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Autore: Golden locks    11/03/2021    3 recensioni
[OtaYuri ❤️]
C’era stata la sua trasformazione, da Yuri bruco, a Yuri bozzolo, a Yuri farfalla, e lui aveva dispiegato quelle stupefacenti ali nuove di zecca e si era librato in volo.
Non era più solo un ragazzino, Yuri. Era cresciuto. Aveva preso consapevolezza di sé stesso, dei suoi limiti e della realtà, dopo il suo ritorno in Russia lo aveva capito chiaramente: se voleva gareggiare e vincere contro i più grandi, contro chi era più esperto di lui, doveva andare oltre e sfruttare al massimo tutto ciò che aveva. Mettercela tutta non bastava, serviva di più.
~
Yuri era stato bellissimo sempre, ma non era mai stato così bello come quella sera. La sua pelle, ricoperta di glitter, venne scoperta con cura da Otabek, mentre faceva cadere a terra con noncuranza la sua maglietta sapientemente trasformata e lo stendeva piano sul letto, morbido e accogliente.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era ovvio che sarebbe finita così. Mentre si incamminava verso la stazione di Hasetsu, sulle spalle lo zainetto leopardato con le borchie e trascinandosi dietro la valigia con un rumore assordante e continuo sopra il pavimento in pietra, Yuri era felice di avere occhiali da sole e mascherina sul viso per celare gli evidenti segni della sua delusione cocente: gli occhi arrossati e le guance bagnate. Cazzo. Gli tremavano persino le labbra. Non sapeva se fosse più deluso o più arrabbiato, ma in ogni caso si sentiva abbastanza di merda.

Non aveva avuto bisogno di aspettare che Yuuri fosse proclamato vincitore, se n’era andato abbandonando il palazzetto del ghiaccio a metà dell'esibizione del rivale, perché lo sapeva già, lo aveva visto negli occhi di Victor. Era lui, Katsudon, l’unico vincitore possibile, quel giorno.

Quella stupida competizione a due, Onsen on ice, aveva migliorato in qualche modo le cose? Aveva messo un po’ di giustizia in quella faccenda in cui Victor lo aveva tradito, abbandonato e dimenticato la promessa fattagli, per volarsene dall’altra parte del mondo sperando di finire tra le braccia e le lenzuola del cotoletto? Lui adesso si sentiva meglio? No, no, e no.

Era stato tutto inutile. Tutto una farsa. Tutta una cazzo di fottuta farsa!

Tu pattina al meglio delle tue capacità, gli aveva detto Victor. E lui lo aveva fatto. Ed era stato bravissimo. Incantevole. Un vero spettacolo per gli occhi. E ci aveva creduto che vederlo così bravo, vederlo impegnarsi così tanto, potesse servire a Victor quantomeno ad essere equo e obiettivo. E invece no. Non era servito a un cazzo.
Stinse i denti.
Se ne andava con la magra consolazione di aver stregato il pubblico e di essersi accaparrato uno dei più bei costumi di Victor dei tempi della categoria juniores, ma… 

 

Un momento

 

Yuri arrestò il passo.

 

Un pensiero si fece strada in lui. Più pensieri tutti contemporaneamente.

C’era qualcosa. Qualcosa che, troppo preso dalla competizione, dalla rabbia e dalla fretta, non aveva notato prima. Mollò la presa sul trolley e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.

Agape. L’amore incondizionato. Il nonno.

L’impegno che aveva messo ad allenarsi come non aveva mai fatto prima, ora che si era sentito davvero in competizione diretta con qualcuno.

Perché prima con gli altri, nella categoria juniores, non ce n’era di gara per lui, per Yuri Plisetsky.

Si abbassò la mascherina e si tolse gli occhiali da sole. Le lacrime si asciugarono all’aria quasi istantaneamente, come a fargli capire che non aveva bisogno di piangere, ma solo di focalizzarsi su di sé. Il cielo era tutto rosa, il tramonto ormai incombeva, presto sarebbe stato buio. Riprese a camminare lentamente. Aveva appena realizzato qualcosa di fondamentale, ma non riusciva ancora a metterlo a fuoco appieno. Era lì, sulla punta della lingua, ma non aveva ancora contorni definiti per essere descritta ed esposta chiaramente.

Qualcosa, però, era cambiato in lui, lì in Giappone, questo era certo. 

Era una sensazione vaga, indistinta, ma c’era. Era dentro di lui, la avvertiva chiaramente.

Ed era una cosa positiva, una cosa bella.

Non sapeva se fosse successo sotto la cascata o dopo la bruciante e ingiusta sconfitta della gara appena finita. Non sapeva se fosse successo mentre correva per allentarsi tra le strade di Hasetsu, passando di fronte a quel signore che ogni mattina andava a pescare con Katsudon che gli arrancava alle spalle, o se era successo sulla pista, coi pattini ai piedi e il ghiaccio sotto di lui. Non capiva esattamente quando, ma era successo.

Ed era importantissimo.

Si accigliò e accelerò il passo. Non voleva assolutamente perdere il treno per l’aeroporto. Si distrasse. I suoi pensieri si dissolsero come fumo nel vento, gli sfuggirono. Ma andava bene anche così: per quanto importante fosse quella realizzazione che premeva per uscirgli dalla testa ed essere riconosciuta, il viaggio sarebbe stato lungo e lui avrebbe avuto modo di pensare ancora, o di riposarsi. Non capiva bene di cosa avesse bisogno in quel momento.

 

L’aeroporto di Fukuoka non era niente di che. Ne aveva visti di più belli. Yuri attendeva con impazienza che chiamassero il suo volo, per liberarsi della tratta Fukuoka-Tokyo e salire sull’aereo grande, quello che lo avrebbe riportato a casa, in Russia. Non vedeva l’ora di spararsi dieci ore di volo consecutive per rilassare i nervi. Aveva comprato un po’ di cose carine in Giappone, almeno quello: una maschera gel per il viso, di quelle che appena le indossi sembri una maschera funeraria di qualche remota tribù, un tonico per la pelle che non aveva capito a base di che cosa fosse - qualcosa di giapponese con un nome impronunciabile, ma che Yuuko gli aveva assicurato essere portentoso - e un bel po’ di snack strani comprati a caso al Konbini, tra cui quel curioso calamaro essiccato. Non aveva comprato dei manga solo perché del giapponese non ci capiva un cazzo, ma ne aveva adocchiato qualcuno durante la sua permanenza che avrebbe comprato poi tradotto, in Russia. Aveva comunque un po’ di roba per passare il tempo. Probabilmente quel volo sarebbe stato interessante.

 

Sull’aereo da Tokyo a San Pietroburgo, Yuri si sentì inquieto. Si agitò sul sedile e reclinò di bottò lo schienale allungando un po' troppo le gambe, dando fastidio ai passeggeri accanto, dietro e davanti a lui che cercavano di risposare. Stava scomodo. Il silenzio era assoluto nell’abitacolo del velivolo e la cosa lo disturbava. 

Prese lo zainetto da sotto il sedile davanti e tirò fuori la maschera gel. Non lo ispirava per niente. L'idea di mettersi qualcosa di bagnato e appiccicaticcio sul viso lo infastidiva. Prese una bustina di plastica sigillata con dentro uno di quegli snack improbabili. Gli si chiuse lo stomaco. Pensò di guardare un film nello schermo sul sedile davanti a lui, ma capì ancor prima di accendere il monitor che non era in vena.

Ma come? aveva progettato di spassarsela per tutta la durata del volo, giusto per consolarsi di quanto c'era rimasto male, ma… forse non era quello che voleva fare realmente.

Richiuse lo zainetto dopo aver rimesso dentro tutte le sue cianfrusaglie e si appoggiò allo schienale. Tirò al petto un ginocchio e vi posò su il mento. 

 

Cosa aveva in mano, adesso? 

Il suo talento. Yakov. Yakov c’era ancora per lui e di certo non lo avrebbe mai tradito, come Victor. E poi, sopra ogni cosa, c’era il nonno. Queste erano le prime cose che gli venivano in mente.

Poi c’era la sua voglia di vincere la medaglia d’oro al suo debutto nei senior, una voglia trascinante e totalizzante. C’era la sua pista di San Pietroburgo, ormai una seconda casa per lui, perché la prima era a Mosca, col nonno. C’erano le urla di Yakov e i sorrisi di Mila e Georgij. C’era la sua voglia, che adesso sentiva urgente come un’esigenza, di spaccarsi le ossa pur di vincere.

Poteva fare a meno di Victor? Poteva fregarsene di Victor?

Certo che poteva.  

Un sorriso gli incurvò le labbra, prima di rilassarsi completamente sul sedile.

 

~

 

C’erano state le urla di Yakov e non erano mancati i sorrisi di Mila e Georgij. C’era stata Lilia, i suoi allenamenti folli, le sue indicazioni preziose e la sua severa tenacia nel trasformarlo in una prima ballerina, prima ancora che in un pattinatore fuoriclasse. C’erano state le sue lame a incidere sottilmente e inesorabilmente il ghiaccio della pista, ogni giorno, ogni santissimo giorno, a tutte le ore. C’era stato il suo sudore e i suoi polmoni che scoppiavano. C’erano stati Victor e Yuuri, le telefonate e gli incontri troppo brevi con il nonno, c’erano stati i suoi piroshki katsudon e il suo incoraggiamento discreto e affettuoso che tanto lo faceva sentire amato.

E c’era stato Beka. Il suo dolce rapimento con la moto in quella viuzza, quel tramonto e la sua richiesta di amicizia inaspettata. Quella mano tesa, che lui aveva stretto prontamente, senza esitare, perché lui lo voleva Beka nella sua vita, l’aveva capito dal principio. Beka e suoi davai!, che gli davano una carica e una forza smisurate.

C’era stata la sua trasformazione, da Yuri bruco, a Yuri bozzolo, a Yuri farfalla, e lui aveva dispiegato quelle stupefacenti ali nuove di zecca e si era librato in volo.

Non era più solo un ragazzino, Yuri. Era cresciuto.

E adesso, con il cuore che batteva all’impazzata, gli occhi lucidi e le sopracciglia sollevate per l’emozione immensa, c’era quell’oro al collo. 

Yuri era sul podio e si mostrava al mondo come vincitore del campionato mondiale, con la medaglia più ambita e un mazzo di fiori in mano. Il nonno lo stava guardando ed era sicuramente fiero di lui in quel momento. Quella era la ricompensa più grande per tutto: il sudore, il sangue, la fatica, la concentrazione, la determinazione, il coraggio.

I flash dei fotografi e gli applausi del pubblico erano la naturale conseguenza di tutto l’impegno che ci aveva messo per arrivare primo su quel podio, con Katsudon accanto, solo secondo, anche se di poco, e pazienza per l’argento che aveva portato al suo coach Victor

Yuri aveva preso consapevolezza di sé stesso, dei suoi limiti e della realtà, dopo il suo ritorno in Russia lo aveva capito chiaramente: se voleva gareggiare e vincere contro i più grandi, contro chi era più esperto e forte di lui, doveva andare oltre e sfruttare al massimo tutto ciò che aveva. Mettercela tutta non bastava, serviva di più. Non poteva più permettersi di saltare gli allenamenti e fare lo spocchioso come faceva prima: se davvero voleva farcela in quella impresa doveva cambiare. Aveva ricevuto tutto il sostegno e l’aiuto di cui aveva bisogno e la magia si era compiuta.

 

Adesso che l’oro era suo, mentre scendeva da podio, il nonno avrebbe potuto sentirlo soltanto l’indomani e tutto ciò che voleva era solo correre tra le braccia di Otabek.

 

Liberatosi più in fretta possibile da Yakov, da Lilia che ancora si asciugava le lacrime, da Victor, Kastudon e dai loro sorrisi irritanti, dalla stampa e da tutti quelli che volevano fargli i complimenti e fargli perdere tempo, Yuri si defilò ed entrò di soppiatto nei meandri degli spogliatoi senza neanche perdere tempo a togliersi di dosso il costume con cui aveva gareggiato. Corse dove il suo cuore gli diceva di andare, corse verso Beka.

Aveva imparato che il cuore dava indicazioni confuse a volte, o meglio, che i suoi percorsi erano tortuosi e non sempre comprensibili a un primo sguardo, ma che aveva sempre ragione. Proprio come quando era andato in Giappone, mesi prima: ci era andato seguendo solo il proprio istinto e gli era sembrato di esserne uscito sconfitto, ma proprio là invece, grazie allo stesso Victor che aveva detestato con tutto sé stesso, aveva appreso l’insegnamento fondamentale che lo aveva portato a sbaragliarli tutti, i suoi avversari. Non gli era stato chiaro all'inizio, ma appena messo a fuoco, quella consapevolezza gli aveva aperto tutte le porte. Ecco perché quell’oro era suo, ecco perchè era bello sentirlo sbattere sul petto mentre correva. Perché se c’era una persona che lo meritava, era lui.

Aprì la porta di uno stanzino senza neanche fermarsi e arrivò dentro praticamente ancora correndo.

“Yura!” Otabek si illuminò appena lo vide e si alzò in piedi di scatto. 

“Beka!” Yuri gli gettò le braccia al collo. 

“Finalmente sei arrivato. Mi è sembrato di aspettarti per secoli.” Lo disse stringendolo, e Yuri si discostò un po’ e ritrasse la testa solo per guardarlo bene in viso, in quegli occhi neri e profondi in cui avrebbe tanto voluto perdersi del tutto. Gli appoggiò una mano su una guancia. Otabek lo guardò come se stesse guardando la via lattea in una notte completamente buia. 

“Sì. Finalmente. Sono corso qui appena possibile.” 

Non sapevano perché si fossero dati appuntamento lì, in quello stanzino dimenticato da tutti che avevano trovato ispezionando insieme l'edificio, ma gli era venuto spontaneo farlo. Dovevano vedersi da soli e lo sapevano da prima della gara. Forse lo sapevano da quella volta alla caffetteria, quando si erano sorrisi chiacchierando per conoscersi meglio e la tentazione di allungare le dita per sfiorare quelle dell’altro era troppo reale per non essere notata.

“Sapevo che avresti vinto tu. Sei il migliore, e adesso lo sanno tutti.”

“Lo so” rispose ammiccante Yuri e scoppiarono entrambi a ridere. 

Otabek si sentiva felice come se quella medaglia se la fosse portata lui in Kazakistan e con tutta l'adrenalina, la serotonina, e in quel momento probabilmente anche l’ossitocina che aveva in corpo, gli venne spontaneo sollevare Yuri e prenderlo in braccio, abbattendo la timidezza per godersi appieno quel momento magico, unico e indimenticabile. Non capitava tutti i giorni di vincere la prima medaglia d’oro al mondiale, ma solo una volta nella vita e non aveva importanza che fosse di Yuri: era un po’ di entrambi.

Yuri inclinò la testa da un lato, lo guardò sognante, e gli sorrise ancora. Sorrise sincero, spontaneo e dolcissimo, dolce come non gli capitava di essere da tantissimo tempo o, forse, come non si era mai sentito. Era appena stato sul gradino più alto del podio del mondiale, ma non trovava niente di più celestiale che stare tra le braccia di Otabek in quel modo, loro due da soli, in pace, al riparo da tutto.

Avrebbero voluto investirsi a vicenda con fiumi di parole, ma sarebbero state troppe, e per qualche strana formula matematica, quelle troppe parole si annullarono e non restò nulla da dire. La loro reciproca presenza rendeva il momento più che perfetto com'era.

Così, Otabek lo fece scivolare lentamente dalle proprie braccia finché i piedi di Yuri non toccarono terra, fissò serio per qualche istante le sue labbra lucide, rosee e piene, e lo baciò.

 

~

 

La maglietta strappata, i pantaloni lucidi attillati, il trucco pesante e il fuoco nelle vene. Yuri si era veramente scatenato sulla pista di ghiaccio al galà di chiusura. Aveva letteralmente volato con quei pattini ai piedi e aveva dato sfogo a tutta la sua forza, alla sua creatività, alla sua sensualità appena scoperta ma più adulta e alla sua follia, dando vita all’esibizione più spettacolare di tutte. Erano rimasti tutti senza fiato nel guardarlo così. Non si era mai sentito così tanto sé stesso, così libero. E se c’era riuscito lo doveva a Beka. Il suo Beka, che durante l’esibizione non era riuscito a staccargli gli occhi di dosso per un solo attimo. 

Dopo quel bacio nel camerino, era stato un crescendo. Le loro mani si erano perse veloci sul corpo dell’altro, le loro lingue si erano intrecciate avide, i loro respiri si erano affannati, un incendio era divampato loro nei lombi. Il desiderio li stava uccidendo, quindi si erano fermati in tempo prima di spingersi oltre quei baci appassionati, per non compromettere quell’ultima esibizione.

Era stato un sacrificio, ma la loro vita da atleti professionisti era costellata ogni giorno di sacrifici e loro avevano seguito il buonsenso. Tanto era solo per una sera, no?

La passione non ancora consumata li aveva tenuti uniti come due potenti magneti, incapaci di staccarsi, di allontanarsi, e dovevano pur sfogarla in qualche modo. Si era trasformata rapidamente in: progettiamo cosa faremo domani su quella pista, formulando la frase al plurale. Yuri non aveva programmato niente, se non di mandare all’aria i piani di Lilia e Yakov e fare di testa sua. La scelta della musica era venuta da Otabek e Yuri si era mostrato entusiasta. Aveva scorso mentalmente il suo guardaroba e si era ricordato di quella maglietta che non metteva da un po’. Gli piaceva all’inizio, ma le mancava qualcosa che la rendesse più... L’immagine successiva furono un paio di forbici che la tagliavano dietro a piccole strisce orizzontali per lasciar intravedere la pelle candida della schiena e facevano sparire le maniche lasciandogli le spalle nude. Poi seguì l’immagine della bottiglietta di glitter in gel nella borsetta dei trucchi di Mila. E poi l'ombretto nero. Beka che lo seguiva con lo sguardo seduto su una sedia e lui che lasciava tutti bocca aperta, compresa Lilia che, stizzita, non avrebbe potuto credere che la coreografia da lei  attentamente messa a punto fosse stata così allegramente gettata ai rovi.

Sì, sarebbe stato pazzesco, aveva pensato. E infatti lo era stato.  

Adesso che tutto era finito e anche l'ultima esibizione era andata, non c’era più niente a ostacolarli. Nella loro stanza d’hotel, su quel letto enorme che invitava all'amore, potevano farsi travolgere dalla passione per tutta la notte senza più freni. 

Yuri era stato bellissimo sempre, ma non era mai stato così bello come quella sera. Gli occhi contornati dal trucco nero, ormai un po' sbavato, sembravano ancora più azzurri, ancora più chiari. Il suo sguardo era languido, ma così intenso che sembrava volergli rubare l'anima strappandogliela fuori direttamente dal petto. La sua pelle, ricoperta di glitter, venne scoperta con cura da Otabek, mentre faceva cadere a terra con noncuranza la sua maglietta sapientemente trasformata e lo stendeva piano sul letto, morbido e accogliente. Splendido come un piccolo dio, una creatura di una bellezza troppo irraggiungibile per essere di questo mondo. Da togliergli il fiato. Glieli avrebbe tolti tutti quei brillantini, ad uno ad uno.

Yuri si lasciò prendere e guidare, docile e accondiscendente. Vedeva in Beka l’uomo più forte, virile e seducente che si fosse mai visto sulla terra, con la pelle leggermente ambrata, così liscia e compatta sopra i muscoli ben definiti e il viso dai lineamenti volitivi e gentili al contempo. Lo vedeva con gli occhi di quell’amore appena sbocciato che aveva preso già prepotentemente dimora nel suo cuore e sembrava crescere a dismisura a ogni battito, a ogni respiro. 

Beka si sfilò la camicia e le sue mani si posarono sulla cintola dei pantaloni di Yuri. Via. E via anche i suoi. L'intimo fu tolto per ultimo, con enfasi sempre maggiore. Ora potevano avvinghiarsi l’uno all’altro tra le coperte, lasciarsi andare e sentire la pelle calda dell’altro a contatto diretto con la propria, senza più nulla a dividerli, nessuna barriera, né fatta di stoffa né di pensieri né di altro. Tutto ciò che era superfluo non esisteva più.

Dio, che meraviglia. Yuri non aveva mai provato niente del genere, ma era pronto per averlo.

Yura…” sospirò Otabek chiudendo gli occhi, col fiato mozzato già solo al pensiero di quello che stavano per fare. Poteva amarlo realmente quel ragazzo che aveva avuto gli occhi di un soldato e che ora lo guardava in tutt’altro modo? Stava succedendo davvero? il momento che aveva tanto atteso e sognato per anni  era veramente arrivato? fece scorrere le mani sui suoi fianchi e lo scosse un fremito di anticipazione.

Yuri gli prese il viso tra le mani, mentre gli premeva delicatamente la coscia tra le gambe. “Da…” sussurrò quasi sofferente. 

Otabek sentì quella piccola nota di insoddisfazione nella sua voce. Non poteva permetterlo. Lo avvolse tra le braccia e, senza staccare le proprie labbra dalle sue, gli aprì le gambe e vi si sistemò in mezzo. Tutto sembrò fermarsi; anche il suo cuore sembrò fermarsi. Cazzo. Poteva anche morire senza rimpianti adesso. Anzi no, magari dopo. Il bello doveva ancora venire. Immaginò quello che avrebbe visto da lì a poco: Yuri che ansimava sudato sotto di sé, la sua faccia contratta al culmine del piacere, la testa che affondava nel cuscino e i capelli biondissimi e umidi sparsi sulla federa. Si riempì di orgoglio e si tuffò sulla sua bocca.

Non aveva mai avuto così tanta voglia in vita sua e Yuri non era mai stato così impaziente come in quel momento, nemmeno prima del punteggio finale di qualche gara importante.

C'erano parecchie cose a scintillare in quella camera, quella notte, alla luce fioca della strada che penetrava timidamente il buio: la medaglia d'oro sul comodino, la pelle di Yuri cosparsa di glitter, ma più di tutto, lo sbrilluccichio negli occhi di Otabek.

 

 Glitter and gold 





 

Note:

Finalmente sono riuscita a scrivere una delle Otayuri che volevo scrivere da tempo. In realtà non avrei mai pensato di scrivere una cosa così… strana? Sapevo solo che volevo chiamare una di queste storie “glitter and gold” ma non sapevo perché. Poi l’ho capito. Non c’è niente di sensato in tutto questo, lo so.

Cosa ancora più insensata, questa storia è arrivata all’improvviso durante un periodo di blocco totale in cui, per dei mesi, non sono riuscita a scrivere - nè tantomeno a leggere, cosa abbastanza grave - una sillaba (eccezion fatta per alcune piccole drabble, per miracolo). Non mi ritengo “fuori pericolo” solo perché ho scritto questa os: una rondine non fa primavera, ma intanto c’è questa os e non mi spiego come sia possibile. Non mi sono neanche impegnata per scriverla, ha fatto tutto da sola.

A causa del blocco, tutto il lavoro svolto in precedenza, l’esperienza accumulata e la sicurezza acquisita nel tempo si dissolvono come bolle di sapone, per cui non sono in grado di giudicare se questa storia sia solo una tediosa sequenza di cose senza senso e forse troppo smielate, oppure se è accettabile e persino gradevole. Lo spero, ma non ne ho idea. So solo che una volta che l’ho realizzata volevo proporvela. Se chi sarà tanto buono da leggerla lo sarà altrettanto da lasciarmi il proprio parere mi farà un favore forse più grosso di quello che immagina, perché al momento mi sento come se vagassi bendata in un labirinto, al buio. Quindi grazie a chi è arrivato fino a qui.

(Le note non sono ancora abbastanza lunghe e pallose, quindi aggiungo che: non ho ancora capito come abbia fatto Yuri a partire senza essere affidato al personale di volo da un maggiorenne, ma a quanto pare lui può; il "da" che dice Yuri a Beka è il "sì" russo, ma penso che lo sappiamo tutti; ho solo supposto che da Hasetsu Yuri dovesse andare prima a Fukuoka e poi a Tokyo per prendere il volo per la Russia; non ho controllato se esista una tratta diretta Tokyo-San Pietroburgo e non so quante ore duri, ma Roma-Tokyo sono 12. Eventuali imprecisioni sono dovute al fatto che ho inventato tutto di sana pianta senza pensarci su. Last but not least, il calamaro essiccato lo vendono davvero nei konbini in Giappone a mo' di snack, ma quando mi è stato offerto ho gentilmente rifiutato perché la mia idea di "snack" non ha nulla a che fare con i calamari, però, per qualche motivo, ce lo vedevo Yuri a comprarla, probabilmente per curiosità XD Grazie davvero se avete avuto l'ardire di leggere tutto, comprese le ultime cavolate. )

 

  
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