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Autore: marla_singer93    17/03/2021    2 recensioni
Renji e Rukia non si sono rivolti la parola per quarant'anni. Dopo la scampata esecuzione di Rukia, i due tornano a far parte l'uno della vita dell'altra, e cominciano a riavvicinarsi lentamente...
Una storia che esplora ed approfondisce l'evolversi del rapporto tra Renji e Rukia lungo il corso di tutta la storia di Bleach.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchiki Rukia, Renji Abarai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

 

 

Erano le ore 8 di venerdì sera. Rukia si trovava nelle sue stanze di Villa Kuchiki e guardava assorta il suo guardaroba.

 

Doveva vedere Renji quella sera. Gli aveva proposto lei di uscire a bere qualcosa, “per parlare” aveva detto, ma adesso improvvisamente le sembrava una pessima idea. Innanzitutto, Rukia non usciva a bere. Mai. Tanto meno alla sera. Tipicamente passava le sue giornate presso la Tredicesima compagnia, e la sera, se non era assegnata a qualche missione, si ritirava nella solitudine della sua grande casa. Più in generale, Rukia non usciva mai con nessuno. Pertanto, l’idea di un’uscita a due, per di più con un suo ex amico ripiombato dal nulla nella sua vita, la metteva alquanto a disagio.

 

Non era una creatura sociale. Gli unici tempi nei quali ricordava di essere stata socievole, aperta e spensierata erano durante la sua infanzia a Inuzuri. Era sfrontata e dispettosa, si faceva rispettare e sapeva il fatto suo, ma stringeva facilmente amicizia con tutti, e tutti le volevano bene. Le cose erano cambiate una volta entrata in Accademia. Il susseguirsi dei lutti dovuti alla morte dei suoi amici d’infanzia l’aveva resa via via sempre più insensibile e distante nei confronti delle altre persone. Inoltre, quell’ambiente totalmente nuovo le sembrava del tutto distante dalla realtà delle strade nelle quali era cresciuta. Non riusciva ad integrarsi ed evitava di stringere amicizia con i suoi compagni.


Dal giorno della sua adozione le cose erano ulteriormente peggiorate. L’ingresso nel Casato Kuchiki la catapultò in un mondo di freddezza, rigidità, etichetta e buone maniere. Il fatto di non possedere sangue nobile attirava su di lei continui sguardi di disapprovazione e alimentava le maldicenze nei suoi confronti. Ma allo stesso tempo, il fatto di appartenere a una famiglia nobile faceva che sì che i suoi compagni di Divisione la trattassero con distacco e con un certo timore reverenziale. Tutto ciò contribuì a farla chiudere ancora di più in sé stessa, e più lei si chiudeva più i suoi compagni si tenevano alla larga. All’interno della Tredicesima, dunque, si limitava a intrattenere rapporti di cortesia e ad essere educata con tutti. Ma non aveva mai stretto amicizia con nessuno, e quando gli altri shinigami uscivano assieme per delle serate amichevoli dopo una giornata di lavoro, declinava gentilmente l’offerta di unirsi a loro, finché non smisero del tutto di invitarla.

 

L’unica eccezione a tutto ciò poteva dirsi il suo rapporto con il capitano Ukitake. Il capitano era stato sempre estremamente gentile nei suoi confronti. Le si rivolgeva con cortesia e amichevolezza, e in qualche modo sembrava in grado leggere nelle profondità del suo animo, e scorgere chiaramente la sua solitudine e il suo isolamento. Si sentiva capita in sua presenza. Ukitake non le rivolgeva né gli sguardi pietosi e di superiorità che le riservavano gli altri nobili, né la trattava diversamente e con distacco come facevano i suoi compagni. Agli occhi di Rukia, era la cosa più vicina che avesse mai avuto a una figura paterna.

 

E poi c’era stato Kaien. Kaien era stato una boccata di aria fresca, la ventata di normalità che tanto disperatamente agognava. Le opprimenti mura della Villa Kuchiki, le gelide parole di suo fratello, la freddezza dei suoi compagni di squadra… era arrivata al punto di sentirsi totalmente nauseata, smarrita, isolata all’interno di una bolla nera dalla quale urlava disperatamente senza che nessuno la sentisse dall’esterno. Kaien l’aveva afferrata per un braccio e strattonata fuori di lì. L’aveva fatta riemergere dai meandri della sua solitudine e aveva riportato un po’ di calore nel gelo del suo cuore.

 

Kaien-dono

 

Scosse la testa per allontanare i ricordi che andavano riemergendo, e tornò a concentrare l’attenzione sul suo guardaroba. Fece scorrere la mano sui i capi d’abbigliamento ordinatamente appesi. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto mettere. Era un’occasione informale, giusto? Non c’era bisogno che scegliesse nulla di troppo elegante. E non doveva certamente preoccuparsi di sembrare carina. Perché ci stava mettendo tanto? Spazientita, sospirò rumorosamente e afferrò a caso uno yukata. Era blu scuro con delle semplici decorazioni floreali bianche e un obi rosso a contrasto. Lo indossò velocemente e si sedette al suo tavolo da toeletta. Si spazzolò i capelli guardandosi allo specchio e pensò che prima o poi avrebbe dovuto tagliarli. Sospirò un’ultima volta guardando la sua immagine riflessa, e uscì di casa.

 

Era una serata piacevole, e nell’aria si respirava il tipico profumo delle serate estive. Era buio da poco ma le strade del Seireitei brulicavano già di persone, illuminate dal susseguirsi di chioschi e locali. Vide Renji da lontano aspettarla nella piazza principale, standosene in piedi a braccia incrociate.

 

“Oi!”, fece Rukia avvicinandosi e salutando con la mano.

 

Sentendola arrivare, Renji si voltò nella sua direzione: “Oi, Rukia.” Indossava una bandana bianca intorno al capo e un semplice kinagashi verde salvia con un obi marrone.

 

“Aspetti da tanto?”, chiese Rukia leggermente in imbarazzo.

 

“No, sono qui da poco”, rispose Renji.

 

“Allora, dove andiamo?”, chiese Rukia.

 

“Conosco un locale qui vicino, si beve e si mangia bene”

 

“Bene, aggiudicato allora!” disse Rukia sorridendo.

 

Si incamminarono per le strade affollate, chiacchierando di banalità come la giornata appena trascorsa per evitare silenzi imbarazzanti. Rukia dovette trotterellargli accanto per stare al passo delle sue lunghe falcate. Le faceva strano camminare al suo fianco e dover levare lo sguardo dal basso verso l’alto per potergli parlare. Standogli vicino poteva sentire un profumo di fresco e di pulito provenire dai suoi abiti e dalla sua pelle, e quella vicinanza la faceva sentire un po’ a disagio. L’ultima volta che avevano camminato per strada l’uno accanto all’altra era probabilmente ai tempi di Inuzuri. Già ai tempi dell’Accademia c’erano state sempre meno occasioni di stare insieme, visto il susseguirsi di impegni scolastici e la loro appartenenza a classi diverse.

 

Arrivarono all’ingresso di un izakaya piuttosto affollato, ma trovarono comunque posto a sedere per due persone. Entrando, Renji salutò amichevolmente i dipendenti e alcuni dei clienti, mentre Rukia si limitò a chinare educatamente il capo con un sorriso timido, distogliendo in fretta lo sguardo. Non era mai stata in un posto del genere. Era chiassoso, la gente era rumorosa e stava ammassata stretta ai tavoli, i camerieri correvano affannati da una parte all’altra portando vassoi stracolmi di bevande e tenendo in bilico piatti fumanti di invitanti pietanze. Le luci calde del locale contribuivano a rendere l’ambiente conviviale e alla mano.

 

Un giovane cameriere indaffarato li fece accomodare a un piccolo tavolino contro una parete. Si sedettero l’uno di fronte all’altra e diedero un’occhiata ai menù. Renji ordinò una birra e degli yakitori, mentre Rukia del semplice tè freddo. Mentre attendevano l’arrivo dell’ordine, Rukia si guardava curiosamente intorno, soffermandosi a osservare vari cartelli e decorazioni appesi alle pareti.

 

“Niente alcol?” chiese Renji.

 

“Non bevo mai alcol,” rispose Rukia.

 

“Non è esattamente quello che ricordavo...” continuò Renji sogghignando.

 

Rukia fece per controbattere ma venne interrotta dall’arrivo del cameriere. Il giovane posò velocemente sul tavolo un enorme boccale di birra fredda, facendo traboccare un po’ di schiuma, un bicchiere di tè freddo, un piatto di profumatissimi yakitori e un piattino di edamame da poter stuzzicare.

 

Renji si avventò per prima cosa sugli yakitori. Ne addentò uno e fece una teatrale espressione

di appagamento. “Non ne mangio da un sacco di tempo… questi in particolare sono ottimi...”

 

Mentre Renji continuava a parlare e a divorare avidamente i suoi yakitori, Rukia si soffermò ad osservarlo. Non lo guardava così attentamente e da vicino da parecchio tempo. Durante la fuga dal Sokyoku era rimasta per la maggior parte del tempo spiaccicata contro il suo petto, mentre durante le visite in prigione studiare le fattezze di Renji non era stata esattamente la sua priorità. Formulare quel pensiero la metteva alquanto a disagio, ma doveva ammettere che Renji era molto bello.

 

Era alto, e aveva delle spalle enormi. Sembrava ci stessero a malapena nel suo kimono maschile. Quand’erano piccoli, Renji non era molto più alto di lei. Ma quando fece ingresso nell’età dello sviluppo, crebbe a dismisura nel giro di un ridicolo ammontare di tempo. Il petto e le spalle gli si allargarono all’improvviso, facendolo diventare una specie di armadio a due ante, il suo viso perse la morbidezza dell’infanzia e la mascella gli divenne squadrata e virile. Anche la sua voce perse la tonalità da fanciullo e divenne incredibilmente profonda e leggermente roca. Rukia, invece, crescendo mantenne pressoché immutato il suo viso da ragazzina, crebbe di una spanna a dire tanto, sviluppò un seno ridicolo e una quasi totale assenza di fianchi.

 

Ricordava bene la sua frustrazione nel vedere il suo amico diventare alto e forte mentre lei rimaneva piccola e gracile. Ma il repentino mutamento dell’aspetto di Renji non solo la faceva sentire piccola e sminuita in sua presenza. L’improvviso esplodere della sua virilità aveva fatto sì che Rukia iniziasse a sentire una strana attrazione nei suoi confronti. Ricordava molto bene come, i primi tempi, posare lo sguardo sul suo ampio petto e sui muscoli del suo corpo la facesse improvvisamente avvampare e sentire in imbarazzo.

 

Quando erano più piccoli, erano soliti dormire vicini, schiena contro schiena, per ripararsi dal freddo. Smise immediatamente di farlo al primo comparire di quegli strani sintomi. La vicinanza dei loro corpi durante la notte aveva smesso di essere una cosa innocente. Nonostante non fosse mutata molto nell’aspetto, Rukia era comunque diventata una giovane donna, e sentiva in lei l’emergere di pulsioni e sensazioni sconosciute fino a quel momento. Non potendo permettere che nulla di tutto ciò emergesse nei confronti di Renji, cercò di correre ai ripari al più presto. Si creò il suo giaciglio in un angolino il più lontano possibile da lui, e si impegnò fortemente a tenere lontana dalla sua mente l’allettante immagine del suo corpo. Alla fine i sintomi scomparvero.


Continuava a osservarlo paragonandolo all’immagine passata che aveva di lui, e le sembrò che col passare del tempo si fosse ingrandito ancora di più, perché le sue spalle gli sembravano più muscolose di quanto ricordasse. Probabilmente era a causa dei continui allenamenti. Ogni volta che aveva avuto occasione di vederlo combattere, Renji sembrava sempre più forte.

 

Fece scendere il suo sguardo sull’apertura del suo kimono e si soffermò sul suo petto, dove poté intravedere alcuni tatuaggi che continuavano al di sotto degli indumenti, ma che non aveva mai visto per intero. Fece vagare lo sguardo sulle braccia scolpite e ben definite, poi risalì al collo e ai segni tribali tatuati ai loro lati. Quanti tatuaggi aveva? Il viso non era cambiato molto da come lo ricordava, ma valutò che forse i suoi lineamenti si erano induriti ancora un po’. Fece scorrere gli occhi sulla linea imponente della sua mascella, le labbra sottili, il naso lungo e stretto e gli occhi intensi e profondi...

 

“Rukia?”

“… cosa?” chiese Rukia, ridestandosi improvvisamente.

 

“Ti ho chiesto, non bevi il tuo tè?” chiese Renji.


“Sì, scusa, ero sovrappensiero...” rispose Rukia. Bevve velocemente un sorso di tè freddo, afferrò un edamame e iniziò a sbucciarlo nervosamente.

 

Renji bevve un altro sorso della sua birra e deglutì rumorosamente. “Allora… di cosa volevi parlare, esattamente?” chiese.

 

Rukia tamburellò le dita contro la superficie umida del suo bicchiere. “Non lo so. Cosa ci si dice esattamente dopo non essersi rivolti la parola per quattro decenni?” disse, suonando più aspra di quanto avesse voluto.

 

Renji alzò le sopracciglia, non si aspettava un inizio così diretto. “Wow. Beh, dimmelo tu, signorina Kuchiki. Cosa vorresti dirmi, dopo tutto questo tempo?”

 

“Scusami, io non…” cercò di trovare le parole giuste “Forse dovremmo parlare degli ultimi giorni,” suggerì Rukia.

 

“Intendi dire di Aizen?”

 

“No, intendo del tuo coinvolgimento nel mio salvataggio.”

 

“Oh. Quello.” Renji si appoggiò comodamente allo schienale della sedia e bevve un altro sorso di birra. “Beh, cosa c’è da dire? Sei salva, evviva, non sei contenta? E poi io non ho fatto molto, ringrazia piuttosto quell’Ichigo.”

 

“Lascia perdere Ichigo, Renji. Ichigo è un adolescente, è completamente sprovveduto, non aveva idea di cosa stesse facendo e non aveva niente da perdere. Ma tu, Renji, non avevi alcun obbligo nei miei confronti. Hai messo tutto a repentaglio per venire a salvarmi. Diamine, eri appena stato nominato vice-capitano! Mio Fratello mi ha raccontato tutto. Hai combattuto contro di lui per correre in mio aiuto. Sei quasi morto.”

 

“Sì, beh, cos’avrei dovuto fare, lasciarti morire senza fare niente per impedirlo?”

 

Rukia lo guardò con le labbra serrate e lo sguardo sorpreso. Bevve in tutta tranquillità un sorso del suo tè e poi appoggiò lentamente il bicchiere sul tavolo.

 

“A dire il vero, ero convinta che non vedessi l’ora di vedermi morire,” disse lentamente.

 

Renji aggrottò improvvisamente le sopracciglia, un’espressione confusa sul volto. “Di cosa diavolo stai parlando?”

 

“Beh, sei stato tu ad arrestarmi a Karakura Town,” disse Rukia asciutta.

 

Renji abbassò lo sguardo e scosse il capo. “Rukia, lo sai, stavo solo eseguendo gli ordini, ed ero al seguito di tuo fratello, non potevo certamente oppormi. E poi te l’ho detto, il fatto che siamo stati proprio noi a venire a prelevarti è stata una sorta di clemenza nei tuoi confronti...”

 

“… Naturalmente, naturalmente,” proseguì Rukia, facendo scorrere il dito sul bordo del bicchiere “eppure non ci hai pensato due volte a sfoderarmi contro Zabimaru,” disse, gelandolo con lo sguardo.

 

Renji si irrigidì “… senti, Rukia...”

 

“Era proprio necessario ferirmi?” chiese Rukia.

 

“Ti ho lasciata schivare, idiota!” sbottò Renji.

 

“E poi hai giurato che al successivo colpo mi avresti uccisa!”

 

“Era solo per provocarti!” continuò Renji visibilmente agitato.

 

“E hai tentato di strangolarmi.”

 

“… cos’è che avrei fatto?” disse Renji, confuso.

 

“Quando ho cercato di soccorrere Ichigo.”

 

“Ma quale strangolare! Stavo cercando di farti un favore…”

 

“Wow, davvero un gran favore!” lo interruppe Rukia.

 

“… cercavo di impedire un aggravamento della tua condanna per aver tentato di aiutarlo!”.

 

“Va bene, va bene, ma se non ricordo male anche in prigione mi hai augurato di morire,” proseguì Rukia in modo sprezzante.

 

L’idea iniziale di Rukia era stata quella di uscire con Renji per ringraziarlo, forse recuperare qualcosa degli anni perduti, ristabilire un contatto. Non aveva programmato di vomitargli addosso tutta quella serie di accuse. Non sapeva neanche lei da dove le fossero uscite. Era onestamente grata nei confronti di Renji per aver aiutato Ichigo a salvarla. Era commossa. Ma all’improvviso si era resa conto dell’amarezza che provava nei suoi confronti dalla notte dell’arresto.

 

Era vero, avevano interrotto ogni rapporto da tempo, lei aveva commesso un crimine e Renji stava eseguendo un ordine nel riportarla indietro. Ma se avesse dovuto fare una lista delle dieci cose che riteneva più improbabile le accadessero nella vita, tra i primi posti ci sarebbe stato sicuramente il suo amico d’infanzia sfoderare la spada contro di lei e minacciare di ucciderla, come fosse una criminale qualunque.

 

“E se ricordo bene...”, continuò Rukia.

 

“Ero fottutamente incazzato, va bene?!” sbottò Renji esasperato.

 

Calò il silenzio, e Rukia lo guardò confusa. “… eri arrabbiato? Perché?”

 

“Diamine, Rukia…,” rispose Renjii, appoggiando un gomito sul tavolo e sorreggendosi la fronte con una mano.

 

“Siamo cresciuti insieme. Siamo passati attraverso la stessa merda. Avevi tutto, tutto quello che ti meritavi. E all’improvviso ti ritrovi... senza poteri. Senza poteri, capisci? E tutto per colpa di chi? Di un perfetto sconosciuto, un misero ragazzino umano, che cercavi di proteggere a tutti i costi!”


“Renji…,” cercò di interromperlo Rukia.

 

“Pensavo fossi morta. Morta. Divorata da un fottuto hollow. E invece cosa scopriamo dopo due mesi dalla tua assenza? Che non solo non eri morta, ma che te ne stavi nascosta in mezzo agli umani, a recitare la parte di una di loro!”, disse Renji. Si sporse leggermente in avanti e la guardò a occhi stretti.

 

“E onestamente, Rukia… come credi che mi sia sentito? Pensi sia stato felice di ricevere l’ordine di riportarti indietro con la forza, e di ucciderti se necessario? Pensi sia stato felice di scortarti in gattabuia? Pensi mi facesse piacere doverti parlare dall’altra parte delle sbarre e non poter fare assolutamente nulla per te? Diamine, io…” Sospirò profondamente e abbassò lo sguardo, un sorriso amaro comparì sul suo volto.

 

“Sai, il giorno della tua partenza per la Terra è stato il giorno che venni nominato Vice-Capitano. Non appena fossi tornata dalla missione, volevo venire da te e dirtelo,” disse Renji, guardandola con un’onestà che la lasciò spiazzata.

 

Rukia lo guardò con un velo di tristezza negli occhi “… davvero?”

 

“Sì.”

 

Rukia abbassò lo sguardò e guardò le sue mani strette intorno al bicchiere.

 

“Avevo… intenzione di recuperare i contatti con te, in qualche modo,” aggiunse Renji.

 

“Avevi intenzione di ripiombare nella mia vita così all’improvviso?”

 

“Beh, mi sembra sia successo comunque, in un modo o nell’altro.”

 

“Già...” disse Rukia con un sorriso triste. Si sentì svuotata. Tutta la rabbia accumulatasi sembrava essersi dissolta e si rese conto che non si era comportata bene nei suoi confronti. Non si era presa la briga di guardare la situazione dal suo punto di vista, improvvisamente si sentiva una stupida ad essersi arrabbiata con lui.

 

“Ascolta, Rukia...”

 

“Sono contenta che tu l’abbia fatto,” lo interruppe Rukia.

 

“Che cosa?” chiese Renji.

 

“Che tu sia ripiombato nella mia vita.”

 

“Oh,” disse Renji sorpreso. Passò un momento di silenzio nel quale cercarono di trovare le parole giuste.

 

“Pensi che... potremmo essere ancora amici?” chiese Rukia.

 

Renji la osservò per un momento. “Certo”.

 

“Affare fatto allora” disse Rukia, e si scambiarono un sorriso. Entrambi tornarono a sorseggiare dai loro bicchieri.

 

“Allora… vice-capitano, eh?” chiese Rukia.

 

La discussione continuò per un paio d’ore, dopodiché uscirono dal locale. Tirava un’aria fresca, c’era ancora un po’ di gente per strada ma la maggior parte della folla si era dileguata. Renji si offrì di accompagnare Rukia fino a casa. Dopo la litigata iniziale, il resto della serata era passato in totale spensieratezza, tra chiacchiere e risate. Camminavano l’uno accanto all’altra e Rukia si sentiva molto più a suo agio rispetto a qualche ora prima. Arrivarono finalmente ai cancelli di Villa Kuchiki.


“Wow,” disse Renji, guardando le maestose mura della magione. “Mi mette sempre piuttosto in soggezione”.

 

“Ci si abitua, te lo garantisco,” rispose Rukia sorridendo. “Renji… grazie.”

 

“Per cosa?” chiese Renji sorpreso.

 

“Per la serata e… per avermi salvata. Non dovevi. Grazie.”

 

“Sciocca, ti ho già detto una volta che non devi ringraziare,” disse Renji sorridendo. “Beh, dovremmo rifarlo, se vuoi,” suggerì Renji.

 

“Salvarmi?” chiese Rukia.

 

“Ma no, intendo la serata,” rispose Renji.

 

“Oh, certo. Mi sembra un’ottima idea,” rispose Rukia”.

 

   
 
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