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Autore: Europa91    10/03/2021    2 recensioni
[Demons & Exorcist AU]
[Paul Verlaine x Arthur Rimbaud]
[Accenni Soukoku]
“Scusa, pensavo a Chuuya”
“Non l’avrei mai detto” non era arrabbiato, stava sorridendo.
“Sei tu che sei venuto da me questa notte”
“Perché sapevo che ne avevi bisogno. Chuuya non è più un bambino, è cresciuto. A volte sembra che tu non te ne renda conto”

La notte in cui Chuuya torna in convento Arthur e Paul sono lì ad attenderlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Paul Verlaine
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sisters and Demons'
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Cow-t 11 – Quinta settimana – M4

Prompt: 006 – Francesco Renga – Quando trovo te

Fandom: Bungou Stray Dogs

Rating: SAFE

Numero Parole: 5951

Note: per capirci qualcosa questa volta bisogna aver letto le storie precedenti. Il testo di questa canzone è perfetto per la coppia Paul Verlaine x Arthur Rimbaud, soprattutto per il tipo di relazione che hanno in questa storia. È tutto un prendersi poi lasciarsi, ritrovarsi, insomma l’ho ascoltata e ho pensato: sono loro. Questo Demon AU mi sta facendo male, però amo troppo scrivere su questi due se non si era capito. Si ringrazia Holie come sempre per il titolo, perché se non ci fosse lei io sarei persa <3

 

 

 

 

 

Come sempre mi dimentico
Dimentico di te
Sempre mi dimentico
Ma poi io ti ritrovo
Sempre se mi guardo
E intorno non c’è niente
Sei lo stupore atteso, un desiderio
Tra mille note in volo un suono nuovo
Sempre sempre
Si confondono perfettamente
Le mie gioie
Inevitabilmente
Sempre sempre
Le ritrovo tutte quante sempre
Solo quando trovo te”

 

 

 

 

Arthur aveva visto Chuuya lasciare il convento la notte del suo diciottesimo compleanno ma non aveva detto nulla. Aveva deciso di affidarsi al suo buonsenso, infatti non si era sbagliato. Dopo un mese il ragazzo era tornato sui suoi passi, con il cuore infranto. Il rosso era deluso, umiliato e tradito ma era tornato. Dopo averlo portato nelle sue stanze il cacciatore aveva fatto ritorno nei suoi appartamenti. Non fu particolarmente sorpreso nel trovare la finestra della camera completamente spalancata, una leggera brezza di vento stava soffiando, scompigliando sia i fogli presenti sulla sua scrivania che i suoi capelli corvini.

«Sapevo che saresti venuto» disse assumendo un tono monocorde, cercando di non far trapelare nessuna particolare emozione, anche se i battiti del suo cuore erano accelerati all’improvviso.

Fuori dalla finestra, appoggiato a un ramo di un albero Paul lo osservava divertito. I lunghi capelli biondi erano scompigliati da quel vento leggero, il codino con cui li teneva legati ricadeva elegantemente sulla sua spalla. I suoi occhi sembravano due smeraldi e in quel momento erano fissi sull’esorcista in piedi davanti a lui. Era inutile, quel demone era sempre bellissimo, come il giorno in cui si erano incontrati più di venti anni prima.

«Mi conosci bene. Sai quanto mi piace aver ragione»

«Sei francese»

«È un insulto?» serrò le labbra in un’espressione che Rimbaud non poté fare a meno di trovare adorabile, anche se non era propriamente corretto descrivere Paul in quel modo non aveva proprio potuto evitare di pensarlo;

«No, non lo è.» Concluse dandogli le spalle e mettendosi a sistemare le carte. Il demone però sembrava aver molto altro da dire, non avrebbe mai lasciato cadere la conversazione in quel modo.

«Allora come sta il cucciolo?»

Arthur alzò un sopracciglio, si aspettava qualcosa di simile dopotutto erano anni che le apparizioni del biondo coincidevano con fatti legati a Chuuya. L’ultima volta risaliva circa a un mese prima quando il ragazzo era scomparso nel cuore della notte insieme a Dazai.

 

Un mese prima…

 

Paul non aveva mai smesso di tenere sotto controllo Chuuya e per estensione anche Arthur. Si erano allontanati ma ciò non voleva dire che il sentimento che lo legava a quell’esorcista fosse scomparso. Il suo cuore sarebbe sempre appartenuto a un certo cacciatore dagli occhi di ghiaccio e dai lunghi capelli corvini. Per il demone in tanti anni non era cambiato nulla, Arthur era leggermente invecchiato e questo ai suoi occhi lo rendeva solo più bello, affascinante.

Aveva scelto di andarsene per proteggerli, cercando informazioni su Chuuya avrebbe potuto salvaguardare anche l’esorcista. Aveva provato a metterlo in guardia, quel bambino aveva dei poteri, talmente forti da aver ucciso in pochi secondi gli stessi demoni che avevano massacrato i suoi genitori. Paul non riusciva ancora a crederci, Chuuya doveva essere solo il figlio di un demone minore, quindi come poteva possedere quelle fiamme nere. Nel corso della sua lunga esistenza, il biondo aveva visto quel tipo di potere solo un’altra volta. Avrebbe voluto sbagliarsi ma raramente questo accadeva. Se aveva ragione si sarebbero dovuti preparare al peggio.

Qualche anno prima aveva proposto ad Arthur, quasi per scherzo di occuparsi di quel piccolo demone. L’aveva fatto principalmente perché era preoccupato per il suo compagno, era stanco di vederlo tormentarsi nell’inseguire un folle desiderio che non poteva in nessun modo realizzarsi. Rimbaud era solito farsi problemi dove non esistevano, perché doveva invidiare la famiglia di sua sorella, loro stessi non potevano essere una famiglia? Era decisamente diventato troppo sentimentale ma era così solo in compagnia del suo esorcista. Solo ad Arthur aveva permesso di scorgere quel suo lato.

Quando era tornato negli inferi il demone portatore di tempesta si era scatenato mostrando tutto il suo potere, voleva dimostrare ai suoi fratelli che la sua relazione con un umano non lo aveva in alcun modo danneggiato e che non li aveva traditi. Si era divertito nella ricerca di informazioni, fino a quando non lo aveva raggiunto la notizia che un certo demone dei suicidi avesse trovato una sposa sulla Terra. Erano solo voci e non vi aveva fatto troppo affidamento. All’Inferno tutti mentivano e spettegolavano. Quando, ad un certo punto, qualcuno aveva parlato di una novizia dai capelli rossi, un campanello d’allarme si era acceso nella mente del biondo. Così era tornato da Arthur solo per scoprire che la sua intuizione era corretta.

Chuuya e Dazai.

Dazai e Chuuya.

Quei due potevano essere pericolosi insieme, avrebbero presentato una minaccia molto più grande di quanto lui e il suo cacciatore avessero fatto anni prima.

Solo lui e Arthur però erano al corrente della vera natura del ragazzino dai capelli rossi. Avevano ancora tempo, non era ancora successo l’irreparabile.

«Non hai fatto nulla per fermarlo» fu la prima cosa che disse al cacciatore, la sera in cui i due ragazzi fuggirono nel cuore della notte. Non voleva essere un rimprovero era più che altro una constatazione. Arthur aveva sospirato mentre si avvicinava alla finestra oltre la quale stava il demone. Con un gesto si avvolse meglio la sciarpa che portava al collo.

«Non mi avrebbe ascoltato. Ha diciotto anni ormai è un adulto»

«Mi sembra ieri che lo tenevo in braccio» sospirò il demone con fare sognante, beccandosi un’occhiata di rimprovero.

«L’hai tenuto solo un paio di volte, fortunatamente» Paul scoppiò a ridere

«Questa notte il nostro bambino diventerà un uomo» poté giurare di aver sentito un’imprecazione non troppo velata lasciare le bocca del cacciatore.

«Smettila. Non sei affatto divertente»

«Sei tu che neghi l’inevitabile o più che altro la realtà. Sono giovani, innamorati e scappati nel cuore della notte, ricordi cosa facevi tu alla loro età?» si era avvicinato pericolosamente e Arthur poteva specchiarsi in quelle iridi smeraldine. Non poté evitare però di arrossire a quei ricordi, ancora scolpiti nella sua mente come se fossero avvenuti solo il giorno prima.

«Anche se devo ammettere che eri più carino di Chuuya. Ovviamente anche io sono più bello di Dazai» un cuscino lo colpì in pieno;

«Ehi questo per cos’era?»

«Per tutto e vedi di smetterla di urlare, vuoi che qualcuno noti la tua presenza?» Il demone arricciò il naso;

«La nostra relazione non è più uno scandalo per nessuno»

«Questo perché tutti sanno che ci siamo lasciati» concluse Rimbaud lapidario incrociando le braccia.

«Quand’è che ci saremmo lasciati scusa?» se lo sguardo avesse potuto uccidere il demone sarebbe sicuramente morto.

«Te ne sei andato all’Inferno» fece notare l’esorcista cercando di calmarsi, anche se sapeva che non sarebbe servito a nulla;

«Mi sembra di essere tornato»

«Sei tornato dopo sei anni, sul luogo di un massacro. Tutti ti credono uno dei responsabili dell’incidente di Suribachi. E per tutti intendo sia i miei che i tuoi superiori»

«Sai perché ero là. Sono sempre tornato da te Arthur» disse prima di sporgersi per accarezzagli una guancia. Il moro non ebbe la forza di obiettare. In tutti quegli anni malgrado tutto non aveva mai smesso di amarlo. Loro erano fatti così, poli opposti che si attraevano e respingevano con la stessa intensità.

Poteva aver dimenticato molte cose dopo i periodi di lontananza, ma Arthur non avrebbe mai dimenticato il sapore delle labbra di Paul. Era il sapore del peccato, il frutto proibito che aveva deciso di cogliere anni prima. La sua anima ormai era dannata, sarebbe bruciato tra le fiamme dell’Inferno solo perché si era innamorato di quel bellissimo demone che ora stava a pochi passi da lui.

Non ci pensò e con un balzo lo raggiunse fuori dalla finestra, atterrandogli vicino. Nel frattempo Paul era scoppiato a ridere, dopo averlo afferrato per la vita.

«Sei pazzo, credevo volessi suicidarti» disse mentre lo tirava vicino a sé.

«Quel moccioso amante dei suicidi non ha avuto il tempo di sussurrare dolci lusinghe nelle mie orecchie» sussurrò con fare volutamente provocante.

«Se lo avesse fatto non saremmo qua a preoccuparci per la dote di Chuuya visto che avrei ucciso il suddetto demone con queste mani» fu il turno di Arthur di sorridere;

«Chuuya deve imparare dai propri errori. Quando scoprirà la vera natura di Dazai tornerà e io sarò qui ad aspettarlo»

«E se amasse la sua vera natura? Sai qual è l’errore più comune che i genitori fanno con i propri figli? Credere che siano delle piccole copie di loro stessi» Rimbaud storse il naso,

«Non considero mio nipote in quel modo»

«Non puoi negare di aver visto dei parallelismi tra la loro storia e la nostra» il cacciatore questa volta non replicò,

«Sei sicuro che tornerà perché è quello che tu faresti al suo posto. Potrebbe tornare, anzi lo farà ma non lo tratterrai a lungo» Arthur non voleva dargli ragione, non poteva, il suo orgoglio glielo impediva.

«Portami nella prima locanda disponibile e facciamola finita. Hai parlato decisamente troppo questa sera» bastò quella frase per zittire il demone che lo seguì senza fare storie.

Ora, un mese dopo, la previsione o per meglio dire i timori di entrambi si erano avverati. Chuuya era tornato con il cuore infranto al convento ma nessuno dei due sembrava contento di quel risultato.

«Come sta il cucciolo?» Era stata la prima domanda che Paul gli aveva rivolto;

«Ti hanno mai spezzato il cuore? Tradito la tua fiducia?» il demone finse di pensarci per qualche secondo;

«E a te è successo?»

«Smettila di provocarmi, non è divertente. Chuuya è a pezzi, non hai visto il suo sguardo poco fa»

«Li ho visti» Arthur sbiancò;

«Che stai dicendo?»

«Vivevano in una casetta in mezzo al bosco, a qualche chilometro dal villaggio a sud»

«Per tutto questo tempo tu hai sempre saputo dove fosse» era sconvolto;

«Era al sicuro, se avessi anche solo avuto qualche sospetto del contrario sarei intervenuto e lo sai»

«Saresti intervenuto a titolo di?» il biondo finse di pensarci;

«Uno zio, un fratello maggiore, chiamami come vuoi, l’ho sempre protetto e lo sai»

«Perché lo fai? Perché ti preoccupi per Chuuya?»

«Me lo stai davvero chiedendo Arthur? Lo avrei cresciuto ed amato come un figlio se mi avessi lasciato fare, se me lo avessi permesso»

«Sei suo padre» il demone rimase in silenzio cercando di cogliere il senso di quella frase.

«Ti sei comportato più tu da padre che il demone che lo ha messo al mondo. Potessi tornare indietro forse accetterei la proposta di crescerlo insieme o forse no, non mi piace rivangare il passato. Ormai ciò che è stato è stato»

«Penso che quel demone, il marito di tua sorella, ecco che non fosse lui il vero padre di Chuuya»

«E ora che ti sei inventato?»

«Le fiamme nere che ho visto usare da Chuuya, di solito è un tipo di potere che appartiene a un demone di classe superiore, come il mio controllo del vento»

«Stai insinuando che mia sorella fosse una poco di buono?»

«No, sto solo ipotizzando che dietro la nascita e i poteri demoniaci di tuo nipote ci sia sotto altro, qualcosa che non sappiamo»

«Per questo continui ad andartene e investigare?»

«Proteggere quel moccioso significa proteggere te. Quando la sua relazione con Dazai verrà alla luce forse verrà a galla anche la sua natura demoniaca, dobbiamo essere preparati nel caso accada il peggio»

«Sai» iniziò l’esorcista con fare malinconico osservando un punto imprecisato al di fuori della finestra oltre la quale si trovava il demone;

«Anche se ti avessi seguito e allevato Chuuya probabilmente quei due avrebbero finito con l’incontrarsi ugualmente. Una volta ho letto un libro che recitava: se due pesci sono destinati ad incontrarsi non servirà al mare essere cento volte più grande» *

«Non pensi che una frase del genere possa adattarsi anche a noi?»

Si era fatto più vicino e Arthur non riuscì a rispondere. Il bacio con cui lo mise a tacere fu lungo e bisognoso. La loro relazione era sempre stata così, un continuo scontrarsi, sfidarsi, confrontarsi, rivaleggiare. Poteva andare avanti all’infinito con quella lista d’aggettivi. Non poteva che essere altrimenti. Provenivano da mondi diversi erano cresciuti con principi diversi, appartenevano addirittura a razze diverse. Però nonostante tutto, si erano amati e non avevano mai smesso di farlo. La fiamma della loro passione non si era spenta solo affievolita.

Paul aveva ragione. Aveva sempre ragione anche se all’esorcista costava doverlo ammettere.

Arthur aveva voluto credere che Chuuya fosse simile a lui quando invece non poteva esserci creatura più diversa. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Come sapeva che quel ragazzino non sarebbe stato capace a rinunciare a Dazai. D’altronde lui cosa aveva fatto con il suo di demone? Non era stato in grado di lasciare Paul nonostante tutto. Erano ancora lì, anche quella volta, a rincorrersi nel cuore della notte, a baciarsi in un vicolo mentre si dirigevano verso la prima locanda disponibile per consumare l’ennesima notte di passione. Celati agli occhi del resto del mondo. Era diventata quella la loro routine.

Se glielo avessero chiesto probabilmente Arthur avrebbe ammesso che quel demone biondo era ormai diventato come una droga della quale non poteva, né voleva fare a meno. Aveva superato i quarant’anni ma si comportava ancora come un ragazzino alla prima cotta, o forse era semplicemente la presenza dell’altro a renderlo tale.

Chuuya lo reputava un modello da imitare chissà cosa avrebbe detto o pensato se avesse saputo la verità. In fondo in quella storia tutti avevano dei segreti, lui solo più di altri.

Suo nipote aveva finito per commettere i suoi stessi errori. Gli venne spontaneo chiedersi se fosse un tratto di famiglia, d’altronde anche sua sorella Marie si era innamorata di un demone.

In quel momento ripensò alla teoria di Paul, al fatto che il padre di Chuuya potesse non essere un demone comune. All’inizio, l’aveva catalogata come un’ipotesi assurda. Se le parole del suo compagno fossero state veritiere non voleva immaginare cosa avrebbero comportato.

Ricordava vagamente suo cognato, le volte che si era recato da Marie era quasi sempre fuori casa per lavoro. L’aveva solo intravisto ma da quel poco tempo trascorso in sua compagnia non gli era parso minaccioso. Era ordinario, non c’era altro modo per descriverlo. Non aveva la stessa aria di superiorità che ad esempio contraddistingueva Dazai e Paul.

Arthur nel corso della sua vita aveva avuto modo d’incontrare e combattere contro molti demoni ed era giunto alla conclusione che non erano troppo diversi dagli esseri umani, ve n’erano di buoni, cattivi, insomma ne esistevano di ogni genere. Non aveva prestato troppa attenzione a suo cognato, ingenuamente aveva pensato che se Marie lo avesse scelto e fosse arrivata a scappare con lui questo bastava a renderlo meritevole di fiducia.

Poi c’era Chuuya, lo aveva visto prendersi cura del bambino, cullarlo. La sua mente gli giocò un brutto scherzo mostrandogli l’immagine di Paul diversi anni prima, quando lo aveva scoperto, nel cuore della notte a cullare e dar da mangiare al nipote. Era stata la sera in cui gli aveva proposto di prendere il bambino e fuggire, crescerlo insieme, essere una famiglia, solo loro tre.

Nel corso degli anni, Arthur aveva fatto molti sogni al riguardo. Loro tre, una famiglia.

L’idea gli era tornata prepotentemente alla mente quando aveva ritrovato Chuuya, subito dopo la scoperta del massacro avvenuto nel villaggio di Suribachi. Il suo primo pensiero era stato condurre il nipote al sicuro, per questo lo aveva portato in uno dei conventi dell’Ordine e cresciuto come un esorcista, gli avrebbe dato le armi per difendersi e lo avrebbe tenuto sotto controllo. Sperava in questo modo di proteggerlo. Ancora una volta si era rivelato troppo ingenuo o forse speranzoso. Anche quella volta, Paul aveva incrociato la sua strada, era tornato da lui dopo sei anni di lontananza. Dopo averlo rivisto, quella sera, aveva fatto un sogno.

Si era svegliato quando i primi raggi del sole che filtravano dalle finestre erano arrivati fino a lambirgli gli occhi, disturbando il suo riposo. Non gli capitava mai di oziare a letto, di solito era abituato a dormire solo qualche ora. Per cui già quel particolare era strano. Fu solo in un secondo momento che l’esorcista ebbe modo di mettere a fuoco dove si trovava e anche notare il letto. Era a baldacchino e decisamente troppo grande per ospitare una persona sola. Per non parlare delle lenzuola bordeaux. Arthur non avrebbe mai approvato un colore così appariscente e di un gusto decisamente pacchiano. Si sentì spaesato il tempo di un secondo che qualcuno spalancò la porta della stanza entrando di corsa. Non ebbe modo far nulla, solo allargare le braccia accogliere il bambino dai capelli rossi che si era gettato su di lui.

«Finalmente sveglio papà» disse alzando gli occhi azzurri e puntandoli sui suoi.

Arthur distolse lo sguardo solo per incontrare quello di Paul , che appoggiato allo stipite della porta di quella che doveva essere la loro camera da letto, gli sorrideva machiavellico; era bello come sempre e indossava una semplice camicia bianca che lo faceva sembrare solo più affascinante.

«Chuu sai che a papà dopo una missione piace sempre restare a poltrire a letto»

«Ma non è vero» si trovò a rispondere; il bambino scoppiò a ridere abituato a quei battibecchi.

«Ti abbiamo preparato la colazione su vieni» e lo prese per mano. Il resto del sogno era una dolce parentesi familiare fatta di sorrisi e risate.

Sarebbe stata così la sua vita insieme a quei due demoni? Per molto tempo se l’era domandato. Se loro due sarebbero stati in grado di allevare Chuuya. Poi però il suo pensiero tornava a Marie. Quando Paul gli aveva fatto quella proposta non avrebbe mai potuto accettare. Separare sua sorella dal bambino era un’ipotesi troppo crudele. Col senno di poi si era domandato se così facendo l’avrebbe salvata. L’incidente di Suribachi era ancora poco chiaro. Paul gli aveva raccontato la sua versione dei fatti ma gli esorcisti e le loro indagini ne avevano riportata un’altra. Arthur non sapeva a chi credere. Probabilmente la verità si trovava nel mezzo e sicuramente l’unico a conoscenza di come si fossero svolti realmente i fatti quella fatidica notte era Chuuya. Peccato che per lo shock ne avesse perso ogni ricordo.

Secondo la teoria di Paul anche questa amnesia sarebbe stata opera di un demone o semplicemente un effetto collaterale dell’utilizzo dei suoi poteri. Dopo dieci anni ne sapevano ancora troppo poco.

Chuuya era cresciuto come un essere umano. Lui stesso lo aveva addestrato per diventare esorcista. Odiava i demoni eppure si era innamorato di Dazai. Come lui aveva fatto con Paul. Avevano entrambi infranto i loro voti.

Mentre era perso in questo mare di ragionamenti avevano raggiunto la locanda. Il demone era entrato prima di lui e aveva prenotato una stanza come se fosse la cosa più normale del mondo. Arthur era rimasto in disparte ma ne osservava ogni movimento come ipnotizzato.

A prima vista non si potevano distinguere gli esseri umani dai demoni, soprattutto quando questi ultimi decidevano di assumere forma umana. Aveva visto solo una volta il vero aspetto di Paul. Non era molto diverso. I suoi occhi erano gli stessi e anche quella creatura l’aveva guardato con lo stesso amore. Due corna spuntavano sopra i suoi capelli biondo pallido e aveva dei lunghi artigli al posto delle mani. Arthur lo aveva baciato, anche con quell’aspetto, quello era Paul. La sua anima si era dannata il giorno stesso in cui aveva incrociato la sua strada con quella di quel demone. Qualcuno lo aveva definito portatore di tempesta e mai descrizione gli sembrò più azzeccata per il biondo. Paul era esattamente così, arrivava leggero, come una brezza primaverile ma poi si scatenava palesando tutta la sua forza, diventando distruttivo e fatale come lo poteva essere solo che una tempesta.

«Hai finito di arrovellarti il cervello? Posso sentire fin qui il suono degli ingranaggi nella tua mente»

Solo allora l’esorcista aveva alzato lo sguardo. Erano giunti in una stanza. Paul si era appena levato il cappotto e lo fissava un misto tra l’irritato e il divertito.

«Scusa, pensavo a Chuuya»

«Non l’avrei mai detto» non era arrabbiato, stava sorridendo.

«Sei tu che sei venuto da me questa notte»

«Perché sapevo che ne avevi bisogno. Chuuya non è più un bambino, è cresciuto. A volte sembra che tu non te ne renda conto»

«Lo ammetto, ogni tanto penso ancora a lui come a un bambino. Avrà anche diciotto anni ma resta comunque un ragazzino. Se sapevi dove si trovava perché non me l’hai detto?»

«Saresti andato a prenderlo, davvero Arthur?»

L’esorcista si buttò sul letto. Mettendosi a fissare un punto imprecisato sul muro.

«Probabilmente» ammise levandosi sciarpa e cappotto.

«L’istinto materno»

«Sei tu che l’hai seguito» fece notare l’esorcista decidendo volutamente d’ignorante il commento precedente. Il demone sbuffò sedendosi sul letto accanto a lui.

«Non mi fido di Dazai. Lavora per Mori»

«Il Boss Mori?» Chiese Arthur voltandosi a fissarlo non nascondendo la sorpresa per quella nuova scoperta.

«Si ne conosci altri per caso? È il suo braccio destro, un giorno sicuramente prenderà il suo posto. Non è da sottovalutare, è scaltro e non si può mai sapere cosa gli passi per la testa, oltre che essere un abile stratega»

«In questo mi ricorda qualcuno» il demone sorrise;

«Ma se ti dico sempre tutto»

«Non mi hai detto dove si trovava Chuuya. L’hai lasciato un mese con quel demone di Dazai che solo ora scopro essere il braccio destro di Mori. Quel Mori! Paul a volte hai ancora la capacità di sorprendermi e credimi non è affatto un complimento»

Il demone scoppiò a ridere.

«Calmati. È vero Dazai è uno dei possibili candidati a diventare uno dei Re degli Inferi ma sa prendersi cura di Chuuya. In questo mese non gli ha fatto mancare nulla, da quello che ho visto erano felici»

«Allora spiegami perché Chuuya è tornato in convento. Ha scoperto la sua identità»

«Ha visto un demone che Mori aveva inviato per Dazai. È stato lui a rivelare tutto.»

«Bene. Ora spunta che c’era un altro demone. C’è per caso altro che dovrei sapere Paul?»

«No, ora credo di averti detto tutto» ammise con fare innocente prima di gettarsi su di lui.

Arthur provò a divincolarsi ma senza successo anche perché non voleva realmente farlo. Quella sensazione di bisogno e urgenza nata quando aveva baciato il demone in mezzo alla strada era rimasta. Sapeva già come sarebbe andata a finire quella notte, era una storia già scritta la loro. Che si fossero lasciati o meno era non c’era modo per cercare di definire cosa fossero. In realtà non lo sapevano nemmeno loro. Stare insieme non andava bene, non avrebbero avuto un futuro, ma non riuscivano nemmeno a stare lontani. Continuavano nonostante tutto a cercarsi e volersi come il primo giorno.

La notte in cui aveva trovato Chuuya e lo aveva portato al sicuro al convento, era stata quella la notte in cui Paul era tornato nella sua vita. Solo allora Arthur aveva capito che mai sarebbe riuscito a dimenticarlo, che non lo avrebbe mai fatto. Non poteva. Chuuya era solo un pretesto, una scusa che il demone usava per tornare da lui, perché ammettere di non riuscire a stare lontani era troppo difficile. Erano entrambi troppo orgogliosi, il tempo dei giochi era finito. Avevano smesso di sognare, o perlomeno Arthur aveva cercato di farlo. Se ci fosse o meno riuscito questo era un altro paio di maniche.

La realtà pura e semplice era che lui si sentiva in un certo senso vivo solo quando Paul era al suo fianco. Di quei sei anni di lontananza conservava solo un vago ricordo quasi sfumato. Senza il demone nella sua vita, era come se ogni cosa avesse perso colore. Poi era tornato e insieme a lui, Chuuya. Quel ragazzino era stato sia la loro salvezza che la loro condanna.

Aveva definito Paul come il padre del rosso ma poteva valere lo stesso anche per lui. Era stato il suo maestro, un fratello maggiore, un confidente e perché no, alla fine poteva essere stato anche un padre. C’era sempre per Chuuya. All’inizio pensava che fosse solo per il senso di colpa di non essere riuscito ad arrivare in tempo e salvare sua sorella a legarli ma in realtà lui teneva veramente al nipote. Lo aveva cresciuto al meglio delle sue capacità e aveva cercato di fare il possibile per proteggerlo, dall’Ordine (facendolo entrare a sua volta), dai demoni e da chiunque potesse minacciarlo.

Chuuya era diverso da lui eppure sotto certi aspetti erano così simili.

Per rispondere alla domanda di Paul si, si sarebbe precipitato in quella casa e avrebbe portato il rosso via a forza ricordandogli i suoi voti e le regole dell’Ordine, anche se probabilmente si sarebbe solo reso ridicolo visto che lui stesso era il primo ad averle infrante.

Anche lui aveva perso la verginità tra le braccia di un demone e anche in quel momento si stava abbandonando per l’ennesima volta ad una notte di lussuria, cercando così di svuotare la mente da tutti i problemi e incombenze che la mattina successiva avrebbe portato.

Decise di non pensare ad altro.

Il successivo bacio di Paul ebbe il potere di cancellare ogni suo altro pensiero coerente.

 

***

 

Quando era andato a bussare alla porta di Chuuya quella mattina non aveva ottenuto nessuna risposta. Non era preoccupato, sapeva che il novizio non avrebbe commesso gesti estremi, però dopo un mese passato in compagnia di quel demone non poteva esserne così sicuro. Alla fine, dopo l’ennesimo richiamo senza risposta decise di farsi strada con la forza, rompendo la serratura ed entrando nella stanza.

Il rosso se ne stava raggomitolato a letto pallido come un fantasma e lo guardava confuso. Arthur si avvicinò fino a posare una mano sulla sua fronte. Era bollente, aveva la febbre. Si diresse subito in bagno con l’intento di recuperare un panno e dell’acqua, fu in quel momento che notò il vomito della sera prima.

«Se stavi male perché non hai chiamato?» Chuuya aprì debolmente un occhio, cercando di mettere bene a fuoco il cacciatore.

«Non credevo di star così male, cioè non mi è mai capitata una cosa simile prima» era quasi spaventato e come lui anche l’esorcista. Era vero, in diciotto anni il ragazzino non aveva mai preso nemmeno un raffreddore mentre ora aveva la febbre e il corpo continuamente scosso da brividi. Rimbaud gli passò un panno sul volto, asciugandone il sudore. Poi fece per voltarsi.

«Dove vai ora Arthur?»

Il suo primo pensiero era stato correre da Paul. Lui di sicuro sapeva che stava succedendo ma difronte alla vista del nipote sofferente non poté resistere, afferrò una sedia e si mise al suo fianco, continuando a frizionargli la fronte. Non sarebbe riuscito a lasciarlo solo in quello stato.

«Scusami» mormorò una volta sicuro che il ragazzino si fosse addormentato. Il suo respiro si era fatto più regolare e anche la temperatura sembrava essersi abbassata. Tirò un sospiro di sollievo. Non era mai stato bravo ad occuparsi degli altri.

«Avrei dovuto dirti di Dazai, ma non mi avresti mai creduto. Sinceramente non pensavo che sareste arrivati a fuggire insieme, fino a poco tempo fa urlavi ai quattro venti di odiarlo.» L’esorcista sorrise tra sé prima di immergere il panno umido nell’acqua fresca. Intanto Chuuya non si era mosso di un millimetro.

«Anche io mi sono innamorato di un demone. È successo qualche anno prima della tua nascita. Ora che ci penso avevo diciotto anni esattamente come li hai tu ora. L’unica differenza tra noi è che io sapevo a cosa andavo incontro. Ho sempre saputo che Paul era un demone eppure mi sono innamorato lo stesso. Ci sono cose che sfuggono alla logica e alla razionalità, questo mondo ne è pieno. Per questo non voglio farti la paternale o dirti che finirai all’Inferno per le tue azioni, sono cose che sai benissimo anche da solo. Hai fatto una scelta e sei consapevole delle conseguenze. Sono solo contento che tu sia tornato sano e salvo. La febbre passerà. Ora devi solo pensare a rimetterti in forze. Passerà pure il dolore, anche se per quello ci vorrà del tempo. So che ora ti sembrerà di morire, ma credimi si può continuare a vivere anche con il cuore spezzato».

Si alzò lentamente e fece per lasciare la stanza quando Chuuya alzò di poco la testa provando a mettersi a sedere.

«Che ne è stato di quel demone?» chiese con un filo di voce. Arthur gli sorrise.

«Mi ha spezzato il cuore e io l’ho spezzato a lui. Da anni continuiamo con questo gioco, siamo due masochisti, ma non sono stato in grado di lasciarlo. Ora sto andando da lui, ho bisogno di un suo consiglio»

«Come mai mi stai dicendo tutte queste cose e perché ora improvvisamente tutta questa sincerità dopo anni?»

«Non ho più intenzione di mentirti Chuuya. Per cui da oggi in poi ti dirò sempre la verità» il rosso sembrò dubbioso;

«Che ne sarà di Dazai?» era l’unica cosa che gli importava. Era ancora profondamente ferito per il suo comportamento ma non poteva evitare di preoccuparsi per la sua incolumità, se gli fosse successo qualcosa per colpa sua non se lo sarebbe mai perdonato. Il cacciatore sospirò cercando però di evitare di incrociare il suo sguardo.

«Ha lasciato la vostra casa nel bosco e fatto perdere le sue tracce. Probabilmente a quest’ora sarà già tornato all’Inferno»

«Volevi esorcizzarlo?» Rimbaud non poté evitare di essere sorpreso da quella reazione, come del fatto che il rosso sembrava già aver riacquistato le forze;

«No, cosa te lo fa pensare?»

«Dazai è un idiota ma non mi ha fatto nulla, l’Ordine non può fargli niente»

«Calmati. Non è stato emesso nessun ordine di cattura per lui. Sono io che ho mandato Paul a cercarlo. È stata una mia iniziativa»

«Paul? Il demone?»

«Si»

«Che tipo è?» nonostante la sorpresa per quella rivelazione Chuuya non riusciva ancora a immaginarsi un ipotetico compagno del suo mentore. Arthur ci pensò qualche secondo, prima di decidersi a rispondere;

«Arrogante, intelligente e per quanto odi ammetterlo ha sempre ragione»

«Sai che hai appena descritto anche quell’idiota di Dazai?» sorrisero entrambi.

«Vedo che ora stai meglio» concluse il cacciatore.

«Si. Non so cosa mi sia preso, stavo bene un attimo prima di entrare nelle mie stanze» improvvisamente l’esorcista si fece sospettoso.

«Hai toccato o fatto qualcosa di strano da quando sei entrato?» domandò;

«Toccato?» Chuuya ci pensò per qualche secondo. Era arrivato nei suoi appartamenti, si era spogliato e aveva rimesso i suoi vecchi abiti buttando quelli che indossava. Nulla di anormale. Era troppo sconvolto dai suoi sentimenti e dai pensieri di Dazai per ricordarsi altri dettagli della sera prima.

Fu allora che Rimbaud notò il crocifisso a terra, abbandonato vicino al comodino, lo raccolse e se lo passò tra le mani continuando a osservarlo.

«Ah quello l’avevo al collo ma quando ho iniziato a vomitare ho pensato di levarmelo, non volevo sporcarlo» l’esorcista non gli diede una risposta, con ancora l’oggetto tra le mani fece per andarsene dalla stanza.

«Va tutto bene. Ora riposa»

Il rosso lo fissò per qualche secondo non capendo quel repentino cambio di atteggiamento. Gli aveva promesso che non gli avrebbe più mentito ma in quel momento il cacciatore gli stava volutamente nascondendo qualcosa. Tornò sotto le coperte cercando di non pensare a Dazai e a cosa stesse facendo, e se davvero fosse tornato all’Inferno.

Aveva solo voglia di addormentarsi di nuovo tra le sue braccia, gli mancava quel idiota.

 

***

 

«Cosa significa?»

Aveva mostrato il crocifisso a Paul che lo osservava confuso, quasi spaventato che l’esorcista potesse usarlo contro di lui.

«Sono appena tornato da una ricognizione nel bosco perché mi hai mandato a cercare Dazai e ora mi mostri quel crocifisso, potresti anche darmi qualche altro dettaglio Arthur, per quanto ti ami non ti leggo ancora nel pensiero»

«Chuuya aveva la febbre» l’espressione del biondo in quel momento fu impagabile.

«Impossibile, i demoni non si ammalano»

«Infatti in diciotto anni di vita non aveva mai preso un raffreddore»

«Però è in parte umano, quindi potrebbe succedere»

«Non era una comune influenza, si è ripreso troppo in fretta»

«Ti ricordo che tuo nipote è un mezzo demone»

«Penso sia stato questo crocifisso» Paul lo fissò curioso, non capendo dove l’altro volesse andare a parare;

«Ha indossato il crocifisso ed è stato male, quando se l’è levato si è ripreso»

«Ogni cosa santa o in qualche modo consacrata ci brucia non ci fa ammalare. Non eri il migliore del tuo corso in seminario piccolo Rimbaud?»

«Chuuya è un mezzo demone l’hai detto anche tu»

«Ma non l’ha sempre indossato?» effettivamente aveva ragione, come sempre.

«Ha camminato e vissuto tranquillamente anche in terra consacrata per anni. Forse mi sono sbagliato»

Paul ci pensò per qualche istante.

«Forse invece potresti aver ragione. Chuuya fino ad oggi è stato allevato come un essere umano. Con Dazai ha scoperto il sapore del peccato»

«Paul ti prego» sbuffò alzando gli occhi al cielo.

«No, lasciami finire. Dazai potrebbe aver risvegliato il lato demoniaco di Chuuya. Per questo si è sentito male, il suo corpo si è ricordato che per noi questo genere di cose sono nocive e ha reagito di conseguenza. Il suo lato umano è il solo motivo per cui ora non si sia già tramutato in un mucchietto di cenere»

«Paul» l’esorcista era senza parole;

«Anche se non ne sono sicuro, cioè quel cucciolo è il primo del suo genere, bisognerebbe osservarlo, fare degli esperimenti»

«Vuoi davvero fare degli esperimenti su mio nipote?»

«Se servissero per capirci qualcosa. Non dirmi che non sei curioso»

«No, non sono curioso, sono preoccupato. Non si era mai ammalato prima» il demone provò a sporgersi per abbracciarlo ma l’altro si divincolò dalla presa;

«Stava male ma il suo primo pensiero è stato per Dazai, tornerà da lui ne sono sicuro» ammise;

«Se è tornato negli Inferi c’è poco che il nostro cucciolo possa fare, a meno che non voglia seguirlo fino a lì» Arthur lo incenerì con lo sguardo;

«Scherzavo» anche se sperava di sbagliarsi.

«Mi ha chiesto che tipo sei» aggiunse l’esorcista dopo un po’. Si erano messi a passeggiare per il bosco, ormai il sole stava tramontando. Era stata una giornata piuttosto frenetica per entrambi e quella pace non guastava. Camminavano l’uno di fianco all’altro, ogni tanto le loro mani finivano con lo sfiorarsi. Si era creata un’atmosfera quasi nostalgica.

«Sono un padre fantastico e tu una madre ansiosa»

«Non sto scherzando»

«Nemmeno io. Dazai è tornato negli Inferi per un motivo, se Mori ha mandato un messo a recuperarlo ci sarà una qualche ragione. Quel demone è subdolo e calcolatore non lascia nulla al caso, anzi probabilmente Chuuya era una variabile non prevista dalla sua equazione e questo mi spaventa»

«Che stai cercando di dirmi? Chuuya è in qualche modo in pericolo, ci sarà una qualche guerra, devo avvertire l’Ordine?»

«Devi rilassarti. Sto solo facendo delle ipotesi per il momento non sappiamo nulla»

«Tornerai anche tu all’Inferno vero, è questo che stai cercando di dirmi?»

Il biondo sorrise rassicurante;

«Tornerò, l’ho sempre fatto del resto» concluse prima di baciarlo. Questa volta l’esorcista non si tirò indietro. Assaporò ogni secondo di quel bacio dal vago sapore di addio e si chiese quando sarebbe finita quella storia, quel tira e molla tra loro.

«Ho bisogno di investigare su Dazai e il comportamento di Mori, sento che qualcosa non torna. Tu occupati del nostro bambino, tienilo d’occhio» rispose facendogli l’occhiolino;

Arthur era stato certo di poche cose nel corso della sua vita ma in quel momento poteva vantare due sole certezze: avrebbe fatto il possibile per proteggere Chuuya e avrebbe amato Paul fino al suo ultimo respiro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Cit. Stefano Benni

 

 

 

 

  
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