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Autore: futacookies    17/03/2021    3 recensioni
{kiyoyachi - college au}
5 volte in cui Yachi cerca di chiedere un appuntamento a Shimizu + 1 in cui, finalmente, ci riesce.
«Quindi tua madre ti ha chiamato mentre stavi per invitarla?», chiede incredulo Hinata, mentre Tsukishima a stento trattiene una risata.
Hitoka gli lancia un calcio sotto il tavolo.
«Non è che è un segno del destino?», chiede, mescolando lo zucchero nella sua tazza di caffè. «Sapete, no? Quando certe cose proprio non devono succedere e quindi va sempre qualcosa storto e-»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Kiyoko Shimizu, Yachi Hitoka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: scritta per la sesta settimana del cow-t indetto da Lande di Fandom con il prompt: "I feel like you’re being sabotaged by your inner saboteur."
Kiyoyachi, acceni kagehina, college au, mi sono divertita ad affiabbiare a Yachi una sfortuna proverbiale perché lei sembra essere proprio il tipo di personaggio da attirarsi, o crearsi da sé, ogni sorta di calamità. Il rapporto tra Hinata/Kageyama/Tsukishima/Yamaguchi/Yachi potrebbe essere un po' sfalsato rispetto a quello del manga ma ehi!, io vi ho avvisato.

 


 

 

Compendio di vicende molto sfortunate

(a cura di Yachi Hitoka)



 

Kiyoko Shimizu è sicuramente, senza ombra di dubbio, la ragazza più bella che Hitoka abbia mai visto e no, non è solo per il neo vicino alla bocca anche se sì, il neo vicino alla bocca le piace tantissimo. Ha due occhi enormi e gentili, mani affusolate ed eleganti e la sua pelle è assolutamente perfetta. Quando sorride le si illumina genuinamente il volto in un modo che rende le sue ginocchia molli e trova sempre il tempo per ascoltarla e parlare con lei nonostante segua corsi molto più avanzati dei suoi.

Insomma, Hitoka è proprio innamorata. E questo non è problema, davvero, è fantastico perché le basta incrociarla per caso per i corridoi dell’università per sentirsi in pace con il mondo. Il problema è che vorrebbe- ecco, le piacerebbe- se magari riuscisse a chiederle un appuntamento, allora sarebbe in pace anche con se stessa. Solo che non ci riesce.

Hinata-kun dice che dovrebbe semplicemente buttarsi. Yamaguchi-kun l’ha interpretato letteralmente e ha tentato di spingerla tra le braccia di Shimizu-senpai: Hitoka è quasi caduta per scale e avrebbe volentieri ucciso Yamaguchi in quel momento, se non fosse che Shimizu-senpai l’ha effettivamente presa al volo, come l’eroe di qualche romanzo romantico, risparmiandole una figuraccia colossale e anche la rottura del cranio, certo.

Tsukishima si limita a giudicarla silenziosamente e se deve essere sincera, si sente davvero molto giudicata, dato che Tsukishima la guarda come se osservasse un topo da laboratorio, e Kageyama ha borbottato che lui non si sarebbe fatto tutti questi problemi: ricorrendo alla stessa soluzione sempliciotta e diretta di Hinata, le avrebbe detto che voleva uscire con lei e avrebbe chiuso la questione.

Hitoka vuole tanto bene ai suoi amici, ma proprio tanto eh, non solo per dire, ma in questioni amorose non sono molto utili. Se fosse un poco meno buona di quel che è, direbbe che sono un disastro totale. Certo, se fosse una persona un po’ più coraggiosa magari i loro consigli avrebbero effetto. Ma Hitoka non si sente molto coraggiosa. Infatti tutte le volte che deve parlare con Shimizu-senpai diventa un fascio di nervi, sente lo stomaco in rivolta, non riesce mai a chiederle esattamente il consiglio per cui la sta disturbando ma finisce con il blaterare su qualcosa di completamente privo di senso.

Quando ha dovuto dare il suo primo esame, è stata male per giorni. Un continuo mal di stomaco che andava e veniva, andava e veniva, andava e veniva finché sua madre non le ha suggerito di prepararsi una tazza di camomilla. Tutto questo per dire che il solo pensiero di chiedere a Shimizu-senpai un appuntamento le fa lo stesso effetto di un esame. Quindi, magari, dovrebbe trattarlo come tratta un esame ‒ se solo bastasse bere una tazza di camomilla, per tranquillizzarsi, sarebbe molto più facile.

 

[1.]

È un lunedì quando la incrocia. Le piacerebbe imputare questo incontro ad un fato sorridente, ma in realtà conosce perfettamente gli orari del club di pallavolo maschile, di cui Shimizu-senapi è la manager, ovviamente. La manager migliore del mondo, Hitoka ne è sicura. Anche perché, be’, Shimizu-senpai studia management, quindi come potrebbe non esserlo?

«Si allenano proprio tanto, eh?», commenta, avvicinandosi. Shimizu-senpai le sorride. Hitoka prega di non essere già arrossita.

«Tra poco inizieranno i tornei, non possono certo riposarsi.», risponde gentilmente. Ovviamente Hitoka ha detto una sciocchezza. 

Come può pensare che si riposino anche solo per cinque minuti, sapendo che Shimizu nutre per loro grandi aspettative e si impegna al massimo delle sue possibilità? 

Deve riordinare le idee, altrimenti non ci sono dubbi sul fatto che anche oggi sarà un fallimento. Solleva il braccio per ricambiare il saluto di Hinata-kun, che sta gareggiando con Kageyama a chi fa più giri di pista. Quest’ultimo si ferma a chiedergli qualcosa e Hinata la indica. Perfetto, adesso tutta la squadra la sta osservando, incuriosita. Hitoka sa di essere arrossita.

«Sono-, uhm-, dei miei amici.», spiega, guardando verso il basso. Con la coda dell’occhio vede Shimizu-senpai annuire.

«Avevi bisogno di qualcosa?», le chiede poi.

Hitoka salta sul posto. Tecnicamente non ha bisogno di nulla, solo che le conceda un appuntamento. Ecco, questo potrebbe dirlo, invece che solo pensarlo. Sembrerebbe molto più figa così. Certo, potrebbe chiederle dei consigli sullo studio, in fondo hanno avuto alcuni esami in comune. Shimizu-senpai ha seguito alcuni dei suoi stessi corsi, per questo si sono incontrate la prima volta ‒ è incredibile pensare che Shimizu-senpai sia stata bocciata ad un esame e abbia dovuto seguire il corso da capo. Hitoka quasi non ci poteva credere, ma adesso è estremamente grata che sia successo.

«No- in realtà- io volevo chiederti-»

Sta per dirlo, davvero. Le parole sono già sulla punta della sua lingua, lo potrebbe giurare. Solo che poi si ricorda che tra una settimana ha una prova che proprio non può saltare. Se l’era dimenticata completamente. E ha davvero bisogno di chiederle se ha degli appunti.

«Per caso hai ancora gli appunti delle lezioni di Ibuki-sensei?», chiede, tenendo lo sguardo puntato verso il basso. Spera che continuando a fissare la terra sotto i suoi piedi, questa si apra e la faccia sparire. Così almeno non dovrà sopravvivere con la consapevolezza di aver effettivamente fallito il suo primo tentativo di chiederle un appuntamento. È un disastro. Una disfatta totale. Hitoka è stata sconfitta e non le resta che una triste ritirata.

«Sì, certo! Se passi nel mio dormitorio oggi pomeriggio, te li faccio trovare pronti.»

Be’, magari non è andata proprio malissimo.

 

[2.]

«Quindi alla fine gliel’hai chiesto?», chiede Hinata, riempiendosi il piatto di ravioli di carne.

Hitoka arriccia il naso e guarda da un’altra parte. Non vuole arrossire per una domanda così stupida ‒ o almeno, non vuole che i suoi amici la vedano arrossire. Appoggia la fronte sul tavolo e cerca di riassumere nel modo più conciso possibile la sua disavventura di due settimane prima.

Ha dato l’esame, certo, ed è andato benissimo, certo, e adesso ha gli appunti di Shimizu-senpai, custoditi al pari di reliquia, e deve trovare l’occasione giusta per riportarglieli e magari chiederle un altro appuntamento. Così sarebbe perfetto.

«Io penso che tu le piaccia.», commenta a un certo punto Kageyama, attirando l’attenzione di tutti.

Ecco, adesso è arrossita. Ma chi non arrossirebbe di fronte ad un’osservazione del genere? Hitoka manda giù quello che resta della sua camomilla per tenersi impegnata, in attesa che almeno qualcuno le spieghi come Kageyama possa dire una simile sciocchezza mantenendo una faccia così impassibile. Hinata si gratta il mento pensieroso, poi comincia ad annuire.

«Tanaka-senpai dice di non averla mai vista sorridere come quando sei passata l’altro giorno!», esclama.

«Ah, beh, ma magari è stato solo un caso. Magari avevo dell’insalata tra i denti!», realizza, e rivolge uno sguardo preoccupato e accusatore a Yamaguchi. «Avevi detto che ero a posto!»

«Lo eri!», si giustifica, e poi rivolge un’occhiata supplice a Tsukishima. «Lo era, no?»

Tsukishima sospira e si massaggia le tempie. Hitoka sa che preferirebbe essere altrove, piuttosto che spettatore delle sue disgrazie, ma le sue lezioni non inizieranno per un’altra ora e effettivamente non ha niente di meglio da fare.

«Magari le piaci davvero?», tenta. «In fondo non sei così brutta.»

Mentre Hinata e Yamaguchi cominciano a protestare vivamente contro la cattiveria gratuita di Tsukishima, Hitoka non può non pensare che potrebbe davvero essere così semplice. Detto da Tsukishima sembra una cosa ovvia. Davvero. Sembra facile. Magari lo è. Però Shimizu-senpai è davvero bellissima e brillante e piena di ammiratori di ogni sorta. Che dovrebbe farsene lei di una ragazza che non è poi così brutta?

Kageyama sta fissando intensamente un punto distante nella mensa.

«Possiamo chiederglielo noi, se proprio tu non ci riesci.», propone a un certo punto.

Hitoka segue la direzione del suo sguardo e vede Shimizu-senpai districarsi tra la folla. Non ha nemmeno il tempo di terminare la sfilza di no no no ti prego no no no no mentre cerca di nascondersi sotto il tavolo che Hinata si è letteralmente lanciato su Kageyama per tenerlo al suo posto. Siano benedetti i suoi riflessi.

«Credo», spiega Hinata, mantenendo le mani salde sulle spalle di Kageyama, «che dovrebbe essere Yacchan a dirglielo.»

Yamaguchi annuisce. Tsukishima sbuffa e comincia a raccogliere i suoi appunti. Hitoka vorrebbe sprofondare ancora di più nella sedia. Vorrebbe essere inghiottita nelle viscere della terra. Per favore. Kageyama si scrolla Hinata di dosso e borbotta qualcosa di incomprensibile. Ma guarda: è arrossito anche lui.

 

Eliminato il possibile pericolo di Kageyama, be’, Hitoka ha comunque gli appunti di Shimizu-senpai. Deve restituirglieli. Ovviamente potrebbe riportarglieli al suo dormitorio, proprio dove li presi ‒ ma in tal caso non potrebbe sfruttare a pieno l’opportunità di avere una scusa per parlare con lei.

Così caccia il telefono e comincia a scrivere. Mandandole un messaggio, questo si è detta per convincersi, sicuramente avrà molte meno insicurezze. Shimizu-senpai non può vedere la sua espressione terrorizzata, se le manda un mano e nemmeno il tremolio della sua mano, o il fatto che abbia già cancellato tre volte il testo da mandare. 

Invitarla a prendere un caffè sembra una buona idea: c’è un cat café a pochi passi dalla palestra dell’università e potrebbero fermarsi insieme dopo gli allenamenti della squadra di pallavolo. Così non è proprio un appuntamento, ecco. È più un’uscita tra amiche. Ma al termine di quest’uscita Hitoka magari ne potrebbe chiedere un’altra. E un’altra. E alla fine magari riuscirebbe a pensare che siano appuntamenti e finirebbe a chiamarli con quel nome, com’è giusto che sia. 

Ma è davvero giusto? 

Invitarla significa anche darle la possibilità di rifiutarla e non crede di essere pronta a una simile eventualità.

Cancella il messaggio. No, non se ne parla. Adesso prenderà gli appunti e andrà da Shimizu e glieli restituirà e la ringrazierà e cercherà di non scoppiare a piangere perché non era così che avrebbe voluto che andassero le cose. Magari le può chiedere un appuntamento lo stesso: può proporglielo in maniera quasi casuale, potrebbe dire che alcune sue compagne le hanno consigliato un té buonissimo servito in deliziose tazzine a forma di gatto e che le farebbe piacere andare a provarlo con lei. 

Sì, così può andare. Sistema le varie fotocopie nel modo più ordinato possibile e si incammina. Camera di Shimizu si trova due piani sopra la sua: sa che la condivide con altre ragazze perché le ha intraviste quando è andata da lei per prendere gli appunti ‒ e perché non esistono stanze singole nei loro dormitori, certo. Quando c’è per mezzo Shimizu Hitoka crede che sarebbe capace perfino di scordarsi il suo nome.

Mentre aspetta che arrivi l’ascensore, perché ovviamente lei non salirà quattro rampe di scale con il rischio di arrivare tutta scarmigliata, tamburella continuamente il piede per terra: è ancora in tempo per tornare nella sua, di camera, e fare finta di non aver mai avuto questa idea e mandarle un messaggio tra un paio di giorni. D’altro canto, però, non vorrebbe trattenere gli appunti, che ha già da una settimana pur non avendone più il bisogno e chi sa come ha trovato il coraggio di andare da Shimizu-senpai. No, questa è comunque un’occasione più unica che rara e quindi deve approfittare dell'inaspettato momento di coraggio e a procedere a tutta forza.

Con questo pensiero nella mente si ritrova a bussare rumorosamente alla porta, accorgendosi del baccano che ha fatto soltanto nel momento in cui le nocche della mano iniziano a farle male.

«Oh, Hitoka!», esclama Shimizu, che le ha appena aperto. 

Hitoka boccheggia come un pesciolino rosso per qualche istante, perché è davvero ingiusto che esitano ragazze belle come Shimizu-senpai, che sembra un’eterea divinità anche solo indossando una vecchia tuta. 

«Senpai!», strilla, facendola sobbalzare per un istante. Poi china la testa e le allunga il plico con gli appunti. «Grazie mille per il tuo aiuto, mi è stato utilissimo.», aggiunge, mentre Shimizu, divertita, recupera il malloppo.

«Mi fa piacere.»

«E-», inizia, pensando che effettivamente è proprio l’attimo perfetto per chiederle un appuntamento, «mi chiedevo se- insomma- se ti va- se tu-», continua a balbettare, mentre SHimizu, appoggiata allo stipite della porta, l’ascolta pazientemente.

Sta per aprire la bocca, sta per dirlo, davvero, lo giura. 

«Ti andrebbe di-»

Lo squillo del suo telefono la zittisce. Hitoka stenta a nascondere una smorfia mentre lo caccia dalla tasca. Sua madre. Ovviamente sua madre la chiama mentre sta per fare qualcosa di così importante. Si profonde in mille scuse con Shimizu e le dice che proprio non può ignorare la chiamata.

Il rantolo irritato con cui risponde risuona per i corridoi dei dormitori.

 

[3.]

«Quindi tua madre ti ha chiamato mentre stavi per invitarla?», chiede incredulo Hinata, mentre Tsukishima a stento trattiene una risata. 

Hitoka gli lancia un calcio sotto il tavolo.

«Non è che è un segno del destino?», chiede, mescolando lo zucchero nella sua tazza di caffè. «Sapete, no? Quando certe cose proprio non devono succedere e quindi va sempre qualcosa storto e-», sbuffa, presa dallo sconforto. 

«Insomma, avrebbe potuto chiamare in qualunque altro momento, ma il fatto che sia successo proprio mentre stavo per aprire la bocca sembra un presagio funesto.», commenta, mandando giù in un sorso la sua dose di espresso.

Stanotte non potrà dormire, probabilmente, ma in questo momento ha bisogno di restare perfettamente lucida: uno dei suoi professori ha annunciato un quiz e l’ultima cosa di cui ha bisogno è dimenticarsi qualcuna delle risposte durante la verifica. Perciò sono già due notti che tira fino a tardi nella speranza di ripetere tutto il programma svolto fino ad allora.

«Forse dovremmo prenderti un amuleto contro il malocchio.», propone Hinata, sinceramente preoccupato.

«Chi è che ha il malocchio?», chiede Yamaguchi, appena arrivato.

«Nessuno!»

«Yacchan.»

«Il malocchio non esiste.»

Yamaguchi li guarda, tutti e tre, cercando di capire qualcosa in quella cacofonia simultanea e poi decide che in fondo non gli interessa davvero, per cui si fa spazio tra Tsukki e Hinata e comincia a raccontare di questo corso di informatica a cui è stato costretto a partecipare.

 

Hitoka ha sonno. Abituata a un ciclo del sonno piuttosto regolare, con l’aggiunta di svariati pisolini nel corso della giornata per sopperire all’improvvisa stanchezza, questa tirata per superare i test davvero non le si addice. L’unico pensiero che continua a supportarla è quello di infilarsi sotto le coperte e dormire per dodici ore consecutive, senza preoccuparsi di verifiche a sorpresa, o della sua incapacità di parlare con Shimizu-senpai, o del pessimo tempismo di sua madre.

Benché Tsukishima si sia espresso dubbioso sulla questione dei talismani, alla fine Hinata gliene ha comunque preso uno, dicendo che lui non si fa certo mettere grilli in testa da Tsukki e che comunque meglio prevenire che curare. Adesso il talismano è nella sua tasca e Hitoka dovrebbe sentirsi un pochino meglio, o almeno un po’ più protetta, ma i realtà la mancanza di sonno comincia a renderla paranoica.

Non solo si è convinta che fallirà miseramente tutti i test, ma l’altro giorno è sicura di aver visto Shimizu fermarsi a parlare con quella che Kageyama gli ha spiegato è il capitano della squadra femminile di pallavolo, e Hitoka sente, chiaramente, che contro una ragazza del genere non avrebbe la benché minima possibilità di conquistare Shimizu, quindi tanto vale darsi per sconfitti e accettare il proprio destino. 

Tuttavia adesso le sue pene d’amore sembrano ben poca cosa se paragonate agli otto capitoli che ancora le restano da ripetere per domani, per cui a malincuore rilega il pensiero di Shimizu in un angolo e continua a sottolineare e rivedere i suoi appunti.

 

«Oi, Yacchan! Yacchan!», Hinata esclama, sventolandole una mano davanti al volto.

Hitoka fa una smorfia e ricambia il saluto, suo malgrado. Ha all’attivo quattro ore di sonno, esattamente dalle due e mezza alle sei e mezza, momento in cui si è dovuta alzare, si è fatta la doccia e ha fatto colazione, rinunciando alla sua preziosissima camomilla, perché sa che se ne prendesse anche solo un goccio, probabilmente cadrebbe addormentata sulla sua scrivania. 

«Hinata-kun. Kageyama-kun.»

Kageyama le fa un cenno con il capo. Hinata, straordinariamente energico, si muove così rapidamente da assomigliare a una zanzara che lei vorrebbe schiacciare. 

«Yacchan, ti ricordi che abbiamo una partita oggi, no?»

Certo che se la ricorda, la partita. Tecnicamente è un’amichevole, una partita di allenamento, ma a quanto pare è contro dei loro amici di Tokyo e quindi è particolarmente importante. 

Tre giorni fa ha promesso che ci sarebbe andata, anche perché Hinata le ha garantito ‒ ha proprio giurato, con mignolo e tutto il resto ‒ che ci sarebbe stata Shimizu-senpai. Anche Tsukishima e Yamaguchi sono stati costretti a confermare la loro presenza dalle continue insistenze di Hinata.

Poi però Hitoka pensa alle sue meritatissime dodici ore di sonno e non riesce a soffocare un gemito lamentoso.

«Certo che ci sarò.», quasi guaisce, «Non me la perderei per niente al mondo.»

 

Tecnicamente, non ha mentito. Non si perderebbe questa partita per niente al mondo, ma soltanto perché dagli spalti dove è seduta ha una visuale perfetta di Shimizu, che siede in panchina accanto al coach. 

Se proprio deve ammetterlo, si sente molto meglio da quando ha consegnato il test. Forse il talismano di Hinata sta effettivamente funzionando, anche se non l’avrebbe mai beccata a contemplare un esito del genere ad alta voce. Anche se, in realtà, quando Shimizu l’ha salutata, mezz’ora prima, e l’ha invita a vedere la partita accanto a lei, che tanto la palestra era vuota, non aveva avuto il coraggio di annuire e seguirla ‒ adesso che può vederla tranquillamente, sovrastandola di un paio di metri, non può fare a meno di chiedersi se non abbia sbagliato: c’è sicuramente posto anche per lei, su quella panchina, e l’ipotesi di stare per così a lungo seduta accanto a lei sembra più un sogno che una proposta tangibile. 

La osserva affettuosamente mentre esulta e si decide a buttare un'occhiata al campo: Hinata e Kageyama si stanno dando il cinque e dall’altra parte della rete ci sono facce stanche e confuse. Hitoka non capisce molto di volleyball, se non che Hinata e Kageyama preferirebbero morire piuttosto che smettere e di solito è abbastanza brava a nascondere che non sta ascoltando, quando le spiegano qualche passaggio tecnico di cui proprio non sa che farsene.

Magari può chiedere a Shimizu di spiegarle qualcosa, la prossima volta. È sicura che se fosse lei, a chiarire i vari passaggi, non ci mettere più di cinque minuti a capire chi fa cosa. 

«È una veloce.», comincia Yamaguchi, seduto accanto a lei.

Hitoka annuisce e sconnette rapidamente il cervello mentre Yamaguchi si perde in tencicanze che non potrebbero interessarle di meno ‒ quello che davvero le interessa, al momento, è calcolare quanto rapidamente può scendere i gradini degli spalti e raggiungere Shimizu prima che questa esca dalla palestra senza degnarla di uno sguardo: tutto sommato, se si muove a passo concitato, potrebbe farcela per un pelo. Non vorrebbe correrle dietro sotto lo sguardo dei presenti, ovviamente, perché sente che in tal caso potrebbe venirle un infarto a causa dell’imbarazzo, ma per lei ovviamente può fare uno sforzo. O, almeno, ci può provare. 

Per un po’ si perde a seguire i movimenti ipnotici del pallone da un lato all’altro del campo: già con la testa per aria, finisce con l’estraniarsi completamente finché si dice che in fondo può anche chiudere le palpebre, solo per un attimo, che poi sicuramente ci penserà Yamaguchi a svegliarla alla fine della partita. 

 

«Yacchan! Yacchan!», strilla Hinata.

Hitoka salta su, svegliata all’improvviso, e per un istante si chiede perché c’è un Hinata sudato e puzzolente chino su di lei. Poi comincia lentamente a mettere a fuoco e si ricorda che si trova nella palestra.

«Yamaguchi se n’è dovuto andare prima.», spiega, mentre continua a passarsi un’asciugamano già umida sulla fronte. «Non se l’è sentita di svegliarti, quindi mi ha mandato un messaggio.»

Mentre pensieri di omicidi e squartamenti le salgono rapidi alla mente, rivolge uno sguardo di soppiatto alla panchina, ormai vuota. 

«Ah, sì.», commenta Hinata, seguendo la direzione del suo sguardo. «Shimizu-san già è tornata ai dormitori. Però prima ci ha sgridato. Ha detto che non avremmo dovuto insistere, se eri così stanca da addormentarti sugli spalti.»

Hitoka vorrebbe farsi piccola piccola e scomparire, ingoiata dalla minima apertura offertale dal terreno e dimenticata nelle viscere della Terra. Come se il pensiero di aver perso un’altra occasione per invitare Shimizu-senpai a un appuntamento non fosse abbastanza frustrante, sapere che l’aveva vista, scomposta e addormentata e assolutamente non presentabile era a dir poco mortificante.

«Se mi cercate, sarò sepolta sotto le coperte.», annuncia, e poi si trascina lentamente verso i dormitori.

 

[4.]

«E ti sei addormentata? Sugli spalti?»

Tsukishima, incredulo, gliel’ha chiesto tre volte in cinque minuti ‒ se Hitoka fosse un briciolo più cattiva, a questo punto l’avrebbe già mandato a quel paese. Invece gli ha spiegato per filo e per segno la situazione e non è che sia in cerca di comprensione, perché in tal caso di certo non ne avrebbe parlato con lui, ma vorrebbe almeno un briciolo di tatto? Insomma, la sua vita sentimentale sta andando a rotoli e tutto quello che Tsukishima sa fare è ridere perché doveva essere davvero stanchissima, per addormentarsi su quelle sedie da tortura.

Ecco, forse avrebbe dovuto parlarne con Yamaguchi. Solo che Yamaguchi ha una condanna capitale stampata in fronte, e appena lo acchiappa come minimo lo farà a pezzi. 

«Senti, so che sei stata un po’ sfortunata negli ultimi tempi-», inizia e Hitoka rotola sarcastica gli occhi nel sentire le sue parole, che sono probabilmente il più delicato eufemismo a cui sia arrivata la mente di Tsukishima.

«-ma sicuramente dovresti darti una seconda possibilità.», conclude.

Hitoka batte la fronte contro il tavolo. Ormai ha perso il conto, di tutte le volte che ha provato, un fallimento dietro l’altro perché una volta era impegnata, un’altra era stata interrotta, e poi aveva troppo sonno, oppure troppo poco, o c’era sempre qualche straordinario impedimento che le faceva venire voglia di urlare finché non le facevano male le corde vocali.

«Non ha più senso provarci.», sbuffa.

«Ma dai, Yachi!», esclama Yamaguchi, che si siede accanto a loro beatamente ignaro dell’ascia di guerra che Hitoka sta per dissotterrare. «Stai chiaramente permettendo al tuo sabotatore interiore di intralciarti.»

«Eh?»

«Dice che ti stai buttando la zappa sui piedi.»

«Ah.»

«Ehi!», protesta Yamaguchi, «Come l’ho detto io era molto più figo.»

«Il punto è che non devi arrenderti. E non devi permettere alla tua ansia di prendere il sopravvento. E già che ci sei, ignora anche la sfiga che ti perseguita, per favore.», continua Yamaguchi, impietoso.

Hitoka sta per dire qualcosa su come i loro commenti non siano d’aiuto, e che è impossibile ignorare la sua ormai proverbiale sfortuna quando quest’ultima ha le dimensioni di un tir disposto a seguirla a prescindere di cosa faccia, quando Yamaguchi scatta in piedi, rovesciandosi la sua bibita.

«Ma quelli non sono Hinata e Kageyama?», chiede, indicando quella che a tutti gli effetti sembra una coppia che sta passeggiando tra i negozi delle distretto commerciale.

«Avevano detto che sarebbero stati impegnati con gli allenamenti fino a tardi.», borbotta Tsukishima, strizzando gli occhi per guardare oltre la vetrata decorata del bar. 

«Muoviti, Tsukki!», sbotta Yamaguchi, afferrando il suo cappotto, «Non possiamo assolutamente perderli!»

Mentre i due si precipitano per strada, Hitoka resta a guardare astiosamente la panna che galleggia nella sua cioccolata calda. Certo, Yamaguchi non ha tutti i torti: si è convinta di non avere una possibilità al tal punto che effettivamente manda in fumo tutti i suoi tentativi prima ancora che questi abbiamo la possibilità di andare in porto.

Ci vorrebbe un’azione fulminea: via il dente, via il dolore. E magari la risposta di Shimizu-san non sarà negativa come invece si aspetta da settimane.

 

La incontra per caso giusto il giorno dopo, quando si reca in biblioteca per procurarsi dei libri necessari per un approfondimento. Questo, ad esempio, potrebbe essere considerato un segno positivo ‒ di tutti i momenti e i giorni in cui sarebbe potuta andare, ha scelto proprio quello in c’è anche Shimizu.

Respira profondamente, per controllare i battiti impazziti del suo cuore che minaccia di esploderle in petto, e nel momento in cui incrocia il suo sguardo, solleva una mano per salutarla. Shimizu le sorride calorosamente, e Hitoka si fa strada tra una serie di studenti scontrosi e frettolosi come guidata dalla luce celestiale che lei emana. Quando riesce ad arrivare alla scrivania dove ha distribuito i suoi libri e i suoi quaderni, Hitoka le si siede di fronte.

«Ciao.», le dice, perché ovviamente non può aggredirla con un invito così all’improvviso.

«Ciao.»

Ci sono un paio di minuti di silenzio in cui Hitoka non sa che dire, o meglio, sa perfettamente cosa dire, e saprebbe pure come dirlo, ma proprio non ce la fa. Pensa a Yamaguchi, che l’ha molto poco velatamente accusata di autosabotarsi, e non può fare a meno di maledirlo mentalmente mentre è costretta  a dargli ragione.

«Hai recuperato un po’ di sonno?», domanda premurosamente Shimizu.

Hitoka annuisce lentamente e poi nasconde il viso tra le mani. Perché Shimizu è davvero la creatura più meravigliosa dell’universo, perché non ha alcun motivo di preoccuparsi per lei ma lo fa lo stesso, perché potrebbe averle già chiesto di andarsene eppure non l’ha fatto, perché avrebbe potuto rifiutarla nettamente settimane fa, quando era ormai chiaro che tutti i suoi sforzi si stessero concentrando nella fallimentare operazione di chiederle di uscire, eppure non l’ha ancora fatto, ma, peggio, ha continuato ad essere gentile e disponibile ogni volta che lei testardamente tornava alla carica. 

Lei davvero non se la merita, un’amica come Shimizu-senpai, figurarsi una fidanzata come lei, ma nonostante questo vuole essere egoista e vuole quantomeno avere la sua possibilità, alla faccia della sfortuna e di Yamaguchi.

«Ti va di uscire con me?», chiede, il volto ancora nascosto, le parole quasi sicuramente incomprensibili e mugugnate contro i palmi delle sue mani. «C’è questo cat café all’angolo della strada, e magari sabato pomeriggio potremmo andare lì.»

Shimizu sospira e Hitoka trattiene a stento l’istinto di imprecare ad alta voce. Ecco, sta per rifiutarla, ne è sicura. Magari le scoccia pure doverlo fare, magari in questa giornata già ne ha dovuti rifiutare tanti, di spasimanti, e proprio non ci voleva che lei adesso andasse a scocciarla. 

«Mi piacerebbe davvero tanto-», inizia, e Hitoka apre le dita a ventaglio per poterla osservare ‒ sembra davvero corrucciata. Sembra sincera, e ovviamente non ha mai dubitato del fatto che Shimizu le potesse dire bugie, ma sentirsi dire che le piacerebbe sembra quasi surreale. 

«-ma come vedi, non ho un attimo libero.», spiega, e indica la miriade di libri aperti sulla scrivania. «Ho un’esame a breve a davvero non posso permettermi di uscire.»

«Oh.», risponde, atona. «Sì, certo. Certo, scusami, io non-», si giustifica.

«Perché non me lo chiedi tra una settimana, Hitoka-chan?»

 

[5.]

Una settimana è un tempo lunghissimo da passare in attesa che succeda qualcosa: soprattutto quando sai cosa sta per succedere, soprattutto quando la cosa che sta per succedere è allo stesso tempo quella che vorresti di più e quella che più ti spaventa al mondo.

La cosa positiva, di tutta questa storia, è che almeno sa che Shimizu-senpai non ha intenzione di respingerla. Certo, potrebbe non essere innamorata di lei, ma Hitoka sente che le basterà quella piccola opportunità per capovolgere la situazione a suo vantaggio ‒ sente di aver finalmente svoltato in una corsia troppo piccola affinché il suo personalissimo tir di sfortuna riesca a raggiungerla.

È un lunedì mattina, come la prima volta che ha provato ad invitarla, ed è in realtà passata poco più di una settimana, perché, nonostante abbia avuto il forte impulso di lanciarsi su di lei, quando l’ha vista sabato mattina alla prima partita di campionato, non voleva sembrarle disperata ‒ anche se un po’ disperata lo era. Lo è ancora.

Stamattina si è svegliata con calma. La sua prima lezione comincia alla dieci, il che le dà tutto il tempo necessario per prepararsi con cura, per sistemarsi i capelli, per recarsi senza affanno verso la palestra dove dovrebbe trovarla alla fine degli allenamenti mattutini della squadra di pallavolo maschile

La palestra è abbastanza lontana dai dormitori. Hitoka cammina per diversi minuti a passo sostenuto, ripetendosi che andrà tutto bene, che le deve porre una semplice domanda a cui già sa che dirà sì, che in fondo Shimizu-senpai vuole uscire con lei e che non l’avrebbe tenuta sulle spine solo per rifiutarla dopo una settimana.

In realtà, più che riuscire a beccarla in palestra, la incontra a metà strada: gli allenamenti devono già essere finiti da un po’ e lei adesso sta rientrando per seguire le prime lezioni. Il suo primo istinto, quando la vede, è di nascondersi dietro il palo della luce che ha appena superato. Non c’è nulla da temere, lo sa, eppure preferirebbe sparire lo stesso.

Shimizu-senpai, che però l’ha già vista, sventola una mano per salutarla e Hitoka, nonostante l’improvvisa rigidità muscolare che sembra possederla, riesce a ricambiare il saluto. La raggiunge quasi al trotto e per un attimo non si rende conto che anche Shimizu si è mossa verso di lei, quindi quando le va a sbattere contro si congela sul posto e mormora qualche scusa imbarazzata.

«Shimizu-san-», inizia, decisa, e l’altra le rivolge un sorriso radioso che minaccia di scioglierla come un cubetto di ghiaccio in estate.

Poi, però, il suo tir di sfortuna deve aver trovato il modo di schiantarsi sulla sua corsia laterale, perché Hitoka può letteralmente vederlo mentre si abbatte senza pietà su di lei ‒ e in realtà, prima di vederlo, lo sente.

O meglio, sente i passi pesanti e imbufaliti di Yamaguchi e Tsukishima che stanno avanzando a passo di marcia verso di lei. Poi comincia a sentirli mentre la chiamano ‒ Yacchan Yachi Yacchan YachiYachi YacchanYacchanYacchan ‒ e la parolaccia che le è scappata deve essere davvero molto colorita, perché Shimizu-senpai strabuzza gli occhi e poi scoppia a ridere.

Quando le raggiungono, dopo una manciata di secondi, le sembrano delle oche starnazzanti e avrebbe volentieri tirato loro il collo. Sembrano ignorare completamente la senpai, e poi iniziato letteralmente a starnazzare frasi sconnesse di cui non capisce una sola parola.  

Si scusa con Shimizu, piegandosi in un profondo inchino, e con un grugnito irritato si lascia trascinare via dai suoi amici che stanno continuando ad emettere suoni non intelligibili. 

«Cosa c’è?», sbraita, appena si sono allontanati abbastanza.

«Hinata e Kageyama-», inizia Yamaguchi, indignato, mentre Tsukishima emette un verso disgustato.

«Loro-», continua, mentre Tsukishima annuisce convinto, «loro- be’, loro- loro-», ripete, come se si fosse inceppato.

«Li abbiamo visti!», esclama poi.

Hitoka è sempre stata una ragazza molto calma. Davvero. Sebbene la sua ansia potesse essere motivo di vago nervosismo, non ha mai davvero perso la pazienza con nessuno. Se lo chiedete a sua madre, non ha mai nemmeno pianto troppo a neonata, nemmeno quando ha messo i denti. Non si è mai lamentata, né ha dato problemi, e sebbene a volte sua madre quasi rimpiangesse di aver avuto una figlia così obbediente, è sempre stata, sotto ogni punto di vista, assolutamente irreprensibile. 

Quindi sì, Hitoka è sempre stata una ragazza molto calma. Ha dato prova della sua nuova tempra nelle sue alterne vicissitudini con Shimizu, non desistendo nonostante alcuni attimi di sconforto. Ma adesso, perché i suoi blaterano assurdità dopo averla privata della possibilità di ottenere finalmente un appuntamento, Hitoka sente di star perdendo le staffe.

«Ma insomma!», sbotta. «Li avete visti, e allora? Buon per voi, suppongo! Ma c’era davvero bisogno di comportarsi come due idioti solo per aver visto- be’, altri due idioti?»

«Li abbiamo visti mentre si baciavano.»

 

«E non ci avete detto perché-?», chiede Hitoka, invitando Hinata a concludere la sua frase.

Li hanno beccati dal lato opposto della palestra, li hanno messi all’angolo e adesso sono in attesa di una spiegazione ‒ quando più una settimana prima Yamaguchi e Tsukishima l’avevano piantata in asso al bar per inseguire una fantomatica coppia che assomigliava effettivamente molto ai loro amici, si era limitata a bollarli come idioti ed era tornata nei dormitori da sola, pregustando la sgridata che avrebbe potuto fare a tutti loro il giorno dopo. Poi era stata distratta da Shimizu e non ci aveva più pensato. 

La vita sentimentale dei suoi amici non è esattamente affar suo, ma il fatto che abbiano nascosto una cosa potenzialmente così innocua per chi sa quanto tempo dimostra chiaramente una mancanza di fiducia e Hitoka non è disposta a mollare la presa finché non arriverà al fondo della questione. 

Hinata mugugna qualcosa di incomprensibile. Kageyama sbuffa. 

«Stavamo per dirlo!»

«Non è vero.»

«Ma questo loro non lo sanno, Bakayama!»

Hitoka ispira ed espira molto lentamente.

«Sedetevi.», ordina, indicando il praticello ai loro piedi. «Adesso.»

Quando sono tutti e quattro quasi accucciati ai loro piedi, Hitoka pensa che sarebbe un momento perfetto per strillare che hanno più o meno volontariamente rovinato l’unica cosa bella che le sarebbe potuta succedere in settimane. Però pensa anche che non si sentirebbe mica meglio, a trattare i suoi amici in questo modo, quindi finisce anche lei per terra, a completare quel cerchio improvvisato.

«Confesso che in questo momento vi odio un po’ tutti.», esordisce. «Non davvero, eh!», si corregge subito, incontrando le loro facce funeree. «Solo che avevo finalmente la mia occasione con Shimizu-senpai e invece sono seduta a terra insieme a voi.»

«Io vi odio sempre, ma mi sembra di essere abbastanza chiaro da non doverlo annunciare.», rimbecca Tsukishima, guadagnandosi una gomitata nello stomaco.

«Be’, io non odio nessuno.», annuncia Hinata. «E nemmeno tu!», aggiunge, facendo una boccaccia a Tsukishima.

«Si potrebbe dire che tu ami qualcuno?», stuzzica Yamaguchi, facendo l’occhiolino a Hinata, che arrossisce come un peperone.

«Vedi perché non abbiamo detto niente?», protesta Hinata, rivolgendosi verso di lei, come ad un arbitro imparziale. «E poi all’inizio non era una cosa seria.»

«E adesso lo è?», gli chiedono quattro voci in coro.

Hitoka sente che non stanno andando da nessuna parte: impicciarsi dei fatti altrui non è sempre qualcosa di utile. Certo, da Tsukishima e Yamaguchi anche lei si sarebbe aspettata qualche presa in giro non esattamente bonaria, ma nascondere una relazione per questo motivo le sembra una cosa assurda ‒ in fondo, molto in fondo nel caso di Tsukishima, si vogliono effettivamente bene.

«Aspetta, non ci interessa.», afferma lei subito dopo. «Non a noi tre, almeno. Quello che ci interessa davvero è dire che di noi potete fidarvi e che non c’è bisogno di nascondere niente.»

«Facciamo così:», continua, scattando improvvisamente in piedi per puntare il dito contro Tsukishima e Yamaguchi, «voi lascerete in pace Hinata e Kageyama e voi», continua, indicando questi ultimi, «quando vi sentirete pronti di parlarne, lo farete. E io valuterò la possibilità di perdonarvi tutti se il mio appuntamento dovesse andare molto, ma molto, bene.»

Emette un suono soddisfatto quando vede quattro teste annuire all'unisono.

«Allora io vado.», annuncia, e si volta per partire alla ricerca di Shimizu-senpai, confortata da un piccolo coro di schiamazzi di incoraggiamento.

 

[+1]

Questa è la volta buona, se lo sente nelle ossa. O meglio, nello stomaco, che al pensiero di affrontare finalmente la questione non sembra più fare proteste di alcun tipo ‒ però, ecco, c’è un problema.

Hitoka non si è mai resa conto di quanto sia enorme il suo campus universitario finché non ha dovuto cercare una singola persona al suo interno. Si è mossa rapidamente, correndo al massimo delle possibilità di una persona per nulla allenata come lei, ripercorrendo all’indietro quello che deve essere stato il percorso di Shimizu. È passata per la biblioteca, dove di lei non c’era traccia, e si è addirittura arrischiata a bussare alla porta della sua stanza, dove le hanno detto che non la vedono dalla colazione. Qualcuno si è ricordato che dovrebbe avere lezione nell’aula 56 e allora Hitoka ha ringraziato e si è precipitata nell’edificio, solo per scoprire con suo sommo orrore che la lezione è stata annullata.

Certo, potrebbe aspettare domani mattina, ma sente che domani mattina non sarà mai buono come adesso. È stanca di aspettare, è stanca di nascondersi, è stanca di gente che le mette i bastoni tra le ruote e soprattutto è stanca di mettersi da sola, questi bastoni tra le ruote. Per cui non si perde d’animo e continua a cercare. Torna in biblioteca quasi d’impulso, dicendosi che forse, vista la lezione persa, si sarà rifugiata lì per impiegare diligentemente il tempo così ottenuto. 

Ed effettivamente, visto che ormai la sua sfortuna deve essersi esaurita, la vede appena prima che metta piede nelle aule della biblioteca.

«Shimizu-senpai!», strilla, sperando di attirare la sua attenzione.

Quando quest’ultima la vede e si ferma, Hitoka scende le scale a rotta di collo, quasi due gradini alla volta, mentre gli altri studenti si fanno di lato per non lasciarsi travolgere.

«Shimizu-san.», ripete, quando finalmente la raggiunge.

Poi si guarda intorno, giusto per assicurarsi che non ci sia nessun cataclisma imminente, e dice: «Esci con me. Per favore.»

 

[bonus]

Hitoka non è mai stata ad un cat café. Non è mai nemmeno andata ad un appuntamento. Questo lunedì pomeriggio, esattamente otto ore dopo essere riuscita a invitare Shimizu-senpai, sta per fare entrambe le cose.

Ha passato molto più tempo del dovuto scegliendo cosa mettere, ha inviato una foto a sua madre per avere un giudizio spietato e una ai suoi amici perché così almeno qualcuno le avrebbe fatto un complimento. Si è fatta arricciare i capelli da una sua compagna di stanza e adesso si trova di fronte alla palestra, in attesa che gli allenamenti finiscano.

Quando Shimizu emerge, facendosi strada tra ragazzi sudati che la salutano rumorosamente, Hitoka sente di poter toccare il cielo con un dito. E Shimizu la saluta, le dice che le piace moltissimo il suo cappotto e si avviano insieme verso il vicoletto da cui si nota un’adorabile insegna a forma di zampa di gatto.

Mentre le racconta di tutte le volte in cui avrebbe già voluto o anche solo potuto invitarla, per poi essere costretta a retrocedere, Hotoka si culla per un attimo nell’illusione che la sua sfortuna sia davvero terminata. In fondo, cosa potrebbe mai andare storto, mentre ha finalmente le dita di Shimizu intrecciate alle sue?

Hitoka non è mai stata ad un cat café. E non è mai stata nella stanza con un solo gatto in tutta la sua vita. Non ne ha mai tenuto in braccio uno, e probabilmente è suo contatto più prossimo è stato osservare a debita distanza i randagi che si aggiravano nel suo quartiere. 

Così, quando il primo micio le salta in grembo, provocandole un violento attacco di starnuti, realizza che il suo tir di sfortuna è parcheggiato proprio davanti al locale. Almeno ha Shimizu che le passa i fazzoletti.




 
  
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