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Autore: FreDrachen    11/03/2021    2 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 7 parte 1


Di chiamare mia madre non ne volevo sapere e per questo sfruttai la carta di credito, che mi avevano regalato, per convincermi a uscire dalla bolla del nulla che mi ero costruito attorno e che prima di quell'occasione avevo usato per comprarmi dei nuovi videogiochi per la PlayStation, per pagarmi un taxi. Mi feci aiutare da un bidello (pardon, operatore scolastico) fuori dalla scuola dato che quel microgradino all'entrata era un ostacolo insormontabile per la mia sedia a rotelle. Lui sbuffò un poco ma alla fine si convinse ad aiutarmi a uscire e a chiudere la sedia a rotelle dopo che fui salito sul taxi.

Indicai al taxista l'indirizzo da raggiungere e che avevo estorto mettendo in campo tutto il mio charm e fascino alla segretaria che, avevo constatato, aveva ancora un debole per me.

Non ci misi molto dato che non abitava dall'altra parte della città e finalmente, non senza fatica, arrivai di fronte al portone del condominio dove abitava Akira. Presentarmi a casa sua non doveva essere proprio la cosa più educata da fare ma i sensi di colpa per averlo trattato di merda erano davvero troppi, e per questo messo da parte l'orgoglio e ora eccomi lì come uno stoccafisso insicuro su come procedere, sperando inoltre che dopo il nostro litigio fosse venuto a casa a sbollire.

Mi sporsi leggermente per leggere i numeri sul citofono e infine scorsi il suo cognome.

Era leggermente in alto ma se avessi fatto attenzione sarei riuscito senz'altro a schiaccialo senza correre il rischio di decappottarmi con la sedia a rotelle.
Mi preparai a darmi una spinta con le braccia per allungarmi leggermente quando qualcuno urtò con la grazia di un elegante la sedia facendola ondeggiare pericolosamente. Sperai con tutto il cuore che riprendesse l'equilibrio e per mia fortuna fu così.

A pericolo scampato, e dopo aver ripreso a respirare regolarmente e privo del cuore in gola per colpa dello spavento che mi ero preso, alzai lo sguardo verso colui che mi aveva fatto quasi cadere e vidi che si trattava di un vecchio sicuramente sopra gli ottant'anni visto l'intrico di rughe che intravvedevo sul suo volto in semi profilo, che lo facevano sembrare una vecchia mummia.

«Stia attento. Mi ha quasi travolto»gli sibilai contro, al che lui, che stava procedendo lungo la sua strada come un carro armato, si fermò e si voltò e si incamminó verso di me fermandosi a neanche mezzo metro, con un cipiglio arcigno.

«Come ti permetti handicappato?»

Handicappato? Mi aveva davvero chiamato con quel meschino appellativo?!

«Senta vecchio la smetta di offendere» gli soffiai contro, cercando di essere il più educato possibile anche se quell'individuo dalla testa di ameba, di certo, non se lo meritava.

«Ma senti quanta insolenza. Ai miei tempi ve ne stavate chiusi in casa senza creare problemi alla società. Si dovrebbe tornare a quei momenti» ribattè lui con arroganza gonfiando il petto, gesto che lo rese patetico.

«Così come lei si dovrebbe trovare già sottoterra visto il suo corpo decadente».

«Almeno io sto sulle mie gambe. Non puoi dire lo stesso di te».

In quel momento avvertì una rabbia cieca prendere il sopravvento. Tutta quella che avevo accumulato in quei mesi mi diedero la spinta di agire.

Mi diedi lo slancio con le mani e caddi addosso al vecchio facendolo cadere a terra.

E poi fu un susseguirsi di pugni contro la sua pelle flaccida e sottile come la carta crespa.

Percepivo gli sguardi attorno a me di evidente disprezzo, per via del fatto che stavo picchiando un vecchio, così come i commenti meschini della gente.

Ma non m'importava.

Forse non era solo per come mi aveva chiamato, era anche un modo per scaricare la rabbia che m'infiammava dentro.

Intravidi le nocche sporche del sangue mio e del vecchio ma non gli diedi molto peso.

Poi una voce famigliare tra le tante alle mie spalle e poi una mano pallida dalle dita affusolate che avvolse la mia insanguinata, riportandomi in me.

Scostai lo sguardo e mi ritrovai a fissare il volto pallido di Akira che mi fissava assolto senza alcun giudizio, al suo fianco due buste della spesa che doveva aver posato a terra per venire da me.

Senza proferire parola mi scostó senza fatica dal vecchio che subito venne accorso dalle altre persone, come se fossi stato io il cattivo della situazione. Che ipocriti.

Akira mantenne salda la sua presa e mi aiutò a risedermi sulla sedia a rotelle. Con i suoi occhi color abisso analizzò ogni graffio e ferita che mi ero procurato anche stavolta senza fare alcun commento, gesto per cui lo ringraziai con il pensiero.

Nel frattempo il vecchio era stato rimesso in piedi e si manteneva in posizione eretta a fatica e, per questo, riuscì a trattenere a stento la soddisfazione del mio operato.

«Sei uno psicopatico oltre che handicappato» sputò lui con veleno. Prima che potessi rispondergli per le rime fu Akira a proferire parola.

«Dovrebbe moderare il linguaggio. Anata wa shitsureidesu*» ribattè pacatamente.

«E te dovresti tornartene al tuo paese immigrato del ca...»

Fu inchiodato dallo sguardo che gli rivolse Akira che, sfortunatamente, mi stavo perdendo, visto che mi dava le spalle.

«Io sono italiano tanto quanto lei signore. Per cui le chiedo di astenersi da commenti inappropriati».

La gente attorno a noi fissava me e il vecchio e pareva che con l'intromissione di Akira si fossero formati due schieramenti. Ah adesso chi aveva ragione vecchio trombone retrogrado?

Il vecchio non emise una sola parola e voltandosi si allontanò arrancando. Se ancora riusciva a camminare significava che non avevo arrecato così tanti danni.

Sprofondai nella sedia sospirando mentre la gente si dileguava, e mi accorsi che Akira era tornato al mio fianco solo quando me lo trovai a pochi centimetri di distanza. Accidenti se era silenzioso!

«Vieni con me» disse e senza proferire altro si diresse verso il portone dopo aver recuperato le buste della spesa e con gesti sicuri estrasse dalle tasche un mazzo di chiavi con un portachiavi raffigurante un qualcuno mai visto in vita prima, ma che dallo stile doveva essere uno di  quei cartoni giapponesi che tanto piacevano ai nerd come lui, e fece scattare la serratura del portone.

All'interno a parte uno sputogrammo di atrio era presente una lunga scalinata e a occhio e croce non era presente l'ascensore.

Come pensava di farmi salire, strisciando come i vermi? Le mani mi dolevano da impazzire e a stento ero in grado di rinchiuderle. Durante la scazzottata non avevo sentito il dolore, preso forse dall'euforia del momento ma adesso me ne stavo pentendo.
Akira dovette captare i miei pensieri perché si voltò verso di me con espressione dubbiosa, anche lui a scervellarsi per trovare in modo per trasportarmi fino a casa sua.

In quel momento dietro di noi si riaprì il portone da cui emerse la figura di una donna sulla cinquantina dall'aspetto pingue e dai capelli e occhi castani.

Non appena scorse Akira sorrise dolcemente.

«Akira. Ti vedo preoccupato. Stai bene caro?»

Akira inclinò un poco la testa. «Tutto a posto, la ringrazio Rossi-san. Stavo cercando un modo per trasportare il mio amico e la spesa fino a casa».

La donna scostò lo sguardo su di me e notai che guardò le mie gambe di sfuggita, come se si sentisse in imbarazzo a osservarmi troppo attentamente, e per questo mi scatenò una certa antipatia.

Finalmente tornò a fissare Akira con un sorriso.

«Se vuoi posso aiutarti con la spesa e con la sedia a rotelle» propose lei e a quelle parole franai gli occhi.

Era per caso come Hulk che diventava verde e dalla forza incredibile? Si in lato nerd lo possedevo pure io, nella più remota parte della mia anima.

«Ma che hai in men...»

Akira mi si avvicinò e fece passare il braccio destro dietro le ginocchia e con non poche difficoltà riuscì a prendermi in braccio.

«Ma che stai facendo?» protestai ma lui anziché rispondermi saldò la presa.

Vidi che la donna teneva da una parte la spesa e dall'altra la mia sedia.

«Lasciami» protestai debolmente ma lui m'ignoró palesemente e cominciò a salire i gradini senza alcuna fatica apparente, in verità avvertivo sotto le gambe i suoi muscoli contratti ma tanto alla fine non sarebbe servito a nulla protestare.

Ci fermammo al terzo piano e non dovemmo aspettare troppo la tizia, che sempre con quel sorriso solare stampato sul viso, che aveva un che di irritante, poggiò la spesa di Akira a terra e con gesti esperti riaprì la sedia a rotelle permettendo al mio compagno di farmici sedere sopra.

Akira salutò la donna con un leggero inchino prima di aprire la porta di casa e condurmi al suo interno con una mano sulla maniglia di spinta, mentre con l'altra reggeva la spesa.

Non mi aveva ancora rivolto la parola e questo aumentava l'imbarazzo del momento. Se avessi potuto me la sarei data volentieri a gambe ma, dato che fisicamente mi era precluso, mi lasciai condurre docilmente verso quello che identificai come un salotto non tanto grande ma molto ordinato. Campeggiava un bel divano a fantasia floreale dai colori pastello e un tavolino posizionato di fronte su cui erano poggiati dei libri e il telecomando della tv posta di fronte. Grazie a una finestra abbastanza imponente che dava su un piccolo terrazzo era una stanza ben illuminata e calda. Akira mi condusse vicino al divani e ancora senza proferire parola lasciò la stanza con i sacchi della spesa.

Doveva essere diretto in cucina perché lo sentì armeggiare con le buste e ogni tanto avvertivo qualche anta che si apriva e poi chiudeva.

Nell'attesa del suo ritorno tamburellai le dita canticchiandomi in testa un pezzo tratto da Bohemian Rhapsody dei Queen. Non ero affatto all'altezza delle abilità canore sfoggiate da Akira ma non me la cavavo male, ero solo il tipo di persona che cantava solo quando era certo di essere solo.

Akira ritornò dopo un tempo che parve infinito con in mano un sacchetto di batuffoli di cotone e una bottiglietta di perossido di idrogeno, conosciuta dalla gente comune come acqua ossigenata.

All'inizio non afferrai il motivo ma un leggero dolore alle nocche mi fece ricordare che mi ero sfogato su quel tizio che mi aveva insultato, e che bè erano in uno stato davvero pietoso.

Akira si sedette sul bordo del divano  svitò il tappo della bottiglia e bagnò un poco un batuffolo e con mano esperta e dal tocco delicato cominciò a  pulirmi le ferite che erano tagli ed escoriazioni abbastanza superficiali ma cazzo se bruciavano!

Divette accorgersene perché ogni tanto si fermava e soffiava dolcemente sulle parti lese cercando di lenire il dolore.

A quelle premure mi sentì ancora si più una merda per averlo trattato male.

A operazione finita mi avvolse le mani con delle bende per tenerle pulite e protette dal mondo esterno, e solo a operazione conclusa si allontanò un poco, allacciando le sue iridi scure con le mie e subito distolsi lo sguardo dilaniato dalla loro profondità.

Il silenzio calava gravoso su entrambi, lo percepivo nel suo  fremito impercettibile, e forse era davvero arrivato il momento di parlare.

«Senti Akira, quello che volevo dirti...insomma il motivo per cui sono qui è che...».

Cazzo non riuscivo a mettere su una frase di senso compiuto e durante tale imbarazzante situazione evitavo il suo sguardo, un comportamento da vigliacco ne ero consapevole ma avevo il timore della sua reazione. Non che non mi meritassi altro che il suo disprezzo, anzi ero consapevole che doveva essere disgustato dalla mia presenza e il fatto che mi avesse curato non era altro che una buona azione che non meritavo.

Akira era e continuava a dimostrare di essere una persona migliore di me.
Lui fece per aprire bocca quando la serratura della porta di casa scattò facendomi d'istinto irrigidire.

 

*Trad dal giapponese: siete un maleducato


 

Angolino autrice:

Buonsalve 😍

Si ho stoppato qui il capitolo perché sono una brutta persona 😂🙈
Cosa accadrà? Chi è appena giunto a casa di Akira? E Luca riuscirà a chiarire con Akira?
Lo scoprite nella prossima puntata 😘❤️
Ringrazio chi sta seguendo questa storia...mi rendete tanto tanto felice😭 spero di non deludere le vostre aspettative ❤️

A presto con la parte 2 del capitolo (che ho troncato a metà perché stava venendo abbastanza kilometrico 😂)

FreDrachen

   
 
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