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Autore: Moriko_    12/03/2021    1 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction
Xib2yur

Epilogo.

{Alcuni anni dopo | Aoi and Morisaki's side}

 

 

BGM: Ludovico Einaudi - Experience

 

 

 

“Like frames in a time-lapse film...” (“Come fotogrammi di un filmato accelerato…”)

 

 

[12 Marzo - Algonquin Provincial Park, Canada.]

 

«... firmato... Eve Braidwood. Bene: questa è fatta!»

Sotto un maestoso albero di acero era seduta una donna dai capelli corti fino alle spalle, castano chiaro dai riflessi rossi, che aveva appena finito di scrivere su un foglio con la penna a china che portava sempre nel taschino della sua giacca. La fece volare in alto, per poi riprenderla e chiuderla con il tappo con un sonoro click.

Dopo aver arrotolato il foglio e inserito in un piccolo tubo che aveva preso dal suo marsupio, prese in mano il richiamo che portava al collo e lo avvicinò alle labbra, alzando il braccio dove indossava il guanto da falconiere. Un lungo fischio stridente si udì in tutta l’area e in un attimo, come una freccia scagliata da un arco, un enorme falco atterrò dolcemente sul suo guanto.

«Ma tu guarda questa: l’unica persona al mondo che continua ad inviare i messaggi come se fossimo nel medioevo europeo!» esclamò Takaji, con la schiena contro un altro albero di acero poco distante. Con i grandi occhiali da sole incastrati tra i lunghi capelli raccolti in alto, il giovane stava scorrendo il dito sullo schermo del suo cellulare e ogni tanto si lasciava sfuggire una risata, dando un’occhiata alle varie chat che stava controllando.

«Credi che Hermes sia qui solo per mangiare e andare a spasso?» chiese Eve, mentre con cura legava il tubicino alla zampa del falco. «Suvvia: facciamogli fare qualcosa, altrimenti si annoia!»

«Anche a me piace il vecchio stile... ma con questo gioiellino della tecnologia fai decisamente prima: un attimo, ed è tutto pronto!»

«Solo per le comunicazioni urgenti... e poi voglio vedere quando non c’è campo e sei nei guai: come farai con quel gioiellino della tecnologia, eh?»

Takaji alzò gli occhi e li puntò in quelli della donna colmi di una raggiante furbizia, mostrando un’espressione mista tra imbarazzo e terrore. Pensò a cosa sarebbe accaduto in caso di pericolo, se fosse stato da solo e senza il suo fidato cellulare: decisamente, per lui quello non sarebbe stato un bel scenario.

Chiuse gli occhi e per tre volte agitò l’indice nell’aria, come se avesse voluto controbattere; tuttavia non ci riuscì, e così tornò a osservare l’oggetto che aveva in mano.

«O... ok! Questa l’hai vinta tu!»

Eve accarezzò il maestoso falco, sussurrandogli qualche parola prima di alzare il braccio per dargli il segnale. «Mi raccomando, questo messaggio deve arrivare tutto intero. Al ritorno ti aspetterà un bel premio, va bene?»

Come se avesse voluto rispondere con lo stesso linguaggio della donna, Hermes alzò il capo e diede uno stridio acuto, per poi librarsi in volo. Le sue ali si allargarono, mentre man mano spariva tra i rami ancora spogli degli aceri di quella foresta.

La donna tornò da Takaji e con un dolce sorriso appoggiò la mano sul tronco dell’albero, e anche lei diede un’occhiata allo schermo del cellulare. Non appena l’altro si accorse di essere osservato, si portò il cellulare sul petto e indietreggiò d'un passo.

«Che... che c’è?» domandò con il rossore che gli era salito al volto per l’imbarazzo.

Eve ridusse le distanze, portando le mani chiuse a pugno sui fianchi con un sorriso beffardo.

«E tu... quando ti decidi a mollare questo “gioiellino della tecnologia”?» disse, e di colpo gli tolse il cellulare di mano. Subito lui cercò di riprenderselo, ma invano: la donna non voleva saperne di restituirglielo e ridacchiò, iniziando ad allontanarlo con scherno quando si avvicinava il suo proprietario.

«Ridammelo, brutta piccola...»

«Ah! Ho capito: ora sono “brutta piccola”; solo quando le cose ti stanno bene divento “la mia luce”, “la mia forza”... e potrei continuare all’infinito!»

«Ma quando mai?»

«Beh, non so se tu sei sonnambulo e non ricordi che fai di notte... ma io so bene che sei molto dolce a letto e dici delle cose molto belle, quasi come un poeta: in fondo, è da un bel pezzo che dormo al tuo fianco!»

Le guance di Takaji si colorarono di un rosso talmente acceso che - pensò lui - a confronto lo stop dei semafori sarebbero stati pallidi.

«Ti... ti prego...» balbettò, «non... non parliamo di cose private quando siamo all’aperto...»

«Ma se non c’è nessuno...»

«Ci sono gli animali: loro possono sentirci!»

Di scatto le voltò le spalle, mentre si sentì il volto in fiamme. Cercò di ricomporsi e, solo quando fu sicuro di continuare quel confronto senza farsi prendere dal panico, tornò da lei: la vide osservare sorridente lo schermo del cellulare che era ancora acceso, fermo all’ultima chat che lui stava leggendo.

«Non l’hai ancora detto a tuo fratello... vero?»

Takaji scosse la testa e continuò a restare in silenzio.

«Cosa ne dici di oggi?» chiese Eve, alzando lo sguardo. «Da come me ne hai sempre parlato, sarà una bella sorpresa per lui... dico bene?»

L’altro si portò una mano dietro la nuca, con un sorriso imbarazzato. «Ecco: ormai sa chi sei... ma non sa che io e te... insomma...»

«... siamo legati dal filo rosso del destino?» sussurrò la donna. Il suo volto fu sempre più vicino a quello di Takaji, al punto che lei non si lasciò sfuggire l’occasione per dargli un piccolo bacio sulle labbra.

«È così che si dice in Giappone, no?» concluse, e gli restituì il cellulare soddisfatta. «E dire che tutto è iniziato da quel giorno, quando mi hai salvato da quel grizzly...»

La ragazza si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e saltò a bordo della Jeep che era parcheggiata poco distante da loro. «Dai, andiamo: ci stanno aspettando al Mizzy Lake!» urlò tutta contenta.

«Finisco qui e arrivo subito!»

Takaji sorrise, dando un’ultima occhiata allo schermo del suo cellulare; poi anche lui tornò a bordo del mezzo, affiancandosi dal lato del passeggero e sistemandosi sul naso gli occhiali da sole dalle grandi lenti nere.

La Jeep partì a tutta velocità, sulle strade rocciose avvolte dalla foresta di aceri. Takaji montò con cura il cellulare sul supporto auto e premette nuovamente sullo schermo, avviando una registrazione come di solito faceva in occasione delle varie spedizioni alle quali aveva partecipato.

«Allora, Eve... parla un po’ di te! In qualche modo devo presentarti a mio fratello, no? E quale modo migliore se non con ciò che facciamo di solito, un bel video?»

La ragazza dai capelli castani lanciò un’occhiata verso lo schermo, incuriosita dalle parole del suo compagno di avventure. Come lui era abituata a fare video... ma quelli a sorpresa decisamente no. Non appena vide sullo schermo l’ultima chat che aveva visto ancora aperta e un video live appena avviato al suo interno, spalancò gli occhi con grande terrore.

«Ehi!» iniziò a protestare, premendo ancora di più sul pedale dell’acceleratore. «Non avevi parlato di un video, traditore!»

Con un perfido sorriso la donna sterzò di colpo, facendo pericolosamente inclinare il mezzo quasi fino a far rimbalzare il povero ragazzo fuori dalla Jeep.

«Che diavolo stai facendo?!» esclamò Takaji, cercando di tenersi ben stretto alla portiera. «Così mi ammazzi!»

«Andiamo! Non dirmi che dopo tutti questi anni non sei ancora abituato a queste cose: stento a crederci!»

Eve rise di gusto, nel vedere lo sguardo terrorizzato del suo compagno di avventure. Dopo aver dato una fugace occhiata allo schermo, sterzò ancora di colpo e continuò: «Perdonalo: di solito non è il fifone che si sta dimostrando oggi... o forse mi sto confondendo con un’altra persona. Sì, in effetti lui è proprio un fifone: non so cosa ti racconta, ma dovevi vederlo alle prese con l’incontro ravvicinato dell’altro giorno con un lupo... era sul punto di svenire per la paura!»

«Non sono un fifone!» replicò Takaji, con le lacrime che involontariamente stavano uscendo fuori dai suoi occhi. «E datti una regolata! Poi dici a me che non so guidare!»

«Infatti tu non sai guidare! Ti rinfresco la memoria: la prima volta stavamo per finire in un burrone, e per fortuna che sono riuscita a fermarti... proprio così!»

Con fierezza Eve bloccò la Jeep all’improvviso, quasi al punto da far avvicinare bruscamente i loro volti al parabrezza. L’altro si piegò in due e si tenne lo stomaco, appoggiando la testa dolorante sul portadocumenti che aveva di fronte a sé e iniziando a lamentarsi.

«Ma, d’altra parte, tuo fratello ha una resistenza senza limiti... degno della sua famiglia!» concluse la donna, per poi strofinare divertita la mano contro le spalle dell’altro. «Lui è l’unico che riesce a starmi dietro!»

Fece una pausa nella quale cercò di trattenere le risate, nel vedere Takaji che continuava lentamente a muoversi come un animale al quale avevano sparato dei tranquillanti per stordirlo.

«Scusa se te l’ho ridotto così...» mormorò Eve con serenità. Gli sfiorò i capelli con una fugace carezza, per poi spostare le dita verso quello schermo che ancora segnalava la registrazione in corso.

«... e quasi dimenticavo: buon compleanno! Non vedo l’ora di stringere la mano ad un grande campione come te!»

 

 

 

[12 Marzo - Tokyo, Giappone.]

 

«Buongiorno, mondo...»

Ken'ichi aprì leggermente gli occhi e li rivolse verso le persiane ancora semichiuse. Una tiepida luce stava filtrando dalle fessure, illuminando la stanza con un tenue chiarore bianco che rifletteva sulle pareti dal color azzurro chiaro.

Diede un’occhiata alla sveglia che si trovava sul comodino, e nel momento in cui lo fece un dolce trillo iniziò a rimbombare per tutto l’ambiente. Ken'ichi allungò un braccio verso la sveglia, spegnendola con il palmo della mano; poi si raggomitolò tra le lenzuola, col mento sulle ginocchia, e lentamente richiuse gli occhi. Voleva assaporare l’atmosfera piacevole che si stava creando nella stanza, rifugiandosi in quell’attimo di serenità prima di tuffarsi nel mondo dell’università, in un’agenda colma di intensi impegni.

«Ancora cinque minuti... tanto non c’è fretta...»

 

Ma come ho fatto a riaddormentarmi? Non mi è mai capitato!

Ken'ichi corse per le vie affollate di Tokyo, cercando di scansare quante più persone possibili per non incorrere in scontri involontari che avrebbero solo contribuito ad aumentare il suo ritardo di qualche secondo. Arrivò in facoltà con un pesante affanno e la testa a pezzi ma, nonostante ciò, con un balzo riuscì ad infilarsi all’interno di un piccolo ascensore le cui porte stavano per chiudersi.

Posò gli occhi sull’orologio: per sua fortuna, era ancora in tempo.

Meno male... pensò, appoggiando la schiena contro la parete dell’ascensore. Volse lo sguardo stravolto verso una ragazza dai capelli corti e ricci che gli era di fronte: aveva in mano un vassoio, con un coperchio trasparente che lasciava vedere il ricco e sostanzioso contenuto composto da tre caffè americani e un piattino con alcuni cornetti che alla vista sembravano appetitosi. Al povero ragazzo gli brontolò lo stomaco: per la fretta non era riuscito nemmeno a fare colazione.

Dovrei avere ancora qualche caramella nella mia cartellina... ma non so se farò in tempo a finirla prima che iniziamo... Non importa, cercherò di resistere!

Le porte si aprirono e la ragazza sparì tra la folla di studenti che stavano attraversando il corridoio; rimasto da solo, Ken'ichi premette il tasto dell’ascensore che lo avrebbe portato verso il piano dove era collocato il laboratorio nel quale stava svolgendo il percorso per diventare un ricercatore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie marine. Mentre stava osservando silenzioso il panorama della città che si svelava dalla parete trasparente dell’ascensore posta di fronte alle porte, con un piccolo sorriso il giovane pensò che tutto sommato non era male trovarsi lì, nonostante quella quotidiana caoticità che ogni giorno doveva affrontare.

In fondo, era stato lui a sceglierlo. Aveva scelto lui di essere lì, a Tokyo, in quell’università, impegnato in quel percorso che lo aveva sempre affascinato. Quello era un pezzo importante della sua vita: anche se di tanto in tanto poteva permettersi qualche lamentela su corsi più complessi o sovrapposizioni di compiti e doveri da studente senza fare nemmeno una pausa, nel complesso la vita all’interno di quell’università gli piaceva.

Tutto sommato non era affatto male essere lì, lontano dalla sua famiglia.

A proposito... devo inviare un messaggio, altrimenti mi daranno per disperso!

Ken'ichi prese in mano il suo cellulare ma, non appena lo fece, le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo.

... come non detto, pensò. Con un sospiro rassegnato il giovane mise a posto il cellulare e uscì da quel piccolo luogo, incamminandosi nel grande corridoio dove erano collocate aule di insegnamento e altre stanze dedicate alla ricerca. Dopo qualche passo si fermò davanti ad una porta, al fianco della quale vi era una piccola targa dove campeggiava la scritta, in doppia lingua giapponese e inglese: “Journal of the Tokyo University of Marine Science and Technology”.

Bussò, per poi abbassare la maniglia e entrare all’interno di quella stanza. La prima cosa che notò fu la presenza di alcuni dei suoi compagni di corso che, nonostante fossero riuniti intorno al tavolo disseminato di fogli sparsi, quaderni, volumi e computer portatili con appunti e saggi di ricerca sull’ecosistema dei fondali marini, stavano discutendo di una cosa che apparentemente non c’entrava granché con gli articoli che dovevano scrivere.

«Tre gol nell’ultima partita... e con questo ho vinto la scommessa: mi devi cinquecento yen!»

«E va bene... ma la prossima volta sarò io a vincere!»

Complice anche il fatto che parte della redazione era ancora assente, i suoi compagni avevano approfittato dell’attesa per discutere dell’andamento della J.League. Il tempo che trascorrevano assieme al di fuori dell’università era sempre meno, per cui spesso approfittavano dei momenti di pausa per chiacchierare del più e del meno, e tra gli argomenti che saltavano fuori vi era anche quello del calcio: negli ultimi anni la situazione in Giappone si era quasi capovolta, crescendo sempre più di importanza e passando anche alla ribalta internazionale, complice la presenza sul territorio di giocatori di alto livello che stavano scrivendo una nuova pagina gloriosa con le loro eccellenti prestazioni.

Non di rado, ovunque a Tokyo si sentiva spesso parlare di calcio, anche in luoghi impensabili come le boutique, i centri di informazione turistica... e anche nelle università, come stava accadendo nel caso di Ken'ichi.

Il giovane salutò le persone presenti nella stanza e si accomodò al loro fianco: tutti erano talmente presi dall’argomento che ricambiarono il saluto ma nemmeno con la sua presenza si decisero a mettersi al lavoro. Ken'ichi sorrise, approfittando di quel momento per rimettere silenziosamente a posto gli appunti mentre le sue orecchie erano ben attente ai discorsi che si stavano svolgendo: non era un grande tifoso - nonostante in famiglia avesse un calciatore in gamba - e per questo interveniva di rado in quelle chiacchierate spesso animate da un vivace scambio di battute, ma non si dispiaceva affatto ad ascoltare tutto ciò che i suoi compagni di studi dicevano... anche perché, in un certo senso, quei discorsi lo facevano sentire a casa, nella sua lontana cittadina di Nankatsu.

Quando la porta della sala si aprì, tra i presenti calò un profondo silenzio: tutti si alzarono in piedi di fronte ai redattori del Journal dell’università che erano appena arrivati, e subito l’atmosfera cambiò. Quella routine quotidiana che Ken'ichi amava e odiava allo stesso tempo stava per avere inizio.

 

Terminati i lavori nella redazione del Journal, tornati nel corridoio il gruppo di futuri ricercatori potè tirare un sospiro di sollievo e riprendere da dove avevano interrotto: l’andamento della J.League, appunto.

Anche per Ken'ichi quel momento di pausa fu una liberazione, soprattutto per il suo stomaco che venne subito accontentato da un caldo cappuccino servito da uno dei distributori automatici dell’università. Il giovane era famoso nel loro gruppo per la sua passione per il cappuccino, che più volte era al suo fianco nel corso della giornata: era un’abitudine che aveva preso da quando aveva iniziato il suo percorso di studi a Tokyo, un po’ per cercare di restare attivo il più possibile e un po’ perché, quando l’aveva provato per la prima volta in un bar della zona, quel dolce gusto di latte misto a caffè era stata una delizia che aveva conquistato il suo palato.

«Ed eccolo in azione, il nostro cappuccinomane!» disse divertito uno dei suoi compagni.

«Oggi mi sono dimenticato di fare colazione,» rispose prontamente Ken'ichi, mentre era intento a mescolare il contenuto nel bicchiere con la palettina. «In qualche modo ho bisogno di ricaricare le mie energie, dato che per ora non posso mangiare...»

«Guarda che nelle profondità del mare non hanno ancora scoperto un bar,» precisò l’altro. «Come farai se un giorno dovessimo vivere nei fondali marini?»

«Sopravvivrò.»

«Naaah, ci credo ben poco: andrai subito in crisi di astinenza, me lo sento!»

L’intero gruppo si lasciò sfuggire una sommessa risata, compreso lo stesso Ken'ichi che in fondo amava prendersi un po’ in giro anche se, senza darlo troppo a vedere, un po’ iniziò a tremare all’idea di vivere in un mondo senza cappuccino. Non aveva ancora trovato un’alternativa a quella gustosa bevanda: il caffè aveva un gusto troppo forte e il latte da solo era troppo dolce. Se un giorno anche solo uno di questi due elementi fosse davvero sparito dalla faccia della terra, il giovane non aveva la più pallida idea del cosa avrebbe fatto e già si immaginava con le palpitazioni a mille, sull’orlo della pazzia.

«Meglio non pensarci...» mormorò Ken'ichi e con un sorriso gettò la palettina nel cestino.

«Hai ragione: dato che non abbiamo molto tempo, prima del corso meglio tornare alla J.League...» sentenziò il suo interlocutore.

«... e a suo fratello!» aggiunse un altro compagno. «Cosa ne dite di un’altra scommessa?»

Ken'ichi spalancò gli occhi per la sorpresa, rischiando che il cappuccino che stava bevendo gli andasse di traverso.

«Sentite un po’, voi due...» disse, trasformando in un attimo il suo sguardo sereno in un’espressione curiosa e più attenta del solito. «Cosa avete in mente con mio fratello? Vi prego, non mettetelo in mezzo a scommesse ridicole...»

Conosceva molto bene i suoi compagni di corso, e in tutti quegli anni che aveva condiviso con loro aveva imparato a non fidarsi molto delle loro apparenti parole tranquille e allegre perché c’era sempre un inghippo o una trappola. Soprattutto quando erano su di giri, come in quel momento: erano capaci di tutto e non badavano a spese.

L’intero gruppo di studenti restò in silenzio. Tutti, tranne Ken'ichi che stava osservando la scena con sempre più crescente incredulità, si guardarono negli occhi e si scambiarono qualche cenno di intesa.
Ancora peggio! pensò allarmato il giovane. Questi sanno già cosa fare… tutti tranne me!

Il compagno di corso - lo stesso che poco prima si era rivolto a lui con l’appellativo “cappuccinomane” - gli si avvicinò e gli disse: «Visto che abbiamo ancora un po’ di tempo... prendi il cellulare, andiamo sulle scale d’emergenza e facciamo un video. Adesso

Ken'ichi corrucciò la fronte, piuttosto sorpreso. «Questa... questa non è una scommessa.»

«Appunto! Ma scommetto che tuo fratello si divertirà molto!»

Da quel breve scambio di battute il giovane capì subito una cosa: qualsiasi cosa avessero in mente i suoi compagni, la situazione stava degenerando. Poteva rifiutare e allontanarsi dal gruppo per un po’... ma era ben consapevole dell’inevitabile conseguenza del suo gesto: l’aveva sperimentato sulla sua pelle la prima volta, e non voleva più ripetere quella che - col senno di poi - era stata una divertente ma traumatica esperienza.

Sentendosi in trappola, prese in mano il cellulare e pregò tutti gli dei che ciò che stava per accadere non fosse una delle solite idiozie di quel gruppo. Tutti uscirono dal corridoio e, senza farsi notare dai sorveglianti e da altri studenti o docenti raggiunsero la scalinata di emergenza che correva in un lato dell’edificio, attraverso un accesso non sorvegliato e che loro, che da anni frequentavano quel plesso, conoscevano ormai alla perfezione.

Giunti in quel luogo si sedettero sulle scale, e dopo un comune cenno da parte dei suoi compagni Ken'ichi impostò la modalità “video” sul cellulare e lo alzò. Si sentiva un po’ a disagio, come se fosse stato ostaggio di un gruppo di criminali, ma restò calmo e lucido.

«Ciao, fratellino... come vedi sono all’università e–»

«Tanti auguri di buon compleanno!»

Il giovane sobbalzò e si voltò. Intorno a lui era un tripudio di gioia: sebbene stessero cercando di trattenere il più possibile la voce, i suoi compagni avevano iniziato a chiacchierare allegramente verso la telecamera del suo cellulare, rivolgendo parole di augurio e ammirazione: avevano persino tirato fuori - ma non capiva da dove - un colorato striscione e dei campanellini che fecero subito tintinnare.

Il volto di Ken'ichi sbiancò di colpo. In quel gruppo fu l’unico con i piedi per terra, ricordandosi che nessuno di loro si trovava nella curva di uno stadio ma, piuttosto, nel cuore di una prestigiosa università.

«Ma... ma ragazzi! Datevi una calmata: volete l’espulsione?»

 

 

 

[12 Marzo - Nankatsu, prefettura di Shizuoka, Giappone.]

 

«Quindi, la prossima partita sarà contro le superiori Shimizu...»

Passo dopo passo, le due amiche percorsero la lunga scalinata che costeggiava la montagna di fronte alla quale sorgeva la loro città, passandosi il pallone a vicenda. Giunsero al belvedere dove, dopo un ampio passaggio, Hoshiko prese in mano il pallone che le aveva lanciato Hanako.

«Che coincidenza: è proprio dove si è trasferita Akane!» esclamò Hoshiko, dando un’occhiata verso l’orizzonte.

«Evvai! Non vedo l’ora di affrontarla in una partita seria!»

Akane era una loro compagna di scuola, veterana nel club di calcio dai tempi delle medie. Era un’ottima attaccante, con uno stile aggressivo di gioco che riusciva a mettere in difficoltà anche i giocatori più bravi delle altre scuole: con lei e le sue amiche, Hanako e Hoshiko avevano costruito una valida squadra di calcio femminile all’interno del club della Shutetsu nel corso degli ultimi due anni delle medie, ed erano giunte ad ammirarla e stimarla molto. Ogni volta che Hanako pensava a come aveva avuto inizio il legame di amicizia e rivalità che insieme a Hoshiko aveva instaurato con quella ragazza, le veniva quasi da ridere. Lei e Akane ne avevano fatta di strada, sia dal punto di vista calcistico che in quello della loro maturità caratteriale, e quasi si era dispiaciuta nel vederla andare via per trasferirsi a Shizuoka; per questo motivo era euforica e felice di rivederla ancora una volta, in occasione di un'amichevole che avrebbero dovuto disputare tra la squadra di quella ragazza e la sua.

Chissà: forse ci vedremo anche nei campionati nazionali! - pensò, mentre rivolse lo sguardo verso la valle dove sorgeva la loro cittadina. È in gamba... e sono certa che un giorno anche lei punterà alla Nadeshiko League...

Hanako tirò un profondo sospiro colmo di grinta, per esternare ciò che stava provando in quel momento; poi voltò le spalle al panorama del belvedere e riprese il suo cammino.

«Tieni ben stretto il pallone, mi raccomando» disse a Hoshiko. «Da qui in poi, meno rumore facciamo e meglio è: mio nonno ci tiene moltissimo!»

L’altra annuì, tenendo ben salda la presa. Le due amiche salirono le scale che portarono sulla cima della montagna dove, immerso in quella foresta sempre più fitta, vi era il piccolo jinja della famiglia Morisaki. Dal luogo in cui sorgeva il santuario la vista dell’intera cittadina era ancora più suggestiva di quella del belvedere poco distante: la luce del sole al tramonto stava avvolgendo Nankatsu, che sembrava più piccola da quell'altezza.

Lo sguardo di Hoshiko si perse in quello spettacolo della natura, facendo arrestare il passo della ragazza prima del torii. A differenza di Hanako, lei non si era ancora accorta della presenza di un altro giovanotto alle sue spalle, che all'improvviso le coprì gli occhi con le mani.

«Alla fine sono arrivato prima io... sei sempre così lenta, Morisaki! Vedi: così rallenti anche i tuoi compagni di squadra!»

Isamu rivolse una linguaccia a Hanako, che cercò di ignorare la sua provocazione.

«Ringrazia che siamo nei pressi di un santuario» rispose la ragazza con un sorriso beffardo, «altrimenti ti avrei fatto rotolare per tutta la valle con un bel calcione.»

«E tu ringrazia che sei la migliore amica di Yamamoto-san: ti sto risparmiando solo per questo, sappilo.»

«Non dire idiozie: lo stai facendo anche perché sei un fan di mio fratello... che strano: hai colto il mio invito in fretta e sei anche in anticipo!»

«Touché! È vero: lo faccio anche per lui!»

Dopo averla guardata con un sorriso divertito, Isamu si parò di fronte a Hoshiko.

«A quanto pare, alla fine nessuno di noi è cambiato...» mormorò la giovane Yamamoto, guardandolo con occhi colmi di divertimento. «Voi due in particolare: non perdete mai l’occasione per discutere!»

«A me fa piacere» rispose Isamu con un sussurro nel suo orecchio, per cercare di non farsi sentire da Hanako. «Mi ricorda tanto quando eravamo alle elementari, che nostalgia...»

«Ehi, tu.»

Incuriosita da quel chiacchiericcio sommesso, Hanako ridusse le distanze con il suo compagno di scuola e gli puntò il petto con veemenza. «Ti conosco troppo bene: non osare riempirle la testa di idiozie!»

Isamu fece spallucce e allargò le braccia, con un sorriso sornione. «Le sto solo dicendo la verità: che non capisco come faccia a sopportarti dopo tutti questi anni!»

«A sopportare te, semmai!» rispose l’interpellata, allontanandosi e varcando la soglia del torii. Giunta sotto quell’ampio ingresso di color rosso Hanako si fermò, si voltò e mostrò loro uno sguardo compiaciuto, che al contempo nascondeva una punta di serena provocazione.

«Non vi capirò mai» continuò, prima di riprendere il cammino verso l’ultima scalinata che portava nella zona del santuario. «Siete davvero... particolari! Ora, su: andiamo, altrimenti non facciamo in tempo!»

La coppia la vide allontanarsi sempre più e sorrise dopo un fugace scambio di sguardi.

«Senti chi parla» disse Isamu, mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni e raggiungendo insieme a Hoshiko la loro compagna. «Proprio la ragazza più particolare di questo pianeta!»

 

Ad attenderli alla fine di quella scalinata vi era Hotaka. L'uomo, vestito con un kariginu di color verde scuro, si stava prendendo cura di uno dei sakaki che decoravano l'area del santuario. Non appena udì il rumore distinto di passi in quel luogo normalmente silenzioso, si voltò verso i tre ragazzi e rivolse loro un cordiale sorriso.

«Guarda chi c’è: da quanto tempo, Hanako!»

«Zio Hotaka!»

La ragazza corse ad abbracciarlo, felice di rivederlo dopo tanto tempo. Era da molto che non varcava la soglia di quel santuario, e il suo primo pensiero andò a suo zio Sadao, il kannushi di quel luogo sacro: di solito era in giro per l’area con suo figlio, ma quel giorno sembrava essere assente, e lo stesso si poteva dire del resto della famiglia.

«Lo zio non c’è?»

«È impegnato in una cerimonia di purificazione, ma non ci metterà molto.»

Hanako diede un broncio di disappunto. Questa non ci voleva... tornò a pensare. Non possiamo aspettare molto: è già tardi!

«Speriamo che faccia presto» disse con un tono segnato dalla tristezza. «Mi serve anche zio Sadao per il video che dobbiamo realizzare... anzi, non solo lui: mi servono tutti!»

Hotaka scosse la testa. «Te l’ho già detto mille volte, Hanako: siamo in un luogo sacro, non puoi fare i video che pensi tu.»

«... per Yuzo, zio: oggi è il suo compleanno!»

«Ah.»

L’uomo alzò gli occhi al cielo e riprese il suo fare tranquillo. «Giusto...» mormorò, e prese tra le mani un ramo del sakaki che gli era al suo fianco e che lo stava sfiorando con la sua punta, «e dire che una volta nessuno di voi arrivava a questo ramo. Quanto tempo è trascorso da quel giorno...»

Come al solito, Hotaka si stava perdendo nei ricordi. Aveva lo sguardo fisso su quel ramo, rimembrando del giorno in cui suo cugino Hideki e Izumi avevano portato il loro terzogenito appena nato al santuario e di quello in cui, ai tre anni di quel piccolo, lo aveva visto giocare felice con i rami di quel sakaki.

Tutti i suoi nipoti erano cresciuti e, sebbene avessero preso direzioni diverse, avevano continuato a restare uniti, proprio come i rami degli arbusti del loro santuario, che in quel momento si stavano liberamente librando nell'aria al ritmo del dolce vento che soffiava in quella foresta.

«... zio Hotaka?» domandò Hanako con stupore. «Tutto bene?»

A quel richiamo l’uomo si destò da quel lontano ricordo ancora impresso nella sua mente, e sotto lo sguardo incuriosito della ragazza le voltò le spalle e, con un sorriso, si allontanò da lei con le mani infilate dentro le larghe maniche. Dopo qualche passo incrociò l’anziano Shigeru, che Hanako e i suoi amici videro ancora da lontano.

«Ho sentito tutto» disse il vegliardo, avvicinandosi ai tre ragazzi con le mani dietro la schiena, «e la risposta è no. Hanako, in questo luogo sacro non ti è concesso di fare video, nemmeno per una cosa personale come il compleanno di un membro della nostra famiglia.»

«Cosa?!»

La ragazza spalancò gli occhi. Ci teneva a radunare tutti i suoi parenti che dimoravano in quel santuario: l’idea del video era l’unica soluzione che aveva trovato per non far spostare nello stesso momento tutti i membri della famiglia Morisaki che da tempo immemore abitavano lì, sulla cima di quella montagna. Perché suo nonno doveva sempre agire con severità, solo perché era un sacerdote del santuario?

Hanako cercò in tutti i modi di convincerlo, sotto gli occhi sorpresi di Isamu e Hoshiko che non sapevano bene come intervenire. I due ragazzi, infatti, sapevano che violare le regole di un santuario era come violare le regole della divinità che lo governava, e non riuscivano a capire perché la loro Hanako continuasse ad insistere con quel discorso.

Ma la risposta da parte di suo nonno era sempre la stessa.

«Ti ho detto di no, nipote mia... e non insistere più.»

L'anziano sacerdote le voltò le spalle e non disse altro, lasciando che calasse il silenzio tra i presenti. Ad un tratto girò leggermente il capo verso Hanako, mostrando alla ragazza i suoi occhi che sembravano brillare di una luce diversa dal tono con il quale le si era rivolto fino a poco prima.

Con fare solenne, Shigeru aggiunse: «Lascia perdere: lo zio Sadao ha già in mente un piano.»

«Lo... lo zio Sadao?» chiese la ragazza, piuttosto sorpresa.

Sul volto del vegliardo comparve un piccolo sorriso. «Questa mattina ha avuto la tua stessa idea, e ti stava aspettando proprio per questo. Oggi sapeva che saresti venuta qui: lo fai sempre quando tuo fratello non è a Nankatsu...»

Shigeru portò nuovamente le mani dietro la schiena e, a lenti passi, si diresse verso l'haiden. «Vado a chiamare tutti, che sono ancora all’interno del tempio; voi intanto preparatevi... però non fate baccano nell’attesa, mi raccomando. Hanako, conto su di te.»

Dopo aver spalancato gli occhi per ciò che aveva appena udito da suo nonno, la ragazza si rallegrò e rivolse un inchino verso di lui. «Va bene!» esclamò; dopodiché prese per mano Isamu e Hoshiko, e sotto il loro sguardo sorpreso li trascinò verso il torii.

«Zio Hotaka, scusaci: noi torniamo indietro, così iniziamo e non disturbiamo nessuno!»

L’uomo diede un dolce sorriso a sua nipote che all’ombra del torii si sedette con i suoi amici e aveva iniziato a girare un video con il suo cellulare. Tornò ad osservare il sakaki, sfiorando con delicatezza le foglie verdi con i primi germogli dei fiori, e sussurrò: «Anche quest’albero è diventato meraviglioso… proprio come i miei nipoti…»

«E noi, papà?»

A Hotaka sfuggì una dolce risata. Alle sue spalle, i suoi due figli, Naoki e Sami, lo stavano osservando con le mani chiuse a pugno sui fianchi: con un sorriso, gli si affiancarono.

«Anche noi siamo come i sakaki?»

«Come lo zio Yuzo?»

L’uomo ricambiò il sorriso dei suoi figli, accarezzando dolcemente i loro capelli. «Tutti i Morisaki lo sono... quindi anche voi. Su, ora andate da zia Hanako: nell’euforia non si è ancora accorta della vostra presenza, e sarà felicissima di vedervi!»

«Va bene, papà!» esclamarono all'unisono i due bambini, poi corsero verso Hanako - che aveva ancora la schiena rivolta verso di loro - e la colsero di sorpresa con un grande abbraccio.

Il divertimento che ne seguì rallegrò ancora di più l'animo di Hotaka, che chiuse gli occhi e mormorò: «Ne sono certo, cari antenati... questa è una generazione che promette bene!»

 

 

 

[12 Marzo - Shimizu, prefettura di Shizuoka, Giappone.]

 

Dopo molti anni Noboru aveva fatto ritorno laggiù, dove tutto era iniziato.

Si era seduto tra gli spalti del Miho Ground, osservando il sole tramontare dietro gli alberi che circondavano quel campetto da calcio. Quell’atmosfera gli ricordava il suo passato, ciò che aveva vissuto sulla sua pelle e provato nelle profondità della sua anima, i legami che aveva instaurato e quelli che aveva lasciato a Nankatsu - ma che non si erano mai affievoliti, compreso quello con i suoi nipoti.

Noboru prese tra le dita il ciondolo che indossava al collo e lo strinse forte. Alzò gli occhi al cielo, rivolgendo un pensiero verso le nuvole che correvano veloci, spazzate dal forte vento che stava spirando.

Ce la sto mettendo tutta... ma secondo te sono sulla strada giusta?

Più volte rigirò il piccolo ciondolo e lo strinse forte, col rischio di lasciare dei segni evidenti tra le dita. Quel ciondolo era una dei pochi oggetti che conservava con estrema cura, il segno tangibile di una fugace presenza che aveva cambiato la sua vita, sia nel bene che nel male.

Lo sapeva bene la persona che si era appena seduta al suo fianco: il direttore del centro sportivo, ormai con le rughe che avevano segnato il suo volto e i capelli bianchi che popolavano folti la sua testa, appoggiò una mano sulla spalla di Noboru e osservò insieme a lui il tramonto.

«Sono felice che sei tornato qui...» mormorò il vegliardo. «Sapevo che l'avresti fatto...»

«Lo sai...» rispose l’altro, chiudendo gli occhi con un sorriso. «Una promessa è una promessa...»

«Ci hai impiegato un bel pezzo... però meglio tardi che mai, giusto?»

«Giusto...»

Noboru annuì, e fu proprio allora che l'anziano direttore notò qualcosa che brillava sulla sua guancia. Una lacrima, scesa dagli occhi di Noboru, stava rigando il suo volto velocemente, come una stella cadente; ciononostante l'uomo non sembrava essersene accorto, continuando a sorridere. Sembrava felice, nonostante quel guizzo di tristezza che era emersa sotto la forma di una piccola lacrima.

Il direttore allungò ulteriormente il braccio e gli cinse le spalle. Non era avvezzo a grandi manifestazioni d’affetto, tuttavia sapeva molto bene ciò che aveva affrontato quel giovanotto, ormai diventato uomo, e conosceva anche i pensieri che non riusciva ad esprimere a parole ma che il suo corpo non sapeva mascherare.

«Sai... sono certo che Ran sarà molto orgogliosa di te. Non è affatto facile anche solo provare a superare ciò che hai affrontato tu... e, proprio tu, sei riuscito in un'impresa quasi titanica.»

Noboru riaprì gli occhi e rivolse di nuovo lo sguardo al cielo. I suoi occhi avevano una luce malinconica, quasi di nostalgia, come se l'uomo avesse avuto l'intenzione di tornare indietro nel tempo e bloccare il suo flusso nei momenti più belli della sua vita, per non farli passare mai.

Sì: in quel momento lo stava pensando. Se solo potessi tornare indietro... io...

Ma Noboru non poteva farlo: non poteva fermare il tempo e, anche se ne avesse avuto la possibilità, il tempo avrebbe continuato a scorrere inesorabilmente facendogli rivivere anche i momenti più difficili della sua vita, quelli che ancora gli trucidavano l’anima sebbene fossero trascorsi parecchi anni dal loro accaduto.

Il dolce sorriso di Ran, di sua moglie, prima che andasse via dalla sua vita... per sempre.

L’uomo rivolse un sorriso amaro verso il direttore. «Mi chiedo solo se ha avuto senso tornare qui: lasciare lo Shimizu Soccer Shop per riprendere ciò che stavo facendo fino a quel momento...»

«Ha senso» puntualizzò l’anziano direttore. «Fidati: è quello che anche lei avrebbe voluto, fin dall'inizio. Solo che tu ci sei arrivato molto dopo...»

«E come fai ad esserne sicuro?»

«Perché quello di preparatore atletico è un lavoro che hai sempre amato... e non ho mai pensato che l’avresti gettato alle ortiche così, solo perché è accaduto ciò che è accaduto

Il vegliardo sollevò gli occhi, puntandoli verso le nuvole rosacee del cielo. «Che strano caso del destino: uno dei tuoi nipoti che si trova qui, a Shimizu. Quante probabilità al mondo ci sono che zio e nipote si ritrovano nella stessa prefettura, e nella stessa città a portare avanti l'onore della sua squadra?»

«Vicine allo zero» rispose prontamente Noboru, e subito alzò le mani con un sorriso sincero. «Nel caso in cui te lo stessi chiedendo... no, io non c’entro niente. L’ho sempre lasciato fare: Yuzo ha scoperto da solo di avere una passione per il calcio, e l’ha portata avanti senza influenze né costrizioni da qualcuno della sua famiglia, benché meno da me. Così come è stato lui ad accettare di venire qui: di certo non sono stato io a consigliarlo solo perché a questa squadra ci sono affezionato. D’altronde - e tu mi sei da testimone - io sono tornato qui solo da qualche giorno, mentre lui è qui da molto più tempo.»

«Ma tu sei stato in grado di nutrire la sua passione e di non spegnerla mai,» aggiunse l'anziano direttore, dandogli un fugace sguardo negli occhi prima di tornare ad osservare l'orizzonte. «Tutti i regali che gli hai dato sono serviti a qualcosa, no?»

«Ma non a convincerlo ad arrivare fino a questo punto, a diventare un bravissimo calciatore famoso in tutta la nazione. Lo sai meglio di me che i bambini possono sempre cambiare idea quando crescono...»

«... tranne i tuoi nipotini, a quanto pare. Tutti e quattro sono stati così testardi...»

«Tu cosa ne sai?»

«Primo, perché mi hai sempre raccontato di loro quando venivo a trovarti nello Shimizu Soccer Shop, per cui in un certo senso è come se fossero diventati anche miei nipoti; secondo, perché con uno zio testardo come te... come vuoi che escano i suoi nipoti? È ovvio che seguano le tue orme anche in fatto di cocciutaggine!»

Il vegliardo ridacchiò sommessamente, e di fronte a quella felice reazione anche il volto di Noboru si rasserenò.

«Hai ragione...» rispose l’uomo, chinando leggermente il capo con un cenno di imbarazzo. «Da una parte, sono felice che ciascuno di loro sia riuscito a trovare la propria strada in questo mondo... alla fine, ce l’hanno fatta.»

«Sai cosa ti dico? Che sono felice che tu abbia un giocatore così bravo come nipote. Dopotutto non potevo aspettarmi di meno, da un virgulto uscito dalla tua famiglia che non decide di arrendersi nemmeno di fronte al più grande ostacolo!»

«Un virgulto, eh?»

Noboru tornò ad osservare il cielo, socchiudendo gli occhi. “Virgulto” era proprio il termine adatto, per loro che si erano sempre considerati rami di uno stesso albero e, anche se suo nipote non era più un tenero virgulto, di certo era diventato uno splendido e robusto albero della quercia che la sua famiglia rappresentava.

«Sii fiero di tuo nipote. Sii sempre fiero...»

L'anziano direttore si alzò e lo lasciò solo, con i suoi pensieri.

Noboru sorrise. Quel fidato superiore aveva ragione: anche di fronte alle grandi difficoltà che la vita poneva dinanzi bisognava sempre trovare la forza di inseguire i propri sogni, e alla fine anche lui ci era riuscito.

Dopo tanti anni aveva trovato quella forza proprio dove meno se lo aspettava: dalla sua famiglia che lo aveva sempre amato, la stessa che gli aveva dato quattro nipoti, ciascuno di loro meraviglioso a modo suo. La famiglia, che ad un certo punto della sua vita credeva che fosse diventata un motivo di tristezza e rimpianto, in tutti quegli anni si era trasformata in fonte di gioia e di rinascita.

Noboru strinse per l’ultima volta il suo amato ciondolo, e prese in mano il suo cellulare. Scattò prima una foto e poi compose una mail, allegando l’immagine che aveva appena realizzato.

 

[Ehi, piccoletto: buon compleanno!

Ricordi quando ti dicevo che avresti avuto una sorpresa? Ti racconterò tutto quando tornerai a Shimizu; intanto ti invio questa fotografia. Scommetto che non indovinerai mai perché sono qui!]

 

 

 

[12 Marzo. Nakahara, prefettura di Gifu, Giappone.]

 

Yukiko faceva su e giù per il negozio di suo padre, nel cuore del centro di Nakahara. Stava aspettando quello scemo del sindaco che non si decideva a liberarsi dall'ennesimo impegno dell'ultimo minuto nel quale era stato coinvolto.

«Proprio oggi che è il compleanno di Shingo?» borbottò, fermandosi davanti all’ingresso e battendo ripetutamente la punta del piede sul pavimento. «E lo sa che se c'è una cosa che odio sono i ritardi! Ma questa volta non scappa, eccome se non scappa!»

Si avvicinò al bancone e afferrò la custodia dove aveva riposto il suo arco da kyūdō. Lo afferrò e puntò la freccia verso l’ingresso, con un orgoglioso sorriso.

«Così come dovresti sapere che ho una mira quasi perfetta» sussurrò. «Non a caso, ho sempre trionfato nei tornei nazionali quando andavo a scuola!»

Dopo qualche secondo di posa, Yukiko decise di rimettere l’arco e la freccia al loro posto. Quegli strumenti la rendevano felice anche solo a guardarli: la giovane - ora una splendida artigiana che instancabilmente si dedicava alla cura e alla gestione del negozio di suo padre - aveva raggiunto il suo obiettivo: conciliare il lavoro di famiglia con la sua passione per il kyūdō.

Era un po’ stancante essere un’insegnante di kyūdō e allo stesso tempo l’abile erede della sua famiglia di artigiani, ma era orgogliosa della strada che aveva scelto. E tutto ciò lo doveva a suo fratello: ispirata dalla sua grande determinazione, anche lei si era gettata anima e corpo in ciò che davvero amava.

Proprio in quel momento la porta della bottega si aprì: Hibiki entrò di fretta e furia, asciugandosi la fronte grondante di sudore con il fazzoletto di stoffa che aveva nel taschino della sua giacca.

«Scusa il ritardo: giuro–»

«“Che non l’ho fatto apposta”» proseguì Yukiko, raggiungendolo con le braccia conserte. «Poi, che altro c’è più? Ah, sì: “Mi ha fermato il vice sindaco, ho incontrato i bambini in piazza e già che c’ero ho inaugurato anche un nuovo ponte!” Lasciatelo dire: hai più impegni tu che sei il sindaco di una piccola cittadina che l'Imperatore in persona!»

«Ti ho già detto “scusa”?»

«E ti ho già detto che non dovevi fare tardi visto che è il compleanno di Shingo, oggi?» replicò la giovane artigiana con apparente severità, per poi rasserenarsi. «Tranquillo, accetto le tue scuse: mi sa che dovrò farci l’abitudine, almeno finché sarai il sindaco della nostra città...»

Hibiki sorrise a sua volta e le si avvicinò, iniziando a frugare dalla cartellina che portava sempre con sé e tirando un piccolo foglio che poi porse alla donna.

«Piuttosto... avevo in mente questo per Shingo. Purtroppo non abbiamo fatto in tempo e sarà pronto tra qualche giorno, ma pensi che sia troppo?»

Yukiko osservò il foglio e ridacchiò. «Per lui non è mai troppo, fidati. Appena lo vedrà, non resisterà alla voglia di farci una foto e condividerla in tutto il mondo!»

«Questo è poco ma sicuro. Secondo me potrebbe anche impazzire di gioia, al punto da tornare qui e restarci per sempre solo per questa cosa!»

Yukiko tornò presso il bancone e prese in mano il suo cellulare, con un sereno sguardo che stava celando un’intenzione molto simpatica. «Chissà... cosa ne dici: gli diamo qualche “scottante anticipazione”? Morirà dalla voglia di sapere di cosa si tratta!»

 

Intanto, dall’altra parte della cittadina, Atsuko stava spolverando il suo laboratorio.

Nonostante l’inesorabile avanzare dell'età, l'anziana aveva ancora le forze per continuare a lavorare alle sue creazioni, grandi o piccole che fossero.

Sorrise quando tra esse ritrovò un cavalluccio che aveva ricavato dal tronco di un albero per i suoi nipoti, Yukiko e Shingo. Si ricordò di quando erano piccoli e si divertivano con quel gioco, per poi conservarlo in quello spazio una volta diventati grandi.

«Chissà se i miei occhi vedranno questo giochino funzionare ancora...» sussurrò, sfiorando il cavalluccio di legno, «e chissà se riuscirò a vivere ancora un altro po’, per festeggiare i compleanni dei miei splendidi nipotini...»

Per lei, nonostante ormai fossero diventati adulti, Yukiko e Shingo erano ancora “i suoi adorati nipotini”. Li aveva visti nascere, crescere e infine diventare adulti e prendere ciascuno la loro strada, ma per lei erano sempre i piccoli di casa.

La porta del laboratorio si aprì: Yumi e suo marito Susumu entrarono con un sacco pieno di lana, e lo appoggiarono accanto al tavolo di lavoro.

«Un bel carico da Bishu, la patria della lana!» esclamò entusiasta Yumi, mentre Susumu si accomodò sulla sedia accanto al tavolo.

L’uomo si sistemò gli occhiali, guardandosi intorno compiaciuto. «Nonostante tutto il tempo trascorso, questo posto non è cambiato per niente... è come entrare per la prima volta!»

«È proprio così, figliolo. Solo che rispetto a prima è tornato ad essere tranquillo...»

Atsuko iniziò a camminare per il laboratorio, dandosi un'occhiata intorno. Le creazioni ultimate e i vari lavori ancora in corso erano lì, davanti ai suoi occhi; a volte le sembrava di sentire le voci dei suoi nipoti: ora bambini che scorrazzavano per la stanza toccando tutto ciò che trovavano, ora ragazzi che la aiutavano con grande dedizione e abilità.

La vegliarda sorrise, e guardò Susumu. «Non so come andrà a finire... ma penso che a Yukiko e a Shingo faccia piacere venire qui, di tanto in tanto. Devo farvi i complimenti: avete messo al mondo due bambini che non hanno mai abbandonato la passione per l'artigianato.»

Susumu la guardò piuttosto sorpreso e cercò di puntualizzare ciò che sapeva, che in apparenza contrastava con la versione che Atsuko aveva appena rivelato.

«Aspetta un momento» disse, alzandosi dalla sedia. «Su Yukiko hai ragione... ma Shingo? È sempre in giro con il pallone, ormai non si dedica più all’artigianato come prima...»

«Quel ragazzo fa, fa! Non avrà molto tempo e tutti gli strumenti a disposizione, ma non gli manca la grinta...» rispose l'anziana donna con un sorriso, indicando nella direzione del padre di famiglia. «Apri il cassetto di quel tavolo e vedrai cosa c'è dentro.»

Susumu fece come gli aveva ordinato sua suocera, e scoprì un piccolo tesoro. Centinaia di bracciali di cuoio riempivano il cassetto, variegati in qualsiasi colore e tema ma tutti con la stessa firma: quella di suo figlio.

L’uomo spalancò gli occhi commosso: mai avrebbe immaginato che suo figlio avesse continuato a coltivare la sua passione per l'artigianato, nonostante la sua vita ricca di impegni sportivi.

«Sono belli, non trovi?» domandò Atsuko, avvicinandosi a lui e prendendo uno di quei bracciali in mano. «Ha detto di non dirvi nulla per farvi una sorpresa... e sapete una cosa? È riuscito a crearne uno per ogni compagno di squadra, e ha spedito il resto qui dicendomi “Fai quello che vuoi: puoi anche regalarli! L’importante è non perdere mai il ritmo, altrimenti rischio di arrugginirmi!” Per ora li ho conservati qui... ma, chissà: un giorno Shingo tornerà in questo piccolo laboratorio e, aprendo questo cassetto, si ricorderà della sua adorata nonna!»

Che tipo! - penso Susumu con un sorriso soddisfatto. È proprio come noi: non si stanca mai di dedicarsi a ciò che ama...

L’uomo richiuse il cassetto e tornò da sua moglie. «Ora il nostro Shingo sarà impegnato... ma cosa ne dici se lo chiamassimo da qui?»

Yumi annuì, mostrando uno sguardo compiaciuto. «Sarebbe una bella sorpresa per lui! Sempre se ci risponda subito...»

 

 

 

[12 Marzo. Collina torinese, Italia.]

 

«Siccome in un certo senso abbiamo iniziato da zero, so che al giorno d’oggi è quasi un azzardo... però ho fiducia nel nostro futuro. Per me il riconoscimento al Decanter World Wine Awards dello scorso anno non è solo un traguardo, ma è soprattutto un inizio: il mio obiettivo è quello di valorizzare le nostre eccellenze locali, diventando così un esempio per chi vorrà intraprendere questo lavoro e si sente scoraggiato dalla concorrenza... e proprio a loro mi sento di dare un consiglio: noi non abbiamo niente di meno rispetto agli altri, anzi. Abbiamo la capacità di far emozionare, di raccontare il nostro territorio alle persone che vogliono conoscerci: non dobbiamo mai dimenticarci del forte legame che abbiamo con le nostre amate terre. Dobbiamo solo esserne fieri, e portare avanti le nostre tradizioni con l’orgoglio che i nostri antenati ci hanno trasmesso di generazione in generazione. Grazie mille.»

«Grazie mille a lei per averci concesso questa intervista. È sempre bello incontrare giovani così pieni di speranza e fiducia nel futuro; per questo le auguro davvero in bocca al lupo per la sua attività!»

Aurora annuì e sorrise; al cenno del giornalista si tolse il microfono che aveva indossato e glielo restituì. «Le chiedo scusa se a tratti potrei essere sembrata un pesce fuori dall’acqua: sa, non sono abituata alle telecamere...» disse, sistemandosi una ciocca dei capelli dietro l’orecchio.

«È andata benissimo, invece! Per essere la prima volta, sembrava già essere una professionista. Le faccio anche i complimenti per la sua dialettica: è raro trovare dei vignaioli così preparati ma anche con un italiano impeccabile, l’accento quasi non si sente!»

«La ringrazio molto.»

«A proposito: grazie ancora per i prodotti che ci ha offerto, sicuramente sarà tutto buono! A ogni modo, come le ho detto poc’anzi, nei prossimi giorni riceverà una mail con tutte le informazioni riguardo la trasmissione di quest’intervista, così da poter diffonderla e condividerla anche sui social.»

«Sarà fatto, grazie ancora!»

La giovane donna restò a guardare il giornalista con la sua piccola troupe sistemare le ultime cose nel furgoncino e partire; solo quando fu certa che fossero abbastanza lontani, tirò fuori un grande sospiro di sollievo. Si lasciò cadere a terra, sedendosi sul terriccio del vigneto dove si trovava. «Certo che ora inizio a capire perché mio fratello odia le interviste: quante domande mi hanno fatto oggi, quasi mi gira la testa!»

Alzò gli occhi al cielo e diede un altro sospiro, questa volta più leggero e quasi malinconico. Da quando aveva sistemato il vigneto di famiglia e con l’aiuto dei suoi genitori era riuscita a farsi strada nell’azienda di famiglia, arrivando anni dopo a conquistare il terzo premio del più grande e prestigioso concorso vinicolo al mondo, il Decanter World Wine Awards, le era sembrato che l’attenzione dell’intera Torino si fosse spostata da suo fratello a lei. Al DWWA aveva partecipato con un sentimento quasi di spensieratezza, spinta più dal consiglio che le era stato dato che da una volontà di concorrere, con la consapevolezza e la convinzione che non avrebbe mai ricevuto un premio; invece, con sua grande sorpresa, quando aveva ricevuto la comunicazione da Decanter di quel terzo premio, aveva capito fin da subito in che razza di guaio si era cacciata.

Anzi: in che razza di guaio mi ha fatto cacciare, proprio Shingo! Già: mi sono fatta coinvolgere dalla sua positività... ancora una volta! Ho seguito il suo consiglio, ed eccomi qua: in un luogo sommerso di giornalisti dalla mattina alla sera. Chi l’avrebbe mai detto?

Da quel momento il vigneto di famiglia, che da piccola era il suo regno di pace e silenzio, un luogo dove poter rifugiarsi quando aveva bisogno di restare da sola, era diventato un viavai di giornalisti, degustatori di vino, turisti o semplici curiosi al punto che all’inizio, quando anche suo fratello si trovava da quelle parti, puntualmente pensava che fossero arrivati per lui e non per lei.

Quanto vorrei tornare alla tranquillità della mia infanzia...

Aurora diede un altro sospiro. Un’altra giornata di intenso lavoro stava per avere inizio, e per questo motivo aveva concesso quell’intervista di mattino presto, per permettere così di concentrarsi sulle sue faccende quotidiane. Osservò l’orologio che aveva al polso, notando la piccola data che era riportata sul quadrante: 12/03.

Per la mente le balzò un improvviso pensiero, e con l’altra mano iniziò a contare. Nove, dieci, undici... diciassette. Devono essere le diciassette in Giappone: non so se lo disturbo... ma posso inviargli un messaggio prima di rimettermi a lavoro!

La giovane si alzò in piedi. Prese in mano il cellulare che aveva nella tasca del suo giubbotto, scattò una fotografia dei vigneti e si incamminò verso la villa che si iniziava a intravedere da lontano. Mentre era intenta a comporre il messaggio, all’improvviso si scontrò con un’altra persona.

«... ah!»

Alzò lo sguardo, incrociando quello di suo fratello. «Cosa ci fai qui?» gli domandò. Sapeva che Salvatore doveva alzarsi di buon’ora per recarsi agli allenamenti della sua squadra, e non riusciva a spiegarsi il perché, invece, si trovasse proprio da quelle parti.

«L’allenamento è stato posticipato a domani» le rispose, lanciando in alto il pallone che stava trascinando ai piedi per poi riprenderlo in mano. «L’ho saputo ieri sera, ma in realtà volevo farti una sorpresa; perciò ho approfittato di questo giorno di pausa per venire da queste parti e vedere da vicino cosa stessi facendo. Mi stavo giusto chiedendo quando quei giornalisti da strapazzo sarebbero andati via... guarda un po’: stanno rovinando i nostri vigneti!»

Aurora sorrise compiaciuta. «Guarda, guarda: da quando in qua ti preoccupi del vigneto di famiglia, ah? Credevo che il tuo unico interesse fosse quello verso il pallone da calcio, non verso - testuali parole - “due viticci intrecciati che ormai si stanno rinsecchendo!”»

Il giovane appoggiò delicatamente la schiena contro uno dei pali in legno che sporgevano dal terreno, con un sorriso divertito che gli arricciò le labbra. «Da quando sei tu a occupartene. A essere sincero a me non è mai fregato niente del destino di questo posto, ma sono felice che sia stata proprio tu a riportarlo in vita: se fossi venuto al mondo solo io, potevi essere certa del fatto che ci avrei costruito una bella piscina quando i nostri genitori avrebbero tirato le cuoia!»

«Sai molto bene che non è così... ma come al solito non vuoi ammetterlo.» Aurora non smise di sorridere a suo fratello: la sua sfacciataggine la divertì molto, e sapeva molto bene che dietro a quelle parole c’era ancora quel profondo risentimento verso i loro genitori per non aver accettato, almeno all’inizio, che lui diventasse un calciatore professionista. «Sotto sotto stai ringraziando il cielo che ci sia qualcuno che possa occuparsi di queste bellezze della natura... ti conosco bene: anche se lo negherai fino alla morte, so che anche tu ci tieni molto ai nostri vigneti. È una parte di noi, della nostra storia...»

Salvatore distolse lo sguardo e lo puntò verso il sole che stava sorgendo tra le colline circostanti. Dopo aver assunto un’espressione che sembrava essere corrucciata, sulle sue labbra si delineò un piccolo ma dolce sorriso, che subito dopo assunse il suo solito aspetto divertito. «Cambiando discorso, a chi stavi scrivendo di buon mattino? È raro che tu prenda in mano il cellulare, figuriamoci a essere così assorta al punto da non accorgerti della presenza “del tuo amato fratellino”!»

Aurora soffocò una risata. «Strano che tu non lo sappia... piuttosto strano! Andiamo: ti sei affezionato così tanto a lui, ma ti sei già dimenticato che oggi è il suo compleanno?»

«Ma chi, quella scimmietta? Se è per questo, sei in ritardo: io ho già dato quando mi sono svegliato, almeno mi sono tolto il pensiero e tanti saluti...» replicò lui, alzando le mani in segno di resa e voltandole le spalle; nel farlo si lasciò sfuggire un risolino che l’altra fece in tempo a notare.

«Miracolo, ti sei ricordato prima di me! Domani verrà giù un temporale inarrestabile!» La giovane spalancò le braccia e iniziò a canzonare suo fratello per quelle parole che aveva appena detto. «Comunque credevo che ti fossi tolto dalla testa quel nomignolo: da quanto tempo non lo chiamavi così? Un anno? Due?»

«Smettila...»

«E poi da dove è saltato fuori questo “scimmietta” in tono affettuoso? L’hai detto con un tono che sembrava più quello di un adulto verso un neonato, quando lo vede così carino al punto da fargli tante coccole!»

«Ti ho detto di smetterla...»

«Potrei iniziare a... come si dice tra i fan? Shippare? Sì: se continui così, potrei iniziare a shipparvi!»

«Insomma, Auro! Potrei dire lo stesso anche di te: quando eri ad Alba non perdevi occasione di stare con lui tutti i giorni!»

Aurora scoppiò in una risata fragorosa, nonostante il rossore che aveva colorato leggermente le sue guance per le ultime parole di suo fratello. Si mantenne lo stomaco e si portò davanti a lui; non appena vide anche il suo volto di un cremisi acceso, lo punzecchiò di nuovo. «Guardati: sei diventato rosso per l’imbarazzo!»

«Cosa dici: semmai tu lo sei! Invece io sono diventato rosso di rabbia» replicò Salvatore, lasciando il pallone per terra. «Sempre la solita sfacciata! Inizia a correre... anzi: ti darò cinque secondi di vantaggio, anche se sono convinto che ti prenderò lo stesso!»

«Ok, voglio proprio vedere se ci riesci!»

Aurora rivolse al fratello un sorriso di sfida e in un baleno si portò a debita distanza da lui; riprese in mano il cellulare e premette il tasto per inviare il messaggio che aveva scritto e che stava leggendo prima di scontrarsi con il fratello. Le sue gambe si mossero ritmicamente non appena udì un urlo che riecheggiò per le valli terrazzate di coltivazioni.

«Adesso ti prendo!»

Le risate dei due giovani riempirono l’aria, insieme ai raggi del sole che avevano iniziato a illuminare quel largo vigneto.

 

 

 

[12 Marzo. Campo di allenamento della Nazionale, Giappone.]

 

In fondo dovevo aspettarmelo: oggi è il mio compleanno…

Yuzo era appena rientrato negli spogliatoi, prima di tutti gli altri che aveva lasciato ancora sul campo da calcio, e la prima cosa che aveva fatto era accendere lo schermo del suo cellulare. Già dalla luce lampeggiante in alto aveva intuito che ci fossero dei messaggi che non aveva ancora letto, ma che addirittura ve ne fossero così tanti, ecco: non se lo aspettava.

Nel premere il tasto dell'accensione, sulla schermata campeggiavano i vari rettangoli di notifica. C’erano dei messaggi da parte dei suoi vecchi compagni dei vari club dei quali aveva fatto parte, qualcuno da parte della Shimizu S-Pulse, la squadra dove attualmente militava nella J.League, e altri da parte della sua famiglia - come era ovvio. Si divertì a guardare il video che Ken'ichi aveva realizzato con i suoi compagni di corso, pregando che non l’avessero espulso per quella piccola bricconata fatta all’insaputa del rettore dell’università e del direttore del loro dipartimento; si sorprese nel vedere quello realizzato da Takaji e fu quasi sul punto di ridere nel vederlo in grande difficoltà a bordo della sua Jeep; infine sorrise di cuore nel vedere i due realizzati da Hanako, prima con Hoshiko e Isamu, poi con i suoi nipotini Naoki e Saki e il resto della famiglia al jinja di famiglia.

«Oh, mamma: caspita quanti messaggi! E ci sono anche delle telefonate!»

Yuzo sobbalzò. Quella voce improvvisa, che sembrava provenisse dalle profondità della sua mente, in realtà era giunta alle sue spalle e da una persona che non fosse lui.

Aoi Shingo.

Si voltò, osservando quel giovane mentre era intento a controllare tutte le notifiche che erano arrivate sul suo cellulare. Decise di avvicinarsi a lui e gli rivolse uno sguardo sereno.

«A quanto pare tutti i nostri cellulari sono diventati dei centralini» affermò il portiere. «Avevano ragione: basta allontanarsi anche solo per cinque minuti per ricevere messaggi quando meno te lo aspetti!»

Shingo ripose il cellulare nella tasca del suo borsone e sorrise fieramente al suo compagno di squadra.

«Oggi è tutto concesso: è il mio compleanno!»

«Il tuo... cosa?»

Quella risposta inaspettata colse di sorpresa Yuzo, al punto che l’altro si accorse che il suo volto aveva assunto di colpo un’espressione di assoluta incredulità. Shingo non poteva comprendere il vero perché della reazione del suo compagno; dopotutto, non sapeva ancora che anche lui fosse nato il suo stesso giorno.

Credendo che Yuzo avesse messo su quell’espressione solo perché aveva appena scoperto del suo compleanno, Shingo si indicò compiaciuto ed esclamò: «Forse non lo sai, ma oggi è proprio il mio compleanno! È il primo anno che lo festeggio in un luogo come questo... ma non importa: tutte le persone alle quali voglio bene sono vicine a me, anche quelle che in questo momento sono lontane!»

Yuzo diede un piccolo risolino. Che buffa coincidenza: entrambi erano nati lo stesso giorno, in due anni e luoghi completamente diversi, con famiglie distanti l’una dall'altra; eppure, entrambi erano accomunati dalla loro grande passione per il calcio, ed era proprio per l’amore che nutrivano verso questo sport che si erano incontrati.

Inoltre, le parole di Shingo avevano espresso proprio ciò che stava accadendo a lui. Anche Yuzo, dopotutto, aveva ricevuto molte notifiche sul suo cellulare: segno di quel grande affetto che molti dei suoi amici e parenti stavano provando nei suoi confronti e che mai si sarebbe spento, nemmeno con la lontananza.

Il portiere si portò le mani sui fianchi e diede voce a ciò che voleva comunicare all’altro giocatore. «Ti capisco... che coincidenza: oggi è anche il mio, di compleanno.»

«... lo stai dicendo per prendermi in giro?»

Nonostante la calma e la sincerità delle parole di Yuzo, la reazione di Shingo fu spontanea: il giovane inarcò le sopracciglia, curioso di capire se l’altro gli avesse detto davvero la verità o meno. Ma un altro breve trillo seguito da altri, questa volta del cellulare di Yuzo, lo fece ricredere.

«Direi proprio di no: oggi anche il mio cellulare ha voglia di fare festa!»

Yuzo tornò al suo borsone per riprendere in mano il suo cellulare, questa volta ricco di un altro giro di notifiche da parte dei suoi kohai delle superiori. Allo stesso tempo anche quello di Shingo squillò ripetutamente e, nel caso del giovane, si trattava proprio di una telefonata.

Anzi... di una doppia telefonata: la prima era dal numero di suo padre; la seconda da quella di sua sorella Yukiko. Entrambe, nello stesso momento.

«Oh, caspiterina...» esclamò Shingo, mostrando un’espressione di grande sorpresa. «E ora cosa faccio? A chi rispondo?»

Nello stesso momento squillò anche il cellulare di Yuzo. Il giovane portiere, mentre stava scorrendo la pagina della mail personale, si vide arrivare una telefonata: cercò di mantenere la calma, spezzata dal fatto che a lui non piaceva essere interrotto all’improvviso.

Soprattutto mentre sto cercando di capire perché lo zio Noboru si trova al Miho Ground... - pensò. Cosa caspita ci fa, laggiù? Sta complottando qualcosa, me lo sento: lo sapeva che oggi non c’ero, e che soprattutto la mia squadra non era impegnata con gli allenamenti! Che cosa ci fa, lì, e da solo per giunta?!

Mentre i loro cellulari continuavano a squillare, ad entrambi i ragazzi venne in mente la stessa idea. Si voltarono, guardandosi negli occhi e con un cenno di intesa si scambiarono i cellulari.

«Facciamo una prova» disse Yuzo. «Vediamo come ce la caviamo: se davvero siamo nati lo stesso giorno...»

«... non sarà male, fidati!» aggiunse Shingo, con un sorriso a trentadue denti. «Sarà divertente, vedrai!»

 

 

 

«Senti, Morisaki... ma è normale che sullo schermo c’è uno strano tizio con i baffi che mi sta fissando senza dire una parola? È inquietante: sicuro che sia qualcuno della tua famiglia? Non è che hanno sbagliato numero?»

Shingo aveva allontanato il telefono e aveva pronunciato quelle parole il più possibile sottovoce, per evitare che il suo interlocutore non lo sentisse.

Troppo tardi.

«Guarda che non sono sordo!» esclamò l'uomo. «Izumi, mi sa che tuo figlio ha perso il telefono o gliel’hanno rubato: c'è un ragazzino con la faccia da scemo che ha risposto al posto suo...»

«Chiedo scusa, signore?» replicò Shingo, mostrando poi un sorriso colmo di fierezza. «Per sua informazione, è proprio questa “faccia da scemo” che adorano i miei fan! E i miei fan mi vogliono molto bene!»

«Aaaah, lasciamo perdere. Senti un po’: Yuzo non c’è?»

«Nossignore, è andato al bagno!»

Sullo schermo del cellulare, alle spalle dell’uomo fece capolino un'anziana signora che, non appena vide Shingo, diede un urlo di ammirazione. «Ma quello... quello è Aoi Shingo! Caro, possibile che tu non l’abbia riconosciuto? L’abbiamo visto giocare dal vivo lo scorso mese in Italia!»

«Come?»

L’uomo spalancò gli occhi, incredulo, mentre la donna rivolse a Shingo un raggiante sorriso. «Se hai il telefono di Yuzo... vuol dire che sei in Giappone! Sei tornato in Giappone, vero?»

«Corretto!» rispose Shingo, e mostrò alla telecamera del cellulare la mano chiusa a pugno con il pollice in su. «Resterò per qualche giorno, poi tornerò in Italia!»

«Sei bravissimo! Se fossi in Italia, di certo diventerei una grande tifosa dell'Inter... solo per te!»

«Non esageriamo, cara» aggiunse l'uomo, dando un leggero colpo di tosse. «Noi saremo sempre fedeli ai nostri Samurai dalle vesti blu...»

«Perché, lui non lo è?»

«Certo che lo è! Ma diventare tifosa dell’Inter, di una squadra italiana e non giapponese... mi sembra alquanto esagerato. Comunque...» e l'uomo si rivolse nuovamente a Shingo, «ti ripeto che non sono sordo. Sento la voce di mio nipote come sottofondo: non è al bagno… è lì, vero? Poi entrambi dovete dirmi perché tu hai risposto al posto suo: forse ora ha paura di parlare al telefono?»

Lo sguardo serio e magnetico - ma agli occhi di Shingo stranamente inquietante - di quell’uomo mise a forte disagio il minuto calciatore che, allontanando una seconda volta il telefono, si voltò verso il suo compagno di squadra con voce tremolante.

«M-M-Morisaki, ti prego: vieni subito qui! Non mi piace più questo scherzo: ma che razza di parenti hai?!»

Ma Yuzo non gli diede retta.

 

Dall’altra parte della stanza, infatti, il terzo portiere della Nazionale giapponese era molto coinvolto nella conversazione che stava avendo con la famiglia di Shingo. Tra i due calciatori presenti in quella stanza, Yuzo era quello di gran lunga pratico nella tecnologia, per cui era riuscito a inserire nella stessa conversazione le due telefonate che erano arrivate simultaneamente sul cellulare del suo compagno di squadra, trasformandola in una videochiamata di gruppo; in questo modo il portiere era riuscito a vedere sia i genitori e la nonna del suo compagno di squadra che Yukiko con Hibiki.

E, da quel poco che la giovane artigiana gli aveva accennato, il sindaco di Nakahara stava preparando un’originale sorpresa per Shingo.

«Sono d'accordo: gli piacerà un sacco!» esclamò Yuzo, indicando sullo schermo il bozzetto che gli stava mostrando il giovane sindaco. «La prossima volta che tornerà a Nakahara e lo vedrà pronto, se ne innamorerà e l’abbraccerà fino a non staccarsi mai. Già me lo immagino, sarebbe proprio da lui!»

«Di cosa state parlando?»

Yuzo sobbalzò, così come - sullo schermo - Yukiko che, all’improvvisa voce di suo fratello, fece cenno a Hibiki di togliere di mezzo il bozzetto prima che suo fratello lo avesse accidentalmente visto prima del tempo.

«Del tuo regalo di compleanno!» rispose candidamente il portiere, voltandosi verso Shingo. «Ho appena raccontato a loro che oggi è anche il mio compleanno, così mi hanno chiesto qualche consiglio sui regali da farti.»

«Davvero?» chiese Shingo.

«Davvero. Ti stanno preparando una bella sorpresa, però non posso dirti niente... altrimenti che sorpresa sarebbe?»

«Dai qua, per favore!»

Shingo gli rubò il telefono di mano, restituendogli il suo. Prima di voltarsi verso lo schermo del suo cellulare disse, con gli occhi puntati su quello di Yuzo: «Ora vi spiega lui tutto! È stato un piacere conoscervi, signori Morisaki... o chiunque voi siate!»

Il portiere osservò la scena con enorme incredulità. Dopo essersi affacciato alle spalle di Shingo e salutato la sua famiglia, si allontanò con il telefono tra le mani.

«Scusa, nonno Akihiko...» disse, con velato imbarazzo. «La verità è che volevo farvi una sorpresa: non sapevo che oggi fosse anche il compleanno di Shingo...»

«Come? Anche Aoi Shingo compie gli anni?» chiese sua nonna Chiharu con stupore. «Non lo sapevo, chiedigli scusa da parte mia e fagli tanti, cari auguri!»

«Sì, ma perché dargli il tuo cellulare?» aggiunse suo nonno, con un sopracciglio alzato. Accese una sigaretta e proseguì: «Potevi avvisarci prima, no?»

«Ecco, ho pensato che–»

Un altro urlo improvviso colse di sorpresa Yuzo, che subito si voltò nella direzione di quella voce. Con la bocca aperta e le lacrime agli occhi, Shingo stava ammirando ciò che in quel momento si vedeva sullo schermo del suo cellulare: un disegno che lo rappresentava, con appunti su misure e altezze.

Il progetto di una statua, dedicata a lui.

«Giuro che domani torno a Nakahara e ci faccio una foto!» esclamò Shingo con grande entusiasmo, dimenticandosi del fatto che quello che stava vedendo era ancora un progetto su un foglio di carta.

Yuzo sorrise, pensando a ciò che aveva saputo riguardo quel bozzetto. La sorella del minuto calciatore gli aveva confidato che il sindaco aveva avuto l’idea di costruire una statua a grandezza naturale di Shingo, per poi collocarla al centro del parco della cittadina.

«Dimmi un po’, Yuzo. Quel ragazzino è sempre così rumoroso?» domandò Akihiko, leggermente infastidito.

Il portiere soffocò una risata e rispose: «Sai, nonno... tutti noi gli vogliamo troppo bene. È davvero unico, è simpaticissimo… e lo ammetto: dopo un po' che stai insieme a lui, ti contagia con la sua allegria!»

 

 

 

[12 Marzo, qualche minuto dopo. Nankatsu, prefettura di Shizuoka, Giappone.]

 

«Certo che mai mi sarei aspettata una cosa del genere, da mio nipote...»

Akihiko fece un ultimo tiro dalla sigaretta, prima di spegnerla nel posacenere che era sul tavolo. Dietro di lui, sua moglie Chiharu e sua figlia Izumi stavano finendo di sparecchiare, rimettendo in ordine la cucina dove avevano cenato.

«Ha preso proprio dai suoi amici» continuò, portando le braccia conserte. «Che razza di scherzo era, non l’ho capito: rispondere al posto suo un ragazzino che più che un suo compagno di squadra mi sembrava uno scemo! E dire che questo “Aoi Shingo” non sembrava così stravagante sul campo…»

«“Ci ha fatto”, semmai» lo corresse Hideki, e subito diede un sorso al digestivo che suo suocero aveva portato per l’occasione. «Come hai detto che si chiama, questo?»

«Limoncello. Uno dei prodotti pregiati dell’Italia: possibile che tu non l’abbia mai assaggiato?»

«Si dia il caso che io non sia un viaggiatore come te... forse più mio fratello Noboru: se chiedi a lui, magari ti sa dire qualcosa.»

Akihiko si lasciò sfuggire una piccola risata sotto i baffi. «Quanto sei pigro! Dovresti fare come me: staccare un po' dal lavoro per iniziare a esplorare il mondo, e così ne approfitti per rilassarti. Ultimamente ti vedo molto stressato!»

«Dimmi quando riesco a trovare del tempo libero. Sono sommerso di impegni... come mi è venuto di dedicarmi a tante cose nella vita? Nella prossima vita voglio rinascere gatto, così penso solo a mangiare e dormire!»

«Non ti facevo così pigro, caro genero... ho deciso: alla prossima vacanza tu verrai con me, al posto di mia moglie. Anzi, io e te faremo il giro del mondo!»

Dall'ingresso della cucina Izumi osservò la scena, senza dire una parola. Dopo tanto tempo era la prima volta che lei e suo marito si erano ritrovati con i suoi genitori: solo loro quattro, senza i loro figli. Con i suoi figli in tre parti diverse del mondo e la sua Hanako a casa di Hoshiko per un pigiama party, le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quando lei e Hideki erano solo novelli sposini.

Come era all’inizio.

Il cellulare che Izumi aveva nella tasca del suo grembiule iniziò a vibrare. Dopo aver dato una veloce occhiata allo schermo, che si era illuminato con la notifica di un messaggio in arrivo, la donna si congedò dai presenti per qualche minuto. Si recò al primo piano, con un preciso obiettivo nella sua mente: dirigersi verso quella che un tempo era la camera da letto di Yuzo e che ora, per la maggior parte dell’anno, era solo uno scrigno di piacevoli ricordi.

Entrò nella stanza e si soffermò ad osservare ogni singolo dettaglio: il letto dove dormiva suo figlio, la scrivania dove studiava e infine la finestra, dalla quale spesso si affacciava e dove era riposto il telescopio Takahashi donatogli dallo zio Noboru. E lei si soffermò proprio in quel punto, sfiorando con delicatezza le ante e poi il davanzale. Sorrise dolcemente: ripensò a suo figlio e tutto ciò che aveva condiviso con lui, dalla sua nascita fino a quel momento.

Nonostante le frecciatine che ogni tanto suo padre Akihiko si divertiva a lanciare, i suoi quattro figli erano cresciuti senza prendere brutte strade, ognuno con un sogno che stavano realizzando. E, in particolare, di Yuzo ne andava molto orgogliosa: era entrato a far parte della Nazionale giapponese di calcio, e grazie alle sue grandi capacità man mano si stava facendo conoscere non solo in Giappone ma anche nel resto del mondo.

Se qualcuno mi avesse detto anni e anni fa che sarebbe arrivato a tali livelli... non ci avrei mai creduto!

Izumi si appoggiò al davanzale e prese in mano il cellulare con l’intento di fare una telefonata. Nell’osservare la finestra della casa che aveva di fronte a sé, d’un tratto vide qualcosa di inconsueto: le tende, solitamente chiuse, si spostarono e proprio da quella finestra si affacciò la sua vicina che, non appena la vide, agitò la sua mano per salutarla. Kazue aveva appena portato il cellulare all'orecchio, e infatti un sonoro beep si udì in quello di Izumi.

Sulle guance di Izumi scese qualche lacrima di commozione, e senza perdere tempo la donna comunicò per telefono all’amica ciò che stava pensando in quel momento, proprio in risposta al messaggio che proprio da lei era arrivato qualche minuto prima.

 

«Avevi ragione, Kazue. Anch’io penso che Hikaru sia fiero di mio figlio.»

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Con questa parte si conclude il nostro viaggio che ha accompagnato Yuzo e Shingo dalla nascita fino al termine dell'adolescenza! (Con tanti, cari auguri a loro dato che oggi è il loro compleanno per davvero, sì! :3)

A dire il vero avrei potuto raccontare anche di altri compleanni, continuando a seguire il salto temporale dei tre anni... ma alla fine ho deciso di non farlo perché mi è sembrato giusto così. D'altronde questa storia è nata per raccontare un po' il loro percorso di crescita, con episodi che finora non sono stati narrati nella serie ufficiale - ma chissà se qualche Memories futuro ci regalerà qualche scorcio del loro passato - per cui conoscete già tutto il resto!

A proposito di salti temporali, questa volta non ho specificato un periodo ben preciso, ma volevo dare comunque l'impressione che fossero trascorsi "alcuni anni" (appunto) dall'ultima volta che abbiamo visto i protagonisti: nel dettaglio immaginavo uno stacco temporale di cinque anni massimo.

Prima di passare agli ultimi approfondimenti e alla conclusione di questo angolo delle note, vi presento l'ultimo OC del quale, in realtà, è già stato fatto accenno nella parte dei diciotto anni del nostro Yuzo... ma del quale solo qui sappiamo qualcosa in più:

 

- Ran 「蘭」 era la moglie di Noboru, figlia di madre australiana e padre giapponese (e questo spiega la scritta in inglese sull'adesivo del telescopio... nulla è lasciato al caso! :3) Aveva conseguito l'abilitazione per essere preparatore atletico, e per il suo lavoro è giunta presso la Shimizu S-Pulse di Shizuoka, dove ha incontrato Noboru. Nel giro di pochi mesi si sono fidanzati e sposati, ma qualche tempo dopo il loro matrimonio lei è venuta a mancare a causa di una grave e improvvisa malattia.

Amava le coccinelle, motivo per il quale sul suddetto adesivo vi era l'immagine di una coccinella, e le stelle. Il telescopio Takahashi è, infatti, un dono che lo stesso Noboru le aveva dato, pochi mesi prima della sua scomparsa.

Il motivo per il quale Yuzo - così come i suoi fratelli - non è mai stato a conoscenza della sua esistenza è a causa del fatto che questa donna è scomparsa prima del matrimonio di Hideki e Izumi. Noboru non ha mai avuto il coraggio di parlare di questa donna ai suoi nipoti, troppo divorato dal dolore per quanto gli era accaduto...

 

E dopo quest'ennesima parentesi triste, passiamo subito alle note di approfondimento!

 

- Giusto per avere un'idea del ciclo delle stagioni sull'acero, qui potete trovare una fotografia riassuntiva. Essendo quasi all'inizio della primavera in Canada, gli alberi sono ancora spogli ma ricchi di piccoli germogli verdi;

- Il Mizzy Lake è uno dei luoghi del già citato Algonquin Provincial Park. In questo luogo coesistono tutte le specie di fauna presenti nel parco;

- Il fatto che Ken'ichi si preoccupa di finire la caramella prima dell'inizio delle lezioni è tratta dalla realtà. Leggendo questo articolo, ho scoperto che nelle università giapponesi è severamente vietato mangiare caramelle, masticare chewing-gum durante le lezioni (ed è giusto così), a volte anche bere... anche se, a quanto sembra, si può dormire durante le lezioni. Diciamo il contrario delle nostre università, LOL;

- Il Journal of the Tokyo University of Marine Science and Technology è la rivista che raccoglie tutte le pubblicazioni dei ricercatori della Tokyo University of Marine Science and Technology. Qui trovate tutte le pubblicazioni finora uscite;

- Il Miho Ground è il luogo in cui si allena la squadra... *rullo di tamburi*, esatto: la Shimizu S-Pulse, proprio la squadra nella quale entra a far parte il nostro Yuzo! Ora avete capito il perché di tutti quei riferimenti che c'erano all'inizio della parte sui tre anni del protagonista? In questa storia nulla è stato messo a caso...

- Il Decanter World Wine Awards è il più importante concorso vinicolo internazionale, nel quale i partecipanti premiati hanno la possibilità di promuovere la loro produzione di vino (solo quello che ha vinto, non tutti i prodotti dell'azienda) con il marchio del concorso. Avete già capito che arrivare sul podio del DWWA ha un certo peso: osservando la Hall of Fame del concorso ho scoperto che questo riconoscimento è stato vino solo da tre produttori italiani, tra i quali uno è proprio del Piemonte; qui, invece, potete trovare un elenco di tutti i premi vinti da produttori italiani (che non sono pochi!)

 

Un ultimissima nota riguarda un altro personaggio qui citato: Akane [茜], la compagna di Hanako e Hoshiko prima del suo trasferimento a Shimizu. Non l'ho inserita nell'elenco dei personaggi perché è un personaggio ancora in "work of progress". Tutte le informazioni certe che posso darvi sono tratte dallo stesso testo: è un'abile attaccante, che non ha avuto un inizio facile con Hanako a causa del loro carattere (Akane è un po' come Kojiro, un po' come Makoto... e con questo vi ho detto tutto :3) ma che, alla fine, proprio con lei è riuscita a costruire una squadra di calcio femminile nelle medie Shutetsu. Alle superiori si trasferisce a Shimizu, per cui in questo momento della storia lei si trova proprio in quella città. Il suo colore significa "rosso brillante" - e con questo ho davvero chiuso la parentesi dei miei personaggi originali, LOL!

 

Detto questo, oggi siamo giunti alla conclusione di un lungo viaggio durato molti mesi. Quando ho iniziato a pubblicare questa storia, il 24 settembre 2020, non mi aspettavo che sarebbe stata accolta con molta positività e attesa. Rileggendo i primi commenti mi sono resa conto di essere stata in grado di creare delle belle aspettative (e di questo sono molto felice **), aspettative che probabilmente ho deluso man mano che la storia è andata avanti... ma non ho mollato perché so che qualcuno ha sempre seguito la mia storia, anche solo per il gusto di sapere "Ma questa, dove vuole andare a parare?" ;D

Per cui, se sono riuscita a trasmettervi qualcosa, che sia un'emozione o se solo vi ha colpito qualche passaggio del testo (nel bene o nel male, ovviamente), ne sono davvero contenta. :)

È doveroso ringraziare khrenek che, impavido e in barba a tutti i "WTF" della storia, è stato il primo lettore a essere arrivato fino alla fine. Quindi... a te darò la medaglia virtuale del lettore virtuoso - e qui scusate il piccolo "scioglilingua" XD

Un altro ringraziamento - perché mi ha sopportato e supportato fin dai primordi di questo progetto - va alla solita stellaskia... ecco, sopportato sarebbe il termine più adatto, perché il periodo della pandemia non è stato facile per tutti (e non lo è ancora) e con la lettura in anteprima di questa storia forse le ho dato un peso non indifferente. Ti chiedo ancora scusa. :')

Il ringraziamento "Voce fuori campo" va alla mitica Melanto che si è interessata molto a questa storia, e ogni volta che abbiamo l'occasione di metterci in contatto si ripromette di proseguire con la lettura. Non preoccuparti: la storia è e resterà sempre qui... così come nel mio caso lo sarà il tuo ciclo del "Mori no kokoro" - quella storia mi perseguiterà nei miei sogni, me lo sento. Visto che capisco perfettamente ciò che provi? :3

Infine ringrazio tutti coloro che hanno letto e lasciato un commento, e anche quelli che hanno seguito la storia silenziosamente. Vi assicuro che le circa quattrocento letture del primo capitolo (che risultano per la data di oggi, 12 marzo 2021) sono del tutto normali, se considerassimo la curiosità che spinge una persona ad aprire una storia su due personaggi che non sono i protagonisti della serie... ma non lo sono le circa cento letture dei capitoli successivi. Ovviamente "cento" in media perché quelli più recenti hanno meno letture, ma ciò significa che finora ci sono state molte persone che si sono interessate alla mia storia, una storia che ha riguardato anche personaggi originali - su alcune parti erano soprattutto loro i veri protagonisti - ambientata nei giorni del compleanno di due bravi calciatori.

A proposito di compleanni: ancora tanti cari auguri a Yuzo e Shingo! Speriamo che anche oggi stiano festeggiando alla grande! :3

Per ora il viaggio si conclude qui, e colgo l'occasione per annunciarvi che prossimamente su questi schermi arriverà Intrecci, un insieme delle mille voci che sono nate da questa storia e che saranno da approfondimento per alcuni punti della fanfiction. Non so ancora quando di preciso perché devo ancora completarlo, ma prima o poi arriverà... :)

A presto!

--- Moriko

 

 

   
 
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