'amuleto percepisce la sua intenzione: si solleva sul palmo fin all'altezza dei suoi occhi, poi lentamente si forma un sottile raggio dalla tenue luminosità verdolina, a fatica distinguibile nella luce del giorno. Il raggio attraversa il fianco di una collinetta che la divide dal centro.

Per un attimo Orube ha un tuffo al cuore: che il raggio tocchi il terreno le sembra un auspicio funesto, come di sepoltura. Poi però capisce che in un terreno così ondulato ciò significa solo che suo fratello si trova al di là della collina. Infatti, incamminandosi, la direzione del raggio non cambia, ma il suo punto d'incontro col terreno si sposta.

 

Camminando, Orube si perde nei suoi rimpianti.

Una volta avrebbe voluto portare Cedric nel suo mondo natio affinché si lasciasse alle spalle il suo pesante passato di servo di Phobos e i rancori per le sue sconfitte, iniziando un cammino di autodisciplina e di onore che lo avrebbe trasformato in un uomo nuovo. Una volta riguadagnato il rispetto di sé stesso e degli altri, lui sarebbe stato un marito di cui essere orgogliosa, e avrebbe potuto diventare uno dei più efficaci collaboratori di Kandrakar, completando le lacune della stessa Orube con la sua arguta capacità di analisi e con i suoi recuperati poteri psichici.

Orube lo ha creduto possibile, o meglio ha voluto crederlo finché ha potuto... purtroppo è stata l'unica. E ormai quell'illusione è finita.

 

E' contenta che nessuno dei passanti la possa notare: non è molto dignitoso per una guerriera farsi vedere con gli occhi lucidi.

Il raggio la sta portando, le sembra, verso il centro della città; anzi, sembra indicare il Giardino dei Due Soli, quello nel quale lei fece il suo addestramento da bambina.

 

Si vergogna ancora a pensare alla prima volta che percorse quella strada. Lo fece in lacrime, accompagnata dagli emissari del Giardino mentre la portavano via dalla sua famiglia.

In breve tempo superò quell'onta, ricordando come un mantra le parole che le disse suo padre: 'Vai e non tornare finché non sarai una perfetta Guerriera, dura e forte come l'acciaio della mia spada'.

Purtroppo furono le ultime che udì da lui: prima che lei potesse finire l'addestramento da Guerriera, lui morì con onore combattendo contro dei vili predoni.

 

Non è lo stesso Giardino di cui Yarr era stato prefetto, anche se porta lo stesso nome e si trova a non più di tre chilometri di distanza. E' possibile che Ipitlos sia stato trasferito più vicino alla casa della sua famiglia dopo l'esilio del suo maestro?

Ormai è sul viale di accesso, e il sottile raggio verde indica in pieno l'ingresso aperto sul muro di cinta.

Passa accanto alle colonne che sorreggono il simbolo dei due soli, ed entra nel perimetro del giardino con rinnovata emozione. Non sembra cambiato niente dalla sua ultima visita di qualche anno prima.

Attorno a lei vede, impettiti e ineccepibili, i guardiani delle porte, poi uno dei maestri che attraversa il viale diretto al quartiere degli alloggiamenti. Dalla grande palestra centrale, sulla sua sinistra, sente gli ordini secchi dati da un altro maestro ai suoi allievi.

Il raggio punta verso l'armeria in fondo al vialetto. Sembra che suo fratello si trovi lì. Però l'edificio ha la porta chiusa; dovrà usare un qualche potere per entrarvi comunque? Senza poter vedere chi c'è all'interno, c'è il rischio di tradirsi.

Si muove di lato per studiare la situazione attraverso le finestre, ma con sua sorpresa il raggio mantiene la stessa direzione di prima, così che non indica più l'armeria. Continua a seguirlo, finché capisce che punta al di là del muro di cinta. Ipitlos non si trova nel perimetro di questo Giardino.

Orube si rimprovera la sua conclusione affrettata, ripromettendosi di non commettere lo stesso errore una seconda volta.

Non vista dalle guardie e da un gruppetto di Guerrieri diretto all'armeria, Orube torna sui suoi passi,

verso il portone di uscita.

Appena fuori, comincia a camminare perpendicolarmente alla direzione del raggio per capire, dallo spostamento di parallasse, quanto dista suo fratello.

Con sorpresa, vede che la direzione del raggio non cambia sensibilmente con il suo camminare; ciò significa che Ipitlos è lontano da quel luogo.

Fa svanire l'amuleto: tenere l'avambraccio proteso in avanti a lungo comincia a creare qualche fastidio anche per i suoi perfetti muscoli da Guerriera.

Attraversa il centro città, con le sue vie piane e dritte, i suoi templi solenni dalla forma a piramide, i suoi palazzi del potere dagli ingressi sorvegliati, i dignitari che camminano rapidi e impettiti, sempre con un'arma al loro fianco.

 

Una cosa buona dell'elite di Basiliade è che non perde mai un'autodisciplina e una forma fisica invidiabili, che in altri mondi è appannaggio di pochissimi. Però, dopo essersi fatta sulla Terra un'idea delle malattie della vecchiaia, Orube comincia a chiedersi se su Basiliade i Guerrieri ne siano immuni o cos'altro. Di certo, qui non ha mai visto un Guerriero reso invalido o curvo dall'età.

 

Attraversato il centro amministrativo, Orube percorre una zona in cui si trovano, abbastanza spaziati, delle case-laboratorio di artigiani e dei magazzini.

Ad Ashasvir non si trova qualcosa che assomigli a un negozio: visto che non esiste il denaro, tutti quelli che sono in grado di produrre qualcosa al di là delle necessità personali lo consegnano ai Magazzini, dai quali prendono le loro razioni di tutti gli altri beni indispensabili per vivere.

E' una vita molto, molto spartana e limitata rispetto a quella che ha visto a Heatherfield, ma bisogna riconoscere che, in assenza di denaro, la società è immune dalla corruzione.

 

Torna a materializzare il suo talismano di ricerca; quando la pietra verde si leva sul palmo della mano destra, il suo raggio le indica una stradina di terra battuta che si inoltra in una zona boscosa tra due alti colli. Per esserne certa, Orube si muove trasversalmente al raggio, e anche questa volta la direzione del raggio non cambia.

Ipitlos è piuttosto lontano, certamente fuori città.

Che sia in missione contro dei briganti, una missione come quella nella quale loro padre Hoclotos si immolò in combattimento?

L'idea la inquieta non poco, anche se continua a ripetersi che, prima di quella missione fatale, suo padre era ritornato indenne da almeno cento altre.

 

Dopo ore di cammino su sentieri tra boschi, colline e campi coltivati, accompagnata dal frinio delle cicale e dai richiami melodiosi di vari uccelli, Orube ha incrociato, non vista, vari contadini coi loro carretti e pastori con le loro greggi.

E' riuscita a dissetarsi ad alcune fonti presso la strada, e si è sfamata con le merendine che ha portato da Heatherfield. Ripone con cura tutti gli involucri nella sua bisaccia: a Basiliade non dovrà restare traccia del suo passaggio.

Ormai il primo dei due soli sta calando all'orizzonte, e il secondo lo seguirà a breve.

Orube torna a evocare il suo talismano: ora il raggio della pietra verde indica la direzione di un villaggio al limitare del bosco. Ancora una volta si muove trasversalmente, e capisce che il suo cammino è quasi finito: da qualunque posizione lo si osservi, la direzione del raggio converge verso l'abitato.

Avvicinandosi, nota alcuni bambini che stanno giocando con una palla. Aspettano qualcosa? Sono tesi, sembrano quasi messi di sentinella. Da un abitante di Basiliade non ci si può aspettare che reciti in modo convincente, neppure se è un contadinello.

Nessuno la vede. Le sembra, però, che lo sguardo di uno di loro sia attirato dal sottile raggio luminoso, molto più visibile ora che il sole sta calando. Lei chiude rapidamente il palmo, facendo svanire l'amuleto, e l'attenzione del bambino si perde sul sentiero e sulla campagna tutt'attorno.

Decisamente delle sentinelle, conclude Orube, ma del tutto impreparati alla magia di Kandrakar.

Entra a passi felpati nel villaggio, evitando di avvicinarsi ad anima viva. E' strano, c'è pochissima gente in giro; supponeva che a quest'ora gli spazi comuni dovessero essere molto più popolati.

Si dirige verso il grande casone centrale, il luogo di ritrovo degli abitanti. La porta è socchiusa e, accanto allo spiraglio, alcuni altri bambini e bambine dividono la loro attenzione tra l'esterno e quanto filtra di ciò che viene detto da dentro.

Altre piccole sentinelle, pensa lei. Come riuscire a entrare senza essere notata? Comincia a girare furtiva attorno alla casa. Anche sui lati ci sono bambini che si fingono sfaccendati, ma per fortuna non sono davanti alle finestre.

Si accosta a passi felpati a una di queste. Il battente di legno è aperto; da dentro filtra la luce di alcune lanterne e delle voci. E una di queste voci potrebbe essere quella di Ipitlos.

Guarda dentro dall'apertura senza vetri.

Decine di persone, uomini e donne, sono seduti su stuoie attorno a qualcuno che parla in piedi: un giovane con barba e baffi, una veste logora da Guerriero e delle armi appoggiate dietro di sé. Ipitlos! Orube non lo vedeva da anni. E' molto cambiato dall'ultima volta, è un uomo ormai. Parla con la sicurezza di un capo, eppure il suo aspetto è molto più trascurato di quello che ci si aspetterebbe da uno della sua Casta.

Ma... cosa fa? Sta insegnando a leggere a dei contadini?!?

Il giovane indica una lettera in fondo a una tabella tracciata sul pavimento di terra battuta.

“E quest'ultima si legge Z. Vedete che anche questa dà l'idea della posizione della bocca? Immaginate che questo sia il labbro superiore sollevato, e questi i denti serrati... riprovate come si pronuncia”.

Dai contadini vengono una serie di sibili.

“Perfetto”, si congratula il giovane. “Dopo questo ripasso, ora vediamo un altro articolo del codice d'onore dei Guerrieri”. Traccia una frase sul pavimento, poi corregge la posizione delle lanterne per creare un'illuminazione radente. “Riuscite a leggerlo?”.

I contadini si impegnano, sforzandosi di riconoscere ogni lettera.

“Co...m...p..i...t...o...”

“Compito d...e... dei...”

“Compito dei Guerrieri... è... p... r...o...”

“Compito dei Guerrieri è proteggere i d...e... i deboli!”.

“Giusto!”, conferma Ipitlos, “Compito dei Guerrieri è proteggere i deboli”. Fa spaziare lo sguardo sui presenti. “Ma da cosa devono essere protetti?”.

“Dai predoni?”, propone una donna.

“C'è del vero in questo. Mio padre è morto proprio proteggendo un villaggio da dei banditi. Di questo bisogna rendere merito alla Casta dei Guerrieri”, approva Ipitlos. “Però i predoni sono così frequenti? Così diffusi?”.

“No”. “Qui non ci sono mai stati”. “Neanche nei villaggi vicini”. “Ma potrebbero venire, se non ci fossero i Guerrieri a proteggerci”.

“Questo va bene”, concede Ipitlos, “Però i predoni, vi ripeto, non sono un male molto diffuso. Da cos'altro vi si dice che devono difendervi i Guerrieri?”.

“Dalla guerra”. “Dagli stranieri!”. “Dagli eserciti delle nazioni vicine”.

“E' vero, ci sono state diverse guerre negli anni”, conferma Ipitlos. “Ma la guerra non è portata da altri Guerrieri?”

“Ma sono Guerrieri stranieri!”, obietta uno dei contadini.

“Sì, sono stranieri”, concorda Ipitlos. “Però vi posso dire per conoscenza diretta che i Guerrieri dei popoli vicini seguono lo stesso Codice d'Onore dei nostri. Quindi anche loro sono vincolati a proteggere i deboli. Inoltre vi assicuro che parlano in modo comprensibile per noi. Quindi, se un contadino non li insulta o non va a combatterli col forcone, per lui non sono quella gran minaccia che i nostri governanti ci descrivono”.

“Ma i nemici potrebbero razziare o distruggere i raccolti”, obietta un altro.

Ci sono diverse voci di approvazione: “E' successo, ai tempi di mio padre”, ricorda un anziano, “Ci hanno ridotti alla fame!”.

Ipitlos annuisce, poi riprende: “Le guerre continue richiedono sforzi e sacrifici al popolo e ai nostri Guerrieri. Ma, al tempo stesso, anche ai popoli vicini. Ora, quali sono le ragioni di queste guerre?”.

Segue un silenzio imbarazzato nella sala. Qualcuno azzarda: “Proteggerci da altre guerre?”.

“Bravo, hai evidenziato il paradosso! Popoli simili, sistemi sociali simili, con credenze simili... che si fanno guerre continue. Al di là dei vari pretesti portati per ciascuna di queste, io vi dico che lo scopo delle guerre, più ancora che il predominio di un popolo su di un altro, è rafforzare il predominio delle caste di Guerrieri sulle rispettive società!”.

Un coro di commenti indistinti e costernati accoglie la sua affermazione.

Ipitlos riprende: “Quello che io vorrei è che i popoli di questa nazione e delle altre prendessero coscienza di queste considerazioni”. Lascia qualche secondo che il brusio abbia il suo corso, poi continua: “E dal popolo, questa coscienza dovrebbe passare ai Guerrieri stessi”.

“Come?” fa presente qualcuno dal fondo. “I nostri forconi e rastrelli non possono niente contro le spade dei guerrieri”.

“Ma gli archi da caccia sì”, interviene un altro, “Una freccia delle nostre uccide quanto quella di un guerriero!”.

A quest'affermazione segue una ridda di interventi.

Una donna accende nuove lanterne per illuminare la sala, mentre all'esterno il crepuscolo sfuma nella notte.

“No, no”, riprende Ipitlos, “Mai e poi mai dovrete tentare di ribellarvi con la forza ai Guerrieri. Anche se riusciste a ucciderne due o tre, poi le conseguenze sarebbero terribili”. Raddrizza un grosso ceppo che giaceva vicino, poi raccoglie la sua spada, la sguaina e la porge rivolto ai presenti: “Chi vuole provare a colpire questo ceppo?”.

Dopo qualche esitazione, si alza un uomo robusto. “Proverò io”.

Tutti gli altri si alzano e si fanno indietro.

L'uomo prende l'arma dalle mani di Ipitlos, la bilancia nelle sue, poi prende la mira sul tronco come se maneggiasse un'ascia. Parte il fendente, ma penetra nel legno solo di pochi centimetri.

Mentre l'uomo si stringe nelle spalle e torna a sedersi, Ipitlos estrae l'arma dal legno, e si rivolge verso gli altri come se si preparasse a parlare.

Inaspettatamente, si volta e cala un fendente fulmineo.

Un verso di stupore riempie la sala, osservando il legno nettamente tagliato in due.

Ipitlos reinguaina la spada. “I guerrieri fanno delle armi la loro vita fin da sette anni d'età. Nessun contadino, nessun pastore, nessun artigiano ha speranze contro un guerriero, neanche con una buona arma”.

“E allora cosa possiamo fare?”, chiede costernato l'uomo robusto.

“La vostra migliore speranza è conoscere, parola per parola, il codice d'onore dei guerrieri e ricordarglielo”. Scrive una nuova frase sul pavimento di terra battuta. “Leggete questa”.

“N...e...s... nessun g g...u...”.

“Nessun guerriero d... dovrà... u..s.. usare la p... la propria …”.

“Nessun Guerriero dovrà usare la propria forza per inti... intimidire un u..uomo o...n...onesto”, completa una giovane in prima fila. “Spero che ciò valga anche per le donne”, scherza.

“A maggior ragione”, conferma Ipitlos. “Dunque, voi dovrete sempre ricordare ai Guerrieri che voi siete deboli e che siete onesti. Mai ribellarvi con la forza, mai insultarli, mai commettere alcun reato. Dovrete farvi ascoltare, ripetergli che queste guerre continue sono inutili, che il predominio della casta dei Guerrieri sull'intera società è ingiusto. Fatelo per gradi, con prudenza e gentilezza, e non potranno nuocervi senza violare i loro stessi principi. E vedrete che, poco a poco, queste frasi lasceranno il segno, come le gocce d'acqua possono scavare la roccia”.

 

La riunione finisce dopo poco tempo.

Orube, sconvolta, aspetta a distanza di sicurezza dalla porta, per evitare imbarazzanti contatti accidentali con i bambini di guardia o con gli abitanti che stanno defluendo dall'edificio.

Vede uscire Ipitlos con uno zaino sulle spalle, avvolto in un pastrano che nasconde la ormai logora uniforme da guerriero e le armi. Dopo alcuni saluti, l'uomo si allontana dal villaggio.

Orube lo segue senza difficoltà negli ultimi lucori del crepuscolo, sfruttando i suoi sensi acutissimi. Lo vede seguire il sentiero per un chilometro, poi deviare verso una radura all'interno del bosco. Qui, in posizione molto riparata vicino a un ruscello, Ipitlos appoggia i suoi averi e organizza un bivacco frugale.

 

Mentre è chino a slegare un sacco a pelo, Orube decide di rivelarsi.

Esordisce: “Ipitlos, fratello mio!”.

Lui balza in piedi, voltandosi, e la vede nella semioscurità. “Orube? Orube, sorella mia!”. Si fa avanti e, inaspettatamente, la abbraccia. “Complimenti, miciona, puoi vantarti di aver fatto paura a un Guerriero”.

Lei resta dapprima sorpresa da questo saluto così poco formale, non è questo il modo che le hanno insegnato al Giardino, ma la riporta per un attimo agli anni lontani della loro infanzia.

“Scusami, fratellino. Non ho voluto rischiare di rivelarmi ad altri occhi”, dice sciogliendosi con qualche rimpianto dall'abbraccio.

“Un'ottima precauzione. Non sarei contento se qualche Guerriero ti avesse seguito”.

“Vai tranquillo, ho utilizzato gli incantesimi di Kandrakar per passare inosservata, come pure per trovarti”. Fa brevemente balenare la sfera verde nel suo palmo, facendole schermo da occhi indiscreti con una falda della sua veste. Un sottilissimo raggio verde scaturisce dall'amuleto, puntato al centro del petto di lui. La visione dura un attimo: subito Orube fa svanire l'oggetto, facendoli ripiombare in un'oscurità che per un attimo sembra ancora più profonda.

Lui annuisce colpito. “Spero che non decidano di passare qualcosa del genere alle autorità di Ashasvir”.

“Non credo proprio”, lo rassicura con un fugace sorriso, “Kandrakar è attentissima a non interferire con gli affari interni dei mondi, soprattutto di questo”. Poi, con tono più grave: “Sono in contatto con Yarr”.

“Con Yarr?”, si stupisce lui. “Ma si dice che l'abbiano costretto a suicidarsi. Non è così?”.

Orube resta incerta: l'Oracolo le ha detto e ribadito che questo argomento sarebbe esplosivo, a Kandrakar. Riprende a voce più bassa: “Fratello mio, sei disposto a giurarmi il segreto? Anche se dovessero minacciarti, se dovessero torturarti?”.

“Lo giuro. Parla dunque, Yarr è vivo?”.

“Sì. L'Oracolo di Kandrakar ha intercesso per lui, e ora è in salvo sulla Terra”.

“La Terra? Cosa intendi dire?”.

“E' un altro mondo, lo stesso dove vivo attualmente. Si nasconde sotto una falsa identità, facendo l'istruttore di arti marziali in un luogo dove queste vengono considerate solo come un gioco per pochi appassionati”.

L'esultanza riempie la voce di Ipitlos: “Sorellona mia, che notizie mi dai! Se Yarr può tornare, esiste qualche...”.

“Mi dispiace, fratello, non credo proprio che potrà tornare”.

“Non può tornare?”. Ipitlos tace brevemente, valutando le implicazioni di ciò. Poi appoggia una mano sulla spalla di Orube, come se volesse convincerla. “Ascoltami, Orube. Averlo qui, anche non subito ma magari in futuro, quando le sue idee saranno più diffuse, faciliterebbe di molto il cambiamento che vogliamo imprimere alla società degli Asha, e poi a tutta Basiliade”.

Intuendo il suo sguardo penetrante anche nella semioscurità del bosco, Orube abbassa gli occhi. “Questo io lo capisco, Ipitlos, ma non sta a me decidere. Io sono solo una subordinata dell'Oracolo”.

Di nuovo lui tace a lungo, valutando le possibilità. Poi, speranzoso: “Orube, tu puoi vedere questo Oracolo di Kandrakar, vero? Puoi parlargli? Se lui, dalla sua posizione, potesse fare qualche pressione sui governanti per cambiare...”.

Lei, a disagio, lo interrompe: “Mi dispiace, fratello mio. Purtroppo conosco già la risposta, ed è negativa senza appello. Himerish, l'Oracolo, ha corso il rischio di mettersi contro mezza Kandrakar solo per intercedere e salvargli la vita, quindi la cosa è un segreto perfino lì”.

Lui, incredulo, ritira la sua mano. “Ma perché? Salvare la vita di un uomo giusto non è considerato meritevole, a Kandrakar?”.

“Si, ma la Congrega, per principio, non interferisce con le politiche dei mondi. Soprattutto con Basiliade, perché la maggior parte degli adepti viene proprio da qui. L'Oracolo è stato chiarissimo su questo: portare all'interno della Congrega le divisioni politiche di Basiliade sarebbe catastrofico, e cancellerebbe la serenità di giudizio necessaria a svolgere i suoi compiti”.

Ipitlos tace un attimo, riflettendo, poi chiede lentamente: “E quali sono questi compiti? A cosa dedica la sua esistenza la Congrega di Kandrakar?”.

Lei risponde solenne: “A mantenere l'equilibrio fra i mondi, controllando i passaggi fra questi”.

Ipitlos riflette. “Passaggi fra i mondi... Ma cosa vuol dire mantenere l'equilibrio?”.

“Vuol dire... evitare che minacce passino da un mondo all'altro”.

“Ma un uomo giusto, se volesse tornare nel suo mondo, sarebbe una minaccia?”.

“Io... io ti direi di no, ma non sono io che decido... l'Oracolo mi ha detto chiaramente che Kandrakar potrebbe spaccarsi, su questo”.

Ipitlos riflette sulle spiegazioni frammentare e sibilline di Orube. “Dimmi, sorella, quali sono le altre minacce per l'equilibrio dei mondi, oltre a qualche uomo scomodo per un regime politico?”.

“Io... io sono solo una subordinata, lo ripeto, ma ho combattuto contro un mago malvagio, contro un tiranno e una banshee”.

“Spero che fossero davvero più minacciosi di Yarr, visto che qualcuno lì li vede sullo stesso piano”, dice con amarezza lui. “E poi?”.

“E poi...”, annaspa lei in difficoltà, poi si ricorda di una frase dei suoi superiori, “Poi ci sono minacce troppo sottili o troppo grandi per poter essere viste da un occhio umano”.

Lui ci riflette sopra. “Troppo sottili o troppo grandi... cosa vuole dire?”.

Lei, sempre più a disagio per quest'incalzare di domande, si schermisce: “Non lo so, Ipitlos, non lo so. Un giorno forse arriverò a capirlo, ma per ora il mio dovere è di fidarmi di chi è più saggio di me, e obbedire”.

Lui annuisce, cercando di non farle pesare troppo la sua delusione. “Sai, Orube, non dovrei stupirmi. Tu sei una tipica guerriera di Basiliade: onesta, leale, coraggiosa... tutte qualità preziose. Ma, anche se hai visto altri mondi, hai un limite tipico di questo: credi e obbedisci. Io, però, sto cercando di insegnare alla gente di qui a pensare con la propria testa, e spero che risposte come quelle che mi hai appena dato si trasformino, pian piano, in qualcosa di più consapevole”.

 

 

 

 

Note sul cap.22

In questo capitolo sono fortissimi i riferimenti alla mia fanfiction 'La figlia del Guerriero', in cui si racconta dell' infanzia di Orube e della morte di suo padre. Già lì Ipitlos appare come un bambino deluso dal rigido formalismo che i suoi fratelli dimostrano nel corso del loro reincontro dopo che, lasciata la casa di famiglia, erano stati educati e addestrati nei Giardini per anni.

Paragonando le idee espresse dal giovane in questo capitolo con quelle di Yarr, potrete notare che quelle del maestro sono degne di un ben timido riformatore se comparate a quelle più radicali del suo discepolo.

 

 

  
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