Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: Roscoe24    12/03/2021    5 recensioni
"Arthur sapeva essere estremamente premuroso, quando non si comportava come un totale babbeo.
E questo pensiero fece sfarfallare il cuore di Merlin, in un modo che lui decise volutamente di ignorare per tutta una serie di innumerevoli motivi (...). Non poteva innamorarsi del suo capo. Sarebbe stato poco professionale, decisamente poco etico, e oltraggiosamente scontato."
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nella penombra della sua stanza, Arthur osservava il profilo di Merlin.
Erano andati a cena, in un posto che Arthur non conosceva e che aveva scelto Merlin, assicurandogli che gli sarebbe piaciuto. Era stato così, in effetti. Il posto dove avevano mangiato si trovava in un vicolo nascosto nel cuore di Londra, che all’inizio Arthur aveva snobbato alla grande.
“Mi vuoi portare in una bettola angusta?”
“Devi fidarti di me.” Merlin l’aveva preso per mano, facendo intrecciare le loro dita con spontanea naturalezza. Quel gesto aveva fatto sì che il cuore di Arthur balzasse nella sua gola e lì rimanesse. Si era sentito un po’ sciocco ad avere una reazione simile per un gesto tanto semplice. Era normale che le coppie si prendessero per mano – con le sue precedenti ragazze l’aveva fatto una marea di volte – eppure quel piccolo gesto l’aveva scombussolato, quasi fosse la prima volta che qualcuno lo prendeva per mano, quasi fosse un quattordicenne imbranato che scopre per la prima volta l’intimità di quel gesto.
Per un attimo, aveva persino temuto che il suo palmo fosse sudato.
“Sul serio, dove mi stai portando?”
Merlin aveva sorriso, accarezzando con il pollice il palmo – asciutto, per fortuna – della sua mano. “Ogni tanto potresti anche guardarti un po’ intorno, carpire le cose belle che ci circondano, e non avere fretta di arrivare subito alla meta.”
E Arthur l’aveva fatto. Si era guardato intorno e aveva notato le persone che camminavano vicino a loro, a passo più o meno spedito, in coppia o in gruppo; aveva notato le luci accese dentro ai negozietti, le vetrine illuminate, i banchetti in strada che vendevano zucchero filato, riempiendo l’aria con il loro profumo dolciastro.
Sembrava un angolino preso da un film e trasportato lì solo per loro.
“Come hai scoperto questo posto?”
“Mi ci portava mia mamma quando ero piccolo. Laggiù c’è un negozio di giocattoli. E vicino, c’è il posto dove mangeremo.”

Merlin l’aveva condotto alla loro meta, senza mai lasciare la sua mano. Gli aveva fatto vedere il negozio di giocattoli dove Hunith lo portava quando era bambino, raccontandogli aneddoti riguardanti la sua infanzia, in particolare quella volta che sua madre per il suo compleanno gli aveva regalato il suo primo trenino telecomandato.
Arthur aveva sorriso e l’aveva seguito all’interno del locale dove avrebbero cenato, mentre ancora si immaginava Merlin bambino e quanto potesse essere genuinamente felice del suo nuovo giocattolo.
Diversamente da quanto si sarebbe mai aspettato, quel posto gli era piaciuto. E probabilmente dipendeva dal fatto che fosse in compagnia di Merlin, che riusciva a metterlo di buon umore ovunque fossero.
Stare con lui gli alleggeriva il cuore. Si rendeva conto quanto si sentisse sereno e tranquillo, in sua presenza, e quanto i suoi problemi sembrassero meno insormontabili.
E adesso, mentre erano nello stesso letto, uno di fianco all’altro, ebbe conferma di ciò che gli aveva già detto: provava qualcosa per lui, qualcosa che si avvicinava all’amore. Non si sentiva ancora pronto per dirglielo, ma sapeva che prima o poi gliel’avrebbe detto.
Gli avrebbe detto che silenziosamente, con discrezione e spontaneità, Merlin si era appropriato del suo cuore. E quando ne avesse avuto il coraggio, gli avrebbe persino detto che era lui, e sempre lo sarebbe stato, l’unico a poter tenere il suo cuore tra le mani senza che lui avesse timore di poter essere ferito perché sapeva che Merlin mai gli avrebbe fatto del male.
Lo guardò, con quei pensieri che gli vorticavano nella mente, e istintivamente alzò una mano per accarezzare il suo profilo delineato. Gli piaceva tantissimo. Percorse con la punta di un polpastrello la linea dritta del suo naso, scendendo fino alla curva piena delle labbra. Era quasi surreale che fosse lì, nel suo letto. Era quasi surreale che si appartenessero in un modo tanto viscerale, quasi come se le loro anime fossero state legate da un filo immaginario spesso e indistruttibile, o come se fossero state forgiate dallo stesso nucleo e si fossero riconosciute, una volta che loro si erano incontrati, solo per unirsi di nuovo e non lasciarsi andare mai più.
Anime gemelle.
Erano questo.
“C’è un motivo per cui mi fissi in piena notte?” Bofonchiò Merlin, la voce impastata dal sonno e gli occhi ancora chiusi.
Arthur continuò l’ispezione del suo profilo, prolungando la sua delicata carezza fino a che non scese sul mento e sulla curva del collo.
A quel punto, con la pelle che si increspava di brividi, Merlin aprì gli occhi e si sistemò in costa, guardando Arthur.
“Allora?”
“Nessun motivo in particolare. Ti infastidisce essere guardato?”
“Da te, no.”
Arthur sorrise. “Mi piace il tuo viso. Certo, hai delle orecchie enormi che tendono a distrarre da tutto il resto…” Ironizzò, indicando le dirette interessate.
Merlin gli schiaffeggiò la mano, allontanandola da sé. “Idiota.”
Arthur si avvicinò di più, allungando un braccio sotto al piumone e circondando la schiena di Merlin per stringerlo di più a sé. Gli sfiorò il naso con il proprio, prima di lasciargli un bacio a stampo.
“Cosa ti tiene sveglio?”
“Niente…”
“Arthur. Ti conosco. Dimmelo.”
“Stai prendendo questa faccenda di darmi ordini troppo sul serio.”
“Non ti sto dando ordini, vorrei semplicemente che tu parlassi con me. Sei preoccupato?”
Arthur infilò la mano sotto la maglietta di Merlin e disegnò cerchi concentrici sulla sua schiena. “No. Stavo solo pensando…”
“Tu che pensi? Adesso quello preoccupato sono io.”
“Non essere stupido.” Affermò, dandogli un pizzicotto nello stesso punto dove fino ad un secondo prima stava disegnando.
Merlin sussultò, ma si fece comunque più vicino. Tra di loro, adesso, avrebbe fatto fatica a passare persino un capello.
“A cosa pensavi?”
“A te.”
Merlin arrossì violentemente, tanto che nemmeno la penombra riuscì a celare il rossore sul suo viso. “Oh.”
“Lo trovi strano?”
“No, assolutamente.” Merlin appoggiò le proprie labbra sulle sue. “È dolce.” Sussurrò, prima di baciarlo di nuovo, più approfonditamente, mentre il suo corpo andava ad incastrarsi maggiormente a quello di Arthur. Era caldo e saldo. Arthur era in grado di trasmettere sicurezza solo con la sua semplice presenza. Merlin lo baciò ancora, diminuendo sempre di più gli intervalli tra un bacio e l’altro, riducendoli a dei miseri sospiri per riprendere fiato a sufficienza per poterlo baciare ancora. Non c’era altro suono, in quella stanza, se non il rumore delle loro labbra che si scontravano e i loro respiri che si mescolavano. Merlin, per una frazione di secondo, ebbe l’impressione che tutto l’ossigeno gli fosse stato succhiato via dai polmoni, ma nonostante questo fosse diventato superfluo per la sua corretta respirazione. Sembrava che l’unica cosa che lo aiutasse a respirare a dovere fosse Arthur, le sue labbra sulle proprie, il modo in cui rispondeva ai suoi baci e ne desiderava altri, sporgendosi verso di lui, quando si dovevano separare brevemente.
Era esigente, Arthur, persino quando baciava e voleva essere baciato. Ed era un aspetto così tipico della sua personalità, che Merlin non poté fare a meno di sorridere, mentre si spostava e si metteva a cavalcioni su di lui – le ginocchia ai lati dei fianchi di Arthur, che aveva assecondato i suoi movimenti e si era sistemato supino.
Merlin lo guardò dall’alto per qualche istante: i capelli biondi scompigliati, le labbra gonfie di baci e negli occhi quella tenerezza che sapeva fosse riservata a lui e a lui soltanto.
Adesso lo sapeva.
Adesso i dubbi che poteva avere avuto su cosa fosse ciò che li legava non lo sfioravano più. Qualsiasi nome avesse ciò che li univa, era ricambiato. Lo leggeva negli occhi azzurri di Arthur, che riuscivano ad essere luminosi anche nella penombra. Lo avvertiva nel modo in cui le sue mani lo accarezzavano o cercavano sempre un pretesto per toccarlo.
Era bello sentirsi così importanti per qualcuno che era per lui stesso di un’importanza fondamentale, viscerale.
Arthur gli appoggiò le mani sulle cosce. “Mi stai fissando di nuovo.”
“Quanto ti piace notarlo?”
“Tantissimo.”
“Perché nutre il tuo ego enorme.”
“Un po’. Ma forse dovresti smettere di guardarmi in quel modo.”
Merlin alzò un sopracciglio. “E in che modo ti guarderei, scusa?”
Arthur arrossì lievemente. “Come se fossi importante.” Sussurrò.
“Ma tu sei importante.” Gli rispose, chinandosi all’altezza del suo viso. “E sei mio.”
Il cuore di Arthur fece un salto, a quelle parole, come se avesse preso la rincorsa per gettarsi da un burrone, solo per scoprire, a mezz’aria, di avere un paio d’ali in grado di farlo librare in alto.
Era così che si sentiva.
Sospeso in aria, in una dimensione dove non esisteva altro se non lui, Merlin e quelle tre semplici parole, che erano una delle verità più assolute che avrebbe mai potuto udire.
“Per sempre.” Gli disse senza titubanza alcuna, perché era certo di quelle parole. Era certo che gli sarebbe appartenuto in eterno e che non volesse appartenere a nessun altro, se non a lui.
Merlin appoggiò la fronte alla sua, regalandogli un sorriso soffice. Lo baciò, prima sulle labbra e poi spostandosi verso la linea definita della mascella. Scese ancora, fino al collo, dove alternò baci a piccoli morsi sulla pelle sensibile e tenera.
Era una lenta, piacevole tortura per Arthur, che ad ogni bacio, ad ogni morso, si lasciava andare ad un sospiro ansante.
Tutta quella situazione, i baci, Merlin sopra di sé, la sua bocca che si muoveva sulla propria pelle, gli avevano inevitabilmente provocato una reazione che stava diventando sempre più ardua da ignorare.
“Merlin…”
“Me ne sono accorto.” Sussurrò, dedicandosi ad un punto specifico del suo collo, lasciando un succhiotto che Arthur si sarebbe dovuto impegnare a nascondere. Non che a nessuno dei due importasse, in quel momento. 
Contavano solo loro due e quell’attimo specifico in cui si appartenevano come mai avevano fatto prima di adesso.
Merlin spinse il proprio bacino contro quello di Arthur, strusciandosi su di lui, giusto per provocarlo un po’.
“Merlin…” ringhiò in risposta, facendo comparire un sorrisetto soddisfatto sul viso dell’altro.
Sembrava che Arthur si fosse rotto e che non riuscisse a dire altro di diverso dal nome del suo amato. E Merlin, dal canto suo, poteva decisamente farci l’abitudine ad essere chiamato in quel modo lascivo e impaziente.
Scese, sempre di più, abbandonando il collo, e arrivando fino alle clavicole – Arthur aveva avuto la brillante idea di dormire senza maglietta. Ad ogni centimetro di pelle che Merlin copriva con la sua bocca, corrispondeva un gemito da parte di Arthur. Si prese tutto il tempo per percorrergli il torace e continuare fino agli addominali, fino a quando non arrivò all’elastico dei pantaloni e lo abbassò.
Il suo cuore batteva ad una velocità disumana, tanto che poteva avvertirlo rimbombare nelle orecchie. Era impaziente, ma al tempo stesso sentiva il desiderio di prolungare quell’attimo sospeso ancora per un po’, ignaro del motivo. Forse voleva rendersi conto che era tutto reale, che stava accadendo davvero e che stava vivendo ciò che non si era mai permesso di desiderare, ma che in fondo al suo cuore aveva sempre agognato.
“Merlin…”
Gli bastò sentire di nuovo Arthur pronunciare il suo nome, per rendersi conto che niente nella sua vita sarebbe stato più reale di quell’attimo. Niente l’avrebbe fatto sentire più vivo di quello che stava vivendo e provando adesso.
Si abbassò di nuovo e quando la sua bocca si riempì di Arthur, lo sentì lasciarsi andare un gemito lascivo che impregnò l’intera stanza e le orecchie di Merlin, che per un istante pensò fosse uno dei suoi più gratificanti che avrebbe mai udito.
Era felice, come mai si sarebbe aspettato di poter essere.





*





Arthur non aveva mai fatto l’amore con un uomo.
Non prima di Merlin, almeno.
La notte passata era stata… intensa. Merlin era stato dolce, con lui, pieno di accortezze e di gentilezze. Sapeva che era la prima volta, per lui, e si era comportato di conseguenza. Era entrato in lui con delicatezza, premurandosi prima di prepararlo a dovere. Era stato fermo, all’inizio, per dargli il tempo di abituarsi e poi aveva iniziato a muoversi piano, lentamente, fino a quando il dolore iniziale non si era trasformato in piacere e allora era stato lo stesso Arthur a dirgli di muoversi più velocemente. E lui l’aveva assecondato, ascoltandolo e dandogli ciò che gli chiedeva nel modo esatto in cui glielo chiedeva.
Era stata una delle esperienze più appaganti della sua vita.
Si mosse sotto il piumone. C’era un piacevole calore che avvolgeva i loro corpi nudi e intrecciati. Non voleva muoversi da lì. Arthur avrebbe voluto rimanere a letto per almeno un’altra ora, ma sapeva che ciò non era possibile e la cosa lo faceva sentire come un bambino a cui viene sottratto il suo giocattolo preferito.
Voleva stare lì, al caldo, sotto le coperte e con Merlin tra le braccia. Ma sapeva che da lì a poco la sveglia sarebbe suonata – quell’oggetto infernale che più di una volta avrebbe voluto lanciare fuori dalla finestra – e di conseguenza, tanto valeva alzarsi.
Sospirò, sciogliendo l’abbraccio in cui aveva inglobato Merlin, e si mosse il più lentamente possibile per assicurarsi di non svegliarlo. Quando fu fuori dal letto, pescò una maglietta a caso dall’armadio e recuperò i pantaloni, che erano stati malamente lanciati sul pavimento la notte prima.
Arthur sorrise, ripensando a quel momento. E guardò Merlin, ancora addormentato, che era rotolato leggermente verso la sua parte del letto, probabilmente perché aveva avvertito la sua assenza e si era mosso per cercarlo. Si chinò leggermente per lasciargli un bacio sulla fronte e poi uscì dalla camera, dirigendosi al piano di sotto, verso la cucina.
Avrebbe preparato la colazione. Anche se non era bravo quanto Merlin a farlo, avrebbe considerato un traguardo il fatto di non incendiare l’intera casa nel tentativo di cuocere qualcosa di commestibile. E, se Merlin non si fosse svegliato prima, gliel’avrebbe portata a letto.
Funzionava così, vero?
Era un gesto romantico, che celava in sé premura e affetto. Sperava che anche Merlin la vedesse così e non pensasse che fosse una mossetta trita e ritrita da commedia romantica. Voleva avere fiducia che un gesto simile sarebbe stato apprezzato, così si mise subito all’opera.



*



Merlin si svegliò in un letto vuoto. Allungò una mano alla ricerca di Arthur e non lo trovò. Al suo posto c’era solo il suo cuscino sprimacciato e i residui del suo profumo. Si mise a sedere, cercando nella stanza i suoi vestiti. Erano appallottolati sul pavimento, ai piedi del letto. Arthur gli aveva sfilato la maglietta con una velocità disumana, la notte prima – e i pantaloni l’avevano seguita subito dopo.
Era stato tutto perfetto. Merlin non era il tipo da botte e via, se faceva l’amore con qualcuno era perché provava qualcosa per quel qualcuno, ma con Arthur era stato diverso. C’era stata un’intensità tale che aveva rischiato di fargli scoppiare il cuore e la complicità istantanea tra di loro aveva reso tutto magico, quasi surreale.
Sembrava impossibile poter vivere qualcosa che viene descritto solo nei libri, dove tutto è perfetto, ma lo era stato.
Tutto era stato perfetto perché Arthur era perfetto.
E Merlin era irrimediabilmente, totalmente fregato. Sapeva di amarlo. Dio, se lo sapeva. Era la cosa più naturale che avesse mai fatto, innamorarsi di lui.
Adesso che non doveva più tutelarsi, negando i suoi sentimenti, poteva essere sincero con se stesso. E forse, un giorno, avrebbe anche avuto il coraggio di dirlo ad Arthur.
Un rumore inquietantemente sospetto attirò la sua attenzione, distogliendolo dai suoi pensieri. Veniva dal piano di sotto e non ci voleva un genio per capire che fosse stato Arthur a provocarlo. Qualsiasi cosa fosse, non prometteva niente di buono. Quindi Merlin uscì dal letto, recuperò i suoi vestiti dal pavimento e si avvolse nel plaid che si trovava ai piedi del letto perché sapeva che avrebbe avuto freddo.
Quando fu vestito e coperto a dovere, uscì dalla stanza, dirigendosi al piano di sotto.
Seguì i rumori fino a che non arrivò in cucina. Fermo sulla soglia, rimase ad osservare Arthur che si muoveva all’interno di quella stanza come una trottola impazzita, tra fornelli, tostapane e microonde.
Non riuscì a trattenere un sorriso, nel vederlo così impegnato a fare qualcosa che era evidente gli fosse sfuggito di mano.
“Va tutto bene?” Domandò, palesando la sua presenza.
Arthur si voltò verso di lui ed emise un sospiro di sollievo. “Grazie a Dio sei qui.”
“C’è qualche problema?”
“La mia cucina mi odia, si sta palesemente ribellando ai miei ordini!”
“La tua cucina non ti odia, Arthur. Semplicemente, sei negato ai fornelli.”
Arthur mise il broncio. “Volevo solo fare qualcosa di carino per te, Mr. So Tutto Io.”
Merlin gli si avvicinò, spense il fuoco sotto ai fornelli dove stavano cuocendo delle uova sbattute decisamente troppo cotte, e lo avvolse in un abbraccio, inglobandolo nel plaid insieme a lui. “Cosa avevi intenzione di fare, di grazia?”
Arthur gli cinse la vita con entrambe le braccia. “Portarti la colazione a letto.”
“Oh,” Merlin arrossì, “Davvero?”
Arthur annuì. “Ma… la mia cucina si è ribellata.”
“Apprezzo lo stesso il pensiero.” Gli diede un bacio a stampo. “Grazie.”
Arthur gli baciò la fronte. “Hai fame?”
“Il tuo cibo mi avvelenerà?”
“Non essere stupido, Merlin. Solo le uova sono un po’… cotte. E il pane si è un po’ bruciacchiato, ma le brioches sono al caldo dentro al microonde!” Affermò, fiero di sé per aver salvaguardato almeno quelle.
“Sei andato in pasticceria?”
“In realtà me le sono fatte portare. Le ho prese al cioccolato.”
“Sono le mie preferite.”
“Lo so. Credi che sia idiota?”
“Devo necessariamente rispondere?”
“Sta’ zitto!”
Merlin ridacchiò e lo baciò di nuovo. “Grazie. È tutto molto premuroso, da parte tua.”
Arthur arrossì lievemente e non rispose, limitandosi ad afferrargli il viso tra le mani e accarezzargli gli zigomi con entrambi i pollici, prima di dargli un bacio.
Arthur non era decisamente una persona propensa ad esternare i suoi sentimenti, era più un tipo fisico. Dimostrava affetto con i gesti, che trasudavano tutta la premura di cui il suo cuore era capace.
“Ci sediamo?”
Arthur annuì e sciolse l’abbraccio. Guardò Merlin che andava a recuperare il cibo e poi si sedeva al suo solito posto.
Arthur pensò per un istante a quella mattina di qualche giorno prima, quando l’aveva trovato a bere caffè e studiare il caso. Pensò a come l’aveva guardato di sottecchi e lui avesse inspiegabilmente sentito un calore all’altezza del cuore e lo stomaco agitarsi. Solo ora capiva che l’effetto che gli facevano gli occhi di Merlin su di sé doveva dipendere necessariamente dal fatto che si stesse innamorando di lui e che l’idea di poter essere ricambiato gli facesse battere il cuore in una maniera quasi disumana. Sorrise e recuperò a sua volta del cibo, prima di andarsi a sedere vicino a Merlin, che aveva già cominciato a mangiare.
“Pensavo.” Esordì, dopo aver deglutito il suo primo boccone.
“Hai un talento speciale per terrorizzarmi con una sola parola, lo sai?”
“Cretino. Ascoltami. Dovrebbe essere facile, con quelle orecchie, ma in realtà non lo fai mai.”
“Perché tu non hai mai niente di astuto da dire. Di solito te ne esci con qualche idiozia che io e le mie orecchie preferiamo ignorare.”
“Sei la persona più fastidiosa della terra.”
Tout au contraire, quel posto spetta a te.” Merlin gli riservò il sorrisetto più irriverente che Arthur avesse mai visto e poi prese un sorso di caffè.
Arthur alzò gli occhi al cielo, infastidito. “Vuoi sapere cosa volevo dirti, o no?”
“Avanti, ti ascolto.” Merlin si voltò persino verso di lui, la tazza di caffè tra le mani.
“È venerdì…”
“E di questo, ne ero consapevole senza che tu ne facessi un annuncio.”
Arthur lo fulminò. “Non interrompermi.” Poi si addolcì. “Dicevo, è venerdì. E stasera c’è la mostra di Elena. Vorrei che tu mi accompagnassi.”
Di certo, pensò Merlin, quella non era un’idiozia. E un po’ si sentì in colpa per averlo detto, soprattutto perché Arthur stava cercando di invitarlo fuori. Un’uscita pubblica, loro due insieme davanti ad altre persone che conoscevano.
“Sei sicuro di essere pronto?”
“Sì. Quello che io e te abbiamo, è ciò che mi rende felice. E non voglio rovinarlo con la clandestinità. Già dobbiamo tenerlo segreto in ufficio. E a mio padre, per ora, perché sono sicuro che se glielo dicessi adesso penserebbe che lo faccio per fargli un dispetto. E non è assolutamente così.” Chiarì, serio. “Non voglio che sia un segreto anche per i nostri amici. A meno che non sia tu, quello che voglia tenerlo nascosto. In quel caso, capirei…”
“Io non voglio tenerlo nascosto. E mi farebbe un immenso piacere essere il tuo più uno.” Arthur sorrise udendo quelle parole e Merlin si appropriò di quel sorriso con un bacio. “E se ti può tranquillizzare,” Continuò, poi, appoggiando la tazza sul tavolo, “Credo che Uther possa aspettare. Prima facciamo calmare le acque.”
“Sì. Inizierebbe a dire che sono confuso, che lo faccio per ribellarmi e altre stronzate simili. Ho… ho evitato tutta la vita di affrontare l’argomento persino con me stesso pur di non dargli un dispiacere, ma cosa ci ho guadagnato, mh? Ti ho quasi perso.”
Merlin si avvicinò a lui, appoggiando la fronte alla sua. “Ma non mi hai perso. Io sono qui, con te. E faremo questa cosa insieme. L’importante è che tu sia convinto di voler dire come stanno le cose senza sentirti in qualche modo pressato. Non c’è fretta, Arthur.”
Arthur chiuse gli occhi. La comprensione di Merlin, la sua pazienza, lo facevano sentire in qualche modo più coraggioso.
Aveva negato se stesso per così tanto tempo che aveva persino paura che non sarebbe mai stato in grado di ritrovarsi. Aveva il timore che Uther gli fosse irrimediabilmente entrato in testa, inculcandogli le sue idee fino ad un punto di non ritorno dove lui non avrebbe mai ammesso la verità.
Ma c’era un detto che diceva che la verità rende liberi.
E Arthur era stufo della gabbia dorata in cui era stato rinchiuso fin da ragazzino, come se fosse stato infilato dentro ad un imballaggio preconfezionato senza via d’uscita, se non come unica direzione quella indicatagli da Uther.
Ad Arthur non piaceva quella strada, semplicemente perché lo allontanava da Merlin e da se stesso.
“Non mi sento pressato. Voglio farlo. E voglio vivere la mia vita con te nella libertà più assoluta.” Quando riaprì gli occhi, incontrò immediatamente quelli di Merlin. E ci lesse dentro qualcosa che non aveva mai letto in nessun altro.
Amore. Rispetto. Devozione. Fiducia.
Era tutto ciò che si sarebbe impegnato a ricambiare, perché Merlin meritava tutto questo e altro ancora. Era una delle persone migliori che avesse incontrato ed era fortunato ad averlo per sé.
“Ma non voglio in nessun modo che mio padre sminuisca quello che abbiamo, riducendolo ad un semplice capriccio. Non lo è.”
Merlin annuì con convinzione per rassicurarlo. “Lo so.” Gli baciò la fronte. “E ci penseremo, a tempo debito. Un passo alla volta, ok? Iniziamo con il pensare a cosa metterci stasera.”
Arthur gli sorrise, colmo di gratitudine. “Qualcosa di elegante. Pensi di poterci riuscire?”
“La tua mancanza di fiducia nel mio gusto nel vestire mi ferisce, Arthur.”
“Indossi sempre quelle sciarpe inguardabili che ti fanno sembrare una lavandaia, Merlin, come puoi darmi torto?”
“Un terzo delle sciarpe che possiedo me le hai regalate tu, idiota.”
“E sono le uniche accettabili, infatti, perché io ho buon gusto e tu no. Quelle scelte da te sono orribili.”
“Vorrei ricordarti che ti sei comprato un completo a tre pezzi rosso, Arthur. Rosso. Esiste qualcosa di più pacchiano?”
“Sì, la tua sciarpa di tartan scozzese rossa e verde.”
“È natalizia.” Si difese con un certo orgoglio.
“È orrenda.”    
“Mi tiene al caldo.” Ribatté, fulminandolo. “Tu che scusa hai per quel completo?”
“Mi sta benissimo. E attira l’attenzione sulla mia bellezza.”
Merlin si allontanò teatralmente da lui, come se improvvisamente qualcosa lo spingesse lontano. Il plaid rimase abbandonato sullo sgabello ormai vuoto. “Oh, cosa abbiamo qui? Ah, sì, ci sono! È il tuo gigantesco ego!” Merlin si allontanava sempre di più, le mani sporte in avanti come se stesse cercando di combattere contro qualcosa che inevitabilmente era più forte di lui. “Oh no! Mi sta schiacciando, aiuto!”
Arthur alzò gli occhi al cielo. “La tua stupidità mi fa venire voglia di andarci da solo alla mostra, stasera.”
“Puoi farlo. Consapevole, però, che come andrai solo alla mostra, dormirai anche da solo.”
“Mi stai ricattando?”
“A volte sei così perspicace. E vorrei sottolineare a volte, perché per il resto del tempo sei un idiota.”
Gli occhi di Arthur catturarono la sua figura. Si alzò dal suo sgabello, avvicinandosi sempre di più a Merlin, che a sua volta indietreggiava fino a quando la sua schiena non finì contro al muro. Arthur sorrise vittorioso e si piazzò davanti a lui, schiacciandolo con il proprio corpo tra sé e la parete. Inserì un ginocchio tra le gambe di Merlin per spronarlo ad aprirle e si sistemò meglio tra di esse. Percorse con gli occhi ogni centimetro del suo viso, fino a quando non si incollarono sulle sue labbra. Ma non lo baciò. Leccò le proprie, prima di riportare gli occhi in quelli di Merlin – che aveva momentaneamente dimenticato come si respira correttamente.
“La tua lingua lunga ti porterà guai, Merlin. Te l’ho sempre detto.” Arthur gli mise una mano tra i capelli, le dita cominciarono a giocare con le sue ciocche corvine, mentre il suo viso era ad una distanza ridicola da quello di Merlin.  
“Questi non li chiamerei esattamente guai.” Sussurrò, in attesa che Arthur facesse letteralmente qualsiasi cosa. L’impazienza lo stava uccidendo. Avrebbe chiamato questa situazione in un sacco di modi: Arthur che cerca di torturarlo semplicemente standogli vicino in quel modo decisamente equivoco e provocante; Merlin super-cotto che gli lascerebbe fare qualsiasi cosa; Come arrivare in ritardo al lavoro a causa del tuo ragazzo/capo super sexy che decide improvvisamente di schiacciarti al muro con tutto il suo splendido corpo; Come una cucina può diventare il luogo più caldo del mondo, tanto da far sembrare l’Inferno una ghiacciaia…. Insomma, avrebbe dato un’infinità di nomi a quella situazione, ma di certo non l’avrebbe definita un guaio.
“Hai intenzione di fare qualcosa?”
Arthur si morse il labbro inferiore e Merlin dovette trattenersi dall’emettere un gemito impaziente perché aveva ancora un briciolo della sua dignità. Non era necessario che Arthur sapesse esattamente che potere aveva quel gesto su di lui e sui suoi poveri ormoni, giusto?
“In realtà… no.”
Arthur si allontanò da lui, facendo due passi indietro. Merlin rimase a guardarlo, indeciso se essere deluso, scioccato o arrabbiato.
“Non fare quella faccia. Dovevi aspettartelo. La tua lingua lunga ha effettivamente portato un guaio.” Arthur abbassò gli occhi sul basso ventre di Merlin, dove svettava evidente la sua reazione a tutta la situazione precedente.
Merlin arrossì, pienamente consapevole di quello che era appena successo nei suoi pantaloni. “Sei un bastardo!”
“Ah-ah!” Lo rimbeccò, alzando un indice. “Linguaggio, Merlin. Non è carino esprimersi in questo modo.”
Merlin lo guardò malissimo, gli occhi ridotti a due fessure. “Ti odio.”
“Sappiamo entrambi che non è vero.” Arthur gli riservò un sorrisetto saccente. “Ora, io potrei decisamente fare qualcosa per risolvere il tuo problema, ma…”
“Qualsiasi frase cominci con un condizionale e finisca con ma implica un ricatto, Arthur.”
“Sei perspicace.”
“Mi rifiuto di assecondare la tua follia!” Esclamò con veemenza, incrociando risoluto le braccia al petto.
“Nemmeno se la mia suddetta follia implica fare la doccia insieme?”
Merlin alzò un sopracciglio, ponderando quell’offerta. “E dov’è la fregatura, sentiamo?”
“Mi devi promettere che non minaccerai mai più di farmi dormire da solo.”
“Posso verbalmente minacciarti in altro modo, quando mi farai arrabbiare?”
Se mai dovessi farti arrabbiare, sì puoi. Nei limiti del buon costume e della decenza umana.”
Quando, Arthur. Sono certo che lo farai.”
“Antipatico.”
Merlin gli fece una linguaccia. “Mi devi una doccia.”
“Ma certo.” Arthur gli sorrise e si avviò al piano superiore, sicuro che Merlin l’avrebbe seguito.





*






La faccenda di arrivare in ritardo stava rischiando di diventare frequente, secondo Arthur. Probabilmente era la vicinanza di Merlin. Il suo essere un ritardatario quasi cronico lo stava contagiando e portando inevitabilmente verso il lato oscuro.
Un’altra cosa che, evidentemente, rischiava di diventare un’abitudine era trovare Morgana nel suo ufficio, seduta alla sua scrivania.
“Buongiorno, fratellino. Sei in ritardo. Di nuovo.”
Arthur alzò gli occhi al cielo, mentre appendeva il cappotto all’attaccapanni. “E tu sei di nuovo seduta dove non dovresti.”
Morgana sorrise, ma come al solito, non si alzò. “Uther è incazzato.”
“Lo so. Abbiamo litigato.”
Morgana cambiò espressione. Il suo sguardo si fece preoccupato. “Gli hai detto di Merlin?”
“Non ancora. Non è il momento adatto. Abbiamo discusso sul caso Annabelle e sul fatto che gestiremo in modo diverso lo studio, quando lui andrà in pensione.”
Gestiremo?
“Io e te, Morgana, sì. E ha iniziato a inveire, dicendo che non posso rovinare tutto quello che lui ha costruito. Mi sta punendo per avere idee diverse dalle sue.”
“Hai idee migliori delle sue. E non lo dico solo perché le tue idee mi coinvolgono di più nell’attività di famiglia.” Specificò. “Hai un cuore grande, Art. E la cosa migliore che potesse capitarti era essere completamente diverso da Uther.”
Erano anni che Morgana non si riferiva ad Uther chiamandolo papà, o padre. Usava quel termine solamente in pubblico, con i clienti, o con i soci, persone davanti alle quali doveva mantenere le apparenze.
Ma in privato, si limitava semplicemente a chiamarlo per nome, come se fosse un estraneo. E Arthur sapeva che di questo cambiamento l’unico responsabile era proprio Uther, che per anni era stato il primo a fare distinzione tra lui e Morgana, chiamando lui figlio e lei figliastra, quando non doveva creare l’immagine della famiglia perfetta davanti a persone che lui riteneva importanti.
Arthur si era chiesto più di una volta se sua madre avrebbe mai permesso una distinzione simile. Se avesse lasciato crescere quei semi di discordia che erano inevitabilmente stati piantati nella sua famiglia, a causa del carattere di suo padre – un uomo che troppo spesso si lasciava guidare dall’orgoglio e che difficilmente si sentiva nel torto.
E si chiese anche se la morte di Igraine non avesse cambiato suo padre nel profondo. Il dolore tramuta le persone nella versione peggiore di loro stesse. Le annienta e le plasma, trasformandole quasi radicalmente.
Forse, se Igraine fosse ancora viva, Uther sarebbe un uomo migliore.
Forse sarebbero tutti persone migliori, se lei ci fosse ancora. Li avrebbe legati tutti, inevitabilmente, perché tutti e tre avevano una cosa in comune: amavano Igraine. In modi diversi, certo, ma pur sempre amore restava.
E Arthur aveva la sensazione che l’amore, così come può fare il dolore, cambia le persone. In meglio, a differenza del dolore, che invece tende a trasformarle in una versione distrutta di loro stessi.  
“Credi che riuscirai a perdonarlo?”
Morgana rimase sorpresa da quella domanda. Ponderò la risposta. Ci sarebbe riuscita? Sarebbe stata in grado di mettersi alle spalle anni di divergenze, di sofferenza? Uther non si era mai reso conto di quanto il suo comportamento la facesse soffrire. Lui poteva anche essere in grado di fare una distinzione tra lei e Arthur, ma dal suo punto di vista, lui era stato l’unico padre che aveva avuto. L’aveva sempre visto, fin da quando era una bambina. Lui e la mamma erano stato felici, l’avevano sempre trattata con amore, comprandole i giochi, portandola a fare le passeggiate, riempiendola di attenzioni.
E poi, tutto era finito.
Era finito con la morte di Igraine, con la nascita di Arthur. Non se n’era accorta fin da subito, perché i bambini non capiscono mai i comportamenti degli adulti fino in fondo. Se n’era accorta quando lei stessa era diventata adulta, quando aveva smesso di credere che il comportamento di Uther poteva essere una fase.
Non lo era.
Sembrava quasi che l’affetto che provava per lei fosse morto insieme ad Igraine e più di una volta Morgana si era chiesta se allora quel periodo che avevano vissuto tutti e tre insieme non fosse altro che una gigantesca farsa, una bugia.
“Non lo so.” Ed era sincera. Sapeva che dentro di lei albergava tanto rancore, oltre al dolore. E sapeva anche che pochi istanti non bastano per risanare anni di sofferenza.
Arthur la guardò negli occhi. Erano grigi, come quelli di Igraine. Lo sapeva perché aveva consumato le foto che aveva di sua madre, per dare un volto al suo nome, alla sua mancanza.
Erano espressivi, gli occhi di sua sorella, tanto che spesso parlavano ancora prima che lei aprisse effettivamente bocca.
Erano l’albergo delle sue emozioni. E Arthur adesso ci leggeva talmente tante cose dentro, che non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a capire fino in fondo quante emozioni stesse provando sua sorella in questo momento.
“Credi che riuscirai a perdonare me?” Per non averti ascoltata prima? Non ebbe il coraggio di aggiungere, ma sembrò che Morgana lo capisse ugualmente.
“Sei diverso da Uther. Sai tornare sui tuoi passi. In più, nemmeno io mi sono comportata bene con te, quindi direi che siamo pari.”
Arthur si sentì alleggerito, come se un peso gli fosse stato tolto dalle spalle. “Tregua?”
“Tregua.” Sorrise Morgana, alzandosi dalla sedia. “Ma non troppo. Rimani pur sempre un mocciosetto.”
“E tu una strega.”
La sorella gli lanciò un’occhiata divertita, prima di dirigersi verso la porta e di conseguenza verso di lui. “Fammi sapere se ci sono novità sul caso Annabelle.”
“Certo.”
Morgana annuì, soddisfatta. “Ci vediamo stasera da Elena? So che mi hai brutalmente usato come scusa per non andarci con Vivian.”
“Come fai a saperlo?”
“Me l’ha detto Vivian. Ha una cotta enorme per te, anche se non ne capisco il motivo, giuro.”
“Ah-ah, quanto sei simpatica.” Arthur le riservò una linguaccia. “Comunque sì, ci vediamo stasera.”
“Sarà Merlin il tuo vero più uno?”
Arthur annuì.
Morgana sorrise. “L’avevo immaginato. E per favore, non metterti il completo rosso. È pacchiano e imbarazzante!”
“Che avete tutti contro quel completo? Mi sta benissimo!”
Morgana gli diede una pacca compassionevole sulla spalla. “Ti fa sembrare un cono stradale.”
“Come scusa?” Ribatté risentito, Arthur.
“Hai capito benissimo.” Sorrise felina Morgana. “Ora devo andare. A più tardi!” Uscì dall’ufficio di Arthur senza nemmeno dargli la possibilità di ribattere per cercare di difendere la sua autostima demolita.
Sia lei che Merlin non capivano niente!
Quel completo gli stava benissimo!
Erano solamente due stolti.
Arthur si sistemò alla sua scrivania e si mise al lavoro. Avrebbe pensato in un secondo momento a come zittire entrambi.





*




 “Merlin!”
Il diretto interessato sussultò sul posto, alzando gli occhi dal pc a cui stava scrivendo per portarli su Gwen.
L’amica gli stava sorridendo.
Ed era un sorriso che Merlin conosceva bene: Gwen era curiosa. E stava per chiedergli qualcosa.
“Allora?”
Appunto.
“Allora cosa, Gwen?”
Gwen si guardò intorno, guardinga, e poi si sporse verso l’amico. “Andiamo, Merlin. Sai benissimo di cosa parlo. Ho dovuto quasi torchiare Lance per fargli dire qualcosa sull’altra sera, non tenermi sulle spine!”
“Mi stai confessando di aver torturato il tuo ragazzo nonché amico mio?”
Gwen alzò gli occhi al cielo. “Non l’ho torturato. Ho semplicemente insistito verbalmente per farmi dire qualcosa, ma si è semplicemente limitato a dirmi che Arthur è venuto a casa tua.”
Tra le tante cose che Merlin apprezzava di Lancelot, c’era la sua assoluta discrezione.
“Dovevamo chiarire.”
“Andiamo, Merlin! Non farti cavare le parole di bocca!”
Merlin trovava quasi divertente quella situazione, dove Gwen moriva dalla voglia di avere notizie. Il fatto era che la dolce Gwen aveva un debole per qualsiasi tipo di romanticheria. Due mesi prima, una sua cara amica d’infanzia si era fidanzata e quando era venuta a saperlo, Gwen era così felice da essersi commossa.
Gwen era innamorata dell’amore – e di Lancelot, ma questo pareva ovvio.
“Allora fammi la domanda diretta.”
“State insieme?” sussurrò, in modo che solo Merlin potesse sentirla.
“Sì.” Affermò il ragazzo, un sorriso si aprì involontariamente sul suo viso, addolcendogli i lineamenti. Lui e Arthur stavano insieme. Era una consapevolezza che spesso, si trovò a realizzare, doveva ancora metabolizzare in pieno. Ma ogni volta che lo ricordava a se stesso, aveva l’impressione che il suo cuore crescesse di una taglia – sarebbe esploso di gioia, a breve, ne era quasi certo.
Gwen gli riservò un ampio sorriso. “Era ora! Adesso suppongo la farai finita con la faccenda del faccio di tutto per lui solo perché è il mio capo e ammetterai che fai le cose per lui perché vuoi renderlo felice.”
“Così mi fai sembrare una specie di prostituta, Gwen, ne sei consapevole, sì? Sono ancora in grado di separare la mia vita privata dal mio lavoro.”
Gwen arrossì violentemente e nemmeno l’ebano della sua pelle riuscì a nascondere quel rossore. Si rese conto dell’immensa gaffe che aveva fatto e si affrettò a spiegare. “Oddio, no! Certo che sei in grado di… i-io non intendevo quello! Non penso tu sia una prostituta!” Le mani della ragazza non smettevano un attimo di muoversi, impegnate in un gesticolio infinito. Frasi uscivano sconnesse dalle sue labbra, con l’intento di spiegarsi meglio, mentre l’imbarazzo che provava per quella gaffe rendeva il tutto ancora più… imbarazzante.
“Gwen.” La chiamò Merlin, afferrandole le mani per fermarle. “Stavo scherzando. Ho capito cosa intendevi. E hai ragione, voglio farlo felice, ma di certo non perché è il mio capo.”
“Lo so. E scusa, mi è uscita male.”
“Tranquilla. È tutto ok.”
Gwen emise un sospiro rilassato, sentendosi più sollevata. “Devo tornare al lavoro, pranziamo insieme, dopo?”
“Se riesco a finire in tempo, sì.”
Gwen annuì e lo salutò con una mano, Merlin ricambiò e si rimise al lavoro.




*




Merlin stava iniziando a scrivere la relazione di uno dei casi che lo studio aveva preso. Un cliente importante, l’aveva definito Uther, prima di assegnare il lavoro ad Arthur e di conseguenza a Merlin.
I ricchi erano strani. Erano convinti di essere al di sopra della legge, quasi come se i loro soldi riuscissero a comprare una giustizia fatta su misura solamente per loro.
Merlin non avrebbe dovuto stupirsi. Funzionava così dall’alba dei tempi e per quanto fosse ingiusto, prima che le cose fossero davvero cambiate sarebbe passato un secolo.
La cosa che Merlin non aveva subito afferrato era perché quella relazione spettasse a lui, dal momento che questo caso non l’avrebbe nemmeno portato Arthur in tribunale, ma Uther. Poi aveva capito.
Uther stava punendo suo figlio per aver agito alle sue spalle e per non essere ancora tornato da lui strisciando e implorando perdono.
Più Arthur rimaneva delle sue idee e più Uther lo oberava di lavoro, perché se aveva relazioni da scrivere, non aveva tempo da dedicare al caso di Annabelle.
Uther era il Re degli Stronzi e Merlin lo sopportava sempre meno. Non esprimeva il suo astio nei confronti di quell’uomo solo perché era il padre di Arthur e non voleva ferirlo.
Ma Uther rimaneva davvero meschino. E Merlin, per una frazione di secondo, fu tentato di scrivere quella relazione usando la grammatica di un bambino di sette anni, ma poi desistette: un comportamento simile sarebbe stato controproducente sia per lui che per Arthur, dal momento che Uther l’avrebbe costretto a riscriverla e, di conseguenza, avrebbero perso altro tempo.
Guardò l’ora. Era quasi ora di pranzo. Ma ovviamente avrebbe dovuto saltarlo, altrimenti questa relazione gli avrebbe portato via altro tempo prezioso che lui avrebbe potuto anzi dedicare ai casi ufficiali di Arthur e, di conseguenza, avere più tempo a casa per continuare a lavorare al caso Annabelle.
Sospirò, mentre digitava un messaggio per Gwen. La informava che avrebbe saltato il pranzo, scusandosi. Si ripromise di organizzare una serata fuori tutti insieme. Magari in questo modo Arthur avrebbe potuto conoscere meglio Lance. Conoscere Percy, rivedere Elyan.
Magari avrebbero potuto chiedere anche a Gwaine – lui non si tirava mai indietro ad una serata fuori, soprattutto se comprendeva la birra. E se non la comprendeva, lui avrebbe fatto di tutto perché la sua amata venisse coinvolta.
In questo modo, i loro amici avrebbero potuto legare, conoscersi, e Arthur si sarebbe sentito più a suo agio.
Doveva chiederglielo. E magari chiedergli se voleva coinvolgere qualcun altro, tipo Morgana, o Leon.
Una bella combriccola di gente totalmente diversa tra loro, ma che in qualche modo avrebbe potuto funzionare.
Forse Merlin era un sognatore. O forse desiderava che con Arthur funzionasse davvero e che riuscissero entrambi ad amalgamarsi al meglio con le persone che li circondavano, sia come individui che come coppia.
Come coppia.
Merlin sorrise a quel pensiero e poi si concentrò di nuovo sul suo lavoro. Prima finiva, prima poteva dedicarsi a questioni importanti come Annabelle.





*



La fine di quella giornata era sembrata inarrivabile. Il tempo era passato ad una lentezza disumana, quasi come se ci fosse stata una qualche divinità dispettosa che lo rallentasse di proposito, o come se qualche sortilegio fosse stato lanciato da uno stregone particolarmente restio allo scorrere del tempo.
Merlin sapeva che non era possibile. Ma gli piaceva dare spiegazioni insolite a situazioni ordinarie. Spense il pc, dopo aver finito di mandare via email tutti i documenti che doveva mandare per conto di Arthur e dopo aver mandato la sua relazione ad Uther. Scrivere email al Grande Capo lo metteva sempre in difficoltà perché ogni volta doveva imporsi di essere formale e rispettoso nei confronti di qualcuno che avrebbe solo voluto appellare come stronzo.
Ad ogni modo, la cosa importante era che aveva finito.
Merlin si alzò dalla sua scrivania e si diresse verso l’ufficio di Arthur. Aprì la porta senza bussare e lo trovò immerso nella lettura di un plico di fogli. Alzò lo sguardo da essi non appena percepì il rumore della porta che si apriva e sorrise, incrociando lo sguardo di Merlin.
“Dobbiamo andare, o faremo tardi da Elena.”
“Ho quasi finito.”
Merlin si avvicinò e si sedette nella sedia di fronte alla scrivania. “Ti aiuto?”
“Dipende: ti lamenterai del fatto che dopo il tuo lavoro devi finire anche il mio?”
“E dove sarebbe la novità, scusa? È una cosa che faccio sempre!”
“Lamentarti? Sicuro.”
“Finire il lavoro al posto tuo.” Precisò, pungente.
Arthur ridusse gli occhi a due fessure, ma passò comunque i fogli che stava leggendo a Merlin.
“Sono altri casi di mio padre. Vanno catalogati in base al reato.”
“Stai scherzando?”
Arthur emise un sospiro stanco, la pelle del viso tirata. “No. In ordine decrescente di gravità, ha detto.”
“È assurdo! Non può punirti in questo modo!”
“Eppure lo fa. Spera che in questo modo mi arrenda e torni strisciando da lui. Col cazzo che lo farò. Vuole la guerra? Avrà la guerra.”
Per quanto Merlin condividesse il sentimento, sapeva che un comportamento simile avrebbe danneggiato Arthur. L’avrebbe portato a consumarsi. La rabbia e il rancore, dopotutto, portano solo a quello.
Uther non era certo la sua persona preferita e se avesse potuto in qualche modo punirlo o farlo innervosire, l’avrebbe fatto solo per il gusto di vedergli comparire in mezzo alla fronte la vena pulsante che compariva ogni volta che qualcosa non andava secondo i suoi piani.
Al contrario, Arthur era la sua persona preferita in assoluto e non voleva che lui si trovasse a vivere in una situazione che avrebbe solo finito per consumarlo, come una candela, fino a quando il fuoco della sua rabbia non l’avrebbe ridotto ad un ammasso di cera inutilizzabile.
“Arthur, ascolta.” Merlin allungò le mani per afferrare quelle di Arthur, che istintivamente abbandonarono i fogli che reggevano e si intrecciarono a quelle dell’altro. “Capisco il sentimento. Tuo padre può essere… particolare, diciamo così, ma… tutto questo arriverà a consumarti e io non voglio. Una situazione del genere, gestita con la stessa rabbia di tuo padre, finirà per far dominare dall’astio. E non voglio questo per te. Voglio che tu rimanga tu. Senza tutta questa voglia di dichiarare guerra.”
Arthur emise un sospiro affranto. “E cosa dovrei fare, quindi? Starmene in silenzio e assecondare ogni sua punizione come se niente fosse?”
“No, certo che no. Tutto questo è una follia, ma non è detto che tu debba assecondarla. Smetti di eseguire ciò che ti chiede, prendi il comando e gestisci questa situazione come vorresti fare tu. Il tuo modo comprende una dichiarazione di guerra?”
Arthur ci pensò su. Voleva evitare altri scontri in famiglia, altri attriti. E se doveva essere lui a fare il primo passo per raggiungere una sorta di pace, era ben disposto a farlo.
“No. Io vorrei semplicemente che mi ascoltasse, per una dannata volta nella mia vita.”
“Allora parlagli. Anche a costo di dovervi rinchiudere voi due in una stanza. Insisti finché non ti ascolterà.”
Arthur strinse la presa delle loro mani e poi alzò quelle di Merlin all’altezza delle sue labbra. Ne baciò le nocche una ad una.
“Cosa farei senza di te?”
“Spero tu decida di non scoprirlo mai.”





---------------------------------------
Ciao a tutti e ben ritrovati! Mi scuso per l’immenso ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma è stato un periodo un po’ particolare per me, quindi non sono riuscita a scrivere granché o rileggere le cose che avevo già scritto, come questo capitolo.
Sto bene, comunque, non era niente di grave 😊
Venendo al capitolo, era scritto da un po’, quindi ho dovuto rileggerlo e correggere qualcosa, spero di non essermi dimenticata di niente e che vi possa piacere! È un capitolo immensamente fluff, spero di non essere sfociata nell’OOC, ma mi sono fatta un po’ prendere la mano xD
Arthur e Morgana hanno un’altra conversazione perché mi piace l’idea che si avvicinino piano piano e che imparino ad appoggiarsi, a fidarsi. Non so quanto riuscirò ad approfondire questa loro dinamica perché probabilmente servirebbero più capitoli di quanti ne avevo preventivati appena ho iniziato a scrivere questa storia, ma spero che comunque la faccenda risulti fattibile/credibile!
Per quanto riguarda Uther e Arthur, invece, la loro lite aleggia ancora nell’aria e nel prossimo capitolo succederà qualcosa che li porterà a doversi “affrontare” inevitabilmente.
A proposito del prossimo capitolo, prima del mio stallo avevo già scritto qualcosa, quindi dovrei solamente finirlo. Spero di riuscire a pubblicarlo presto!
Mi scuso ancora per l’attesa!
Ringrazio chiunque legga, abbia messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e chi abbia trovato il tempo per recensirla! Lo apprezzo davvero, davvero tanto!
Vi mando un abbraccio, a presto! <3 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: Roscoe24