Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Spoocky    16/03/2021    4 recensioni
Erwin Smith è stato arrestato e condannato a morte durante la congiura contro il falso re Fritz. Solo l'intervento all'ultimo del Corpo di Guarnigione lo ha salvato.
Levi Ackerman si prende cura di lui dopo questa ennesima umiliazione.
La storia partecipa all'Easter Advent Calendar del gruppo "Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction".
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: i personaggi appartengono agli aventi diritto.
Questo racconto è stato scritto esclusivamente per piacere mio e, spero, di chi legge ASSOLUTAMENTE non a scopo di lucro.
E' la mia prima incursione in questo fandom, spero sia gradita.
Buona Lettura ^^


Levi non avrebbe mai creduto di vedere Erwin così fragile, solo. Esposto.
Costretto ad inginocchiarsi di fronte al tiranno, con un labbro spaccato ed il viso gonfio per le botte.
Era così debole che dovettero aiutarlo ad alzarsi e, quando gli sfilarono la manetta, il polso era arrossato.
L’uomo che portava sulle spalle il peso della speranza di tutta quell’umanità che gli avrebbe messo volentieri un cappio al collo, se non fosse intervenuto il Corpo di Guarnigione a salvarlo.
E, nonostante tutto, si era messo in sella senza un lamento ed era accorso a salvare Eren e Historia dalle grinfie di Rod Reiss.

Quella sera erano tutti troppo scossi per prestargli attenzione, ma Levi s’accorse che zoppicava quando scese da cavallo.
Conoscendolo, sapeva che non si sarebbe rivolto ai medici del Corpo per dare la precedenza ai soldati feriti e per via del suo complesso d’autocommiserazione che lo portava a pensare di dover subire tutto il dolore da solo per espiare il suo senso di colpa. Quello stesso senso di colpa che lo portava a chinare il capo per la vergogna e a sopportare in silenzio le sassate ogni volta che rientrava da una missione.
Sapendo che non sarebbe riuscito a farlo ragionare, Levi decise di ricorrere ai metodi dell’Underground.
Si mise a pedinarlo senza farsi notare.
Almeno, così credeva.

Arrivato alla porta della sua stanza, Erwin si bloccò di colpo e, senza voltarsi, disse: “Già che sei qui, ti va una tazza di tè?”
“Risparmiati il sarcasmo, vecchio idiota.” Cercò di non sembrare sorpreso “Non sarei qui se fossi capace di prenderti cura di te stesso come si deve.”
Levi poteva percepire, senza vederlo, il sorriso che tirava le labbra del comandante mentre gli faceva strada verso l’interno.
L’alloggio del comandante era spartano: un locale adibito a salotto, con un divano e due poltrone attorno ad un tavolino, comunicava direttamente con la cucina, mentre due porte sulla destra separavano il bagno e la camera da letto dalla zona giorno.

Appena Levi si chiuse la porta alle spalle, Erwin smise di essere il comandante e tornò un semplice essere umano. Le spalle gli crollarono mentre abbandonava la postura rigida che lo contraddistingueva di solito e si sfilava il mantello di dosso con un gesto fluido del braccio per deporlo sullo schienale della sedia. Il movimento gli provocò un sussulto di dolore che non sfuggì allo sguardo allenato di Levi, che però si guardò bene dal sottolinearlo per non attribuirgli debolezza più di quanta Erwin ne riconoscesse in sé stesso.
“Metti su l’acqua per il tè.” Si limitò a dire, senza far trasparire alcuna emozione dal suo tono “Io ti preparo un bagno caldo.”
“Non sei costretto a…”
“Sei sudicio. In prigione ti sei letteralmente rotolato nella merda: devi lavarti.” E girò i tacchi, dichiarando chiusa la questione.
 


Quando l’acqua nella vasca raggiunse una temperatura soddisfacente, Levi tornò in cucina a prendere Erwin. Aveva immaginato di doverlo costringere o di trascinarlo con la forza ma, quando lo rivide, si rese conto di non dover ricorrere a simili espedienti: il comandante doveva essere esausto, perché era accasciato su una sedia in maniche di camicia. Era riuscito in qualche modo a togliersi l’imbrago, ma anche quella routine quotidiana doveva aver prosciugato le sue forze, perché non aveva finito di spogliarsi, tantomeno aveva messo a bollire l’acqua per il tè.

Senza dire una parola, il capitano lo prese per il gomito e lo aiutò ad alzarsi, passandogli un braccio dietro la schiena quando s’accorse che le ginocchia gli tremavano.
Nel farlo, si rese conto di poter tastare le costole del comandante sotto la camicia leggera e dovette inghiottire amaro. Da quanto non faceva un pasto decente? Dal momento dell’arresto o addirittura prima?
Scuotendo il capo per scacciare quei pensieri, il giovane si risolse a condurre l’amico in bagno, dove lo fece accomodare su uno sgabello mentre lo aiutava a spogliarsi.

Dopo anni trascorsi fianco a fianco, rischiando la vita giorno dopo giorno e condividendo tutto, più spesso che non in un ambiente ostile, ormai tra i due non vi era imbarazzo di sorta ed il comandante era talmente sfinito da lasciarlo fare senza battere ciglio.
Man mano che la camicia gli scivolava addosso, il corpo di Erwin si rivelava un affresco di ecchimosi in vari stadi di guarigione e, da come stava seduto, si capiva che doveva avere alcune costole incrinate. Lo definivano “la speranza dell’umanità” ma non si erano fatti problemi a calcare la mano mentre non poteva difendersi.
Nel prenderlo per mano per aiutarlo ad alzarsi, Levi si accorse che aveva il polso scorticato e segnato da piccole piaghe. E non avrebbe potuto essere altrimenti, dato che negli ultimi giorni la manetta aveva sorretto tutto il suo peso.
Il capitano non disse una parola mentre sorreggeva Smith e lo aiutava ad accomodarsi nella vasca.
Erwin teneva gli occhi bassi e lo lasciò fare mentre gli insaponava la schiena e le spalle, strofinandolo con l’accortezza di non provocargli dolore.
“Ce la fai a fare il resto?” gli domandò passandogli il sapone.
Senza alzare lo sguardo, Erwin annuì e prese a lavarsi il resto del corpo mentre Levi gli sfregava la schiena e le spalle, usando particolare delicatezza sul moncone del braccio destro, per non irritare la cicatrice.
Per ultimo, il capitano gli insaponò i capelli e fregò vigorosamente sul cuoio capelluto con le dita, grattando via sporcizia, sudore e sangue rappreso. Infine gli prese il mento nel palmo e gli fece piegare la testa all’indietro mentre gli sciacquava i capelli.
Iniziò a far defluire lo scarico della vasca mentre gli versava addosso acqua calda per risciacquarlo.
“Ce la fai?” gli chiese di nuovo, memore del fatto che tendeva a scivolare sul bagnato senza l’apporto del braccio destro per mantenere l’equilibrio.
Smith annuì ma tese comunque la mano in direzione di Levi, che lo aiutò a tirarsi in piedi e ad uscire dalla vasca.
Lo avvolse in un asciugamano e gli porse una maglia e delle mutande pulite: “Vestiti. Io vado a preparare il tè.”
 


L’acqua ormai bolliva ma di Erwin non c’era traccia.
Con uno sbuffo d’irritazione, Ackerman si risolse a recuperarlo. Lo trovò seduto sullo sgabello dove lo aveva lasciato, a capo chino e scosso da un tremito leggero.
“Ohi, ohi, ohi, vecchio! Così non va bene.” Lo squadrò da capo a piedi con occhio critico “Almeno ti sei infilato le mutande. E’ già qualcosa.”
Non ricevendo risposta, però, venne sopraffatto dalla preoccupazione e si chinò davanti a lui: “Che c’è? Ti senti male? Non ti sarà mica venuta la febbre.” Gli posò il palmo sulla fronte, ma la trovò fin troppo fredda “Strano. Di solito è quello che capita a rotolarsi nella merda.”
Erwin emise una sorta di risata nasale, ma subito si piegò in due, stringendo i denti per il dolore.
Levi lo sorresse per le spalle e gli sfiorò il torace, cercando di capire se ci fossero delle ossa rotte. Non trovandone, si rilassò un poco: “Aspettami qui: prendo le bende.”

Tornò poco dopo, con garze, fasce e disinfettante.
Erwin strinse i denti e sibilò per il dolore, ma non disse una parola mentre Levi gli tamponava le ferite con il cotone. Sopportò con pazienza che lo manipolasse per avvolgergli il torace con garze e bende ma non riuscì a guardarlo negli occhi mentre faceva lo stesso con il suo polso lacerato dalle catene.
Il capitano digrignò i denti mentre nel cuore gli montava una rabbia feroce nei confronti degli uomini che avevano trattato il suo comandante in quel modo indegno, esponendolo al ludibrio del popolo come feccia.
Ancora una volta, Smith parve avergli letto nel pensiero, perché le sue dita si contrassero sul polso di Ackerman: “Lascia perdere. Non ne vale la pena.”
Levi avrebbe voluto ribattere ma l’altro lo interruppe: “Per favore. Lasciamo cadere la cosa: sono troppo stanco. E’ finita come volevamo, mi basta questo.”
“Come vuoi, vecchio idiota. Basta che finisci di vestirti: è ora di andare a letto.”

Erwin gli dedicò un sorriso stanco, che doveva avergli fatto male con il labbro così ferito anche se non lo fece notare, ma obbedì senza discutere.
Levi lo aiutò a distendersi con i cuscini dietro la schiena, per sorreggere le costole danneggiate, e si assicurò che fosse sistemato a dovere prima di tornare in cucina.

La dispensa di Erwin era, come il resto dell’appartamento, ridotta all’essenziale. Il capitano però sapeva esattamente dove trovare quello che stava cercando, perché era stato lui a procurarlo.
Dovette arrampicarsi su una sedia per arrivarci, ma alla fine riuscì a recuperare la scatoletta di latta che aveva imboscato in un angolo.
Aprendola, si ritrovò ad inspirare lo squisito profumo di erbe di una miscela artigianale che aveva acquistato in un negozietto di Trost. Nessuno degli ingredienti era particolarmente pregiato ma lui ed Hange avevano scoperto che era l’unico rimedio efficace per i dolori lancinanti che trafiggevano il braccio destro di Erwin. Se n’erano accorti mentre era ancora ricoverato e, da allora, ne tenevano sempre una piccola scorta a portata di mano.
Il capitano dosò con attenzione la miscela e la mise in infusione prima di allestire un vassoio e portarlo in camera da letto.

Come immaginava, Erwin aveva già iniziato a crollare per la stanchezza, adagiato sui guanciali e le palpebre semichiuse, ma si risollevò appena lo vide arrivare.
Ackerman gli porse la sua tazza ed iniziò a sorseggiare la propria, rispettando il silenzio dell’altro. Non c’era bisogno di intavolare conversazioni: ormai per loro era sufficiente sentirsi respirare l’un l’altro per provare sollievo dalle proprie angosce.
Solo chi vive sempre sul filo del rasoio riesce ad apprezzare tanto le semplici, scontate, piccolezze della quotidianità.

L’infuso aveva anche un leggero effetto sedativo e, una volta arrivato al fondo della tazza, Erwin venne sopraffatto dal sonno. Con le palpebre pesanti, riuscì a passare il recipiente a Levi prima di crollare sui cuscini, del tutto esausto.
Il capitano era convinto che si fosse addormentato e quasi sobbalzò quando lo sentì sussurrare: “Levi?”
“Che vuoi?”
“Grazie.”
A volte una parola è tutto ciò che basta ad esporre il cuore di un uomo.
 
- The End -
  
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