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Autore: SheHadTroubleWithHerself    17/03/2021    1 recensioni
Elisabetta è in perenne lotta con se stessa.
Mentre si lamenta della sua vita monotona, trema al solo pensiero di un cambiamento che possa stravolgerla.
Nella sua testa non può fidarsi di nessuno, e questo l'ha portata a chiudere diverse amicizie, ma ciò che brama di più è poter cadere sapendo che qualcuno l'afferri in tempo.
“Che cosa pensi potrebbe aiutarti a farti sentire meglio?”
“Una persona che riesca a farmi pensare che valga la pena svegliarsi ogni mattina e vivere un'altra giornata.”
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO CINQUE

 

“E da quanto non lo senti?” chiede Paola con la sua solita voce calma. La osserva con le gambe incrociate e l'agenda aperta a metà e una penna appoggiata sopra.
“Saranno passati quattro giorni, più o meno” risponde Elisabetta, sa già dove vuole andare a parare la terapeuta eppure non vuole precederla.
“Ne senti la mancanza? Comunque mi era sembrato di capire che con lui stessi bene... no?”

Passano secondi interminabili di puro silenzio, Elisabetta ha lo sguardo basso per paura di un giudizio. La sua gamba trema leggermente per via del piede che saltella, la schiena è ricurva nonostante la poltroncina ampia e confortevole.

“Come posso sentirne la mancanza? Non ho idea di chi sia, è un estraneo per me.” ribatte quasi stizzita, può leggere le parole successive alla sua risposta direttamente sulla fronte della terapeuta.
“Non gli hai dato modo di farsi conoscere, né di farti conoscere.” la voce è intrisa di dispiacere e questo fa inumidire quasi istantaneamente gli occhi della paziente.

Si morde il labbro con violenza, non riesce a sopportare che qualcuno provi pena per lei.

“Non merita di affondare per colpa mia. Ha pensato che seguire uno stupido programma gli desse il diritto di sapere qualcosa su di me e ha pensato di curarmi.” sente caldo improvvisamente, quasi una rabbia che le monta dentro e che fa scorrere litri di lava bollente nelle vene. Sente il bisogno di ribaltare qualsiasi oggetto davanti a lei, di urlare, ma l'unica cosa che riesce davvero a fare è curvare ulteriormente la schiena e torturarsi, come da routine, le pellicine attorno alle dita delle mani.
“Non ho fatto altro che accelerare i tempi, si sarebbe allontanato comunque.”

 

La seduta termina poi in poche battute e poche volte Elisabetta si è sentita sconfitta uscendo da quell'ufficio. Forse la cosa che più la rende triste è vedere segni di rassegnazione sul viso di colei che dovrebbe aiutarla. A volte si chiede come faccia a mantenere la calma, ad avere così tanta pazienza nel sentire sempre le stesse frasi, le stesse paranoie e avere comunque la voglia di trovare una soluzione.
Non sa per quale motivo si aspetta di trovarlo sotto casa di nuovo, dopo tutto ciò che è successo sarebbe fin troppo strano. Eppure una nota di delusione si aggiunge al suo stato d'animo quando non la strada libera e nessuno ad aspettarla.

La casa è vuota al suo ritorno se non si conta il gatto che prontamente struscia la piccola testa sulla sua gamba e le impedisce di muoversi facendo zigzag tra i piedi.
Perde parecchi minuti davanti alla home di ogni social network esistente sul suo telefono, sprofondando sempre più nel divano, e ogni tanto ha la tentazione di mandargli un messaggio. Magari delle scuse, o un semplice saluto. E' vero che non gli manca perché ai suoi occhi è uno totale estraneo, ma il rimpianto di non averlo conosciuto abbastanza si fa spazio tra i suoi pensieri.

E' in momenti come questi che vorrebbe qualcuno con cui parlare, un'amica che possa consigliarle cosa fare anche se nella sua testa la risposta è chiara. Ma con quale coraggio adesso potrebbe scrivergli o chiamarlo? Ha dipinto così bene la sua facciata da persona indipendente da doverla costringerlo ad esserlo davvero.
Stropiccia le palpebre con i dorsi delle mani e strozza un lamento per non liberare la frustrazione, la consapevolezza di essere immersa in questa situazione più di quanto voglia ammettere.
Si alza dal divano con un scatto abbastanza veloce da provocargli un piccolo giramento di testa,e si dirige nella sua stanza che risulta fin troppo ordinata se messa a confronto con i suoi pensieri.
In un attimo rovescia a terra gli oggetti della scrivania alla sua destra, prendono direzioni diverse e alcuni si rifugiano sotto al letto. Tira con forza le coperte e lo spoglia completamente, il movimento la porta a sbattere le spalle alla libreria causando il rotolare di altri oggetto e uno dei tanti romanzi di Stephen King, nota la piccola scheggiatura su un angolo del dorso mentre lo rialza da terra. Svuota poi il ripiano più altro pieno di piccoli album fotografici scatole contenenti ricordi inutili ai suoi occhi; Il secondo ripiano si libera delle fotografie e le boccette di profumo raramente utilizzate. Il profumo sprigionato le inonda le narici e solo in quel momento riesce a vedere le schegge di vetro disseminate sul parquet.

Rilascia poi uno sbuffo rumoroso e si siede ad un angolo della stanza reggendosi la testa con le mani e chiedendosi a cosa abbia portato tutto questo.
A cosa sia servito preservarsi con le persone se poi queste l'hanno ferita lo stesso, perché limitarsi nelle discussioni se ha portato a guerre più durature?
Comincia a raccogliere i pezzi di vetro più grandi e li raduna nella sua mano, ora quel profumo è diventato nauseante nella sua testa, e li stringe per evitare che cadano nuovamente. Sente pungere in alcuni punti della mano ma quel dolore è quasi un sollievo, qualcosa che prova la sua presenza in quel momento perché nella sua testa si sente fluttuare. Come se fosse fuori dal mondo.

Sono esattamente le due e trentasette di notte, ed Elisabetta capisce di dover far qualcosa se nemmeno della rilassante musica classica riesce a farla addormentare. Cambia posizione stendendo completamente la schiena al materasso e sblocca, per quella che sembra la centesima volta, lo schermo del telefono.

Mi dispiace.

Sono le uniche parole che riesce a digitare, perché non saprebbe nemmeno da dove cominciare se dovesse spiegare il suo comportamento. Dopodiché spegne il telefono definitivamente e comincia a compiere dei respiri profondi. Trattiene l'aria per più tempo possibile per poi rilasciare in modo lento e calcolato. E non sa quando, riesce davvero a dormire.
La mattina dopo ha una spinta in più per alzarsi da quel letto e affrontare un'altra giornata. Il suo telefono non squilla, né vibra. Il messaggio è ancora sospeso tra l'esser stato inviato e non visualizzato. Mantiene la calma, forse non è ancora sveglio. Ma passano diverse ore, e la risposta non arriva.

Elisabetta sta sistemando l'ultima merce arrivata quando qualcuno fa capolino davanti a lei, ma rimane delusa dalla consapevolezza di chi ha davanti.

“Betta mi passi le chiavi del portone? Stanno arrivando altri colli.” Chiede con la sua consueta gentilezza Federico.
“Si, certo.” Ma lo sguardo è assente e la voce bassa e distante. Non si sofferma troppo sulla smorfia confusa del suo collega, troppo impegnata a distribuire i vestiti ordinatamente in magazzino. Passa giusto qualche minuto prima che possa sentire dei passi avvicinarsi di nuovo. Federico la sta guardando mentre chiude la porta del magazzino. Non sa bene cosa aspettarsi, ma non è spaventata.

“Possiamo parlare un momento?” Elisabetta annuisce e ripercorre tutti i gesti fatti quel giorno cercando un possibile errore.
“Non mi devi rispondere per forza, ma ho notato dei comportamenti strani. E' successo qualcosa?” Lo sguardo che le rivolge sarebbe capace di corrodere qualsiasi materiali, la guarda dritta negli occhi e nonostante la sua timidezza Elisabetta non trova il coraggio di lasciare quella connessione.
“Non è successo nulla, davvero...” Risponde con insicurezza mentre stropiccia un lembo di plastica appena rimossa dai vestiti, Federico ferma quel movimento.
“C'entra quel ragazzo che è venuto a volte in negozio?” I suoi occhi non vacillano, la sprona a spillare una risposta.
“In realtà sto cercando di porre rimedio ad un errore commesso, mi dispiace che ti sia preoccupato.” il suo solito timido sorriso prende spazio sul viso, speranzoso di chiudere il prima possibile quella conversazione.
“Non devi scusarti. Ho sempre fatto caso a come tu non chieda mai aiuto e ho capito che a volte bisogna spingerti un po'. Se senti la necessità di parlare, ci sono.”
Il sorriso di Federico è sempre stato brillante e rassicurante, così tanto che Elisabetta sente un piccolo calore confortante diffondersi dentro.

Vengono poi interrotti dallo spalancarsi della porta da quella che scoprono essere Maddalena, che li guarda con occhi indagatori. Sulla sua faccia si può chiaramente leggere la curiosità di sapere cosa stia succedendo fuori dal suo campo visivo.

“Fede, un cliente chiede di te.” Enuncia poi sbattendo nervosamente un piede sul pavimento.
“Arrivo subito.” E' quello che dice prima di voltarsi nuovamente verso Elisabetta, le stringe debolmente l'avambraccio prima di concludere la frase, “Ricordati ciò che ho detto.” e ritornare nel pieno caos del negozio.

“Sai, ora mi è tutto molto più chiaro” La voce di Maddalena si insinua nelle sue orecchie nello stesso modo viscido di un serpente. “Il mutismo, la smorfia triste, e il fingere che tutto sia nella normalità...” Lascia la frase in sospeso, con la convinzione di aver scovato chissà quale sotterfugio.
“Non so di cosa tu stia parlando.” Elisabetta è nuovamente immersa nel lavoro che stava compiendo fino a qualche minuto fa, cercando di dare alla sua collega l'attenzione minima ed indispensabile.
“Ma per favore. Perché non ammetti semplicemente che Federico ti piace, che sai quanto lui si sia sempre preoccupato per i suoi colleghi, e che hai preso questa sua debolezza per poterti avvicinare a lui.” spiega Maddalena giocando con il badge che porta al collo. “Almeno sembreresti meno ridicola.”
“Mi spieghi che problemi hai?” I suoi pugni sono stretti e nascosti dietro la schiena cercando di concentrare e far dissolvere tutta la violenza che dentro di lei sta crescendo. “Ti è davvero così difficile per una volta chiudere quella bocca?”

Maddalena rimane inizialmente perplessa da quella risposta, così tanto da tacere sul serio ma senza togliere spazio alla smorfia giudicante.
Elisabetta la sorpassa senza degnarla di un minimo contatto visivo, ma prima di uscire pronuncia le sue ultime parole “Fatti una domanda se non rimango qui a parlarne.”

Ma Maddalena le blocca il polso e rimane dietro le sue spalle sussurrandole all'orecchio “So di aver ragione, non pensare che quel bel faccino ti possa salvare per sempre.”

 

Uscire dal negozio a fine giornata è l'unico sollievo che riesce a provare. Cammina con stizza verso casa e nel mentre afferra il cellulare come sempre sprovvisto di notifiche utili se non aggiornamenti politici gentilmente offerti dal browser. Una sola cosa è cambiata, questa volta il messaggio è stato letto seppur non abbia scritto alcuna risposta.

Sono attimi di tensione quando Elisabetta decide di dover fare un passo in più, e mentre massacra il labbro inferiore con i denti avvia una delle telefonate più difficili della sua vita. Sono davvero poche battute, ma incredibilmente la voce di Claudio non risulta arrabbiata, ma si trova anche disposto ad incontrarla.

Il percorso non è così lungo e fortunatamente l'aria non è così fredda nonostante ci si avvicini quasi a Dicembre. La casa di Claudio è vicino il palazzo dell'università a qualche centinaio di metri dalla Mole Antonelliana che di sera è illuminata con i colori della bandiera. Sono le otto di sera e le strade sono lievemente rischiarate dai lampioni e completamente sprovviste di persone.

Si lascia incantare dalle finestre delle abitazioni dove riesce a intravedere stralci di vite che non sono la sua, e il destino vuole che non riesca a trovare una casa con persone sole. Giunta poi al numero civico giusto è indecisa se suonare il campanello, opta così per scrivere un semplice messaggio e avvertire Claudio di essere arrivata a destinazione.

" Beh, questa è una sorpresa. " esclama Claudio prima di chiudere con cura il portone di casa.
È una sensazione di sollievo quella che la pervade, causata da quella vista. Si aspettava le palpitazioni, non di certo il totale rilassamento dei muscoli.
Elisabetta apre la bocca ma non fuoriesce alcun suono, si dondola sui piedi e alterna lo sguardo tra il terreno e gli occhi di Claudio che la osservano con ineguagliabile delicatezza.
Stropiccia il viso con le mani ed emette un lamento frustrato quando finalmente riesce a pronunciare le prime parole.
"Mi dispiace."
"Per cosa?" chiede compiendo qualche passo nella sua direzione. La sua vicinanza spinge Elisabetta a guardarlo di nuovo, e vorrebbe tanto sapere come faccia a essere così sereno e non le abbia ancora gridato in faccia una sfilza di insulti.
"Per cosa? Ti ho trattato malissimo." ma lui rimane deluso dalla sua risposta se la scomparsa del sorriso è di qualche indicazione.
"Sì, ma non è la cosa più grave che hai fatto." Claudio prende tempo e la osserva senza avvicinarsi ulteriormente. "E la cosa peggiore è che non te ne sei ancora accorta, ti stai negando qualsiasi forma di aiuto."
“Voglio solo evitare che tu perda tempo dietro a una causa persa...”sussurra Elisabetta con un piccolo tremore nella voce.
“E allora non farlo, devi semplicemente permettermi di avvicinarmi.” risponde subito dopo, compie dei passi finché i loro piedi quasi riescono a toccarsi.
Claudio è leggermente più alto di lei, e questo fa ritornare il sorriso sul suo volto mentre la osserva, sente come se lei avesse timore di lui.
“Non è così facile...” sospira fortemente, ”Troppe persone mi hanno illuso che mi sarebbero state accanto.”

“Allora non ti farò nessuna promessa, ma cercherò di esserci ogni volta che vorrai. E mi allontanerò quando ti sarai stancata di me.” la sua voce è così tranquilla e bassa da infondere di nuovo quel senso di sicurezza dentro di lei capace di scaldarla. E' così a suo agio da voler piangere, e per una volta è semplice commozione.

“Posso abbracciarti?” la richiesta è talmente inaspettata che Claudio ci mette qualche istante ad allargare le braccia e permetterle così di scontrarsi sul suo petto. Le mani di Elisabetta toccano la sua schiena e si aggrappano con ogni grammo di forza alle sue spalle. Sorride sul tessuto del cappotto quando sente la stretta di Claudio rafforzarsi.
“Vuoi salire?” sussurra poi al suo orecchio ridestandola completamente dal torpore.
“Oh, no tranquillo. Penso che tornerò a casa... ci tenevo però a chiarire.” le sue guance sono probabilmente di un colore purpureo e fa davvero troppa fatica a staccarsi da quel corpo.
“Non ti farò incontrare i miei se è questo che ti turba” una piccola risata rimbomba nella strada vuota e buia, “Mi piacerebbe che tu restassi ancora un po'.” confessa poi, stupendola con il suo imbarazzo.
“D'accordo, ma poi mi riporti a casa!” minaccia senza alcuna convinzione puntandogli il dito indice verso il petto.


Sono solo due piani quelli che percorrono e Claudio le prende una mano dirigendosi velocemente in camera sua, chiudendo silenziosamente la porta. Elisabetta si trova così catapultata in una stanza in cui il tempo sembra essersi fermato anni fa. Ci sono vecchi poster attaccati alle pareti di un noto giornalino per adolescenti e pensa di aver riconosciuto qualche libro di Geronimo Stilton accanto ai libri universitari.
Rimane a fissare le pareti al centro esatto della stanza finché Claudio non le sfila borsa e giubbotto, appoggiandoli poi sulla sedia della scrivania.

“Siediti e spiegami cosa ti ha spinto a venire fin qui.” quella frase è una secchiata d'acqua gelida nonostante Elisabetta sapesse che il discorso era stato a malapena trattato. Si siede quindi sul letto e assume la classica posa con le spalle ricurve e le dita intrecciate.
“Prima di spiegarti qualsiasi cosa ci tengo a sottolineare che non sono qui per fare la vittima.” comincia sistemando inutilmente la maglietta sotto la felpa. “Io faccio fatica a fidarmi delle persone perché solitamente queste finiscono poi per abbandonarmi, e sono così esausta da non volerci nemmeno rimanere male quando succede.”
Claudio la sta ascoltando in religioso silenzio e tenta in tutti i modi di non guardarla troppo scrupolosamente per evitare passi falsi.
“La verità è che avrei bisogno di troppe cose per sentirmi davvero bene, e il pensiero di dover affidare la mia felicità ad una persona mi fa impazzire totalmente.”

Sa bene di essere sull'orlo di un'ennesima crisi di pianto, ma forse per una volta non le importa di essere vulnerabile. Forse perché lui l'ha già vista o forse perché davvero vuole cercare di avvicinarsi e di far avvicinare qualcuno a lei.

“Ma non pensi che rimanendo sola tu possa solo allargare quel malessere?” chiede timidamente facendo scorrere le rotelle della sedia e avvicinando a lei.
“Quello che non ti ho mai detto è che sono seguita da una psicologa da diversi mesi ormai, quindi ci sto provando.” la voce trema, ma non pensa di avere più nulla da perdere, “Però ho questa sensazione nel petto, questo non voler essere cosciente, ho solo voglia di dissolvermi nell'aria.”

Claudio respira profondamente a quelle parole e reprime con forza tutti i pensieri che scalciano per essere espressi. Si limita a sfiorarle le mani e a stringere lievemente.
La porta viene poi spalancata e un uomo sulla cinquantina fa capolino nella stanza, nei suoi occhi si legge il pentimento di essersi presentato in quel momento.

“Oh, scusate... Claudio la cena è pronta.” balbetta imbarazzato quello che Elisabetta crede essere il padre.
“Uhm, ok.” si guarda intorno, come se avesse appena perso qualcosa, “Vuoi restare a cena?” le chiede poi all'improvviso.

Elisabetta li guarda entrambi e sa che Claudio non accetterà un 'no' come risposta ma non è certa di poter affrontare un cena così affollata.

“Solo se non è un disturbo.” sceglie di rispondere sforzandosi di sorridere a entrambi.
“Assolutamente, mia moglie è solita fare porzioni abbondanti. Comunque sono Franco.” si sporge dallo stipite della porta per avvolgerle la mano nella sua grande e ossuta.
“Elisabetta, piacere di conoscerla.” rispondere con voce piccola mentre si alza dal letto per seguirli in cucina.

La cena si svolge con lentezza ma si trovano abbastanza argomenti per non far cadere il silenzio. La televisione è spenta, fanno il resoconto delle loro giornate e ognuno ascolta con attenzione porgendo domande. Elisabetta ha davanti agli occhi ciò che ha sempre sognato e dubitato potesse esistere.

“Parlaci un po' di te, che lavoro fai Elisabetta?” le chiede poi la madre mentre si siede di nuovo a tavola, offre ad ognuno una fetta di torta.
“Lavoro in un negozio di abbigliamento come commessa.” risponde spezzettando la fetta in piccoli bocconi.
“Dev'essere impegnativo, chissà quante ne avrai viste” i genitori di Claudio la guardano ridacchiando quando Elisabetta sgrana gli occhi, in un attimo ripercorre ogni situazione strana o imbarazzante.

Finisce poi per raccontarle davvero, ed è un'altalena di risate e occhiate allibite. Elisabetta non lo nota ma Claudio non la sta ascoltando, troppo impegnato a sorridere nel vedere un piccola luce nei suoi occhi.





Non so con quale coraggio mi stia presentando a quasi un mese di distanza dal'ultimo capitolo, chiedo scusa.
Se qualcuno lo sta ancora leggendo, spero di non deludere troppo le vostre aspettative e che possiate avere ancora della curiosità per continuare questa storia.
Ora grazie alla zona rossa (lo so, che frase orribile) forse riuscirò a portarmi avanti con il lavoro.
Come sempre, critiche o commenti di qualsiasi genere sono ben accetti!

   
 
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