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Autore: Roxanne Potter    15/03/2021    7 recensioni
Parigi, 1927. Albus Silente e Gellert Grindelwald si incontrano per la prima volta dopo anni
“Non posso fare quello che mi hai chiesto nelle tue lettere. Non posso. Abbandonare la mia vita, lasciare tutto per unirmi a te... è semplicemente folle.”
“Eppure sei qui. Ti sei scomodato per venire fino a Parigi, per incontrarmi. Questo deve pur voler dire qualcosa.”

[Questa storia partecipa al contest “All About Grindeldore” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Quennie Goldstein | Coppie: Albus/Gellert
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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~We're still a masterpiece ~

Parigi era magnifica proprio come Albus Silente l'aveva sempre immaginata; l'edera che ricopriva le facciate eleganti dei palazzi, i viali ammantati dalle foglie gialle e rossastre dell'autunno, lo splendore dell'Arco di Trionfo e della cattedrale di Notre Dame, i colori vivaci delle stradine di Montmartre.
In quel momento, fermo al centro del ponte Saint Michel, Albus lasciava vagare lo sguardo sulle acque della Senna e sul profilo in lontananza della Tour Eiffel, che si stagliava verso un cielo infiammato dalle luci calde del tramonto.
Parigi somigliava a un'opera d'arte che prende vita al tocco delle mani di un pittore, pensò Albus con un sospiro nostalgico. Tornò con la mente all'estate dei suoi diciassette anni, all'euforia che aveva provato mentre lui ed Elphias progettavano il loro viaggio – la prima tappa sarebbe stata proprio Parigi – e al baratro che gli si era spalancato davanti quando il suo intero mondo era crollato in pezzi.
Non che, in seguito, lui non avesse avuto l'occasione di viaggiare. Ma anche a distanza di anni ricordare la spensieratezza della sua adolescenza, quei suoi sogni ridotti in cenere dalla crudeltà del destino, continuava a riempirlo di un'indicibile tristezza.
Sono lieto di vederti, Albus. Sapevo che non avresti deluso le mie aspettative.”
Al suono di quella voce, Albus rimase immobile per qualche istante, le mani poggiate sulla balaustra del ponte e gli occhi fissi sul profilo della Tour Eiffel. Aveva atteso quel momento per mesi – forse anni, forse decenni – e non poté fare a meno di sentire il suo cuore perdere un battito mentre si voltava lentamente, trovandosi davanti il sorriso mesto di Gellert Grindelwald.

In lui rimaneva ben poco dell'adolescente che Albus aveva conosciuto tempo addietro. I suoi capelli erano più corti, di un biondo sporco e ingrigito, il viso ricoperto da qualche ruga sottile, i lineamenti più rudi e definiti. Eppure i suoi occhi azzurri erano sempre gli stessi; non avevano perso niente della loro intensità, del loro magnetismo. Erano occhi che lo riportavano indietro nel tempo, a ricordi dolci come il miele e amari come il veleno.
Buonasera, Gellert,” Albus infilò le mani nelle tasche del mantello e sollevò le labbra in un sorriso cortese. “Anche io mi auguro che le mie aspettative non vengano deluse da questo incontro. Pensa, pur di venire qui ho dovuto chiedere ben tre giorni di ferie non pagate a Dippet.”
Vedo che non hai perso il tuo senso dell'umorismo. Il che non può che farmi piacere.”
Albus si strinse nelle spalle, senza rispondere. Si ritrovò a chiedersi se Gellert riuscisse a vedere oltre la sua maschera di formalità e compostezza. Se una parte di lui potesse cogliere il battito frenetico del suo cuore, il modo in cui il sangue gli tremava nelle vene e le sue mani si stavano stringendo a pugno nelle tasche del mantello.
Non credo sia il caso di perdere altro tempo,” disse infine Albus, inarcando un sopracciglio. “Perché non andiamo dritti al punto?”
Hai ragione. Ma forse ci conviene trovare un posto più confortevole di questo per parlare. Se vuoi, posso offrirti qualcosa da bere nel mio appartamento.”
Cosa stai facendo, Albus? Non dovresti continuare a farti abbindolare da lui come uno stupido ragazzino.
Albus mise a tacere la voce della coscienza e annuì, sollevando una mano per sistemarsi il cappello a bombetta sulla testa.
C'è un motivo per cui sei qui, lo sai bene. Stai al gioco finché puoi.
Non mi dispiacerebbe bere qualcosa per riscaldarmi. Parigi è una bellissima città ma il tempo atmosferico in autunno non è dei migliori. Spero che tu abbia del Whisky Incendiario da offrirmi.”

Albus si lasciò andare contro lo schienale della poltroncina, avvicinò una mano al fuoco scoppiettante nel camino e con l'altra si portò alle labbra il calice di Whisky, sorseggiandolo lentamente.
Gellert sedeva sulla poltrona davanti alla sua, intento a sua volta a bere. Intorno a loro, il salotto era arredato con mobili in legno d'ebano, librerie stipate di volumi, nature morte appese ai muri rivestiti da un'elegante carta da parati blu scuro. Per l'ennesima volta Albus si lanciò un'occhiata intorno, soffermandosi sugli intrasi dorati di una scrivania di noce, prima di volgere nuovamente lo sguardo su Gellert.
Ti tratti sempre bene, vedo.”
Già,” L'altro sorrise, mandò giù un sorso di Whisky e poggiò il calice sul basso tavolino di vetro davanti al caminetto. “Sai, devo confessarti una cosa. Per un attimo, quando ti ho visto su quel ponte, ho pensato che nel momento in cui mi sarei avvicinato a te sarebbe spuntata fuori una squadra di Auror.”
“Beh, se la mia intenzione fosse stata quella di farti arrestare non mi sarei certo scomodato a prendere delle ferie non pagate per viaggiare fino a Parigi. Avrei spedito direttamente gli Auror sul luogo del nostro appuntamento e sarei rimasto nel mio studio a Hogwarts a prepararmi una bella tazza di tè.”

Gellert si lasciò sfuggire una risata leggera.
Confermo che non sei cambiato affatto. Sempre lo stesso senso dell'umorismo. Ma non perdiamo tempo in chiacchiere. Hai detto di voler arrivare dritto al punto, giusto?”
“Giusto. Sai bene per quale ragione mi trovo qui. Una volta che mi avrai mostrato le tue informazioni potrò dare una risposta alla tua... la tua richiesta.”

Gellert annuì, poi impugnò e sventolò la bacchetta. Un taccuino dalla copertina verde scuro si librò dalla scrivania e volò nella loro direzione. Albus mise via il calice di Whisky, afferrò il taccuino e iniziò a sfogliarlo, con il cuore in gola.
Tre mesi. Aveva atteso quel momento per tre mesi, dal momento in cui si era ritrovato tra le mani quella lettera anonima che avrebbe potuto cambiare il corso della sua vita – non che a lui servisse una stupida firma per capire chi l'avesse scritta.
A quella lettera ne erano seguite altre; dolci promesse che l'avevano tenuto sveglio di notte e pian piano avevano demolito le certezze che si era illuso di aver costruito negli anni.

Al, ti chiedo solo di confidare in me. La bacchetta di Sambuco è in mio possesso – questo lo sai bene – e sono sulle tracce degli altri Doni...

Ho scoperto il nome della famiglia che da secoli si tramanda il Mantello dell'Invisibilità. Sono vicino anche a scoprire dove si trova la Pietra della Resurrezione. Se solo volessi aiutarmi...

Tua sorella, Al. Potrai rivedere tua sorella.

Ti allego qui alcuni dei miei appunti sulla natura degli Obscurus. Sono sicuro che ti aiuteranno a comprendere meglio la condizione di Ariana. Se solo potessimo lavorare insieme per capire come estirpare questo male...

Ricordi l'ardore, la convinzione con cui parlavamo dei nostri progetti? Di ciò che avremmo potuto fare quando i Doni sarebbero stati in nostro possesso? Adesso abbiamo tutti gli strumenti per capire davvero come realizzare il Bene Superiore...

La mia ricerca dei Doni si è conclusa, Albus. Ti aspetto a Parigi. Devo sapere se sei disposto a tornare da me. Se credi ancora nel Bene Superiore. Se credi ancora che insieme potremmo essere ciò che in gioventù abbiamo giurato di diventare insieme – un capolavoro.

Albus alzò lo sguardo dal taccuino e con dita tremanti accarezzò le fragili pagine di pergamena, lì dove il cognome Potter era stato scribacchiato in un inchiostro verde smeraldo.
Ci sei riuscito,” mormorò in direzione di Gellert. “Ci sei riuscito davvero.”
Ti avevo detto che potevi confidare in me. Mi sono già impossessato della bacchetta, credevi veramente che non sarei stato capace di rintracciare gli altri Doni?”
Gellert sorrise, beffardo. Fu il brivido di pura attrazione che gli serpeggiò lungo la schiena davanti a quel sorriso che spinse Albus a poggiare il taccuino sul tavolo, alzarsi di scatto e dare le spalle a Gellert.
Non posso fare quello che mi hai chiesto nelle tue lettere. Non posso. Abbandonare la mia vita, lasciare tutto per unirmi a te... è semplicemente folle.”
“Eppure sei qui. Ti sei scomodato per venire fino a Parigi, per incontrarmi. Questo deve pur voler dire qualcosa.”

Un sospiro, seguito da un rumore di passi e dal tocco delicato di una mano sulla sua spalla.
Al, tutto quello che abbiamo sempre desiderato è qui, tra le nostre mani. Io e te, i Doni, il Bene Superiore...”
Come puoi chiedermi di fidarmi di te dopo quello che hai fatto? Dopo quello che è successo ad Ariana?”
Albus si voltò, la rabbia che gli sporcava la voce, gli occhi che fissavano duri quelli di Gellert.
Albus... ascoltami,” mormorò lui in tono grave. “Non immagini neanche quanto mi dispiace...”
Certo, ti dispiace,” Albus arretrò, lasciandosi sfuggire una risata amara e sarcastica. “Io ero follemente innamorato di te, Gellert. Credevo che tu lo fossi altrettanto, credevo di aver trovato un'anima affine alla mia, che insieme fossimo davvero destinati a diventare un capolavoro. Forse ciò che avevamo stava davvero prendendo la forma di un capolavoro... finché tu non hai fatto tutto a pezzi. Mi hai abbandonato nel momento peggiore della mia vita. Quando... quando lei è morta... la prima cosa che ho fatto è stata girarmi per cercarti perché irrazionalmente pensavo che tu avresti sentito a pieno il peso di quella tragedia e saresti stato lì a sostenermi... ma tu non c'eri. Eri scappato via come un vigliacco. È stato allora che mi sono reso conto di quanto fossi stato stupido a credere in te, nel tuo cosiddetto amore così come nei nostri folli ideali. Ti ho odiato e forse ti odio ancora per questo.”
Albus non si sarebbe mai aspettato che, davanti a quelle parole, gli occhi di Gellert si sarebbero adombrati di una profonda tristezza che prima d'allora non aveva mai visto nel suo sguardo.
Ascoltami, ti prego,” ripetè Gellert, muovendo un passo verso di lui. Gli tremavano le labbra e la tristezza nei suoi occhi sembrava sincera, fin troppo sincera. “Hai ragione. Tutto quello di cui mi accusi è vero. Sono scappato perché avevo paura e anche perché mi sentivo terribilmente in colpa. Anche io ero innamorato di te, Albus. Dopo quello che è successo ad Ariana ero convinto che mi avresti rifiutato, che non avresti più voluto neanche guardarmi negli occhi. Ho preferito scappare piuttosto che affrontare la possibilità di un tale rifiuto perché mi avrebbe fatto troppo male. Devi credermi quando ti dico che il senso di colpa ha continuato a logorarmi per tutto questo tempo, perché mi sono reso conto di quanto fosse stato sbagliato abbandonarti in un momento del genere.”
Sta mentendo, Al. Smettila di pendere dalle sue labbra. Smettila di sperare che sia sincero.

Sai, spesso ho immaginato come sarebbero potute andare le cose se solo fossimo stati meno immaturi, se ci fossimo comportati in modo differente rispetto alla condizione di Ariana... ma allora eravamo dei ragazzini. Anzi, dei bambini. Abbiamo commesso degli errori. Adesso dovremmo darci la possibilità di rimediare alle colpe del nostro passato, impedire che queste continuino a definirci.”
Albus sospirò, per poi sollevare le labbra in un sorriso amaro.
Quindi avresti intenzione di rimediare ai nostri errori di gioventù?
“Certo. È ciò che ti ho ripetuto per mesi nelle mie lettere. Ti sto dando la possibilità di riavere la tua famiglia, di lavorare insieme a me per un mondo migliore con la nostra maturità di uomini, con gli strumenti e le conoscenze che abbiamo a disposizione.” Gellert gli afferrò le mani e Albus si ritrovò a deglutire, paralizzato da quel tocco. “Ti chiedo solo di fidarti di me. Puoi farlo?”
La voce, quella voce calda e melodiosa che l'aveva attratto fin dal primo momento, che serpeggiava sulla sua pelle in una carezza seducente quanto distruttiva. Una voce che persino in quel momento sapeva di stanze buie, di vestiti strappati con furia, di ragione che andava in pezzi, sudore e labbra avvinte.

Con un enorme sforzo, Albus si liberò dalla stretta di quelle mani e si conficcò le unghie nei palmi; non poteva cedere a quel desiderio che aveva creduto sopito – morto e sepolto – e che adesso combatteva per rivelarsi in tutta la sua forza traditrice.
Vorrei credere che tu sia sincero, Gellert,” mormorò. “Lo vorrei davvero.”
Di cos'altro hai bisogno per fidarti di me? Parlarti ancora di Credence? Ricorda, il male che lo affligge è lo stesso che affliggeva Ariana. Noi possiamo fare qualcosa per salvarlo.”
Gellert si allontanò per recuperare il taccuino dal tavolo e tornò da lui, porgendoglielo. La tristezza era sparita dal suo sguardo, che ora aveva ritrovato l'abituale compostezza.
Non pretendo che tu mi dia subito una risposta. Torna alla locanda, prenditi il tempo di leggere tutti i miei appunti sugli Obscurus, rifletti bene sulla tua decisione. Abbiamo la possibilità di aiutare altri giovani maghi e streghe che sono affetti da questo male. Non ti chiedo di farlo per me. Fallo per Ariana. Ogni giovane vita che salveremo sarà un'espiazione della nostra colpa, un tributo alla sua vita che è stata spezzata troppo in fretta. In quanto a lei... potrebbe tornare. Ormai sappiamo dove si trova la Pietra. È solo una questione di tempo.”
Nel silenzio che seguì quelle parole, Albus fissò gli occhi di Gellert e per un attimo li vide tramutarsi negli occhi di Ariana – quelle limpide iridi azzurrine che erano rimaste cristallizzate nella morte, nel fiore acerbo dei quattordici anni, che forse sarebbero potute tornare a risplendere grazie a lui.
Tornerò da te domani sera per darti una risposta,” disse infine Albus, spezzando il silenzio. Prese il taccuino, lo infilò nella tasca del panciotto e si allontanò da Gellert per afferrare il mantello dall'appendiabiti. “Ma non iniziare a crearti delle false aspettative.”
Non lo farò, Albus. Qualsiasi decisione prenderai, sono sicuro che sarà quella giusta.”

Aspettava ormai da ore; l'orologio a pendolo segnava le undici, le fiamme nel camino si erano quasi consumate e lui stava svuotando l'ultima bottiglia di Vino Elfico, le dita che tamburellavano sul bracciolo di velluto rosso della poltrona.
Gellert sbuffò e mandò giù un altro sorso di vino. Era possibile che Albus avesse cambiato idea? Che in quel momento stesse preparando i bagagli per tornare a Hogwarts, impassibile alle tentazioni che lui gli stava offrendo? La sua famiglia riunita, una causa nobile da perseguire, Gellert stesso.
La sera prima aveva letto l'attrazione nei suoi occhi. Vi aveva scorto l'istinto, il desiderio, così come il senso di colpa che gli battagliava dentro. Era stato certo che ben presto Albus sarebbe tornato a varcare la soglia di quel salotto, così come era certo che sarebbe stato più facile esercitare un ascendente su di lui se avesse sfruttato quella che era sempre stata la sua più grande debolezza, l'amore.
Con il tempo, Gellert aveva imparato a disprezzare il significato di quella parola, a considerare i sentimenti prerogativa dei deboli, degli sciocchi e degli illusi. Eppure, la sera prima, c'era stato un momento in cui una parte di lui aveva irrazionalmente desiderato avere di nuovo le mani di Albus su di sé, ricordare cosa significasse essere un ragazzino di diciassette anni che sente di essersi innamorato per la prima volta nella sua vita...
Il cigolio della porta infranse il silenzio. Gellert si voltò di scatto e si sentì invadere dal disappunto quando vide Queenie entrare in salotto.
Queenie. Mi auguro che tu sia qui per portarmi buone notizie,” disse in tono atono, rigirandosi tra le mani il calice ancora mezzo ricolmo di vino.
Volevo parlarvi di Credence,” rispose Queenie, stringendosi nella mantellina viola e passandosi nervosamente una mano tra i riccioli biondi. “È stato avvistato a Montparnasse insieme a Nagini, la ragazza con cui è scappato dal Circo Arcanus. Si nascondono in una vecchia palazzina nei pressi del cimitero. Ho pensato che avreste voluto saperlo...”
Ti ringrazio per l'informazione, cara.”
Queenie rimase immobile sulla soglia della porta, le labbra laccate di rosso increspate da un sorriso teso. Queenie, giovane e ingenua Queenie. Era lì da quasi due settimane – non era stato difficile convincerla a trattenersi, considerato che non aveva un altro posto dove andare, né ammaliarla di giorno in giorno con i suoi discorsi e le sue promesse.
Avete intenzione di fare qualcosa riguardo il ragazzo, adesso che sapete dove si trova?” continuò Queenie. Gellert scosse la testa e si portò il calice alle labbra.
Ne abbiamo già parlato, devo fare in modo che sia Credence a venire da me...”
Il trillio improvviso del campanello. Gellert sbatté le palpebre e, per un attimo, ogni muscolo del suo corpo si tese spasmodicamente.
Il momento era arrivato.
Queenie, vai ad aprire. Sono ore che aspetto il nostro ospite.”

Albus aveva passato una notte in bianco, girandosi e rigirandosi nel letto fino all'alba, stringendo tra le mani il taccuino di Gellert e sentendosi soffocare dalle pareti di quella minuscola stanza impolverata.
Finalmente era riuscito a scivolare nel sonno ma era passata appena un'ora prima che si risvegliasse di colpo, con gli occhi lucidi di lacrime e i visi di Kendra e Ariana ancora impressi a fuoco nella mente, convinto che se solo avesse allungato una mano avrebbe potuto toccarle, sentirle lì vicino a lui.
Invece Kendra e Ariana erano svanite come fragile fumo tra le sue dita. Morte, perse per sempre sotto il gelido suolo del cimitero di Godric's Hollow, non torneranno non torneranno non torneranno mai più a meno che...
I rimasugli di quel sogno avevano continuato a tormentarlo per tutta la giornata, offuscandogli la mente. Le chiome dorate e l'azzurro degli occhi di Kendra e Ariana erano ovunque, come fantasmi che prendevano vita alla luce del giorno; nei capelli sciolti delle ragazze che passeggiavano sul lungosenna, nei ritratti di nobildonne venduti dai vecchi pittori nei vicoli di Montmartre, nei colori delle foglie che ricadevano al suolo, nel cielo screziato dai raggi del pallido sole d'autunno.
Possono tornare, possono tornare davvero. Potrò restituire loro la vita che meritavano.
Allo scoccare delle undici di sera, Albus non era più riuscito a trattenersi. Si era gettato addosso un mantello, era uscito a passo svelto dalla locanda e si era Smaterializzato davanti al palazzo dove si trovava l'appartamento di Gellert, incapace di controllare i brividi che gli scuotevano il corpo.
Non poteva continuare a mentire a se stesso, si era detto mentre pigiava il campanello senza alcuna esitazione.
La verità era che, nei suoi primi anni di insegnamento, aveva vissuto e amato Hogwarts come una casa, cercando di convincersi di poter essere felice lì, nel suo piccolo studio affacciato sul campo di Quidditch, dedito all'insegnamento di una materia che amava.
Ma persino Hogwarts aveva finito per annichilirlo e prosciugare le sue energie, come aveva fatto la vita a Godric's Hollow.
La ripetitività asfissiante della vita scolastica aveva rischiato di fargli perdere il senno; ogni giorno gli stessi volti, le stesse conversazioni, gli stessi corridoi, le stesse scalinate, la stessa aula, gli stessi libri di testo, le stesse lezioni programmate e gli stessi incantesimi eseguiti davanti a classi di adolescenti che un giorno avrebbero lasciato il castello e si sarebbero gettati a pieno nella vita, mentre lui continuava a marcire lì tra quelle mura che si facevano sempre più simili alle sbarre di una prigione.
Era davvero questo tutto ciò che la vita avrebbe potuto offrirgli fino alla morte? Non c'era più nessuna strada da percorrere, nessun altro scopo da perseguire?
Albus aveva compreso che non faceva parte della sua natura accontentarsi di starsene seduto dietro una scrivania e ripetere ogni giorno gli stessi identici gesti – come un attore della commedia dell'arte che ogni sera mette in scena lo stesso spettacolo e recita sempre le stesse battute – finché non avrebbe avuto i capelli bianchi e il viso deturpato dalle rughe.
Forse non desiderava più il potere, almeno non come l'aveva desiderato a diciassette anni, ma desiderava il mondo lì fuori più di qualsiasi altra cosa. Desiderava l'azione, le novità, gli imprevisti e le rivoluzioni, un proposito che desse senso alla sua esistenza.
La sua scelta non aveva niente a che vedere con l'antica passione che l'aveva unito a Gellert. Tutto ciò che Albus voleva era salvare dei ragazzi innocenti da quel dannato parassita che aveva sconvolto la vita di Ariana, riportare in vita le persone che per lui contavano più di chiunque altro al mondo.
Nel momento in cui si precipitò nel salotto, trovò Gellert che lo attendeva in piedi, le mani intrecciate dietro la schiena e la tipica espressione composta dipinta in viso.
Bentornato,” disse, chinando leggermente il capo in avanti in segno di saluto. “Sapevo che avresti fatto la scelta giusta.”
Come fai a dirlo? Non ho ancora parlato,” ribatté Albus, accennando un sorriso.
Lo leggo nei tuoi occhi. Sono sempre stato capace di leggerti, Al.”
Gellert avanzò verso di lui, lentamente, finché i loro petti non arrivarono a sfiorarsi. Ancora una volta Albus si ritrovò paralizzato da quella vicinanza. Avrebbe voluto allontanarsi, scostare la mano di Gellert che adesso si era sollevata per accarezzargli i capelli, ma non poteva, anzi, non voleva.
Non riesco a credere che tu sia di nuovo qui insieme a me, dopo tutto questo tempo,” mormorò Gellert, le labbra a un soffio al suo orecchio.
Albus sentì le sue resistenze liquefarsi al suono suadente di quella voce. Ogni barlume di raziocinio finì a brandelli tra le fauci dell'istinto, quando Gellert avvicinò il viso al suo e lo baciò.
Gli erano mancate le sue labbra, gli erano mancate terribilmente. Vi si aggrappò, mordendole, facendovi scorrere sopra la lingua, mentre le mani di Gellert gli strappavano via il mantello e si infilavano sotto la sua camicia, artigliandogli la pelle nuda.
Uno sprazzo di ragione fece di colpo capolino nella sua mente offuscata. Albus trasse un profondo respiro e si scostò, scuotendo la testa e poggiando le mani sul petto di Gellert per sospingerlo leggermente via.
Non credermi così ingenuo,” disse, in tono fermo ma privo di rabbia. “Non sono tornato qui per questo, lo sai.”
In tutta risposta, l'altro si strinse nelle spalle e ridacchiò.
A volte non c'è niente di male nel lasciarsi andare alle vecchie passioni.”
Certo. Così come a volte è una buona idea evitare di lasciarsi andare alle vecchie passioni.”
Saggio come sempre. Allora forse adesso ci conviene passare alle questioni serie. Dovremmo parlare del Mantello e della Pietra.”
Potrò occuparmene io quando tornerò in Inghilterra. Conosco le due famiglie che sono in possesso dei Doni. Potter e Gaunt. Due nomi piuttosto rinomati nella società inglese. Anche se, certo, i Gaunt hanno perso da tempo il loro vecchio prestigio.”
Mentre parlavano, si erano accomodati sulle poltroncine davanti al camino. Gellert recuperò il suo calice di vino e annuì, accarezzandosi il mento con le dita.
Non dovrebbe essere difficile per te trovare un modo di avvicinare le famiglie, ma sottrarre il Mantello e la Pietra...”
Non sottovalutare la mia intelligenza.”
Si scambiarono un sorriso complice e per un attimo Albus tornò all'estate dei suoi diciassette anni, al salotto di Bathilda Bath illuminato dalle luci flebili delle candele, alle bottiglie di Idromele che lui e Gellert amavano consumare mentre sfogliavano libri e parlavano della ricerca dei Doni. Adesso l'oro e il fuoco delle loro chiome s'erano ammantati di grigio, i loro visi portavano il peso dei segni dell'età e quelle che un tempo erano state folli utopie adolescenziali si stavano concretizzando tra le loro mani.
Eppure, proprio come allora, il sapore di Gellert bruciava ancora sulle sue labbra, pensò Albus mentre afferrava il calice che l'altro gli stava offrendo e finiva il vino tutto d'un sorso.
Fu nel sapore inebriante dell'alcol che perì il suo ultimo brandello di rimpianto per la scelta che aveva compiuto. Prese quel rimpianto e lo relegò in un cassetto polveroso della sua mente, lì dove un tempo era stato costretto a rinchiudere i suoi sogni. Sogni che adesso erano liberi di prendere forma alla luce del sole – o nel buio di una notte parigina, illuminati dalle luci soffuse dei candelabri alle pareti e delle braci morenti nel camino.

Quando Albus era tornato dall'Inghilterra con il Mantello dell'Invisibilità e la Pietra della Resurrezione tra le mani, il primo istinto di Gellert era stato quello di chiudersi nella sua stanza con i Doni – i tre Doni, finalmente riuniti – e gioire di quella vittoria agognata per una vita intera.
Poi aveva incrociato gli occhi di Albus e un nuovo istinto aveva preso forma in lui, lo stesso istinto che l'aveva spinto a baciarlo la sera in cui si erano ricongiunti – si era reso conto che quelle labbra gli erano mancate, più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Finalmente ce l'abbiamo fatta,” aveva mormorato, afferrando le spalle di Albus e tirandolo verso di sé, la voce venata di un entusiasmo febbrile. “Tutto grazie a te. Tutto ciò che abbiamo sempre sognato...”
Albus l'aveva zittito poggiando la bocca sulla sua, in un bacio irruente che Gellert aveva ricambiato senza esitare. Erano passati anni dall'ultima volta che si erano toccati, eppure era stato così naturale, così familiare, sospingere Albus verso la sua stanza e iniziare a spogliarlo – imprimendo morsi e baci lascivi sulla sua pelle calda – per poi sospingerlo sul letto, spalancargli le gambe e scivolare in lui.
Mio, mio, sei mio, sei sempre stato mio. Lo sarai per sempre, aveva pensato mentre serrava le mani intorno ai suoi polsi, godendo della vista delle gote di Albus infiammate dal piacere, dei suoi occhi spalancati e brucianti di gioia selvaggia.
Era ricaduto su di lui con un gemito e poi si era steso al suo fianco, allungando un braccio per attirarlo a sé. Gli aveva portato le labbra all'orecchio e aveva mormorato; “Ti ricordi quando ti dissi che insieme eravamo destinati a essere un capolavoro?”
Albus annuì, facendo scorrere delicatamente una mano sulla sua fronte sudata; entrambi stavano ricordando la stessa alba, un'alba di molti anni prima in cui si erano scambiati promesse destinate a essere infrante dalla crudeltà del destino solo per rifiorire e riprendere forma in quel presente di utopie fatte della stessa consistenza della realtà.

Mi sbagliavo. Noi siamo sempre stati un capolavoro, amore mio.”


*

Note

Il contest "All About Grindeldore" richiedeva di scrivere una storia incentrata sulla decisione di Albus di allearsi con Gellert, invece di combattere contro di lui. Il pacchetto da me scelto conteneva questi elementi

Quando: 1927 [anno in cui Albus diventa professore di Trasfigurazione a Hogwarts e in cui è ambientato tutto AF2]
Dove: Parigi
Chi: Queenie Goldstein
Prompt [Bonus]: “Maybe we got lost in translation / Maybe I asked for too much / But maybe this thing was a masterpiece / ‘Till you tore it all up”

Devo ammettere che scrivere questa storia è stata una gran bella sfida, perché non è facile rendere in modo credibile e realistico un Albus Silente che decide di allearsi con Gellert Grindelwald. (Infatti non pretendo di esserci riuscita al meglio, a voi l'ardua sentenza!)
Un Albus di mezz'età ancora sedotto dall'idea del potere e del dominio sui Babbani sarebbe stato decisamente OOC, per cui ho deciso di giocare su altri fattori. Il mio Albus è infatti follemente tentato da ciò che Gellert gli promette; la possibilità di poter riportare in vita la madre e la sorella e di perseguire una causa che appare nobile ai suoi occhi, ovvero aiutare i giovani maghi e streghe affetti dall'Obscurus a liberarsi dello stesso male che ha rovinato la vita di Ariana. (A questo proposito mi sono ispirata alla celebre teoria secondo la quale Ariana sarebbe un Obscurus, proprio come Credence.) Ho anche immaginato un Albus ormai stanco di vivere una routine scolastica sempre uguale che non può accontentare il suo naturale desiderio di vivere a pieno la vita, di conoscere il mondo e fare esperienze.
Ho cercato di rappresentare il lato astuto e manipolatore della personalità di Gellert, che è disposto a concedere ad Albus ciò che gli ha promesso pur di portarlo dalla sua parte, convincerlo della correttezza e della moralità dei suoi ideali. Ovviamente non poteva mancare la componente romantica, tra l'altro richiesta anche dal bando del contest; mi è sempre piaciuta l'idea di un Gellert freddo e cinico che ha imparato a considerare i sentimenti come una debolezza ma che, nel profondo, non può fare a meno di provare ancora qualcosa per Albus. Il suo atteggiamento è ambivalente; prevale l'intento di manipolazione ma c'è anche un fondo di amore sincero, sebbene lui sia troppo accecato dal suo cinismo per rendersene chiaramente conto.
Ammetto che è passato molto tempo dall'ultima volta che ho visto il film "Animali Fantastici - I Crimini di Grindelwald", quindi forse alcuni dettagli di questa storia non sono fedeli al cento per cento alla trama del film. Spero comunque di essere riuscita a dipingere un quadro credibile della situazione e a rendere IC i personaggi!
A questo punto mi concedo di farmi un po' di spam. Mentre lavoravo a questa storia non ho potuto fare a meno di ripensare a una flash Grindeldore che ho scritto un paio di mesi fa, in cui un giovane Gellert promette ad Albus che loro due, insieme, sono destinati a "essere un capolavoro." (Ancora non avevo iniziato a scrivere questa storia, per cui non sono stata influenzata dal prompt del pacchetto!) Ho quindi cercato di inserire dei riferimenti ai contenuti della flash come se fosse una sorta di missing moment di questa storia. Se vi interessa potete trovarla qui :) https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3967612 
Ringrazio in anticipo chiunque deciderà di lasciare una recensione!
   
 
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