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Autore: Mariam Kasinaga    12/03/2021    3 recensioni
Aroma di cioccolata e biscotti.
Ad Ellen quel profumo ricordava la sua infanzia: ogni volta che era triste, sua mamma la consolava con una tazza di cioccolata fumante e biscotti al burro.
Storia partecipante al contest “Paint The Sky With Stars” indetto da LuceV sul forum di Efp
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ellen
 

Ellen era sprofondata nel letto, i lunghi capelli rossi sparpagliati sul cuscino. Continuava a singhiozzare sommessamente, ma ormai non aveva più nemmeno la forza per piangere: continuava a pensare a quello che era successo poco tempo prima, a come quell’idiota di Ben l’avesse mollata di punto in bianco, senza nemmeno una spiegazione.
La ragazza si passò più volte le mani sul volto, impiastricciato di trucco e lacrime: “Stupido, stupido, stupido!” cominciò ad urlare alla stanza vuota.
Eccola lì, Ellen la sfigata, come avrebbero detto tutti: lasciata dal fidanzato a poche ore dalla festa di capodanno.
Blacky, il grosso gatto nero che aveva ereditato da sua sorella, saltò con un balzo felino sul letto, cominciando a picchiettare con una zampa sulla sua guancia. La ragazza sbuffò, allontanandolo in malo modo: “Non ti ci mettere anche tu” mormorò, ottenendo in risposta un miagolio offeso.
La ragazza si mise a sedere con uno sbuffo, lanciando un’occhiata alla figura riflessa nello specchio vicino a sé: minidress sgualcito, occhi da panda gonfi e capelli simili a sterpaglia.
Ellen si prese la testa tra le mani, stringendo tra le dita le radici dei capelli fino a farsi male: dove aveva sbagliato, questa volta? Era stata accondiscendente, non si era mai lamentata, aveva sempre cercato di essere carina… eppure non era servito a nulla, nemmeno questa volta.
Ben si univa alla lunga lista di uomini sbagliati e, a trent’anni, ogni nome pesava sempre di più come un macigno.

Ellen si tolse le scarpe eleganti, buttandole in malo modo nell’armadio e infilò il suo “pigiama della disperazione”: una maglia e dei pantaloni ormai sformati, completamente rosa, decorati con degli unicorni al limite dell’imbarazzo. Si raccolse i capelli in uno chignon scomposto e si lavò il viso, cercando di ricomporsi.
“Coraggio Ellen, supererai anche questa”mormorò allo specchio, cercando di sorridere a se stessa.
Il telefono squillò, ma la ragazza cercò di ignorarlo: l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era parlare con una delle sue amiche.
Accese la televisione e si accoccolò sul divano, abbracciando un cuscino. Ai notiziari raccomandavano di rimanere in casa a causa delle forti nevicate e di uscire solo in caso di grave necessità.
La ragazza strinse il cuscino ancora più forte; se non altro, forse il meteo avrebbe impedito agli altri di andare ala festa al pub.
Blacky si avvicinò diffidente alla padrona, temendo di essere respinto nuovamente. La ragazza si sporse per accarezzarlo dietro l’orecchio: “Meno male che ci sei tu, eh?” mormorò. Il gatto cominciò a fare le fusa, soddisfatto delle attenzioni ricevute.
Ellen si alzò, avvicinandosi alla finestra della sala: era qualche giorno che la neve scendeva senza sosta, ricoprendo i tetti di Dublino con il suo manto bianco. Scendeva lentamente, quasi pigra, nascondendo tutto ciò che incontrava. Le sarebbe piaciuto scomparire così, sotto una coperta di neve e ghiaccio, senza più preoccupazioni.
Alitò sul vetro gelido e disegnò un cuore spezzato, prima di cancellarlo con un gesto impetuoso della mano.
Il pianto ritornò come un’onda del mare, accompagnato dal dolore: Ellen si appoggiò con tutto il suo peso alla finestra, alla affannosa ricerca di un sostegno che le impedisse di affogare. Pian piano si lasciò cadere a terra, rannicchiata, mentre la neve continuava a cadere incurante della sua disperazione.
Il suono gracchiante del citofono la scosse dai suoi pensieri. Ellen si  trascinò fino all’ingresso, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano: “Chi è?” chiese con voce flebile, cercando di trattenere i singhiozzi.
“Ti sto chiamando da tutto il giorno ero preoccupata! Apri, si gela qui sotto!” la voce squillante di sua madre riempì l’appartamento.
Ellen alzò gli occhi al cielo: “Devo uscire, non ho tempo”mentì, sperando di riuscire a cavarsela.
La donna ebbe un modo di impazienza: “Ellen, non sei mai stata a brava a dire le bugie. Apri!”ripetè.

Aroma di cioccolata e biscotti.
Ad Ellen quel profumo ricordava la sua infanzia: ogni volta che era triste, sua mamma la consolava con una tazza di cioccolata fumante e biscotti al burro.
Da quando suo padre era andato via di casa, erano rimaste un triangolo al femminile: lei, sua sorella Lizzie e sua mamma Annie. Tra le due, Lizzie era quella realizzata: si era diplomata con il massimo dei voti, si era sposata con il suo amico di infanzia ed ora occupava un posto dirigenziale di una delle imprese più importanti del Paese.
Ellen, al contrario, aveva ancora bisogno della merenda speciale di sua madre.

Erano sedute una davanti all’altra al tavolo della cucina: Ellen teneva la tazza tra le mani, godendosi il calore della bevanda; Annie sbocconcellava un biscotto, accarezzando Blacky che le si era accoccolato in grembo.
“Non capisco perché hai un telefono, se non rispondi mai alle chiamate” sbuffò la donna.
L’altra alzò gli occhi al cielo: “Non capisco perché hai sentito il bisogno di presentarti all’improvviso a casa mia. Oggi è stata una giornata da dimenticare, il peggior trentun dicembre della mia vita e io sono qui, in casa con mia mamma, come se fossi una bambina di dieci anni” aveva pronunciato le ultime parole urlando dal nervosismo, alzandosi di scatto e dando un calcio alla sedia.
Odiava il suo lavoro da commessa part-time al supermercato, detestava il bilocale in cui viveva e non riusciva a far durare una relazione per più di sei mesi.
Iniziò a tremare, singhiozzando, portandosi le mani al volto per non farsi vedere da sua madre in  quello stato. Sentì il rumore della sedia trascinata sul pavimento, i passi di sua madre avvicinarsi ed il calore scattare dall’abbraccio improvviso: “Tu sei una persona meravigliosa Ellen. Sei riuscita a trovare un lavoro, hai comprato questa casa da sola, senza mai chiedermi nulla. Fidati, la vita di tua sorella non è così perfetta come sembra. Sei così impegnata a paragonarti a lei da non notare i problemi di George con il gioco d’azzardo o come ha ottenuto il suo posto di lavoro. Quando tuo padre ci ha abbondato, sei stata la mia roccia per andare avanti. Ho caricato sulle tue spalle un peso troppo grande per una ragazzina, ma tu non ti sei mai lamentata. Ho sbagliato con te molte volte, e probabilmente sbaglierò ancora, ma se c’è una cosa di cui sono sicura è quanto tu sia forte. Ben se ne andato? Peggio per lui, quel ragazzo era un idiota! Non accontentati mai nella vita, delle persone che vuoi al tuo fianco”mormorò, accarezzandole dolcemente i capelli.
Ellen si staccò da sua madre, cercando di trattenere le lacrime: “Non sono io ad essere sbagliata?” domandò a bassa voce.
Sua madre fece il Sorriso: quello dedicato alle circostanze importanti, che aveva il potere di rasserenarla e darle nuove energie per affrontare la vita. Il Sorriso era un’espressione di sua mamma completamente dedicata a lei, nemmeno Lizzie ne aveva mai ricevuto uno.
“Non c’è niente che non vada in te, bambina mia. Io sono fiera di te, Ellen!” esclamò, dandole un bacio sulla fronte.
Per la prima volta da quando era cominciata quell’orribile giornata, le labbra della ragazza si incresparono in un sorriso: in quel nevoso trentun dicembre, in una cucina che profumava di cioccolata calda e biscotti, sua madre era lì con lei.

 

Ed era tutto ciò di cui aveva bisogno.

   
 
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