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Autore: Soul Mancini    10/03/2021    9 recensioni
Potevo fare davvero qualsiasi cosa della mia vita: avevo avuto la possibilità di andar via dal luogo maledetto in cui ero cresciuta, stavo per diplomarmi in una scuola dignitosa, non mi mancavano né i soldi né le capacità; eppure avevo scelto ancora una volta la strada, avevo deciso di buttarmi tra le braccia di una marea di sconosciuti per il solo gusto di sentirmi importante [...].
- QUATTORDICESIMA CLASSIFICATA al contest "Storie Alfabetiche" indetto da Lady.Palma sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
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Streets of shame
 
 
 
 
A Londra l’umidità della sera non lasciava mai tregua, mai – ormai ci avevo fatto l’abitudine e quasi non me ne curavo più.
Brividi leggeri mi correvano lungo le braccia e le gambe mentre, col corpo fasciato da abiti scuri e troppo sottili, avanzavo a passo spedito lungo il marciapiede. Conoscevo ormai piuttosto bene il quartiere di Soho; ogni volta che mi ci ero recata, avevo lanciato uno sguardo agli strip club dalle facciate colorate e alla manciata di ragazze che sostavano ai margini della via, in attesa, strette nelle loro minigonne che mettevano in risalto gambe troppo magre. Donnacce agli occhi di tutti – coraggiose ai miei, che avevo sempre desiderato imitarle senza mai trovarne il coraggio.
Espirai piano – la boccata di fumo che mi riempiva i polmoni si schiantò contro l’aria frizzante della sera – e mi fermai, guardandomi attorno con circospezione. Forse sarei dovuta essere intimorita dalla quiete sporca che mi circondava e dalla penombra rischiarata appena da lampioni fatiscenti; invece, per la prima volta da quando mi ero trasferita in quella grigia e ostile metropoli, mi sentii a casa, nuovamente nel mio habitat naturale.
Gettai a terra il mozzicone e ispezionai l’ambiente attorno a me: risate frivole e nervose, imprecazioni colorite pronunciate a denti stretti o gridate ai quattro venti, bottiglie infrante e sigarette consunte abbandonate a terra; mi pareva di essere tornata nella mia Los Angeles, nel quartiere degradato in cui ero cresciuta.
Hai da accendere?”
Istintivamente feci un passo indietro e mi irrigidii, presa alla sprovvista, e lanciai un’occhiata diffidente alla ragazza che mi stava accanto: capelli neri e fluenti, pelle olivastra, labbra carnose perfettamente adornate da un rossetto glitterato, fisico slanciato ma dalle forme generose e dolci.
Le porsi il mio accendino, in silenzio, e la osservai accostarlo a una stecca di tabacco con movimenti frenetici. “Mio dio, che moria oggi, non si ferma nessuno” commentò mentre prendeva una boccata di fumo, poi si voltò a scrutarmi. “Non ti avevo mai visto da queste parti prima d’ora; sei qui per lavorare?” domandò dopo qualche istante, restituendomi l’accendino.
Ovvio” ribattei in tono sicuro, e realizzai forse per la prima volta in che razza di situazione stavo andando a cacciarmi.
Potevo fare davvero qualsiasi cosa della mia vita: avevo avuto la possibilità di andar via dal luogo maledetto in cui ero cresciuta, stavo per diplomarmi in una scuola dignitosa, non mi mancavano né i soldi né le capacità; eppure avevo scelto ancora una volta la strada, avevo deciso di buttarmi tra le braccia di una marea di sconosciuti per il solo gusto di sentirmi importante – perché avrei avuto su di me tutta l’attenzione dei miei clienti, sarei stata il centro del loro mondo, anche se solo per un’ora o poco meno.
Queenie, piacere” prese nuovamente la parola la ragazza accanto a me, rivolgendomi un lieve sorriso – mesto, amaro, come il suo sguardo apatico e come probabilmente era la sua intera vita.
Ricambiai il sorriso con la sua stessa macchinosità e biascicai il mio nome, mentre mi domandavo cos’avesse portato una ragazza bella come lei su quel marciapiede – chissà, magari prima o poi gliel’avrei chiesto, ma non quel giorno. Sicuramente, di qualsiasi cosa si trattasse, doveva fare molto male; in fondo tutte le ragazze che si radunavano in quella via al calar della sera erano creature distrutte e prese a pugni dalla vita, che per un motivo o per un altro dovevano lottare contro i loro demoni.
Tornai a scrutare la strada davanti a me, lungo la quale le auto sfrecciavano senza fare troppo caso a noi; solo qualcuno si arrischiava a rallentare quando ci vedeva, ma nessuno si era ancora fermato – forse erano troppo timorosi di avere a che fare con degli scarti della società come noi.
Un paio di minuti più tardi una macchina scura – forse una Ford, ma non ne ero sicura, non ero certo un’esperta di automobili – accostò al marciapiede proprio davanti a me e Queenie; l’uomo che stava al volante abbassò il finestrino e ci lanciò un’occhiata eloquente.
Vai tu, Bess; io sto ancora fumando” sussurrò Queenie al mio orecchio, facendo una leggera pressione sul mio braccio per spingermi avanti.
Zittii la voce del mio buon senso che gridava nella mia testa nel tentativo di dissuadermi, tentai di placare la tempesta di nervosismo e aspettative che mi faceva martellare il cuore e mi incamminai verso l’auto con passo sicuro e sguardo sfrontato – pronta a darmi per il solo gusto di farlo, pronta a tuffarmi a capofitto nell’ennesimo sbaglio della mia vita.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Ho davvero adorato scrivere questa storia e partecipare al meraviglioso contest della Palma, che mi ha dato modo di sfidare me stessa e mi ha dato la spinta per tornare a scrivere originali dopo un periodo in cui ero bloccata su questo fronte. I miei personaggi mi erano mancati così tanto!
E su Bess ho tantissimo da dire; chi segue la serie Needles aveva sicuramente un sacco di interrogativi su di lei, e pian piano sto cercando di comporre anche il complicato puzzle della sua vita. Sapevate che era stata a Londra per un periodo… e questa è una delle attività di cui si è resa protagonista. Non so se in questa shottina sono riuscita a chiarire i motivi che l’hanno portata a tutto ciò, ma sicuramente ci tornerò in futuro.
Sentirete ancora parlare di lei, questo è certo!
Lascio intanto un paio di note di spiegazione: Soho è davvero il quartiere a luci rosse di Londra, noto per i numerosi strip club, sex shop e i cinema e teatri a luci rosse – oltre che per l’industria musicale e i rock club. Nonostante sul finire degli anni Cinquanta sia entrata in vigore lo Street Offences Act – la legge contro i crimini di strada – e sia considerevolmente aumentato il numero di club. Ho supposto che qualche prostituta lavorasse ancora per le strade negli anni Ottanta (in cui è ambientata questa storia), soprattutto ai margini del quartiere. Del resto in quell’epoca la maggior parte dei poliziotti che effettuavano i controlli erano corrotti e tante delle cose che capitavano erano immerse nell’illegalità.
Ho quindi pensato che Bess, per la sua prima e autonoma esperienza, abbia scelto la via più semplice.
Ma non mi dilungherò oltre, non voglio annoiarvi ^^
Ho sottolineato alcune lettere per evidenziare in maniera più palese lo svolgimento dell’esercizio che LadyPalma richiedeva: consisteva nello scrivere una storia composta da ventuno frasi (inteso come periodi) le cui iniziali seguano l’ordine alfabetico. Per un’autrice come me, che adora i punti fermi e che usa spesso frasi brevi per dare enfasi ai suoi testi, è stata una sfida difficilissima; alla fine ha vinto la mia parte più prolissa, perché avevo un sacco di cose da dire e in un modo o nell’altro le dovevo esprimere!
Spero non sia venuta fuori una schifezza totale XD
Grazie a chiunque sia giunto fin qui e grazie ancora alla giudice per questo contest così intrigante *-*
Alla prossima (e vi prometto che non lascerò trascorrere mesi per la prossima storia di questa serie) ♥
 
 
   
 
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