La porta della stanza si aprì e, d’impeto, entrò Sandokan. – Mi spieghi che cosa ti è successo? Quando hai ricevuto quella lettera, sei sbiancato come un lenzuolo e ti sei allontanato di gran carriera. – osservò il rajà, perplesso. Quando Sambliong gli aveva dato quella missiva, il suo amico era impallidito e si era allontanato, sotto i loro sguardi perplessi. Yanez non rispose e il suo sguardo si posò sulla missiva, poi sul camino, nel quale ardeva il fuoco. Le fiamme si alzarono e illuminarono il suo volto d’un debole riflesso dorato. Voleva bene a Sandokan, ma un distorto pudore serrava le sue labbra. Pur essendo cosciente dell’assurdità dei suoi sentimenti, non riusciva a liberarsi dalle catene di quel senso di colpa, a lungo occultato. Quella missiva aveva fatto riemergere emozioni e pensieri a lungo dimenticati. – Niente. Non è accaduto niente. – mormorò Yanez, il tono apparentemente convinto. Sandokan scosse la testa e gli appoggiò le mani sugli avambracci. No, le parole dell’amico non lo convincevano. Qualcosa lo tormentava ed era legato a quella missiva. – Non dire stupidaggini, fratellino. Questa lettera ti ha sconvolto. Perché? Che succede? – chiese il malese, deciso. Avevano riconquistato il regno del Kiltar e la pace regnava da tre anni, ma quel repentino mutamento d’umore del suo amico turbava il suo cuore. Gli dispiaceva vederlo così angosciato e triste. Yanez, ostinato, fissò il fuoco. Non voleva fissare Sandokan negli occhi, perché, sotto il suo sguardo verde, si sentiva nudo e privo di difese. Non poteva mentire davanti a lui. Forse, se avesse parlato, si sarebbe sentito meglio, ma una assurda vergogna serrava la sua bocca. – Yanez… Per favore, dimmi che succede. Non voglio vederti così preoccupato, senza poterti aiutare. Sei pur sempre il mio fratellino. – dichiarò Sandokan, il tono premuroso. Il suo amico continuava a fissare lo sguardo sul fuoco, quasi provasse vergogna. Ma quale era la ragione di quel sentimento? Il carattere del suo migliore amico, per quanto irto di sarcasmo e ironia, era gentile ed eroico e non comprendeva le cause di quel silenzio. Yanez sospirò, colpito dalle parole di Sandokan, si girò e consegnò la missiva. – Leggi. – gli disse, atono.
Sandokan iniziò a scorrere il foglio. Tante cose, prima oscure, erano illuminate dalla luce della verità. Yanez era stato condannato a sopportare i pregiudizi della sua gente, a causa delle sue origini illegittime. E la sua famiglia d’origine chiedeva il suo ritorno in Portogallo e la piena assunzione del suo titolo. – Che cosa pensi di fare, Yanez? – domandò Sandokan, serio. La possibilità d’una separazione riempiva il suo cuore di angoscia. Amava il suo migliore amico d’un affetto smisurato e non voleva perderlo. Ne era sicuro, la sua vita sarebbe stata grigia senza la presenza di Yanez e del suo ferreo sarcasmo. Con la sua partenza, avrebbe perduto una parte del suo cuore, ma non poteva impedirgli di essere felice. Lui meritava più di tanti altri quell’inaspettato cambiamento della fortuna. Yanez girò la testa e i suoi occhi cerulei si specchiarono nelle iridi di giada dell’amico. – Niente. – rispose poi, il tono deciso, fermo, risoluto. Sandokan sbarrò gli occhi e lo fissò, confuso, seppur speranzoso. – Perché? Se tu tornassi in Portogallo, potresti avere quello che ti è stato negato… Te lo meriti, dato che la sorte è stata ingiusta con te. Hai tutto il diritto di reclamare quello che ti spetta. – obiettò Sandokan, il tono apparentemente calmo. Yanez, gentile, gli posò un dito sulle labbra e lo costrinse a tacere. Gli occhi d’acquamarina dell’europeo si riempirono di lacrime e un debole singhiozzo strinse il suo petto. Sandokan aveva conosciuto la verità sulle sue origini e non lo aveva dileggiato o disprezzato. Anzi, pur da una prospettiva errata, si era preoccupato del suo benessere e, pur soffrendo per una sua eventuale partenza, lo aveva incoraggiato a tornare nella sua terra. Il suo affetto per lui andava oltre i tanto celebrati legami di sangue. Di fronte ad una tale prova, la scelta era limpida e priva di qualsiasi ambiguità. – Non è vero. Tutto quello di cui ho bisogno è qui. Quelle persone, per me, sono estranee. Antonio de Gomera non è mio padre e per me la sua purissima stirpe può andarsene all’Inferno. – cominciò. I ricordi di quell’infanzia negata si dispiegavano davanti ai suoi occhi… Con che diritto quell’uomo, tronfio della sua stirpe, osava chiedergli di sacrificare la sua vera famiglia? – Io sto bene qui. La mia famiglia siete voi. Tu, Marianna, Tremal Naik, Kammamuri e il resto dei tigrotti. E anche Paco. Voi mi volete bene, nonostante il mio carattere impossibile. La famiglia de Gomera, da tanto, troppo tempo non ha nulla a che fare con me. – spiegò. – Certo, avrei le loro ricchezze e il loro titolo, ma sarei sempre il bastardo nato fuori dal matrimonio. Ricordo molto bene i loro sguardi, quando lavoravo come servo dei miei fratellastri. E Antonio de Gomera non esiterebbe a farmi sposare con una vuota nobildonna, solo per portare avanti il nome. E io non voglio. Non voglio lasciarmi scappare una donna come Surama. Sarei proprio un idiota e non lo sono. Almeno, non fino a questo punto. – concluse. Poi, con un gesto deciso, gettò il foglio nel camino e le fiamme, con un debole crepitio, cominciarono ad aggredire la carta.. Sandokan, rassicurato, colmò la distanza tra di loro e lo strinse tra le sue braccia. – E’ bello sentirti dire queste parole, amico mio. – mormorò, felice, mentre le fiamme consumavano la lettera e la trasformavano in cenere nera.
P.S.: allora, nella serie italiana di Sandokan, per vie traverse, sappiamo che Yanez è di origini aristocratiche. (da come si comporta, sembra uno con un passato tragico e incline all’insicurezza) Ho immaginato per lui un passato di figlio illegittimo (penso sia plausibile), pieno di maltrattamenti e discriminazione. Ho provato anche a dare un nome a sua nonna.