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Autore: Dira_    13/03/2021    4 recensioni
[Seguito de "Nella Selva Oscura"]
Castiglioscuro non è più un problema per le Silvani. Lo è il bosco, e ciò che contiene.
Un mostro si è risvegliato tra gli alberi e una barista di paese si è resa conto che non più essere soltanto quello.
Rosi deve tornare nell'Altrove, un mondo popolato da spettri, criptidi e mostri; deve trovare il coraggio di affrontarli e forse affrontare sé stessa.
Nell'Altrove è facile smarrirsi: puoi dimenticare di essere un mostro per scoprire il primo amore, puoi cominciare a dubitare che obbedire agli ordini sia sempre giusto. Puoi scoprire che no, non lo è.
Perché nell'Altrove vi è una sola certezza: una volta che lasci il sentiero, è allora che la storia comincia davvero.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5.
 
 
“È la pelle di un serpente,” aveva detto Bice prendendola tra la punta dell’indice e del pollice. Era uno scheletro fragilissimo, una porzione di pelle del rettile grande quanto il palmo della sua mano.
“Di queste dimensioni?” aveva domandato stupefatto. “Lo pensavo anch’io, ma…”
“Fortunato,” l’aveva interrotto, “abbiamo appena trovato il mostro.”
 
Ne siete sicura?” aveva domandato il ragazzo chinandosi per studiare quella porzione di scaglie dai riflessi d’argento. “… non pare cosa di questo mondo,” aveva ammesso con un brivido palpabile.
Perché appartiene all' Orbis Alias, al mondo oltre al nostro,” aveva risposto Bice riponendo il frammento di pelle dentro la scarsella, premurandosi di coprirlo con una pezza di stoffa perché non si rovinasse.
A cosa appartiene?”
Bice aveva scosso la testa, “pur come voi, una cosa simile non l’ho vista mai. Dovrò scoprirlo.”
Vi aiuterò allora” aveva detto Fortunato. Notando la sua esitazione aveva incalzato, “ve l’ho già detto, non comprendo molto, ma voglio…”
Devo dormire,” Aveva sorriso della sua confusione. “Intendo dire che mi devo addormentare per poterlo capire … attraverso i sogni, io ricordo. Anche cose che ho dimenticato con gli anni. Le rivivo, in un certo senso.”
Capita a tutti,” aveva convenuto l’altro, “pensate di averlo già incontrato?”
Non io, ma potrebbe averlo fatto chi è venuto prima di me. Questo bosco è antico,” aveva abbracciato con lo sguardo i fusti degli alberi, il sottobosco nodoso e verde, i tanti rumori e odori. “E se sai ascoltarlo, ti parla.”
 
***
 

Quando guardi a lungo nell'abisso l'abisso ti guarda dentro.
(Friedrich Nietzsche)


“Scendere là sotto?” mormorò Maddalena. Si erano tutti congelati nell’attendere la sua risposta. Rosi, che aveva aggrottato le sopracciglia come se si aspettasse di venir schiaffeggiata e il Nero e il carabiniere, che guardavano la rossa come se si fosse bevuta il cervello.
“Assolutamente no,” sbottò quest’ultimo con tono duro, “stai pazziando Rosì? Ci abbiamo quasi rimesso la pelle e ce la vuoi rimandare?!”
“L’ha detto lei stessa, non è stata male,” ribatté, “si tratta solo di scattare delle foto e tornare su.”
“Se il serpe regolo è là sotto potrebbe attaccarla,” disse il Nero. L’inflessione non conteneva particolari emozioni, ma si staccò dal tavolo per frapporsi tra lei e Rosi. Maddalena lo trovò un metodo piuttosto stupido per far capire la sua posizione nella faccenda … ma anche stranamente confortante.
Rosi sospirò. “Me ne rendo conto … ma non ha attaccato noi. Quindi sono due le cose. O sta dormendo, come vi ho ripetuto più volte, ed una persona non può riuscire a svegliarlo dove tre quasi agonizzanti non l’hanno fatto, o non è lì.”
Maddalena percepiva il cuore battere talmente forte che si stupì che nessun altro se ne fosse accorto. Deglutì. “Dimentichi un’altra cosa,” le disse, “la voce da sotto.”
“Giù non c’è niente,” rispose Rosi, “qualsiasi cosa ti stia chiamando, non potrà far altro che farti sbattere contro un muro di roccia.” Fece una pausa, poi sorpassò il Nero e le si mise davanti. Non assomigliava per niente a Caterina, sia nei modi di fare, che nella voce … per non parlare del carattere. Però aveva gli stessi occhi: azzurri, puliti e senza ombre. Quegli occhi, realizzò, erano in grado di renderla debole. “Non sei obbligata a farlo se non vuoi,” esordì a bassa voce, dando poi un colpo di tosse. “Con quello che abbiamo passato lì sotto hai ragione a non voler scendere … ma di noi quattro sei l’unica che può farlo. Ci servono delle prove della presenza del regolo. Se le abbiamo, potremo portarle ai Sorveglianti e farlo eliminare.”
“Non basta l’effetto che vi ha fatto scendere là sotto?”
Rosi serrò le labbra e si scambiò un’occhiata indecifrabile con il Nero. “Non basta la nostra parola. Le cose con la Confraternita si sono un po’ … complicate.”
“Tua madre è una Sorvegliante, lo sono anche con lei?”
Ormai le labbra di Rosi erano ridotte ad una linea sottilissima. “Soprattutto con lei,” rispose.
Avrebbero potuto chiedere a Stefano, pensò, Ste le avrebbe creduto.
Come ha creduto quando gli hai raccontato della tenda?
Inoltre l’amico non era lì. Era in paese, a star dietro alle stupide idee di Micheluzzo, che avrebbe potuto scegliersi anche un posto meno inquietante dove far le vacanze.
Però non ci sarebbe stata Caterina.
Inspirò. “Siete sicuri che non sia là sotto?”
“No,” ammise Rosi, “ma se non c’è, le prove della sua presenza non rimarranno a lungo. Abbiamo trovato delle tracce di muta nelle caverne … si deteriora rapidamente e quell’odore potrebbe essere parte del processo.”
Maddalena serrò le dita attorno al cellulare, dove non aveva ancora tolto la funzione torcia. La spense con un tocco delle dita. “Mi date qualcosa per far luce? O le foto con non verranno.”
“Non se ne parla pro…” iniziò il carabiniere.
“Se quella cosa può far male a qualcuno voglio che sparisca,” lo interruppe. Parlare, non pensare. Perché se avesse riflettuto su quello che stava per fare, avrebbe voluto solo darsela a gambe. “Mio fratello e Ste sono sempre in mezzo al bosco … che succede se il mostro li trova?”
E poi c’era Caterina.
Noi ce ne andremo, ma lei rimarrà.
Dando una mano a quei tre sorveglianti improvvisati poteva risparmiare a Caterina un pericolo mortale. Quindi con che coraggio poteva tirarsi indietro? “Non ho capito una minchia di quel che sta succedendo con la confraternita e con i vânători,” disse, “ma non stanno facendo niente, voi sì. Voglio aiutare voi allora,” concluse e ignorò l’espressione meravigliata di Rosi.
Sempre sorpresi quando la malvagia succuba si comporta da persona decente …
Si voltò verso l’imbocco delle cantine. La luce del giorno non ci arrivava manco per sbaglio, facendole apparire come una bocca spalancata nel vuoto profondo.
La voce quel giorno taceva ed era dunque meglio approfittarne. “Rimarremo qui,” le disse Tobia affiancandolesi. “E se c’è qualche problema…”
Rimanete qui, non voglio dovervi trascinare di nuovo su per le scale,” ribatté con una smorfia. “… però grazie,” concluse.
Tobia le fece una carezza sulla testa per la quale avrebbe voluto protestare oltraggiata ma la verità è che la fece sentire un po’ meno terrorizzata e sola.
“Scatta le foto e poi torna subito su,” disse Rosi.
Ma va’? Pensavo di andarmi a fare una passeggiata invece.
Maddalena si frenò dal risponderle a tono e poi, cellulare in una mano e la torcia nell’altra, scese.
 
***
 
Alina non si aspettava di imbattersi in Stefano uscendo dalla canonica e per questo per poco non gli finì addosso. Fecero entrambi un passo indietro. “Alina!” la salutò il ragazzo con tono sorpreso.
“Ti ho spaventato,” attestò senza sapere bene cosa dire. Probabilmente era la cosa sbagliata da come le venne rivolta un’occhiata perplessa.
Stefano le fece comunque la gentilezza di soprassedere. “Don Doriano è dentro?”
Quando annuì l’altro la ringraziò con un cenno della testa, premendo poi il campanello. Avrebbe dovuto interrogare anche lui? No, decise: Greco era un sorvegliante, ma apparteneva ad un’altra Confraternita. Inoltre, era lì da poche settimane, non avrebbe di certo potuto essere invischiato nell'occultamento del lupomanaio.
Dato che Don Doriano tardava ad aprire il ragazzo le rivolse un sorriso di circostanza; forse si stava chiedendo perché non se ne fosse ancora andata, ma la verità è che concluso il colloquio con il prete, non aveva molto da fare se non tornare a casa e riferire a suo padre.
Non voleva tornare a casa.
“In questi giorni ti abbiamo vista poco, tutto bene?” le domandò riscuotendola dai suoi pensieri.
“Mio padre aveva bisogno di me.”
“Spero niente di grave…”
Doveva ammetterlo: Greco era … gradevole. I ragazzi della sua età di solito avevano nei suoi confronti un atteggiamento ambivalente, o gonfiavano il petto cercando di approcciarla maldestramente, oppure le giravano a largo intimoriti. Pietro era un’eccezione, ma lo era in modo ispido. Non emanava l’aria di serena gentilezza di Stefano.
“Soltanto i soliti acciacchi,” rispose. “Mi hanno detto che adesso alloggiate dalle Silvani,” cosa che non le era piaciuta per niente. Poteva però farci poco perché il bosco era un pantano e i siciliani da qualche parte dovevano pur dormire.
E in paese non ci sono alberghi …
“Sì, al castello è inagibile … ti dirò, non mi dispiace dormire in un letto vero dopo due settimane!” Si passò una mano dietro il collo, stiracchiandosi. “E non preoccuparti per Maddalena. È sotto controllo,” aggiunse quasi le avesse letto nel pensiero.
Prima che potesse rispondergli la porta della canonica si aprì, rivelando Don Doriano. L’uomo scoccò un’occhiata confusa ad entrambi, prima di aprirsi nel classico sorriso da pastore di anime. “Oh, Stefano!” lo salutò con una pacca sulla spalla che gli fece fare una smorfia. Non era un mistero che il sacerdote non fosse bravo a dosare la propria forza. “Sei venuto a prendere il pulmino?”
“Sì padre,” convenne compito come solo chi aveva passato una vita in mezzo alle tonache riusciva a fare.
L’uomo scambiò qualche convenevole con il siciliano prima di porgergli le chiavi. “E ora accompagna questa bella signorina, su!”
Stefano tradì sorpresa. “Non avete bisogno di me?”
L’uomo scosse la testa. “Domani magari, oggi mi si sono accumulate un po’ di faccende … torna domani.”
Stefano annuì. Sembrava deluso, ma quando si voltò verso di lei il sorriso era tornato quello di prima. “Sembra che debba darti un passaggio allora. Andiamo?”
Alina avrebbe preferito camminare, la aiutava a pensare, ma rifiutare sarebbe stato scortese, specialmente considerando che l’offerta era partita da Don Doriano. Salutato il prete, seguì il siciliano fino alla fine della piazza dove era parcheggiato il pulmino.
“Lo prendo per portare Maddalena fuori dal paese,” le spiegò avviando il motore, “Avrei preferito avere una macchina, sarebbe stata meno appariscente, soprattutto dato che usciamo di notte… ma Don Doriano dice che i malacenesi alle stranezze non badano. O danno una spiegazione tutta loro,” concluse accendendo la radio, forse per riempire il silenzio di cui lo stava omaggiando.
 
Oh, Father tell me,
do we get what we deserve?
 
“Pensi che esageri?” la domanda le uscì quasi senza riflettere. Il sedile del pulmino era caldo di sole e le scottò le gambe nude. Forse avrebbero dovuto chiedergli di accendere l’aria condizionata, ma non lo disse, era solo una passeggera e c’erano cose più importanti che le premeva discutere. “Intendo … con Maddalena.”
Stefano rimase in silenzio per qualche attimo. Si aggiustò la montatura che gli scivolava fin troppo spesso sul naso, ma era un movimento così rapido che probabilmente l’altro non doveva neanche accorgersi di farlo. “No, non lo penso,” disse infine. “Caterina è tua amica, è normale che tu sia preoccupata . E di sicuro un po’ le piace … ma sarebbe strano il contrario, non credi? Maddalena è molto attraente.”
“Immagino di sì,” ammise, “non noto queste cose.”
“Non noti che è attraente?”
Alina arrossì presa in contropiede. Quei discorsi non le erano mai piaciuti, e con l’adolescenza erano solo aumentati in volume, coinvolgendola spesso e volentieri come soggetto riluttante. L’attrazione, il sesso, le relazioni … per lei erano un mucchio di sciocchezze senza senso. Poteva fingere di capirle, poteva persino far finta di interessarsi quando Cate le raccontava dei suoi patemi d’amore, ma dentro di sé aveva paura che prima o poi qualcuno avrebbe scoperto quanto in realtà fosse completamente manchevole su quel fronte.
“Lo noto,” mentì giocherellando con la tracolla della borsa, “È solo che non è attraente per me.”
“Sì, capisco che intendi … conosci la sua natura e vedi oltre l’inganno.”
Alina aggrottò la fronte. Non aveva voluto dir quello, ma era una buona via di fuga dalla realtà dei fatti. “Sì … esatto,” esitò, “per te è lo stesso?”
Stefano si strinse nelle spalle. “Conosco Maddalena da quando ha tredici anni … sono stato io a scoprire che era una succuba, sai? Forse averla conosciuta prima me l’ha fatta mettere sotto un’altra luce…”
“Per questo ti fidi così tanto di lei?”
“Mi fido della mia capacità di giudizio,” ribatté. “Inoltre, la volontà di ribellione di Maddalena è stata annientata dal suo precedente Sorvegliante. Carmine…” fece una smorfia, “io non sono di quella scuola. Se temo che i miei sorvegliati violino le regole preferisco parlarci, non mettergli le mani addosso.”
“Quindi Maddalena le ha violate?”
“Non che io sappia.”
“Allora…”
“Carmine era pessimo. Per questo Maddalena ora è sotto le mie cure.”
Alina si mosse a disagio sul sedile. E lei? Era stata una pessima vânător?
La rabbia che l’aveva colta alla radura l’aveva fatta esplodere contro Maddalena. L’aveva aggredita e anche se non ci sarebbero state ripercussioni – se la succuba fosse andata a lamentarsi, chi si sarebbe mosso contro una vânător? – a mente fredda si rendeva conto di aver esagerato; Maddalena non era coinvolta nella storia del lupomanaio e i continui, smorzanti fallimenti che incontrava sulla sua strada non erano colpa sua.
Non ha neanche tentato di difendersi …
“Maddalena non ha scelto di nascere succuba,” continuò Stefano, “come noi, che non abbiamo scelto di nascere in famiglie che hanno il compito di sorvegliare l’Altrove. Nessuno di noi ha colpa di ciò che è.”
Alina serrò le dita attorno alla tracolla. Era di cuoio finto, e con quel caldo era appiccicosa sotto i polpastrelli. Plastica che si fingeva pelle. “La mia non è una colpa, è un privilegio,” ribatté ma le parole avevano un sapore amaro sul palato, come se non fossero davvero quelle che voleva pronunciare.
Stefano guidava con incertezza per le stradine strette, e quindi teneva l’attenzione rivolta alla strada. Non aveva però smesso di ascoltarla perché, dopo una curva particolarmente a gomito, le rispose: “Un privilegio che però ha un costo. Vivendo in bilico tra i due mondi a volte mi chiedo a quale appartengo. A te non capita mai?”
Alina esitò. Quel discorso stava deviando su terreni che non era sicura fosse opportuno esplorare con un ragazzo conosciuto da poco. Tata le avrebbe detto di tener chiuso il becco e farlo chiudere anche all’altro.
“A volte…” ammise. “... il mondo normale per me non ha alcun senso.”
Stefano distolse lo sguardo dalla strada per incrociare il suo. “Ed ecco il prezzo da pagare,” le sorrise. “È così per tutti. Siamo un po’ incasinati … ma facciamo del nostro meglio, no?”
Alina gli sorrise di rimando. “Facciamo del nostro meglio.”
 
***
 
Maddalena aveva sceso le scale.
Aveva fatto quello che si era ripromessa di evitare da quando per la prima volta Michele le aveva proposto di seguirlo in Toscana.
Era un idiota.
Realizzarlo non era granché utile, quando l’abbraccio umido e maleodorante delle cantine la avvolse. Il fascio le faceva ancora compagnia, forse per poco, ma dandole comunque il coraggio necessario per continuare a camminare.
Non c’era nessuna voce stavolta. Il che avrebbe dovuto tranquillizzarla, ma aveva invece il potere di suscitarle un’angoscia maggiore, perché cosa voleva dire? Cosa rimaneva in silenzio al di là delle ombre?
Arrivò alla base della scala e la torcia sfarfallò, ma con un colpo secco della mano per fortuna tornò a brillare.
Fai foto e vattene.
Il piano era semplice, il compito rapido e la luce alle sue spalle le segnalava che c’era una via di fuga. Solo pochi metri sopra c’erano tre persone, non era da sola.
Allora perché le sembrava di essere appena entrata in un mondo lontanissimo? Continuò a camminare, attenta a tenere la torcia puntata sui propri piedi.
Se c’è davvero qualcosa e lo sveglio?
Rosi era sicura di no, ma poteva davvero affidarsi ad una barista che fino a qualche ora prima le era sembrata completamente avulsa da quella realtà?
Era una stupida.
Il corridoio continuava, roccia attorno a sé e fango sotto i suoi anfibi. L’odore di uova marce si intensificava a tratti, stemperato però da refoli d’aria la cui provenienza non riusciva a stabilire … forse di fronte a sé? Pochi attimi dopo però di fronte trovò una parete di roccia, a cui lati si biforcavano due strade. Illuminando quella di destra notò che il fango era stato calpestato da orme confuse, ma chiaramente di scarpa.
Se i tre venivano da là, di certo non era quella la strada che doveva prendere. Deviò quindi a sinistra. L’odore non era più forte, non ai suoi sensi ormai eccitati da quell’ambiente alieno, ma poteva comunque essere quella la strada presa dal regolo.
O dove si trova la sua tana.
Prima che potesse per l’ennesima volta darsi della stupida, la torcia senza preavviso, senza intermittenze, si spense. Se l’era aspettato, tuttavia il panico le strinse la gola in una morsa. Il buio, quasi fosse rimasto acquattato negli angoli, le si avvolse addosso come un’asciugamano fradicio. Chiuse gli occhi, regolarizzando il respiro.
Non ho paura. Non mi fai paura.
In quel buio le sue antenate erano nate. In quell’oscurità avevano prosperato, infiltrandosi nei sogni e nei desideri degli uomini del Chiaro. Poteva non essere che una versione edulcorata di quei demoni, ma era abbastanza da non farsi sopraffare. Riaprì gli occhi; non poteva distinguere che sagome grigiastre ma i contorni della grotta presero forma, dandole percezione dei confini entro cui si poteva muovere senza inciampare. Fece qualche metro e non era una sua impressione era come se l’oscurità si fosse fatta più densa, vischiosa. Poi quella sensazione passò, e fu rapido come accendere un interruttore. Tale, perché la torcia riprese a funzionare, quasi accecandola. Con un’imprecazione soffocata distolse lo sguardo e la puntò in basso. Ci volle qualche attimo perché i suoi occhi smettessero di bruciare. Quando riuscì ad aprirli si trovò di fronte all’ennesimo corridoio naturale.
ma quanto minchia sono profonde queste grotte?
A terra c’erano delle forme e non era roccia. Si bloccò, il cuore in gola mentre realizzava che si trattava di qualcosa composto da pelliccia, ossa e dall’intenso odore marcescente. Soffocò un conato quando si accorse che era la carcassa di un animale. Un cinghiale, forse. E non era la sola; c’erano segni di un banchetto a base di vari animali del bosco. Maddalena tirò fuori il cellulare e scattò delle foto, che sperò non fossero troppo sfuocate dato che le tremava la mano, ma non si fermò a controllare.
È una tana. Questa è chiaramente una tana.
Priva però del suo abitante. Il corridoio infatti proseguiva nel buio, ma le spoglie animali si interrompevano ben prima. Su tutto aleggiava una strana polverina biancastra, che a Maddalena sembrò un deposito di qualcosa. Scattò foto anche a quello.
La tana era vuota, Roísín aveva ragione. O il mostro era andato a caccia, o se n’era andato per non tornare. Maddalena non aveva idea di quale delle due ipotesi fosse veritiera, ma non aveva intenzione di rimanere lì per scoprirlo.
Fece retro-front, preparandosi di nuovo all’oscurità, quella diversa, quella che non le lasciava scelta se non affidarsi ai suoi sensi di succuba.
 
Tornando indietro, la torcia la abbandonò com'era successo prima. Cominciò quindi a camminare nell’oscurità che i suoi sensi da succuba le restituivano come grigia e frastagliata da migliaia di puntini bianchi.
Michi la chiamerebbe scurovisione …
Procedette per quello che le parvero minuti interi, ma non era possibile, non ci aveva messo che una manciata di attimi ad imboccare la biforcazione di sinistra, avrebbe già dovuto trovare il bivio. Invece quel corridoio sembrava estendersi all’infinito, e poi curvare, all’improvviso, e non c’era mai stata una curva …
Come non le era mai sembrato di cominciare a scendere, mentre il soffitto si faceva sempre più basso.
Maddalena percepiva il sudore scivolarle lungo la schiena. Si era persa, ma com’era possibile se la strada che aveva percorso era solo una?
Aveva mancato il bivio?
Faceva freddo, tanto che percepiva l’aria che aveva in bocca più calda di quella che respirava … Doveva continuare a muoversi, perché prima o poi avrebbe trovato lo snodo. Prima o poi. Poi.
Lo squillo del cellulare irruppe nel buio.
Letteralmente, perché teneva il telefono in mano e lo schermo si illuminò mentre risuonava la suoneria. Maddalena strizzò gli occhi abbacinati per identificare il nome sul display; era Caterina …Cate la stava chiamando! Contemplò stupefatta il nome della toscana brillare sul display mentre il buio strisciava negli angoli, cacciato da artificiale luce azzurrina.
Com’era arrivata la chiamata cessò, forse perché Cate si era stufata di ascoltare squilli a vuoto o forse perché il segnale era venuto meno. Non c’era linea … ma c’era mai stata? Maddalena non ne aveva idea, ma non che avesse importanza quando c’era qualcosa di molto più sconcertante da considerare … si trovava di nuovo di fronte al bivio.
Come minchia ci sono arrivata?
Tornando sui suoi passi naturalmente, eppure fino ad un attimo prima era come se si fosse trovata in tutt’altro posto, lontana chilometri da dove si supponeva dovesse essere. Maddalena lanciò di nuovo un’occhiata al cellulare; la batteria era quasi del tutto scarica. Diede una botta alla torcia, che si riaccese … e corse verso le scale senza voltarsi indietro.
 
***
 
Caterina stava cominciando a preoccuparsi.
Se la sparizione di Rosi all’inizio era stata più che altro un evento bizzarro, con il passare delle ore quella defezione aveva assunto contorni inquietanti. Un’intera giornata lontana dal suo amatissimo Bar per Rosi era un evento raro quanto un'eclisse di sole. La pazza era capace di lavorare anche con quaranta di febbre, e una volta l’aveva pure fatto con il rischio concreto di cenciare per terra, se sua madre non fosse intervenuta
Marina era forse persino più in pensiero di lei; era rimasta al bancone come promesso, ma lanciava occhiate fuori a intervalli regolari.
Cate radunò cartacce e bicchieri vuoti da uno dei tavolini, precedentemente occupato dai muratori di Ghigo, in grado di fare un porcile anche con un sacchetto di patatine e due spritz a testa.
“T’ha mica chiamato?” domandò a Michele che stava giocando ad Uno con uno scornatissimo e ancora pieno di carte Pietro.
Questo scosse la testa. “E tu, sei riuscita a sentirla?”
Nope.”
Caterina non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa di storto in quella giornata; da come sua sorella era sparita con Bia e il carramba, da come Maddalena si era comportata nel retro del negozio ...
Ha flippato totale.
Quando Pietro le aveva sorprese era diventata dello stesso colore della parete dietro di lei: bianca, coprendosi per giunta di sudore. Era però l'espressione ad averla preoccupata … o meglio, la sua mancanza. Maddalena si era svuotata completamente, come se un interruttore l'avesse spenta. Non aveva risposto neanche quando l'aveva chiamata per nome!
Tutto per paura che qualcuno scoprisse che le piacevano le ragazze?
ma che famiglia c’ha?
Michele non pareva la tipologia di fratello omofobo e violento. Non solo perché con lei si comportava benissimo, ma perché dai discorsi che faceva e dalle idee che sosteneva aveva testa e cuore nel posto giusto.
I suoi genitori? Zii-genitori? Sono davvero così retrogradi?
Avrebbe voluto chiedere, ma non aveva fatto in tempo; Maddalena era scappata e non era ancora tornata, esattamente come Rosi.
Il pulmino della parrocchia entrò rumoreggiando nella Piazza, posteggiandosi poco distante dal Bar. Con sua sorpresa ne scesero Alina e Stefano. “Lin!” la chiamò contenta; erano giorni che non si incontravano e ovviamente c'era anche lei nel suo flusso costante di preoccupazioni. Tuttavia sembrava essere tornata la solita Lin. L’amica le rivolse un cenno di saluto avvicinandosi. “Buonasera,” salutò lei e gli altri due ragazzi, “com’è?”
“C'è che ora a 'sto stronzo gli tiro un cazzotto,” borbottò Pietro mostrando il medio ad uno sghignazzante e vittorioso Michele, “’ndo eri finita?”
Tata aveva bisogno di me,” scrollò le spalle mentre Stefano li raggiungeva. Una ben strana coppia, ma Caterina non fece in tempo a farlo notare che l’altra svelò il mistero, “Ci siamo incontrati in parrocchia e mi ha offerto un passaggio.”
“Forse avrebbe fatto meglio ad andare a piedi, sono un disastro a guidare qui in paese … con queste stradine pensavo mi sarebbero partiti gli specchietti,” ironizzò il siciliano. “Maddalena non è ancora tornata?”
Michele si strinse nelle spalle. “Sarà andata a fissare l’orizzonte malinconica da qualche parte, a disegnare … o a fare entrambe le cose,” poi rivolse un cenno in direzione del pulmino. “Quindi domani gita?”
Stefano sorrise. “L’ho preso per quello. Si era parlato di visitare San Galgano, no?”
“Dove c’è la spada nella roccia? Avaja!” esclamò Michele. “Siete dei nostri?” domandò a tutti e a nessuno.
Pietro borbottò un assenso – il suo modo di fingere di non esser contento di esser stato incluso – mentre Alina, con sua grande gioia, assentì rapida. “Domani sono libera. Devo tornare a casa per cena però…”
“Dico a Rosi di preparacci il pranzo al sacco!”
“Stasera mi studio bene i dintorni,” disse Michele con piglio da guida turistica un po’ buffo, considerato che non era lui l’autoctono. Si fregò le mani. “Amunì che ci divertiamo!”
Passarono così un’oretta stretti in un paio di tavolini a chiacchierare, aiutati anche da una dose extra di patatine appena uscite dalla friggitrice – cortesia di sua madre che era molto più umana di Rosi e le aveva lasciato il piacere di stare con i suoi amici invece che obbligarla a pulire.
Quando il sole si tuffò dietro i tetti della piazza il rumore della musica che usciva dal locale fu soffocato dal solito concerto dei gatti, accompagnato dal serrarsi di tante porte.
Per lei era poco più che un rumore di fondo, ma ai siciliani dava fastidio. Michele fermò infatti il monologo che aveva in corso e Stefano alzò il viso per individuarne la fonte; un esercizio sterile dato che era ovunque.
“Certo che ne avete davvero tanti di gatti qua…” osservò Michele quando l’ultimo miagolio si fu spento. Era quello di Ariele, che Cate notò in cima al tetto della casa, sentinella paziente con la testolina rivolta oltre le mura.
Il cielo aveva preso la colorazione che precedeva la notte, una tinta fredda in cui gli alberi oltre le mura diventavano neri come inchiostro. I lampioni comunali non erano ancora accesi e il paese era sprofondato in una penombra in cui l'umido del bosco cominciava a filtrare.
Quello era il momento dell'imbrunire, del rientrare nel tepore casalingo e a Cate scatenava sempre una sorta di tenue tristezza che non sapeva spiegare, una nostalgia per qualcosa che un giorno sarebbe finito.
Come l'estate, ad esempio.
“Uno per ogni malacenese, o così si dice,” rispose bevendo tiepido di Sprite. “Mio nonno mi raccontava che quando era giovane servivano per cacciare i topi dalle cantine o dalle soffitte.”
“E adesso?” domandò Stefano.
Pietro si ficcò in bocca una doppietta di patatine. “E adesso so’ tutti gattari,” intervenne. “Dentro il paese tutti ne hanno uno … a casa mia un’li teniamo. La mi’ mamma è allergica.”
“Non lo avete perché non siete dentro le mura, sennò la tu' mamma avrebbe dovuto far pace con l'idea! Scelgono una casa e diventa loro. Anche Lin ne ha trovato uno appena è arrivata!”
“Non mi sembrava giusto cacciarlo… e poi fa compagnia a mio padre.”
“Sono i gatti che ci adottano, non viceversa,” spiegò ai due incuriositi siciliani. “Anche Ariele è con la mia famiglia da tipo, sempre …”
“I custodi di Malacena,” disse Stefano guardando verso Alina. Questa gli scoccò un’occhiata divertita di rimando ... e da quando c’era complicità tra di loro?
Si garbano?
Cate si appuntò di far luce sulla cosa, dato che sarebbe stata la prima volta che Alina dimostrava interesse per un ragazzo, ma quei pensieri furono interrotti dal ritorno di Rosi. Bia ed Ettore non erano con lei, ma c’era invece Maddalena.
ma che è, la giornata delle accoppiate improbabili?
Le due parlavano a bassa voce ma quando arrivarono a portata d’orecchio smisero; sua sorella era persino più pallida del solito, un improbabile fantasma diurno.
“Ohi, dov’eri finita?” l’apostrofò mentre Maddalena si accomodò senza una parola sulla sedia che le aveva recuperato al volo Michele.
“Nel bosco, è crollato un pezzo del ponte della manolonga,” le rispose. “Tobia se n’è accorto e Ettore è venuto a darci una mano a transennarlo.”
“Sei seria?” Quel ponticello era lì da secoli e non aveva mai emesso calcinaccio. Forse era colpa della pioggia del giorno prima? Il ruscello si era ingrossato molto e quando erano passati l’acqua era parsa in procinto di sommergerlo. “Ma il castello?” domandò preoccupata.
“Nei prossimi giorni ci torno con Ghigo per capire se ci sono danni,” le rispose spiccia. “Il ponte comunque è inagibile, non credo riuscirete a tornare a campeggiare alla radura.”
Avà, no!” esclamò Michele. “E quindi?”
“Dormirete da noi … non è sicuro andar lassù adesso,” tacitò con una mano i tentativi di protesta. “Se volete indietro parte dei soldi…”
“Non è per quello,” disse Stefano posando una mano sulla spalla dell’amico, che aveva assunto un broncio da bambino a cui era stato negato un regalo. “Tra l’altro se ci ospitate a casa vostra direi che non sarebbe giusto chiedervi indietro alcunché.”
“Infatti,” intervenne Maddalena. Lanciò un’occhiata nella sua direzione, ma fu rapidissima e Cate non ne fu per niente soddisfatta.
“Non possiamo mica farvi dormire in piazza, no?” ribatté Rosi con un sorriso inaspettato. Anche il tono parve addolcirsi quando si rivolse alla siciliana. “Mi dispiace ragazzi, ma è meglio se nel bosco non andate più.”
“In tutto il bosco?” domandò Stefano sorpreso.
Rosi annuì. “Il terreno da queste parti è soggetto a smottamenti … non dico che ci sia il rischio che crolli la collina, le radici fanno il loro lavoro, ma se mettete il piede dove non lo fanno, rischiate di farvi male.”
Cate si scambiò una smorfia perplessa con Pietro; era vero che la pioggia del giorno prima era stata tanta, ma era la prima volta che sentiva parlare di pericolo frane nella Montagnola!
Pur vero che i siciliani erano tecnicamente inesperti del bosco – forse era semplicemente una scusa per evitare che trampellassero da qualche parte.
“Vabbeh, dai,” cercò di tirare su il morale a Michele,. “Intanto domani andiamo a San Galgano … e poi si vedrà!”
“Non ci annoieremo,” convenne Maddalena lanciandole stavolta un’occhiata un filino più duratura. Cate tentò un sorriso e fu enormemente sollevata quando venne ricambiata.
“Michelù, amunì, non hai raccolto abbastanza materiale per il progetto? Le grotte le hai pure visitate tutte.”
“Massì,” ammise l’altro, “è solo che mi dispiace non dormire più in tenda! Mi mancheranno fare falò tutti assieme …”
“Non ve ne posso far accendere uno in paese, ma la sera potete stare qui fuori … fino a quanto volete,” disse Rosi con l’aria di chi faceva una grandissima concessione, e in parte lo era. Sua sorella chiudeva il Bar con precisione svizzera e deviare da quel programma doveva piacerle poco se non zero spaccato.
Preoccupata che fosse un afflato di empatia passeggero, Cate le rivolse il suo sorriso più paraculo. “Grazie, accettiamo volentieri!”
“Aspetta a ringraziarmi. Il Bar lo chiuderai tu.”
E ti pareva.
Alzò gli occhi al cielo. “Non mettevo in dubbio che sarei stata io a sgobbare, e infatti adesso immagino di dover ricominciare …”
“Non ho neanche dovuto chiedertelo, sono stupita.”
“Perché ormai ti leggo nel pensiero,” sbuffò alzandosi in piedi per recuperare scopa e paletta. Riprese a lavorare e nel farlo stette ben attenta a ignorare Maddalena, nonostante avesse una voglia matta di attirare la sua attenzione, fosse anche solo sfiorandola mentre puliva attorno al tavolo. L’altra era apparentemente concentrata nell’ascoltare l’effluvio di idee di Michele su dove avrebbero potuto passare quelle ultime settimane, ma quando rientrò per svuotare cartacce e spazzatura le arrivò un messaggio sul cellulare.
 

 
Cate si morse le labbra per nascondere un sorriso, ma alla fine neanche servì dato che Rosi e sua madre erano assorbite in una conversazione fatta di preoccupazioni, inagibilità e ponti crollati.
Avrebbe voluto origliare o almeno provaci, ma per una volta era bello avere qualcos’altro a cui pensare. Innamorarsi aveva i suoi lati positivi.
 
***
 
Rosi era sempre stata una pessima bugiarda.
A differenza di Dermot la figlia maggiore era incapace di sparare balle e risultare credibile; forse era l'ansia che le correva addosso come elettricità, o forse era la sua onestà a remarle contro… anche contro il suo stesso bene a volte.
Per questo quando era tornata al Bar, dopo una giornata intera fuori, Marina aveva capito subito che la spiegazione che le aveva fornito era falsa.
“Inagibile?” domandò mentre la figlia passava dietro il bancone e si metteva a trafficare con la macchina del caffè. Si fece un the sparando dentro la tazza acqua bollente che avrebbe messo minuti a raffreddarsi. Non attese, soffiando e saggiandolo con la punta della lingua.
“Si è staccato un pezzo sotto, non ho capito bene,” borbottò, “Tobia se n'è accorto ed è venuto ad avvertirmi. Lo abbiamo transennato.”
“Dovremo farlo vedere a Ghigo,” ribatté mentre studiava il pallore dell'altra, i capelli arruffati racchiusi in una coda che aveva da quella mattina e da cui ormai sfuggivano intere ciocche.
“Ghigo non credo capisca nulla di ponti,” diede un ennesimo sorso cauto, “appena il ruscello è tornato di dimensioni normali ci torno … magari facciamo venire qualcuno da Sovicille.”
“Chi?”
“Boh, qualcuno,” non si sbilanciò, “è ancora in piedi, probabilmente non è niente, ma ho preferito non rischiare.”
“Hai fatto bene.” Rosi le stava nascondendo qualcosa e la chiave era il fatto che si fosse vista con Tobia. Dopo averlo evitato per anni, improvvisamente l'idea di andare con lui nel bosco, che tanti ricordi dolorosi doveva scatenarle, era stata una cosa da fare senza un pensiero.
Non era normale.
“Sei andata al castello?” le domandò.
“No,” disse troppo alla svelta.
Marina serrò le labbra; spingere finché l'altra non fosse inciampata nella sua stessa onestà oppure lasciar perdere? Non voleva litigare, ma la linea tesa delle spalle della figlia puntava proprio verso quell'eventualità.
Eppure c'era troppo che non le tornava in Rosi; quella pervicace insonnia, l'interessarsi all'Altrove, i silenzi e l'improvviso desiderio di compagnia … di una specifica e problematica compagnia per giunta.
Cosa le aveva raccontato il Nero?
Rosi teneva tra le mani la tazza di the con la forza di chi voleva trarre conforto da quel calore, pur essendo piena estate. “Va tutto bene?” fu inevitabile domandarle.
“Come al solito,” mormorò appoggiandosi al ripiano del bancone. Fissava di fronte a sé ma aveva gli occhi fuori fuoco, persa in un ragionamento a cui non poteva accedere.
A Marina non piaceva non capire le cose. Non le era mai piaciuto in generale, ma nel suo lavoro in particolare era pericoloso. E lei si sentiva in pericolo da un bel po'.
Rosi aprì la bocca per parlare, poi la richiuse.
“Che c'è tesoro? Ti vedo pensierosa...”
“Sapevi che Maddalena è una succuba?”
Quella era l'ultima domanda che si era aspettata. “Sì,” ammise. “O meglio, non ne avevo idea prima che venisse qui, ma poi Stefano ce l'ha detto … è il suo sorvegliante.”
“Non avrebbe dovuto informarvi prima del suo arrivo?”
“Sì, ma c'è stato un problema nelle comunicazioni con la Confraternita di Catania. Stefano ce l'ha detto appena arrivato però.”
Rosi registrò quelle informazioni con uno scatto teso della mascella. “Se te l'avessero detto prima avresti fatto qualcosa?”
Marina si prese un attimo di tempo, vagliando quale risposta avrebbe funzionato meglio per tranquillizzare l'altra. “Come impedirle di venire?” chiese di rimando. “Forse sì … forse avrei cercato di evitarlo, ma non sarebbe stato giusto. Le succubi non hanno l'obbligo di fissa dimora, se notificano lo spostamento in anticipo. Cosa che è stata fatta, c'è stato solo un errore amministrativo.”
Rosi diede un altro sorso al the. “Non sto dicendo che non può stare qui. Volevo solo capire cosa ne pensavi tu.”
“Fin'ora non ha fatto danno, no? Stefano la porta a cacciare a Siena o a Firenze quasi ogni sera e non ha ammaliato nessuno … o ce ne saremo accorti.”
“Non pensi che sia pericolosa per Cate?”
Marina sospirò. Forse era quello che la angustiava tanto; il che aveva senso, considerando il modo ispido con cui Rosi amava Caterina. Non era sorella da grandi slanci d'affetto ma era ferocemente protettiva. “Ho tenuto d'occhio Cate e non esibisce nessuno dei sintomi di ammaliamento che mostrerebbe se Maddalena l'avesse presa di mira.”
“Bene,” Rosi fece un cenno secco di assenso. Le unghie mangiate non avevano perso presa sulla tazza neppure per un attimo … era ancora nervosa.
“C'è qualcos'altro che ti preoccupa? Il castello?”
Rosi serrò le labbra, quasi tentasse di frenare le parole che volevano uscire. “E quando mai non mi preoccupa?” ironizzò. “Dovrò tornarci con Ghigo per un sopralluogo … anche se non mi vuole mai tra i piedi quando lavora.”
“Sempre stato rustico, da quand'era cittino,” tentò di scherzare ma Rosi non reagì, ancora quella stupida tazza in mano e l'aria di chi si trovava sui carboni ardenti. “Tobia,” disse Marina, e se possibile l'altra si irrigidì ancora di più.
Avevo ragione allora.
In quel particolare contesto non c'era molta soddisfazione nel constatarlo. “Meno male si è accorto del ponte,” aggiunse.
“Già,” fu la risposta asciutta. “Bazzica sempre da quelle parti, se poteva accorgersene qualcuno, quello era lui.”
“Come l'hai trovato?” chiese leggera sottolineando quel calcolato disinteresse riprendendo a scaricare la lavastoviglie dai tanti piatti e tazzine della giornata e riponendoli con cura sotto il bancone.
“Parla ancora del lupomanaio.”
Poro citto,” sospirò mentre il cuore le accelerava. “È diventata un'ossessione ormai.”
“È davvero convinto di averlo incontrato,” continuò Rosi. “Adesso ha questa teoria che il mannaro c'è ancora, ma qualcuno in paese lo sta nascondendo...”
Marina non fece l'errore di fermarsi mentre svuotava la lavastoviglie. Continuò con lena tranquilla mentre il sangue le defluiva dal viso; dando però le spalle alla figlia per fortuna doveva concentrarsi solo sul tono di voce. “Ma te pensa... e chi lo starebbe nascondendo secondo lui?”
Ci fu una pausa anche da parte di Rosi. “Non lo sa, ma dice che è per questo che non l'ha più trovato nessuno.”
“Certo che se ne inventa...”
“E se avesse ragione?”
Marina si fermò. Non potè impedirsi di farlo e dopotutto non era una reazione improbabile considerando che Rosi, fino a quella mattina, era stata la più strenua sostenitrice della teoria contraria. Si voltò e l'altra continuava a fissare corrucciata un punto vicino al camino come se fosse il suo interlocutore. Si portò una mano alle labbra e prese ad aggredirsi le unghie.
Non anche tu, amore, non ti ci mettere anche tu …
“Non ha ragione,” rispose gentile. “Perché questo supposto mannaro lo abbiamo cercato per tutta la Montagnola e anche oltre. Abbiamo svolto il nostro lavoro, e l'abbiamo fatto scrupolosamente, data la pericolosità di una creatura del genere. Don Doriano ha persino chiamato dei vânători...”
Rosi si riscosse. “Dei vânători?” esclamò stupefatta. “Quando?”
“Due anni fa. Sono ancora qui se è per questo.”
Non ci mise molto a fare due più due, “I Radu.” mormorò. “Perché non mi hai detto che Alina è...”
“Non me l'hai mai chiesto,” ribatté tranquilla e di quello no, non si sentiva in colpa.
Quando Rosi aveva rinunciato al suo ruolo nell'Altrove le era dispiaciuto, ma da un lato aveva reso le cose molto più semplici. “Comunque, che c'è di male? Almeno Cate è sempre con qualcuno che può proteggerla quando è in giro per il bosco … casomai questo lupomanaio ci fosse davvero, no?”
“Perché non me l'hai detto?” ripeté e Marina percepì la pazienza scivolare via.
“Perché te ne sei andata!” Alzare la voce non era quello che aveva intenzione di fare data la delicatezza dell'argomento e lo stato d'animo della figlia, ma non poté frenarsi dal farlo. “Perché ogni volta che tiro fuori un argomento che anche solo sfiora l'Altrove fai muro. Ho accettato la tua scelta, tesoro, credimi, l'ho fatto … ma non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca.”
“E questo cosa vorrebbe dire?”
“Non puoi avercela con me per non averti informato se hai deciso di chiudere gli occhi. È la strada che ti sei scelta.”
Rosi le scoccò un'occhiata furibonda, ma non ribatté. Posò invece la tazza sul bancone, ormai vuota di the. “E se volessi tornare?”
Marina sostenne lo sguardo, forzando le labbra a piegarsi in un sorriso.
Non adesso. Non adesso che scopriresti tutto.
Rosi era troppo diffidente per non farlo; non sarebbe stata in grado di manipolarla com'era riuscita a fare con il povero Tobia.
L'ho fatto per salvare Elia, solo per salvare un bambino …
Sarebbe bastato questo a giustificarla? Probabilmente no. Rosi viveva in un mondo fatto di bianchi e neri, assoluti morali a cui lei stessa si forzava … non l'avrebbe mai perdonata di averle tenuto nascosto un segreto del genere.
Perché non sarebbe mai riuscita a perdonare sé stessa in prima battuta.
“Saresti accolta a braccia aperte, bimba mia, sei una Silvani,” rispose.
Rosi le sorrise di rimando. Era un sorriso amaro però, tinto di una rabbia che non capiva, perché non aveva senso. Con Carlo avevano passato gli ultimi anni a lavorare perché l'intero paese rimanesse nell'ignoranza.
Avevano condannato Tobia ad una vita di solitudine per quello. Non poteva essere stato tutto in vano.
“Davvero?” domandò. “Non penso che saresti contenta.”
“Non essere sciocca … perché non dovrei esser contenta che tu voglia tornare?”
Rosi si strinse nelle spalle e attese, perché Caterina era arrivata a portata d'orecchio, ma quando la ragazzina uscì di nuovo fuori dal locale, continuò. “Comunque è solo un'idea.”
“Beh, quando hai preso una decisione, dimmelo...”
Rosi sorrise. Di nuovo quell'espressione amara, un nuovo muro messo tra di loro che non capiva e che per questo la preoccupava terribilmente. “Sarai la prima a saperlo.”
Rimasero a lavorare gomito a gomito, immerse in un silenzio che Marina era consapevole avrebbe potuto rompere in qualsiasi attimo; ma per dire cosa?
Era davvero possibile che adesso sua figlia credesse al Nero?
Se l'aveva fatto era perché Tobia doveva averle portato qualcosa di concreto, qualcosa che neppure la sua diffidente figliola avrebbe potuto contestare.
Marina accolse l'ultimo vassoio ricolmo di bicchieri sporchi da Caterina, che per fortuna quella sera era troppo distratta dai suoi coetanei per annusare la tensione che si respirava all'interno del locale; era straordinariamente empatica data l'età, ma aveva la testa altrove e infatti quando si fu assicurata di aver finito i suoi compiti per la serata corse dagli amici senza voltarsi indietro.
Cosa aveva trovato il Nero che aveva convinto Rosi a rivalutare le sue posizioni?
Immersa in quelle riflessioni e nella voglia cocente di trovare la domanda giusta non si accorse che le stava squillando il telefono. Fu Rosi a farlo, porgendoglielo con una strana espressione.
“Ti sta chiamando il Sindaco,” disse come fosse in attesa, come se studiasse la sua prossima mossa.
Come erano arrivate a quella diffidenza? Cosa aveva combinato il Nero?
“Grazie,” disse prendendolo e allontanandosi dal bancone. Sentiva gli occhi di Rosi puntati sulla schiena e per questo arrivò fino all'ingresso, dove il rumore delle chiacchiere dei ragazzi avrebbe coperto le sue. “Carlo, buonasera.”
“Abbiamo un problema,” esordì ignorando le più elementari norme di educazione ma il tono dell'uomo le impedì di protestare. Dietro la voce impostata, dietro tutta l'affettazione di una nobiltà ormai perduta, vi percepì paura.
Carlo era spaventato.
“Cos'è successo?”
I Radu ci hanno scoperti?
Il cerchio in cui avevano nascosto il giovane Ghini si faceva sempre più stretto. Piuttosto che ad un rifugio, assomigliava sempre di più ad una prigione … e non solo per lui.
“La succuba sa di Elia.”
Marina guardò verso il gruppetto di adolescenti. Maddalena era lì in mezzo e chiacchierava con gli altri mangiando patatine, senza un problema al mondo, come una ragazzina qualsiasi.
Una ragazzina che poteva condannarli tutti.
Non poteva più rimandare la loro chiacchierata.
 
***
Note:
C'è ovviamente una parte due, ma qua siamo già a 14 pagine e quindi …
La canzone presente nel capitolo è “Way down we go”, dei Kaleo.
  
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