Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Darkandstormy    14/03/2021    0 recensioni
Un gruppo di amici decide di staccare la spina dalla monotonia della vita newyorkese e decide di visitare la piccola cittadina di Labyrinth Town, teatro di macabre leggende metropolitane. Saranno davvero solo leggende? Riusciranno Ellie e i suoi amici a sopravvivere al labirinto?
Genere: Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PROLOGO
Quando decidemmo di andare a Labyrinth Town non avevamo idea di cosa ci aspettasse. Io, Ellie Neill e i miei amici Alex, Livia, Nico, Alissa e Daniel eravamo così ingenui e allo stesso tempo vogliosi di un po’ di brivido da non temere per nulla la famigerata cittadina che aveva la fama di essere luogo di distruzione…e morte. Naturalmente da diciottenni cresciuti in una grande città come New York, così maledettamente frenetica e banale, e in quanto amanti dei grandi classici dell’orrore, non aspettavamo altro che un’occasione per distrarci dagli studi e dalla monotonia. E cosa meglio di una bella gita a Labyrinth Town, di cui tutti parlavano come di un posto tremendo e buio, teatro di spaventose quanto macabre leggende metropolitane? Ah, se fossero state davvero soltanto leggende… Col senno di poi presterei più attenzione alle storie raccontate dalla gente e non le giudicherei a priori sciocche fantasie. L’avessi saputo prima, non ci avrei nemmeno messo piede in quel postaccio. Ma ormai è troppo tardi per i ripensamenti, è troppo tardi per loro, ma non per avere incubi tutte le notti…
 
 
Avevamo sentito così tanto parlare di Labyrinth Town che, quando abbiamo deciso di andarci il week-end del 5 settembre, non abbiamo più discusso d’altro. Grazie al Web abbiamo scovato un sito di un piccolo residence nella cittadina e prenotato due stanze: una per me, Livia e Alissa, l’altra per Alex, Nico e Daniel. Con entusiasmo ci siamo equipaggiati per bene, preparando accuratamente i bagagli; dopotutto un week-end che si rispetti ha bisogno di un tocco di classe. Ovviamente i nostri genitori non erano particolarmente d’accordo, ma abbiamo appositamente aspettato fino all’ultimo a comunicare loro i nostri progetti. Che liti furiose, ma oramai era già tutto pagato! Per un attimo ho temuto che Alissa non potesse venire, ma poi, per fortuna, siamo riusciti a convincere sua madre, con buona volontà e tatto. Per evitare altri litigi sull’auto da prendere, Alex ha deciso di affittarne una. Stipati sui sedili, costretti tra valigie, borse e zaini, ci siamo avviati, con tanto di finestrini abbassati e radio a volume improponibile, cantando a squarciagola i successi del momento.
“Uff, non ne posso più! Ma quando arriviamo?” domanda Livia “Ehi, un attimo di pazienza!” esclama Nico “Wei amico, dove siamo?” “Ehm, bè ecco, io…” tenta di rispondere Alex, quando Livia lo interrompe bruscamente “Brutto stronzo, non dirmi che ci siamo persi!” “Calma ragazza, ora ci fermiamo lì in quel distributore di benzina e chiediamo indicazioni. “, cerca di risolvere la situazione Daniel. Entriamo nell’area di sosta. Daniel si slaccia la cintura e, mentre scende, qualcosa mi consiglia di seguirlo. “Vengo con te” gli dico. Il minuscolo abitacolo del benzinaio è squallido: la porta è scheggiata in più punti, una finestra è rotta, perciò ci sono soltanto delle sbarre di legno a chiuderla. Daniel bussa. In un primo momento non vediamo né sentiamo nulla. Ritenta. Rumore di passi all’interno. La porta si apre appena “Desiderate?” “Salve, ci scusi il disturbo, potrebbe darci le indicazioni per raggiungere Labyrinth Town?”.
 
La porta si spalanca del tutto e un uomo a dir poco ripugnante ci scruta con i suoi piccoli occhi scuri, neri come la paura stessa, o peggio ancora, la morte. Indossa una camicia sudicia sporca d’olio e piena di briciole di cibo e pantaloni sgualciti. Si strofina le mani unte e cerca di sorridere, senza successo; per dirla tutta il suo ghigno è particolarmente inquietante e noto che gli mancano diversi denti.  “Siete proprio sicuri di voler andare lì?” ci domanda. Io e Daniel ci guardiamo prima di annuire. “Oh, bè, se è così allora…” fa una pausa “Continuate diritto finché raggiungerete un bivio, poi prendete la strada che svolta a destra. Mentre attraversate il bosco chiudete i finestrini. Dopo una trentina di chilometri vedrete un cartello con il nome della cittadina”. “Grazie mille” dice Daniel “Sì, grazie davvero signore” aggiungo io. In seguito ci avviamo per tornare alla macchina. Prima di avere il tempo di svoltare l’angolo, l’uomo ci chiama “Ragazzi, un’ultima cosa, non rimanete mai da soli.”. Non abbiamo però il tempo di domandargli il motivo di questa affermazione, perché lui rientra nell’abitacolo. Non dimenticherò mai il velo di tristezza che ho percepito attraversargli lo sguardo, mentre ci rivolgeva quelle ultime parole.
Mentre camminiamo verso il parcheggio, io e Daniel ci scambiamo uno sguardo interrogativo. Gli domando “ Secondo te, cosa avrà voluto dire?” “Non importa, tanto molto probabilmente era ubriaco fradicio, o peggio ancora completamente pazzo”, lo guardo un po’ timorosa “Andiamo, non sarai mica così suscettibile da credere alle leggende metropolitane?”. Nego, ma nella mia mente resto fedele a un pensiero fisso: il vecchio ci aveva lanciato un avvertimento.
 
Dopo essere risaliti in macchina, Daniel spiega ad Alex la strada da percorrere e ci rimettiamo in moto. Poco dopo arriviamo alla biforcazione e, facendo come ci era stato detto, prendiamo la strada di destra. Il bosco, ancora in lontananza, si profila essere imponente e fitto. Nonostante il caldo avverto un brivido percorrermi tutta la schiena, fino ad arrivare alla punta dei capelli. “Ehm, Alex, potresti chiudere i finestrini?”, gli chiedo gentilmente, ricordandomi solo ora del consiglio del vecchio benzinaio. “Ellie, ma vuoi scherzare?” mi domanda Alissa “Qui c’è un caldo soffocante!”. Cerco uno sguardo complice di Daniel, che però non arriva. Le sue parole, invece, mi feriscono come una lama affilata “Ellie, basta pensare a quelle parole assurde” e poi spiega agli altri “Vedete, Ellie crede alle farneticazioni del vecchio e pazzo benzinaio…”. Dopo pochi secondi aggiunge “Povera piccolina impaurita!”. Tutti cominciano a ridere e io, derisa e ferita nell’anima, cerco di rannicchiarmi più che posso sul sedile posteriore. L’atmosfera, nonostante sia già mezzogiorno e ci sia il sole, appare, almeno ai miei occhi, spettrale. La luce infatti non riesce a penetrare fra i rami degli alberi. Mi ricorda proprio il paesaggio tipico di alcuni film dell’orrore, solo che questo è reale, non nascosto dietro a uno schermo luminoso. La strada sembra proseguire a lungo, mentre solo pochi raggi solari fanno capolino tra la vegetazione. Un’ape enorme passa a pochi centimetri dal finestrino e quando si allontana non posso far altro che tirare un sospiro di sollievo. Detesto le api! Per quanto riguarda altri insetti non siamo invece stati altrettanto fortunati: moscerini, mosche, tante zanzare e non so cos’altro entrano nell’abitacolo. Schiaccio una zanzara che mi si era posata sul braccio. Nel mentre l’auto prosegue a velocità sostenuta. Finalmente la stradina si apre su uno sterrato e possiamo vedere il cartello con la scritta “Labyrinth Town”.  È un cartello vecchio, tutto ricoperto di polvere. Quando ci avviciniamo, intravedo, o almeno così mi pare, una scritta fatta a pennarello nero, che dice “scappate!”. Mi strofino gli occhi. La scritta è scomparsa. Che sia stata frutto della mia immaginazione? Fatto sta che quando, esausti per il lungo viaggio, scendiamo dall’auto nel parcheggio deserto del residence, me ne sono completamente dimenticata.
 
Entriamo in quella che dovrebbe essere la hall, ma che non è altro che un sudicio ingresso “Almeno il bancone della reception c’è!” esclama Nico, “È già qualcosa.” borbotta Livia. Alex suona un campanello e, in un batter d’occhio, un’anziana signora esce da una porticina laterale, per poi sedersi dietro al bancone “Desiderate figlioli?” “Ecco, noi abbiamo prenotato due stanze per il week-end” esordisce Nico. La signora si volta e, da un incavo nel muro, estrae due chiavi, poi ci dice “Primo piano, stanze 9 e 11”; in seguito aggiunge “Se volete seguirmi vi mostro la strada e un paio di cosette”. Prima di condurci al piano superiore ci scorta in una sala abbastanza ampia, dove sono disposti alcuni tavoli. “Questa è la mensa” ci informa “E là dietro c’è la cucina, ma voi non dovete entrarci!”. Scoppia in una fragorosa risata. Dopodiché saliamo di sopra, attraversando un ampio corridoio e percorrendo una scala a chiocciola molto stretta, che ci costringe a salire in fila indiana. “Ecco qui le vostre stanze, spero siano abbastanza accoglienti e di vostro gradimento.” “Grazie signora” dice Livia, mentre lei continua “La colazione è alle 7:30, il pranzo alle 12:30 e la cena alle 19:00. Non sono ammessi ritardi! Ogni stanza è dotata di un bagno privato. Alle 22:00 le luci del corridoio verranno spente, pertanto vi consiglio di non uscire dalle vostre camere… un’ultima cosa”, abbassa la voce “Chiudetevi dentro a chiave”. “Signora, mi scusi…” cerco di domandarle, ma lei ci ha già voltato le spalle e sta scendendo i gradini.
“Allora ragazze, 9 o 11? “ ci domanda Daniel “Per me è indifferente, tanto le due stanze sono esattamente affiancate” rispondo. Infatti tutte le camere contrassegnate da un numero pari si trovano a destra, mentre quelle contrassegnate da un numero dispari a sinistra. Alla fine ce la giochiamo a testa o croce e il verdetto è questo: i ragazzi dormiranno nella stanza numero 11 e noi nella 9. Prima di entrare a dare un’occhiata, decidiamo però di scendere a prendere i bagagli. “Potevamo scegliere un albergo con un cavolo di ascensore “ si lamenta Alissa. “Potevi prendere una valigia più piccola, tanto cosa vuoi che ti serva tutta quella roba per un paio di giorni?” le rinfaccia Alex. Nonostante dobbiamo fare più di un viaggio, riusciamo a portare tutto di sopra. Io, Livia e Alissa salutiamo i ragazzi e, solo dopo esserci chiuse la porta alle spalle, esaminiamo l’ambiente. Lo spazio è poco, poiché tre mezzi letto occupano la stanza; di fianco a ciascuno di essi vi è un comodino dotato di abat-jour. In fondo alla stanza, vicino all’unica finestra con le sbarre, c’è un armadio. Le pareti sono spoglie, prive di quadri o di altri ornamenti, e piene di crepe che disegnano strane intersezioni anche sul soffitto. Un’infinità di ragnatele pende dall’alto. “Bella topaia” sbuffa Livia. “Mi aspettavo qualcosa di meglio” interviene Alissa. Io non parlo, non esprimo alcun parere. Mi limito a guardarmi intorno sconsolata. Non nutro alcun’aspettativa nei confronti di questo posto, né della città; avverto soltanto vibrazioni negative e un brutto presentimento.
Dopo aver disfatto i bagagli, indossiamo scarpe da ginnastica e andiamo a chiamare i ragazzi. Livia infatti, non riuscendo più a sopportare l’angusta e afosa stanzetta, ha proposto di fare una piccola escursione, giusto per guardarsi un po’ intorno. Quando chiede loro di uscire, Nico accetta di buon grado, prendendo la sua macchina fotografica professionale. Anche gli altri sembrano entusiasti dell’idea. Nella calura pomeridiana usciamo dal residence e ci incamminiamo per la strada. “Cavoli che posto spettrale”. Le parole mi escono di bocca prima ancora che le abbia pensate, però almeno questa volta gli altri non mi sfottono, anzi Daniel afferma, stupito “ In effetti pensavo che questa città attraesse molti turisti, eppure non vedo nessuno…”. Per l’appunto, camminiamo da una mezz’ora buona e non abbiamo visto altre persone, ad eccezione di una coppia di vecchietti e di una signora con le borse della spesa. Inoltre non sembra che Labyrinth Town sia particolarmente carina, ai miei occhi non è altro che una cittadina come tante, solo molto silenziosa e all’apparenza quasi disabitata. Alex scherza “A mio parere questo posto l’avrebbero potuto tranquillamente chiamare “Ghost Town” o “Silent City”, cosa c’entra il labirinto?” “Non hai guardato sul sito informativo?” sbotta Livia, che sembra particolarmente scocciata “C’è un labirinto molto grande che si può visitare e la città stessa è costruita in modo da richiamare forma e struttura del labirinto” “Saputella”, la apostrofa Alex “Stronzo” ribatte lei.
Proseguiamo fino ad arrivare in prossimità del labirinto: è davvero enorme! I muri sono talmente imponenti da non permettere di vedere nulla di ciò che c’è all’interno. Nico scatta alcune foto, sia del panorama che del labirinto, ma anche qualcuna a noi. Non possiamo non fare un autoscatto che ci ritragga tutti insieme. “Entriamo?” domanda Daniel, impaziente.
 
Perché l’ha chiesto? Non voglio entrare in un labirinto poco prima del tramonto… Certo è che se dicessi così mi apostroferebbero di nuovo come una fifona. Normalmente non lo sono, ma questo posto ha qualcosa di strano, qualcosa che non va e che non mi so spiegare. Non sono più convinta che venire qui, in questa città, sia stata una buona idea. Guardo il display del cellulare e mi viene un’idea per evitare il labirinto, così dico “Forse non è il caso di andare adesso, sono quasi le 18 e non vorrei arrivare in ritardo per la cena” e poi aggiungo “Ho anche una certa fame…”. Per mia fortuna gli altri concordano con me, e così anche Daniel. Comunque decidiamo di tornare qui l’indomani mattina, di buon’ora, così da avere la possibilità di esplorare il luogo in tutta calma. Mentre torniamo verso il residence Alissa accusa un gran mal di testa, probabilmente a causa della fame e del caldo, mentre Alex si lamenta dicendo che, per colpa della “stupida” mappa che abbiamo stampato, abbiamo sprecato un sacco di tempo in viaggio. “Forse potremmo trattenerci fino a lunedì” propone. Nessuno sembra ascoltarlo e il suo suggerimento non viene nemmeno discusso, tuttavia in cuor mio ne sono felice. Ho un brutto presentimento, ce l’ho dal momento in cui abbiamo chiesto indicazioni al benzinaio. Non credo sia solo paura, c’è sotto qualcosa…
Arriviamo al residence quando manca meno di mezz’ora alla cena, così non abbiamo il tempo di farci una doccia, ma solo di cambiarci i vestiti. Alle 19 in punto siamo in sala da pranzo, seduti attorno ad un unico tavolo. La signora che ci aveva accolti all’arrivo ci presenta Anthony, un cameriere di colore al quale avremmo dovuto dare le ordinazioni. Anthony ci porge il menù. Ha lo sguardo assente e triste, ma in fondo ai suoi occhi scorgo una luce che appare una minaccia. Non c’è ampia scelta, perciò ordiniamo tutti cotoletta e patatine fritte, accompagnate da birra. “Dove sono gli altri ospiti?” domanda Nico “Chiediamolo ad Anthony” propone Livia. Così, non appena il cameriere ritorna portando i piatti ancora fumanti, Livia gli si rivolge “Scusa, Anthony, quando arrivano gli altri clienti?”. Dopo un attimo di esitazione l’uomo risponde “Al momento siete gli unici ospiti, gli ultimi se ne sono andati questa mattina presto e gli altri arriveranno solo fra due giorni” “Grazie”. Segue un lungo silenzio, poi Daniel esclama “Almeno potremo far baldoria senza temere di disturbare qualcuno!”, scoppiamo tutti in una fragorosa risata. Non lo avrei mai neanche lontanamente immaginato ma, o il cibo era particolarmente buono, o avevo così tanta fame che avrei mangiato perfino una seggiola! “E ora” esordisce Alex “Brindiamo a noi e alla nostra meritata vacanza!” “A noi!” rispondiamo in coro alzando i bicchieri.
Si fanno le 20 e 30 in un batter d’occhio, così decidiamo di salire di sopra a darci una rinfrescata. Il bagno in camera non è grandissimo, ma almeno è dotato di una bella vasca. Io mi lavo per prima e devo ammettere che il bagno è stato davvero rigenerante. È il turno di Alissa e ne approfitto per chiacchierare un po’ con Livia. “Sai” dice lei “Quest’anno più che mai non ho alcuna voglia di ricominciare la scuola” “Come ti capisco”, sospiro. “Non che io non abbia voglia di studiare, ma vorrei avere più tempo per vivere nuove esperienze…” “Intendi con i ragazzi?” la interrompo “Ti piace qualcuno?”. Arrossisce “Sì, può essere, ma non ne sono sicura…” “Avanti, dai, dimmi chi è il fortunato” la prego. Esita, sento che sta per dirmelo “ Ecco, lui è…”. Un tonfo sordo.
“Co…co…cos’è stato?” balbetto “Alissa, sei stata tu a far cadere qualcosa?” domanda Livia, avvicinandosi alla porta del bagno. Bussa. “Alissa? Apri per favore”. Nessuna risposta. Comincio a battere compulsivamente sul legno fino a farmi sanguinare le nocche. “Calmati” mi intima Livia, “Dammi una forcina”; gliela porgo. Armeggia un po’ con la serratura che finalmente si apre.
 Alissa è stesa a terra e sotto la sua testa va allargandosi una pozza di sangue. Comincio ad urlare. Non so come faccia Livia a mantenere la calma, fatto sta che si avvicina ad Alissa. “Respira ancora” afferma “Vai a chiamare i ragazzi, Ellie, dobbiamo metterla sul letto”. Ci metto tutta la più buona volontà e, anche se in un primo momento le gambe non collaborano, dopo un notevole sforzo raggiungo la porta della stanza numero 11 e busso freneticamente. Apre la porta un Daniel in mutande e visibilmente scocciato “Che vuoi?”. Mi manca il fiato, mi accascio a terra e riesco solo a sussurrare “Alissa” prima di scoppiare un pianto fragoroso. I tre ragazzi si precipitano nella nostra camera, lasciandomi lì, sola, sul pavimento.
Dopo un tempo che mi pare infinito, Daniel torna indietro e, vedendomi ancora così, si siede al mio fianco. Sembra in imbarazzo, percepisco il tremito delle sue mani che cercano di consolarmi. Avvicina la sua faccia al mio orecchio e mi sussurra “Ellie, non aver paura”. Adesso spunta anche Nico che, rivolgendosi più a Daniel che a me dice “Alex ha chiamato i soccorsi”. Daniel annuisce. Non passa molto tempo prima che delle sirene si avvicinino al residence. Tre uomini muniti di barella e kit di primo soccorso salgono le scale per entrare nella nostra stanza. Sono come paralizzata e non ho il coraggio di alzarmi, dunque osservo la scena dal corridoio e sento solo in parte i discorsi. Mentre i medici trasportano una Alissa con sguardo assente e colorito pallido, immobile sulla barella, tre parole mi rimbombano nella testa: “shock, trauma cranico e codice rosso”. Daniel ritorna a sedersi vicino a me e ad informarmi “Hanno detto che probabilmente è svenuta a causa di un mancamento ed ha battuto la testa sul bordo della vasca” “Si salverà?” domando “Ora la porteranno all’ospedale più vicino e da lì la trasferiranno a New York. Abbiamo già avvertito sua madre”. Non mi piace il fatto che Daniel abbia eluso la mia domanda, ma non ho la forza di replicare. “Avanti, si sta facendo tardi e fra poco spegneranno le luci. Torna in camera, Livia ha bisogno di te”. Per una volta decido di fare ciò che mi dice. “Buonanotte, cerca di riposare” mi sussurra mentre gli passo davanti. Vorrei rispondergli, vorrei sorridere, non ne sono capace.
Come uno zombie apro la porta e me la richiudo alle spalle, girando accuratamente la chiave nella serratura. Mi siedo sul letto. “Non so come tu faccia, Livia, ma ti invidio per il tuo sangue freddo” le dico “Non lo so nemmeno io” è l’unica risposta. Sono così stanca che, nonostante tutto, mi addormento.
Rumore di passi. Mi sveglio all’improvviso.
 
Malgrado lo stordimento generale, odo distintamente dei passi lungo il corridoio. Afferro il cellulare dal comodino: sono soltanto le 3 e 37. Strano orario per camminare lungo il corridoio di un residence avendo il bagno in camera… Mi avvicino alla porta per verificare eventuali altri rumori, ma non me la sento di aprirla per sbirciare fuori. In ogni caso non vedrei nulla, dato che le luci del corridoio sono spente da un pezzo. Sbircio verso il letto di Livia: dorme. Non ho voglia di svegliarla, dunque torno anche io a letto. Mi giro e mi rigiro per un bel po’, mi copro la testa con le lenzuola e finalmente mi riaddormento.
Scivolo in un sonno agitato.
Sto correndo veloce come il vento, scappando da qualcuno o da qualcosa che non vedo. Ne intuisco però la presenza alle mie spalle, non oso girarmi. In lontananza si staglia la sagoma di una casa, sembra abitata: potrei chiedere aiuto. Corro ancora più forte, fino a che mi manca il fiato. Inciampo sull’acciottolato. Mi rialzo. Cado di nuovo. Non posso muovermi, mi è addosso. Urlo, poi dalle labbra non mi sfugge che un rantolo.
Mi stringe il collo.
Vuole uccidermi…
 
Vengo scossa violentemente. “Ellie, svegliati!”. Apro gli occhi, mi guardo intorno. Sono nella stanza del residence, al sicuro, credo. Livia è al mio fianco. “Stavi avendo un incubo, hai urlato” mi spiega “Scusa se ti ho svegliata” “Figurati, tanto ormai è ora di fare colazione”. Non posso crederci, sono già le sette. La lunga, interminabile notte è finita ed io sono ancora viva. “Perché non dovrei esserlo?” mi domando. Inevitabilmente ripenso ad Alissa. “Liv, hai saputo qualcosa?” domando, senza avere bisogno di specificare a chi mi riferisco, tanto anche lei ci stava pensando, ne sono sicura. Fa segno di no con la testa. Non chiedo altro.
Ci vestiamo e scendiamo in sala da pranzo. È una splendida giornata di sole. I ragazzi sono già lì. Si stanno imburrando alcune fette biscottate. La tavola è colma di ogni ben di Dio: miele, marmellata, burro, uova, pane, affettati, formaggi, thè, caffè, latte e succhi di frutta. Non manca proprio nulla. Anzi, manca Alissa.
Dopo un’abbondante colazione, Alex esclama a gran voce “E ora… al labirinto!!!”. Io non sono per nulla entusiasta. In seguito a quanto successo la sera passata, avrei preferito montare in macchina e tornare al sicuro nella mia modesta casetta. I ragazzi, al contrario, sembrano impazienti. Livia mi chiede di accompagnarla un attimo in camera e, date le proteste di Nico, lasciamo che intanto loro si avviino, tanto la strada la sappiamo, avendola percorso appena il giorno precedente.
Subito dopo aver varcato la soglia della stanza, Livia comincia a cercare una busta nel suo zaino. Finalmente la trova. Me la mostra e mi dice “Qualunque cosa succeda devi ricordarmi di non uscire di qui stasera senza portarla con me. Se non potrò prenderla io, devi farlo tu.”. Sono perplessa, non capisco le sue parole, il suo discorso. “Dimmi solo di sì, che lo farai” mi prega, poi aggiunge “Per favore, sei sempre stata una grande amica”. Annuisco, nonostante io continui a ignorare il significato di questa richiesta.
Detto ciò usciamo dal residence e ci incamminiamo alla volta del labirinto.
 
Immancabilmente, lungo la strada, ritorniamo a parlare di Alissa. “Senti Liv, ma tu che sei riuscita a vederla bene, bè ecco, come stava?” “Bene non direi proprio. Ad essere sincera non conterei troppo sull’eventualità che possa stare meglio.” “Perché dici così?” sussurro “L’ho vista”. La sua voce appare fredda. Livia non aggiunge altro. Si perde nei propri pensieri, come fosse sola e su un altro pianeta. La vedo procedere al mio fianco: un automa, distaccato e senza emozioni apparenti.
Ci stiamo avvicinando alla meta e vedo due figure davanti alla soglia: Daniel e Nico. Ma dov’è Alex? “Wei bamboline” dice Daniel “Dov’è Alex?” gli domando “È andato dentro ad esplorare, ne aveva proprio una voglia pazzesca…” ride. Comunque decidiamo di entrare tutti. È davvero un labirinto, di quelli descritti nei racconti, con alti muri ricoperti di rampicanti e circondati da cespugli spinosi.  “E ora? Da che parte sarà andato?” domando non appena ci troviamo di fronte ad un bivio. “Siamo in quattro, dividiamoci no?” dice Nico “Maschi contro femmine? Vince chi trova Alex per primo” suggerisce Daniel. L’idea non mi entusiasma, però accetto senza fare questioni. E così ci ritroviamo di nuovo sole, io e Livia. Nuovamente lei non spiccica parola e qui dentro mi sento più sola che mai. Ci ritroviamo all’ennesimo bivio. Cerco di capire dal suo sguardo che direzione ha intenzione di prendere, sperando con tutto il cuore che non voglia che ci separiamo. Stiamo procedendo alla cieca e non è la prima volta che mi domando se riusciremo mai ad uscirne.
Livia non si decide, mentre l’istinto mi dice di andare a destra. La precedo. Poco dopo, volgendomi indietro, mi accorgo che la mia amica non mi sta seguendo. Torno sui miei passi e la trovo seduta a terra, con le ginocchia strette al petto. Sta piangendo.
Mi avvicino e lei si scuote appena. “Mi…mi dispiace” sussurra. Non capisco. “Per cosa?” le domando. Smette di piangere e ora sembra quasi arrabbiata. Si frega gli occhi per asciugare tutte le lacrime e solo dopo parla. “Mi chiedo come tu possa essere così ingenua da credere a tutto”. Non riesco proprio a comprendere, eppure non voglio interromperla. “Io, io non voglio che lei si prenda la sua vittoria” “Lei?” sono confusa, ma Livia continua “Questa città. È maledetta e nessuno di noi tornerà mai a casa.”. Comincio a spaventarmi sul serio. “Calmati Liv, non succederà nulla, sono qui con te”.
Le scappa un altro singhiozzo, poi grida “Non posso vivere così, non dopo avere visto Alissa. La vita la stava abbandonando. Non ce la faccio”. Livia grida sempre più forte. Chiudo gli occhi e mi tappo le orecchie, cerco di proteggere quel briciolo di sanità mentale che ancora resiste dentro di me. Tuttavia niente mi impedisce di sentire un ultimo urlo agghiacciante.
Poi tutto è silenzio.
 
Lentamente tolgo le mani dalle orecchie e apro gli occhi. Sangue, sangue, sangue ovunque. Il manico di un coltello nero da cucina sporge dal petto di Livia. La sua camicetta azzurra è inzuppata del suo sangue, il volto una maschera di orrore. Gli occhi sono spalancati e vitrei, rivolti al cielo.
Tutto questo è insopportabile alla mia vista. Mi volto, ma l’immagine della mia amica morta resta impressa nella mia mente. Non riesco a reprimere i conati. Vomito l’anima. Mi accascio per qualche minuto, scossa dagli spasmi. L’istinto di sopravvivenza ha però la meglio sull’orrore e, rialzatami, comincio a correre a ritroso, sperando che avvenga un miracolo e riesca a ritrovare la strada. Corro, piango, urlo. Continuo a correre.
Non so nemmeno io come, ma in qualche modo mi ritrovo davanti Nico e Daniel. Per poco, dalla velocità che ho acquistato, non li faccio cadere a terra. Mi fermo appena in tempo. Non riesco ad immaginare che aspetto potrei avere ai loro occhi, ma questo è l’ultimo dei miei problemi. “Dov’è Livia?” mi domanda Nico. Come in un film, l’immagine della ragazza torna a fare capolino nella mia mente, sempre che se ne fosse davvero andata… Deglutisco, deglutisco innumerevoli volte, sembra quasi che la mia gola non voglia emettere alcun suono, poi dico “Si è uccisa”. I due mi guardano increduli e questa volta anche nei loro occhi leggo sgomento e qualcosa che somiglia al panico.
“Dobbiamo andare” balbetta Nico “Ma Alex?” gli domando “Probabilmente sarà uscito e non ci siamo incrociati”. Nico si incammina, Daniel lo segue. Io resto immobile finché quest’ultimo, accortosene, non mi prende la mano e mi tira gentilmente. I ragazzi sono stati intelligenti a lasciare delle tracce sul sentiero mentre lo percorrevano, cosicché non fatichiamo a trovare l’uscita.
A passo svelto ci dirigiamo nuovamente verso il residence. Siamo quasi arrivati quando Nico si ferma. Daniel lascia la mia mano e gli si affianca “Ehi amico, che succede?”. Nico fa un’enorme fatica a rispondere e si tocca la gola con entrambe le mani, poi dice “Mi… manca… l’aria”.
 
Daniel gli allontana le mani dal collo, che è ora di un rosso acceso. Una specie di rigonfiamento va allargandosi e Nico diventa pallido. Daniel lo fa sdraiare e gli slaccia i vestiti in modo che possa respirare meglio. Raccogliendo tutta la buona volontà mi avvicino anch’io per chiedergli se ha bisogno, se posso aiutare in qualche modo, ma lui mi intima bruscamente di allontanarmi.
La scena è straziante: Nico afferra la mano di Daniel e la stringe mentre quest’ultimo cerca di aiutarlo a respirare. Poi improvvisamente la faccia di Nico assume una colorazione cianotica e la stretta si allenta, fino a diventare inconsistente.
Nico resta a terra, immobile, gli occhi strabuzzati e la colorazione tipica dei cadaveri. Lacrime affiorano dagli occhi di Daniel, che si schiaffeggia per impedirsi di piangere. Non so dove trovi la forza, ma si rialza e, con voce ferma, dura, mi dice “Dobbiamo andarcene di qui.”.
Con ogni probabilità avrei dovuto dare ascolto al suo consiglio, ovvero salire in macchina e svignarcela, bensì insisto per tornare in camera a prendere la busta che Livia mi aveva mostrato quella mattina. Almeno questo glielo devo. Così anche Daniel sale le scale del residence, nella speranza che Alex lo stia aspettando in stanza. Prima che io possa entrare, Daniel mi ricorda “La busta e basta, non possiamo perdere un minuto di più”. Annuisco e apro la porta. Mi stupisco nel trovare tutto esattamente come l’avevo lasciato. “Che ti aspettavi Ellie? Che qualcuno riordinasse e ti preparasse la valigia?” mi domando. La busta è lì sul comodino, proprio dove Livia l’aveva lasciata. Esito nell’afferrarla, quasi mi potesse mordere. Quando tocco la carta liscia, un brivido mi attraversa la spina dorsale e le parole di Livia mi rimbombano nella mente “…se non potrò portarla, devi prenderla tu…”. Allora forse aveva già meditato tutto, sapeva che non sarebbe tornata. Rabbrividisco di nuovo. Come ho fatto ad essere così stupida da non accorgermi delle sue intenzioni? Come ho potuto sottovalutare il suo comportamento, così diverso dal solito? È inutile che continui a rimuginare, tanto, purtroppo, non si torna indietro.
Nascondo la busta nella tasca dei pantaloni e, senza voltarmi indietro neanche una volta, né prendere le mie cose, esco. Nello stesso istante Daniel sbuca dalla camera a fianco. Ci intendiamo con un semplice sguardo e lo seguo lungo le scale.
Eravamo certi che il peggio fosse passato, invece…
 
Siamo in procinto di varcare la soglia del residence, quando l’anziana signora che ci aveva accolti ci chiama. Spero vivamente che Daniel la ignori, ma non lo fa e torna indietro. Io lo raggiungo al bancone della reception a passi incerti. “Dove state andando ragazzi?” ci domanda la donna “A casa” rispondo, mentre Daniel mi lancia uno sguardo di rimprovero. “E i vostri amici?”. Questa volta non apro bocca. “Capisco” continua la signora “Sicuri di non aver dimenticato nulla?”. Ci lascia tempo per pensare. Io e Daniel siamo sempre più perplessi. “Anthony! Portalo qui”.
Anthony arriva trascinando con sé qualcuno che stentiamo a riconoscere. Poco dopo, all’unisono, gridiamo “Alex!”. Ebbene sì, si tratta proprio di Alex, legato come un salame e imbavagliato. Alex ci guarda con aria assente, quasi non ci riconoscesse. “Che gli avete fatto?” ruggisce Daniel in un impeto di rabbia, per poi lanciarsi su Alex, cercando di liberarlo. Tuttavia Anthony è più veloce e afferra Daniel stringendogli una mano sul collo. “Daniel, nooooo!” sono le uniche parole che riesco a pronunciare prima di scoppiare nell’ennesimo, fragoroso pianto.
“Ragazzina” esordisce la vecchia “Non azzardarti a muovere un passo”. “Tanto non ne avrei la forza” penso. Nel frattempo Anthony ha lasciato la presa attorno al collo di Daniel e gli sta legando le mani dietro la schiena. Successivamente lo obbliga a sedersi su di una panca, poi fa lo stesso con me, che sono incapace di reagire in alcun modo. Alex è sempre lì, al suo fianco, immobile e appoggiato al muro, però respira, questo lo vedo chiaramente dall’alzarsi e abbassarsi del petto.
“Bene, anzi benissimo direi, vero Anthony?” sentenzia la signora rivolgendosi al ragazzo di colore, il quale annuisce; nei suoi occhi guizza un lampo che pare di soddisfazione. Daniel è irrequieto, ma a differenza di me che sono paralizzata dalla paura, domanda “Cosa volete da noi?”. L’anziana donna sembra pensare alla domanda che le è appena stata posta e poi apre bocca “Una cosa molto semplice, un po’ di divertimento”.
 
Sono confusa. “Vedete, ormai nessuno vive più in questa cittadina, forse proprio a causa delle storie che circolano sulla sua, come posso dire, cattiva influenza sulle persone che la frequentano, così ogni tanto, quando qualche sciagurato si avventura da queste parti, non possiamo permettere che se ne vada. Non subito almeno”. Sorride, il suo è un sorriso sghembo e compiaciuto.
“Continuo a non capire!” esclama Daniel “Se volete compagnia, perché avete ucciso gli altri?” “Oh, è qui che ti sbagli ragazzo. Punto primo non siamo in cerca di compagnia, ma, come ho detto prima, di divertimento. Punto secondo noi non abbiamo ucciso proprio nessuno.”. “E chi è stato?” domando io questa volta, sorprendendomi di essere riuscita a formulare una domanda, senza risultare troppo isterica. “     Loro stessi”. Strabuzzo gli occhi e sono convinta che Daniel abbia fatto altrettanto. La donna continua a parlare “La ragazza mora che, lasciatemelo dire, senza successo è stata portata all’ospedale, si è impasticcata. L’altra, la biondina, sapete benissimo che si è uccisa e il vostro amico è morto per non aver rispettato il coprifuoco. Eravate stati avvertiti di non uscire in corridoio dopo le 22, eppure lui ha trasgredito le regole.  Questa città non tollera i bambini disobbedienti…”. “Lasciateci andare!” urla Daniel, ma Anthony gli mette immediatamente una mano sudicia sulla bocca. “E Alex?” continuo io, quasi incuriosita. “Anche lui non ha prestato fede alle regole poiché è entrato in cucina!”. Anthony prende la parola “Sono certo che in quelle vostre stupide testoline vi starete chiedendo come mai è ancora vivo…” segue un breve momento di pausa “Non è propriamente vivo, diciamo che gli abbiamo somministrato una cosuccia. Manca solo l’ultima dose...”. Ora ride e anche l’anziana comincia a ridere di gusto. Il motivo delle loro risate va però oltre la mia comprensione. “Ed è qui che sta il vero divertimento!” proclama Anthony e poi spiega “ Uno di voi due “ ci guarda “Dovrà portare avanti il lavoro sporco… non vorrete mica che due personcine adorabili come me e Charlotte si macchino di un terribile omicidio”. Ecco finalmente svelato l’arcano e conosciamo anche il nome della “nonnetta”.
I due ci scortano fino in fondo al corridoio, dove una rampa di scale scende in quello che dovrebbe essere uno scantinato. Prima di chiuderci all’interno, sbarrando la porta con un lucchetto tutto arrugginito, Charlotte ci ricorda “Battete sulla porta quando siete pronti. E vi conviene non perdere tempo a decidere chi sarà il “prescelto”, se non volete essere rosicchiati”.
Udiamo distintamente il click del lucchetto che si chiude.
 
Il luogo è buio, impregnato di un nauseante odore di marcio misto alla puzza di decomposizione. Non riusciamo a vedere nulla e per qualche secondo nessuno di noi due parla. Ad un tratto sentiamo un rumore di zampette che avanzano sul pavimento gelato e qualche squittio non sufficientemente lontano. Non siamo soli. “T…tttopi “ dico in un sussurro. Sono sempre stati una delle mie fobie…con quei corpicini pelosi e quel loro versino acuto, penetrante, che si insinua insidioso nelle viscere, fino a farmi rabbrividire. Uno dei roditori mi sfiora il polpaccio e un acuto grido mi sfugge dalla gola. Daniel, prontamente, mi tappa la bocca con la mano, dicendo “Ci manca solo che scoprano che hai paura dei topi…” poi aggiunge “Ci serve un piano”. Pare riflettere e infine, come colto da un’illuminazione, mi spiega “Se vogliamo avere una possibilità di successo, di conseguenza di fuggire, dovrai essere tu ad offrirti volontaria. Sicuramente ti slegheranno affinché tu possa tenere in mano la siringa contenente quello che penso essere un potente veleno. Prendi la siringa e segui le loro istruzioni. Quando sarai nei pressi di Alex inginocchiati e, senza esitare, voltati sino a conficcare l’ago nella carne di chi ti sarà vicino, sia Anthony o Charlotte.” “Come puoi essere sicuro che qualcuno mi accompagnerà?” gli chiedo “Non ne sono sicuro, ma dobbiamo sperarci. Comunque, dicevo, devi subito alzarti e fuggire” “E tu?” “Io cercherò di liberarmi come posso, avrò pure imparato qualcosa da tutti quegli anni di arti marziali!”. Senza pensare dico “E se non funziona? E se non ho abbastanza coraggio? E se non riesci a liberarti?”. Daniel mi posa un dito sulle labbra impedendomi di parlare “Ellie, ricordati che ce la puoi fare, devi essere forte. Non porti troppe domande, devi solo agire. Spesso sono i pensieri a rallentarci.”. Un secondo ratto mi si avvicina alla gamba. Un violento brivido mi scuote, mentre la testa comincia a vorticare e le pareti sembrano restringersi tanto da impedirmi di respirare. Mi sembra di svenire, ma Daniel mi sorregge “Respira piano Ellie”, mi dice.
A poco a poco tutto torna al suo posto e nell’oscurità vedo le labbra di Daniel distendersi in un sorriso. Non so come ho fatto a superare l’attacco di panico così in fretta, ma ce l’ho fatta. Però la preoccupazione non mi ha abbandonata. “Daniel, e se mi succede di nuovo, di sopra?” “Non ti succederà”. Cala il silenzio, ma non dura che un istante- “Qualunque cosa accada, dopo aver fatto la tua parte nel piano, scappa”, dice il mio amico, porgendomi la chiave dell’automobile e aggiungendo “Se qualcosa dovesse andare storto e io non dovessi uscire subito dietro di te, metti in moto e fuggi, ma non tornare assolutamente indietro!”.
Annuisco, sarebbe inutile discutere. “E ora andiamo, coraggio!”. Mi posa un piccolo bacio sulle labbra e il cuore comincia a galopparmi nel petto. Daniel, nel frattempo, batte sulla porta.
 
Finalmente. Di nuovo al piano di sopra, di nuovo alla luce del giorno. La vecchia Charlotte ci domanda “Allora, chi è il coraggioso o la coraggiosa?”. Dopo un attimo, io scuoto la testa. “Questa davvero non me l’aspettavo” commenta lei. Mi afferra con violenza strattonandomi per un braccio e mi conduce verso Alex. Ho solo un istante per volgere lo sguardo e cercare una rassicurazione negli occhi di Daniel, che però non arriva, prima che mi venga messa in mano la siringa. “Ora coraggio bambina, facci ridere! “ dice Charlotte, prima di scoppiare a ridere in modo sguaiato. Mi trema così tanto la mano e sono costretta a ripetere al mio cervello il piano stabilito, altrimenti non so proprio cosa potrei combinare. “Avanti cara, non esitare”, “Forza!” mi incita Anthony, sempre fra le risa.
Il sudore mi imperla la fronte e una gocciolina mi finisce in un occhio, così la vista mi si appanna. Ma è solo questione di una manciata di secondi. Non mi sono ancora fermata, la punta dell’ago si trova ora a pochi centimetri dal braccio scoperto di Alex. Se non agisco in fratta rischierò quasi sicuramente di ucciderlo.
Conto mentalmente “uno, due, tre!”. Fulminea mi volto e infilo l’ago della grossa siringa nella coscia di Charlotte, che lancia uno strillo acuto. Mi alzo e vedo che Daniel si dibatte, cercando di liberarsi dalla stretta di Anthony.
Charlotte impreca in preda al dolore e anche a qualcos’altro che non sono in grado di precisare. Il suo viso sta rapidamente assumendo una colorazione innaturale. Eppure riesce, con fatica, ad estrarre un coltello affilato dalla tasca e a spingerlo con forza nel petto di Alex.
Mi sento svenire alla vista del sangue e delle convulsioni che scuotono Alex fino a quando resta immobile, per sempre.
Nel frastuono generale odo la voce di Daniel che mi intima di fuggire. Esco dalla porta e raggiungo la macchina. Ruoto la chiave nel meccanismo di accensione e metto in moto.
 
In realtà avevo già deciso cosa fare… afferro il coltellino a serramanico che Daniel aveva lasciato nel cassetto dell’auto e torno indietro, riattraversando il prato di corsa.
Una volta rientrata nel residence gioisco nel trovare Charlotte immobile, con ogni probabilità oramai morta. A Daniel, al contrario, le cose non stanno andando per niente bene: si è liberato le mani dalle corde che lo trattenevano, ma è costretto a lottare contro un Anthony non solo furioso, ma armato di un coltello da cucina.
Non so che fare, devo agire? Voglio aiutare Daniel, certo, però cosa può un coltellino come il mio contro un coltello da cucina? Sono intenta a riflettere quando odo un urlo di dolore di Daniel; mi volto di scatto e vedo che Anthony l’ha colpito al braccio destro. Per di più il coltello è rimasto dentro al braccio. Ho visto abbastanza e reagisco. Sfruttando il fatto di non essere ancora stata vista mi porto rapidamente alle spalle del cameriere e, senza pensarci due volte, calo il coltellino nella sua spalle, nella speranza che la spinta che ho preso possa renderlo più efficace. Come era presumibile, Anthony, colto di sorpresa, si gira e mi fissa con aria minacciosa. “Credi davvero che basti un colpetto del genere per mettermi fuori gioco?” mi dice beffardo, mentre io impallidisco.
“Basterà questo!” esclama Daniel, estraendo con il braccio sano il coltello dalla ferita, digrignando i dento per il dolore, e conficcandolo nel petto di Anthony. Uno strano ghigno si dipinge sul viso del nero, che poco dopo si accascia.
Non ho il tempo di gioire, perché vedo sgorgare sempre più sangue dalla ferita sul braccio di Daniel. Infatti la t-shirt si sta imbrattando e sta diventando cremisi. Alla vista di tale quantità di sangue ho un capogiro e le mie gambe sono in procinto di cedere…
 
“Se hai finito di stare lì impalata mi potresti anche dare una mano” mi dice Daniel, con un pizzico di ironia. “Certo, certo, scusa” balbetto, avvicinandomi. “Ellie, devi prendere una di quelle pezze lì sul tavolo e avvolgermela il più strettamente possibile sul braccio”. Capisco quando ogni secondo che passa possa essere indice della vita che scivola via dal mio amico, perciò mi do una scrollata e mi affretto ad eseguire gli ordini. Afferro il primo burazzo che mi capita fra le mani e faccio come mi ha detto Daniel. Lui sbuffa mentre stringo la benda improvvisata, ma sopporta bene il dolore. Non oso immaginare le urla che avrei fatto io al suo posto, o le imprecazioni che avrei lanciato. Terminata la fasciatura lo aiuto ad alzarsi e usciamo per sempre (me lo auguro) dal residence.
Raggiungiamo la macchina che, inaspettatamente, è rimasta accesa per tutto questo tempo. Anche se in realtà, quello che a me è sembrato un tempo infinito, si dimostra essere stato solo una decina di minuti.
Faccio per salire al posto del passeggero quando Daniel mi ferma, mettendomi il braccio illeso su una spalla “Ellie, ovviamente dovrai guidare tu. Infatti non saprei come fare ad usare il cambio per innestare le marce…” “Ma Daniel…veramente…”. Divento rossa come un peperone, però devo confidarmi “A essere sincera, non ho mai passato l’esame di guida. Non posso guidare io, non ce la faccio”. “Guardami, Ellie” lo guardo negli occhi “E’ indispensabile che tu lo faccia. Dobbiamo lasciare questo posto e io devo farmi medicare questa cazzo di ferita… ti darò io tutte le indicazioni. Ti fidi di me?” annuisco.
Daniel avvicina il suo viso al mio, le sue labbra mi sfiorano prima la guancia, poi le labbra e mi coinvolgono in un bacio che non capirò mai se sia stato d’amore o di semplice incoraggiamento. In ogni caso mi sento come rigenerata.
Monto in macchina e sfrecciamo via: io al volante e Daniel che dispensa consigli e rassicurazioni.
Ben presto siamo fuori da Labyrinth Town e riattraversiamo il bosco, che mi sembra però ancora più minaccioso. Questa volta chiudiamo i finestrini e Daniel mi dice “Sai, secondo me il benzinaio aveva ragione, deve essere stato un insettaccio di questo posto, che si era infilato in macchina e ci aveva seguito fino al residence, ad aver ucciso Nico…”.
Non rispondo, non ho più voglia di pensare ai nostri amici, né a tutto quello che è successo.
 
EPILOGO
Passiamo davanti all’area di rifornimento dove non ci sono macchine. Non so se la mia immaginazione o i miei occhi stanchi, troppo pieni di orrore, mi stiano facendo un brutto scherzo, tuttavia mi pare di vedere il vecchio benzinaio sorridere dalla sua casupola. Un ghigno malizioso che mi strappa un gemito.
Prima di raggiungere l’autostrada per New York, vediamo una donna con due bambini che sembra volere indicazioni.
Su consiglio di Daniel accosto “Scusi, anzi scusate” ci dice “Sapreste indicarci la strada per raggiungere Labyrinth Town? Io e i miei bambini volevamo visitare un bel labirinto…”.
Rabbrividisco e una lacrima solitaria si fa strada lungo la mia guancia.
FINE
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Darkandstormy