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Autore: futacookies    20/03/2021    0 recensioni
{kuroshou}
«Quella vecchia di merda.», sbotta, lanciandosi a peso morto sul suo letto.
«Non solo non ha ceduto alle mie migliori moine-», si lamenta, mentre Kuroo piega magliette e maglioni e cerca di ficcarli nel minuscolo cassettone a sua disposizione ‒ ha provato con l’armadio, ma ha visto che Daishou ha già occupato ogni singolo centimetro disponibile e ha la sensazione che non abbia molta voglia di condividere gli spazi conquistati.
«-mi ha anche detto-», continua, ignorando completamente il fatto che Kuroo non lo stia ascoltando, «che i posti sono assegnati da un generatore automatico in cui vengono inseriti i numeri delle matricole, che quindi non ho motivo di lamentarmi per qualunque ingiustizia, che lei è stata fin troppo gentile ad ascoltare le mie proteste e che dovrei smetterla di comportarmi con un bambino.»
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kozune Kenma, Suguru Daishou, Tetsurou Kuroo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: scritta per la sesta settimana del cow-t organizzato da Lande di Fandom con il prompt: "Relazione forzata fra due protagonistə che si odiano, ma poi l’amore troverà la via".
Non potevo non scrivere una kuroshou. A metà tra il canon compliant e la college au, slowburn, oh my god they were roommates.

 




Stanza n. 24


Kuroo non ha mai avuto dubbi sulla sua vita dopo il diploma: si è iscritto all’università, ha consegnato tutta la documentazione necessaria con un mese di anticipo rispetto alla scadenza, ha chiesto di potersi trasferire nel campus universitario per risparmiarsi la fatica di correre ogni mattina e rischiare di fare tardi alle lezioni.

Quando finalmente è giunto il momento di occupare la propria stanza, si reca in segreteria con un borsone in cui ha cercato di infilare ogni singola cosa si trovasse nella sua vecchia stanza. La vecchia segretaria, un po’ antipatica di suo e un po’ stressata dal dover avere continuamente a che fare con matricole che non hanno la minima idea di quello che stanno facendo, scorre rapidamente una lunga lista per trovare il suo nome.

«Kuroo Tetsurou.», commenta, arrivando finalmente a lui.

«Sissignora.», risponde automaticamente, cercando di non farle un saluto militare.

La donna gli rivolge comunque uno sguardo molto scettico, come se fosse stata in grado di leggere il suo ultimo pensiero, e poi si alza borbottando qualcosa di sicuramente non lusinghiero sulle nuove generazioni. Apre un pesante armadietto metallico e recupera una chiave che gli porge senza troppi complimenti.

«Stanza 24.», spiega, «Una volta che avrà lasciato la segreteria, superi i primi due edifici sulla sinistra ed entri nel terzo. È al secondo piano.»

Kuroo annuisce, ordina rapidamente i suoi documenti, e la ringrazia con un inchino ‒ lei non gli risponde, e quando lui alza la testa, è già tornata dietro la sua postazione.

 

Quando arriva davanti alla stanza assegnatagli, dopo aver trascinato il suo borsone per quattro rampe di scale ‒ perché ovviamente la segretaria non gli ha detto che l’ascensore è guasta ‒, ci mette un po’ ad aprire la porta. Prima di tutto perché ha entrambe le mani impegnate, e quindi gli ci vuole tempo anche solo per arrivare alle chiavi che ha conservato in tasca. Poi perché ci sono due chiavi, una per la stanza e un’altra per il portone principale dell’edificio, che però lui ha già trovato aperto. Ovviamente, la prima chiave che infila nella toppa è quella sbagliata.

Mentre cerca di afferrare l’altra chiave, contorcendosi per evitare che tutti i suoi documenti, che ancora regge in mano, si sparpaglino sul pavimento, la porta si apre: evidentemente, il suo compagno di stanza è stato abbastanza gentile da aprirgli la porta.

«Grazie, davvero, ero un po’ in-»

«Ma è proprio necessario fare tutto questo baccano?», chiede quell’altro, e Kuroo fa una smorfia perché la gente maleducata lui proprio non la sopporta, quindi questo non è un buon inizio.

Poi alza lo sguardo e con un gemito di orrore si accorgere che quello, chiaramente, non è un inizio ‒ al massimo è il prosieguo di una relazione già disastrosa di suo, che sta per colare a picco peggio del Titanic di fronte all’iceberg.

«Tu!», ulula infatti Daishou, indico prima lui, poi le sue cose, poi la chiave che continua a tener in mano benché non gli serva più. «Tu!», ripete, in tono accusatorio, come se Kuroo avesse effettivamente assassinato chiunque dovesse essere il suo compagno di stanza per prendere il suo posto.

«Eh.», sbuffa in risposta, spintonandolo di lato per entrare nella stanza.

Non è molto spaziosa, e non è affatto luminosa, ma pensa che potrebbe comunque farsela andare bene, se solo il letto affianco al suo non fosse occupato da Daishou Suguro.

Mentre lui comincia a sistemare le sue cose, Daishou emette un fremito di protesta e marcia verso il piano terra continuando a ripetere che “no, non se ne parla, col cazzo che divido la camera con lui, deve esserci un errore” e lanciando ogni tanto maledizioni equamente suddivise tra lui, la segreteria dell’università e un fato esplicitamente avverso che vuole punirlo per qualche crimine commesso in una vita passata.

 

Torna, sconfitto, una decina di minuti dopo.

«Quella vecchia di merda.», sbotta, lanciandosi a peso morto sul suo letto.

«Non solo non ha ceduto alle mie migliori moine-», si lamenta, mentre Kuroo piega magliette e maglioni e cerca di ficcarli nel minuscolo cassettone a sua disposizione ‒ ha provato con l’armadio, ma ha visto che Daishou ha già occupato ogni singolo centimetro disponibile e ha la sensazione che non abbia molta voglia di condividere gli spazi conquistati.

«-mi ha anche detto-», continua, ignorando completamente il fatto che Kuroo non lo stia ascoltando, «che i posti sono assegnati da un generatore automatico in cui vengono inseriti i numeri delle matricole, che quindi non ho motivo di lamentarmi per qualunque ingiustizia, che lei è stata fin troppo gentile ad ascoltare le mie proteste e che dovrei smetterla di comportarmi con un bambino.»

«Ohh, il tuo fascino sta perdendo colpi, Daishou-kun.», lo sfotte prima di passare a sistemare la sua, ugualmente minuscola, scrivania.

«Come se tu potessi capirne qualcosa, di fascino.», risponde piccato, e poi salta in piedi, rovistando nel suo zaino.

«Ho un’idea.», annuncia, mostrandogli un rotolo di scotch.

«Ma sei davvero un bambino!», protesta, irritato, mentre osserva impotente Daishou che divide la loro stanza esattamente a metà con l’ausilio dello scotch.

Kuroo si aspettava che condividere una stanza con un altro ragazzo potesse essere un’esperienza non semplice: si tratta di due persone che non si conoscono, che hanno abitudini probabilmente diverse, che avranno impegni sicuramente diversi e che saranno loro malgrado costretti a imparare a conoscersi e rispettarsi. 

Il fatto che questa persona sia qualcuno che lui già conosce e che non propriamente rispetta, ma più esattamente detesta, come ha detestato poche persone nella sua vita ‒ Solo Yakkun, nei primi tempi, riusciva a indisporlo quanto Daishou ‒ rende tutto dieci volte più complicato. Il fatto che poi Daishou ricambi il suo astio, e che abbia deciso di affrontare la questione con la stessa maturità di qualcuno a cui adesso stanno iniziando a cadere i denti, rende tutto ancora più difficile.

Se entrambi avessero un’indole violenta, è chiaro che adesso sarebbero già venuti alle mani, perché Kuroo ha pensato di dargli un pugno sul muso almeno già tre volte, di cui una nell’esatto istante in cui l’ha visto. Però le loro discussioni solitamente si combattono e si risolvono su un piano logico e razionale, per cui vedere l’infantile soddisfazione con Daishou ha appena finito di limitare l’ingresso del bagno, definendolo territorio neutrale, lo lascia completamente spiazzato.

«Mi sembra di star giocando a Risiko.», si lamenta, ma non può evitare di voler controllare che abbia equamente suddiviso gli spazi, e quindi caccia un righello dal suo astuccio.

«Scommetto che fai schifo a Risiko.»

«Mai quanto te.»

 

Con grande rottura di scatole per entrambi, dovranno continuare a incontrarsi non solo ogni mattina e ogni sera, ma anche durante tutta la durata delle lezioni, visto che hanno un sacco di corsi in comune. Ovviamente Daishou ne fa una questione di stato, da brava prima donna qual è, e non perde mai occasione per allontanarsi da lui il più possibile: a mensa cambia posto se è nelle vicinanze, a lezione si siede il più lontano possibile, ed è arrivato a stabilire dei turni in cui uno di loro avrebbe studiato in camera e l’altro sarebbe dovuto andare in biblioteca “per evitare spiacevoli incontri”, o almeno così ha detto lui.

Kuroo, dal canto suo, non se ne lamenta. Considerata l'indisposizione della segretaria nei loro confronti, l’unica linea di condotta rimastagli è la sopportazione: ogni weekend scappa a casa ‒ e lui che non vedeva l’ora di sperimentare un po’ di sana indipendenza ‒ e lo evita almeno con la stessa dedizione con cui Daishou evita lui. 

Ogni tanto Yaku lo invita alle partite di campionato ‒ perché lui è un giocatore professionista, ormai, non fa altro che ripeterglielo ‒, e a volte Kai lo allontana dalla scrivania con la scusa di andare in giro a provare questo o quel bar che gli hanno raccomandato. Kenma, piccolo stronzo, all’inizio ha trovato estremamente divertente la situazione, chiedendogli di avvisare per tempo se mai fossero arrivati al punto di lanciare coltelli perché non se lo sarebbe perso per niente al mondo ‒ quando serve, però, è anche disposto a restare per ore a telefono a sentirlo lamentarsi di come la scrivania di Daishou sia in disordine e di quanto russi quando dorme.

Tutto sommato, però, questa loro soluzione di evitarsi a più non posso sembra funzionare benissimo: rispettano i loro spazi e se sono fortunati non si incontrano neanche al momente di dormire, perché che Kuroo va a letto presto e si sveglia a prima mattina per andare a correre, mentre Daishou preferisce studiare fino a tardi e poi trascinarsi come uno zombie alle prime lezioni. 

Certo, Kuroo mentirebbe se dicesse che a volte preferirebbe avere un altro compagno di stanza ‒ o anche soltanto un rapporto migliore con il suo attuale compagno di stanza. Solo che al minimo pensiero di doversi sforzare per andare d’accordo con Daishou, di tutte le persone possibili, gli viene quasi istintivo comportarsi peggio, perché Daishou proprio non se lo merita. E forse neanche lui se lo merita, ma queste cose non sono assolutamente paragonabili. 

 

Vanno avanti così per esattamente un mese. Un mese molto sofferto, alla fine del quale sono anche più stizziti di quando hanno iniziato e in cui sicuramente hanno imparato molte cose l’uno dell’altro a cui avrebbero volentieri rinunciato. 

E poi avviene la catastrofe.

La catastrofe arriva in forma del loro professore di chimica organica, che annuncia che si aspetta dalla classe un progetto di approfondimento a coppie che varrà loro metà del voto finale del corso. Mentre spiega che le coppie saranno generate automaticamente da un computer, Kuroo non può nascondere un brivido di terrore: non hanno avuto grande fortuna con questi marchingegni, loro due.

E infatti, puntuale come solo le brutte cose lo possono essere, ecco che il professore chiama i loro nomi. Daishou, dall’altra parte dell’aula, gli rivolge uno sguardo assassino e Kuroo gradirebbe infinitamente sprofondare nella sua sediolina di plastica. Magari fondersi con esse per non doversi più alzare. Qualunque cosa, davvero, pur di non dover sopportare il pensiero di svolgere un progetto con Daishou ‒ che sicuramente avrà metodi diversi dai suoi e Kuroo non ha la minima intenzione di indagare quanto questi siano discutibili.

Quando la lezione finisce, Kuroo è tra i primi a fuggire dall’aula, ma, con la coda dell’occhio, riesce a vedere Daishou che si fa avanti per parlare con il professore e non può nascondere un moto di speranza accompagnato ad una ‒ secondo lui più che naturale e ben giustificata ‒ sensazione di stizza.

Insomma, Kuroo sarebbe un ottimo partner per un progetto. Perché dover fare storie, scomodare il professore con il rischio di inimicarselo prima ancora di iniziare, soltanto per cambiare partner? Kuroo sarebbe un ottimo partner per un progetto. Lo sa. Lo può giurare. Certo, forse la sua tendenza al provocare le persone potrebbe essere un ostacolo alla collaborazione, in un primo momento, ma eventualmente sarebbe in grado di tirare fuori dai suoi compagni il loro lato migliore. 

Daishou, al contrario, farebbe schifo come partner. Kuroo sa anche questo. Probabilmente darebbe un imput minimo al loro progetto, lo lascerebbe da solo a barcamenarsi con gran parte del lavoro e poi si prendere la quasi totalità del merito di fronte ai professori. Riesce a percepirlo e di certo non ha difficoltà ad immaginarlo. E, in fondo, i metodi di Daishou sono suoi e basta e se si trova bene così lui non è nessuno per fargli la predicare. Ma non vuole essere coinvolto nei suoi stupidi schemi e non vuole essere costretto a compiacere i professori per ottenere mezzo voto in più.

 

«Ci credi che ha detto che non possiamo cambiare partner? È stato così scortese! Insomma, che ne sa lui del perché io non ti voglio come partner? Potresti essere il mio ex, potresti avermi ucciso il cane, potresti essermi costato la partecipazione al torneo nazionale-»

«Tu hai già un’ex, e per fortuna non sono io. Non potrei mai uccidere un cane, benché suppongo che liberare la povera bestiola dall’agonia di un padrone imbecille come te non possa davvero essere considerato un crimine e hai mai pensato che forse non eri bravo abbastanza, per le nazionali, Daishou-kun?», gli risponde, facendogli una linguaccia dopo che l’altro gli mostra un dito medio.

Kuroo continua a sfogliare il manuale di chimica organica alla ricerca di qualche argomento che possa fare al caso loro. Daishou, però, non sembra intenzionato a smettere di lamentarsi.

«Non è possibile che il mio fascino non abbia più effetto su nessuno.», mugugna, melodrammatico. «Kuroo, idiota, ehi, girati, sto parlando con te-», continua, scuotendogli una spalla. Kuroo si gira infastidito. «Tu pensi che io abbia perso il mio fascino?»

Kuroo sbuffa. Il fascino di Daishou è fatto al cinquanta per cento di moine ben riuscite e per l’altra metà di persone ben disposte verso queste suddette moine. Il fatto che nel mondo universitario nemmeno le burbere segretarie si facciano più irretire da simili giochetti non dovrebbe essere una sorpresa per nessuno. 

E in ogni caso Kuroo non ha mai capito come si possa pensare anche solo per un secondo credere che Daishou intenda realmente quello che dice: insomma, basta guardare la sua faccia da schiaffi per capire che si tratta di una viscida messa in scena.

«Sono la persona sbagliata cui chiedere, visto che ho sempre pensato che fossi un piccolo doppiogiochista di merda.», commenta, riportando la sua attenzione all’indice del libro che sta sfogliando. «Che ne dici delle proprietà degli amminoacidi?», chiede poi, mostrandogli l’argomento.

Daishou emette un altro verso lamentoso si trascina verso il bordo del suo letto per  strappargli il libro dalle mani e dargli un’occhiata superficiale.

«Umph. Sì, okay.», risponde, lanciando poi sulle sue gambe. «Sappi che non ho alcuna intenzione di collaborare con te, ma col cazzo che ti farò prendere tutto il merito del progetto.»

Scatta in piedi e lo afferra per il colletto del maglione.

«Andiamo in biblioteca!», gli annuncia e fa finta di non sentire le proteste di Kuroo che tra un paio di ore già vorrebbe essere a letto. 

 

Lavorare con Daishou è estenuante. Sembra una vera e propria maledizione: non riesce a stare fermo in solo posto, si alza, consulta un libro, scrive mezza nota di appunto prima di passare tutto a lui e alzarsi di nuovo per cercare altre informazioni. È da un’ora che sono in biblioteca e la pila di libri che ha affianco inizia ad avere un’altezza preoccupante. Kuroo, dal canto suo, sta ancora trascrivendo le nozione di base dal loro manuale di riferimento, azione che avrebbe potuto tranquillamente svolgere anche da solo e soprattutto anche in camera sua, motivo per cui si sente ancora più indisposto nei confronti dell’altro, che ha ritenuto assolutamente necessario trovare immediatamente tutto il materiale di cui avrebbero potuto aver bisogno.

Quando Daishou schiaffa l’ennesimo libro sulla già precaria torre, Kuroo gli afferra il polso e lo tira a sedere ‒  Daishou lo guarda, infastidito, ma non dice niente.

«Vuoi stare fermo per cinque minuti? Abbiamo abbastanza materiale per farci sopra una tesi di laurea, altro che presentazione!», sbotta, guadagnandosi un’occhiataccia dal bibliotecario verso il quale si scusa immediatamente.

«Comincia a scrivere qualcosa anche tu.», lo esorta poi e Daishou fa una smorfia ma obbedisce. 

Continuano finalmente in silenzio per un’altra ora. Poi Kuroo decide che ne ha abbastanza, che è stanco, che deve andare a dormire altrimenti domani mattina non sarà in grado di fare niente. Daishou gli mette in mano metà dei libri su cui stanno studiando e gli dice che tornerà più tardi.

Quando Kuroo si tira le coperte fin sopra la testa, Daishou non è ancora tornato.

 

«Aspetta, non puoi scrivere tutto su uno sfondo bianco, poi diventa noioso!», protesta Daishou, mentre Kuroo, spazientito, sta cercando di dare un’aria quanto più ordinata possibile al loro powerpoint.

Avrebbero dovuto dividersi equamente i compiti e pensare ognuno al proprio apporto piuttosto che finire a dover collaborare per ogni piccolo passaggio. Ma Daishou aveva detto che così Kuroo avrebbe cercato di accaparrarsi tutta la parte più facile, e Kuroo non poteva davvero lasciar correre un’infamia del genere, quindi adesso Daishou si sta allungando da dietro le sue spalle per spiare come sta organizzando la presentazione ‒ e, ovviamente, non gli va bene.

Sono un po’ indietro sulla tabella di marcia, questo sarebbe inutile negarlo: sprecando ogni minuti a disposizione nel discutere su come sarebbe meglio andare avanti e quali passaggi evidenziare e quali lasciare indietro in due settimane han fatto davvero ben poco. Ed è particolarmente frustrante perché Kuroo probabilmente, da solo, per terminare il progetto ci avrebbe impiegato la metà di quanto ne è servito a loro soltanto per scegliere in quale font scrivere la presentazione.

«Puoi non starmi così appiccicato?», chiede, spostandosi di lato per evitarlo. «Pensavo avessimo riempito il pavimento di scotch per un motivo.»

«Io ho riempito il pavimento di scotch e tu, da bravo parassita, ne hai beneficiato. Ora, se ti scolli da questa sedia magari posso cercare di salvare il salvabile e rendere almeno l’intestazione un po’ più originale.»

«Non chiamarmi parassita, sei tu che il piccolo vermiciattolo che continua a creare problemi.»

«Sì, certo, infatti io sono quello che rischia di rendere il nostro progetto assolutamente banale e facilmente dimenticabile e simile a tutti gli altri- ah, no, giusto. Quello sei tu.»

Kuroo si alza facendo strisciare la sedia sul pavimento, in modo che colpisca Daishou e lo faccia cadere. Osservandolo dall’alto, propone: «Va bene, fai tu la presentazione. Ma se il professore non ci assegna il punteggio massimo, io mi prendo l’armadio.»

 

Dopo essere stato minacciato di essere privato dell’armadio, che Daishou considera la sua più importante vittoria in quel tabellone da Risiko che è la loro stanza, quest’ultimo sembra essere molto più propositivo ‒ la mattina seguente, infatti Kuroo si è svegliato con una stanza ripulita dallo scotch e una presentazione già stampata che, deve ammetterlo almeno con se stesso, per quanto gli costi, è di gran lunga meglio organizzata della sua.

Da allora collaborare non è di certo più facile, perché continuano a procedere a rilento e Kuroo ha il terrore che non ce la faranno in tempo, perché davvero adesso manca soltanto una settimana alla consegna e hanno scritto meno della metà di quanto non avrebbero voluto e Daishou sembra non rispondere bene alla pressione, perché fa completamente finta di non conoscere la data di consegna e ha ancora qualcosa da ridire sul materiale che hanno scelto.

Però, ecco, adesso a Kuroo sembra quasi di vedere la luce alla fine del tunnel, tra un rimbecco e l’altro, e quando a tre giorni del termine si ritrovano seduti per terra, nella loro stanza, con una caraffa ormai vuota di caffè e due sguardi allucinati dalla stanza, non gli dispiace che sia Daishou, il suo compagno per il progetto.

Scosso da questo pensiero come da un fulmine, Kuroo allunga una mano per recuperare il telefono e lo schermo luminoso, che gli suggerisce che sono le tre e mezza di notte, gli dice che hanno davvero lavorato troppo.

«Io devo andare a dormire.», annuncia, alzandosi per sgranchire le gambe doloranti.

«Sei proprio un nonnetto.»

«E tu cosa saresti, il mio nipote scavezzacollo?»

Daishou non riesce a trattenere una risata, sinceramente divertita, che trascina inevitabilmente anche lui, ma nel momento in cui si rendono conto di quello che stanno facendo si bloccano, si lanciano una smorfia disgustata e Kuroo corre in bagno a lavarsi la faccia per cancellare qualunque traccia di sorriso.

 

Il loro progetto, presentato brillantemente soltanto perché avevano più caffeina che sangue nelle vene, è valso un dignitosissimo 95/100. Che non è esattamente il massimo, ma è il voto più alto che il professore ha concesso alla loro classe, per cui possono dirsi soddisfatti.

Quando hanno visto il risultato, si sono trattenuti da qualunque esternazione di gioia e si sono limitati a lanciarsi a vicenda un’occhiata guardinga, che non promette il sotterramente dell’ascia di guerra ma che nemmeno ne affila la lama. 

Il giorno dopo, Daishou libera metà del suo armadio ‒ Kuroo, che in tutto quel trambusto si è completamente dimenticato di quello che gli aveva detto, lo guarda come se gli fosse cresciuta una seconda testa.

«Tecnicamente non abbiamo preso il massimo, per cui dovrai accontentarti di averne metà.», sbuffa.

«Guarda che l'armadio è nella tua metà di stanza.»

Daishou gli dà le spalle. Sembra quasi imbarazzato.

«Ho tolto lo scotch, no?»

 

Lo scotch dovrebbe essere una metafora del loro rapporto. Sicuramente è così, ma Kuroo non è mai stato bravo in letteratura. Immagina che significhi che prima erano nettamente divisi, mentre adesso ci sono limiti che possono essere facilmente superati perché non ci sono più divieti fisici. 

Perciò adesso se Kuroo è sveglio quando Daishou rientra dalle sue tarde ore di studio, invece che girarsi dall’altra parte e fingere di dormire, leva il secondo cuscino con cui dorme e si fa dire fino a che punto è arrivato e se per caso vuole dare un’occhiata ai suoi appunti, già che c’è.

È strano ‒ inaspettato? Non è che adesso giochino a fare gli amiconi, ma non sente di poterlo considerare ancora come all’inizio. Ci deve essere stato un cambiamento, a un certo punto, e lui forse non se n’è accorto. Forse è stato lo scotch, riflette, mentre osserva la leggera polvere che si è accumulata sul muro dove prima c’era il nastro adesivo. 

Forse semplicemente scivolare in questa silenziosa tregue è stato meno stancante che continuare una guerra apparente che portavano avanti solo perché sono entrambi troppo orgogliosi di alzare bandiera bianca per primi. 

«Ohi.», chiama Kuroo, mentre Daishou con un mugolio stanco si stende a letto.

Puzza di birra ‒ il sabato sera va a un pub poco distante per bere qualcosa con alcuni compagni di corso. L’ultima volta l’ha pure invitato, nel caso dovesse sentirsi solo perché chiaramente nessuno vorrebbe stare con lui di propria volontà, ma Kuroo l’ha mandato a quel paese e la discussione era finita lì. Anche perché Kuroo il sabato non c’è quasi mai. L’ultima volta che si è fermato era perché il lunedì successivo c’era un esame e proprio non aveva tempo da perdere per andare e tornare.

Oggi è stato quasi un caso: il giorno precedente era rimasto sveglio fino a tardi per ripetere ‒ pessima abitudine che ha preso da Daishou contro le sue migliori intenzioni ‒ e dopo essersi svegliato tardi quella mattina gli era completamente passata la voglia di prepararsi lo zaino e sprecare un’ora solo per arrivare a casa.

«Ohi, idiota.», ritenta, mentre Daishou sprofonda con la testa sul cuscino.

«Smettila di urlare.»

Kuroo apre la bocca per dire che non sta affatto urlando, anzi che tecnicamente ha sussurrato, quando capisce che è un caso perso. Si alza, bofonchiando qualche imprecazione perché sono a febbraio e si gela se non deve uscire da sotto il piumone, e lancia una coperta su corpo mezzo addormentato di Daishou.

«Sai, Kuroo, non sei davvero così male come dico di solito.»

Qualunque risposta possibile gli muore in gola.

 

In vino veritas, dicono, e quello non era esattamente vino perché l’odore della birra da due soldi si sentiva anche a un metro di distanza, ma comunque la possibilità che Daishou abbia detto la verità e non una delle sue solite panzane c’è. Eccome se c’è. O, almeno, lui vuole che ci sia. Lo vuole disperatamente, per qualche contorto motivo, perché significherebbe che non è solo lui, ad essersi ammorbidito nei confronti di Daishou, significa che c’è un ammorbidimento reciproco e che quindi, se qualche volta non lo vuole davvero mandare a quel paese, può anche non farlo.

Non sa nemmeno se Daishou se lo ricorda, quello che gli ha detto, o se l’ha fatto volontariamente o se piuttosto la sua lingua biforcuta si è sciolta più del dovuto sotto l’effetto dell’alcool ‒ perché se l’ha fatto apposta, be’, questo cambia tutto. Avrebbe sepolto l’ascia di guerra con cui continuano a giocare da anni e l’avrebbe fatto consapevolmente. Perché lo voleva.

Kuroo vorrebbe che lo volesse, o quantomeno vorrebbe che il rapporto prendesse una piega diversa, per cui prova ad essere più gentile. Quando gli mantiene aperta la porta della biblioteca per permettergli di portare fuori tutti i suoi più facilmente, Daishou strabuzza gli occhi e lo guarda come un esperimento riuscito male. 

«Che cosa vuoi?», chiede, guardingo.

«Niente.»

«Okay. Che cosa ho fatto per meritare tanta gentilezza?», ritenta, con un tono velatamente sarcastico e ma comunque curioso.

«Ti ho solo tenuto aperto la porta.», osserva Kuroo.

«Sì. E ieri mi ha tenuto il posto a lezione perché ho fatto tardi. Due giorni fa mi hai lasciato fare la doccia per primo nonostante sapessi che poi sarebbe finita l’acqua calda. Lunedì mi hai portato un caffè perché stavo studiando troppo e pensavi fossi stanco.»

Kuroo scrolla le spalle.

«Se non sapessi che mi detesti, direi che stai cercando di corteggiarmi.», aggiunge Daishou, con un tono di sfida.

Kuroo rotea gli occhi.

«Se pensi che ogni persona che non ti tratti male ci stia provando con te, è un tuo problema.»

Daishou sembra riflettere un po’ sulle sue parole. Deve credergli, perché poi borbotta un “okay” e non aggiunge nessun tipo di insulto come invece farebbe di solito.

Solo che poi, nei giorni successivi, Kuroo si rende conto di quanto assurdo il suo comportamento deve essergli sembrato, perché Daishou inizia a fare esattamente lo stesso. Esclusa la danza mattutina in cui entrambi insistono per fare la doccia con l’acqua fredda, ci sono le volte in cui Daishou resta a studiare con lui in camera per fargli compagnia, oppure quelle in cui si offre di andare a correre con lui la mattina alle sei, e quelle in cui quando cucina qualcosa conserva una porzione anche per lui.

Ecco, se non avesse chiarito in un primo momento che questa è solo gentilezza fine a se stessa, anzi, è precisamente non trattarsi male, Kuroo penserebbe che Daishou ci stia provando con lui.

E sotto sotto un po’ ci spera.

 

Il primo anno di università è finito e adesso ha due settimane di vacanza prima di dover ricominciare a seguire i corsi. Tornare a casa è quasi un sollievo, soprattutto se questo significa essere libero dalla costante presenza di Daishou che adesso sembra più confonderlo che irritarlo. 

Kenma si è diplomato e sta cercando un appartamento nei quartieri universitari.

«Non posso avere compagni di stanza, faccio dirette in streaming fino a notte fonda.», gli ha spiegato semplicemente. 

«Perché non vieni a vivere con me?», propone.

«Io non sarei un compagno di stanza?» 

«Sì, ma tu hai il sonno pesante. Mica ti do fastidio. Allora, ho trovato questo appartamento a due minuti dall’università che-», Kenma si interrompe, assottiglia lo sguardo e osserva attentamente l’espressione di Kuroo.

Kuroo sta per protestare che qualunque cosa stia per dire non è assolutamente vera e poi scoppia a ridere.

«Oddio-», dice, mantenendosi la pancia mentre rotola sul suo letto, «non ci credo-», continua, asciugandosi una lacrima tra le risate, «vuoi restare con Daishou!», aggiunge, e cade dal letto mentre Kuroo grugnisce una risposta incomprensibile.

«Scusa, non so da quanto non ridevo così.», si giustifica, sedendosi al suo fianco. «Quindi hai una cotta per lui?»

Kuroo contempla per un attimo la possibilità di dire che lui non è innamorato di Daishou ‒ cosa peraltro vera ‒, ma in tal caso dovrebbe anche essere in grado di spiegare a Kenma perché lui sta per rifiutare di condividere un appartamento con il suo migliore amico perché preferisce restare in un buco di camera con qualcuno che esattamente un anno fa l’avrebbe volentieri ucciso e che lui avrebbe volentieri ucciso a sua volta.

Il fatto è che lui- che loro- ecco- magari potrebbero- 

Il fatto è che lui potrebbe innamorarsi di Daishou, in un futuro prossimo, che loro potrebbero effettivamente funzionare, come coppia, che magari anche Daishou, potrebbe innamorarsi di lui, perché scavando sotto anni di risentimento alla fine ha trovato qualcuno che non è davvero pessimo come lui si è ostinato a dipingerlo. Qualcuno che sa essere gentile, brillante, divertente. Qualcuno che ride alle sue battute stupide. Qualcuno che risponde a tono alle sue provocazioni anche se non ne è davvero colpito. Qualcuno che va a litigare con le vecchie segretarie antipatiche perché il riscaldamento del loro appartamento funziona solo a settimane alterne. 

«Non ridere.», si lamenta, dandogli un gomito nello stomaco.

Kenma nasconde un’altra risatina dietro la mano.

 

«Ehi, ciao, stai attendo a dove metti i piedi perché mi si è rotta una bottiglietta di acqua di colonia e adesso per terra c’è un disastro.», lo saluta Daishou.

Kuroo poteva sentire l’odore del profumo già dal primo piano, ma per un attimo ha davvero sperato che ci fosse qualcun altro, nel dormitorio, che usasse lo stesso profumo di Daishou e che l’avesse per sbaglio fatto cadere.

«Lo vedo.», commenta, lanciando uno sguardo impietoso alle centinaia di frammenti di vetri che sono sparpagliate ai suoi piedi.

Si ferma per un attimo a guardare Daishou che sta correndo da un lato all’altro della stanza con un mocio tra le mani che probabilmente non ha la più pallida idea di come usare e si dice che forse si è detto un sacco di bugie, negli ultimi quattordici giorni.

Lui non potrebbe innamorarsi di Daishou, in futuro, per il semplice fatto che lo è già.

E questo pensiero, questa consapevolezza che è stato davvero bravissimo ad ignorare finché si è mantenuto distante da lui, piuttosto che scaldargli il cuore gli dà piuttosto l’effetto di un pugno nello stomaco ‒ perché può essere innamorato di Daishou, certo, ma niente gli garantisce che Daishou proverà lo stesso per lui.

«Cos’è quella faccia?», gli chiede, fermandosi un attimo sullo stipite della porta.

«Quale faccia?»

«Quella che hai tu, no? Sembri costipato.»

 

Quindi riprendono la loro routine fatto di studio, biblioteca, lezioni, esami. 

L’unica nota stonata è il fatto che adesso proprio non ci riesce, a non guardare Daishou. Lo guarda e pensa che in fondo è una pessima idea, continuare a permettersi di indugiare in certi pensieri. Per adesso è solo una cotta, una specie di cotta adolescenziale a scoppio ritardato, e lui non può davvero permettersi il lusso che diventi qualcosa di serio.

Anche se quando lo becca a spiarlo Daishou non gli dice proprio niente, non lo sfotte, non fa domande, ricambia il suo sguardo per un po’ finché Kuroo non decide che sta diventando un momento imbarazzante e allora abbassa gli occhi e prega che Daishou non scelga di portare a galla l’argomento.

Su questo può stare tranquillo, però, perché non importa quante volte questo teatrino abbia avuto luogo, Daishou non ne parla mai.

«Vi ho visto l’altro giorno, in biblioteca.», gli dice Kenma, mentre aspetta che il suo ramen istantaneo cuoce nel forno a microonde, «Siete imbarazzanti. Ti giuro, mi sono fermato per cinque minuti, avevo bisogno di un volume introvabile online, e tutto il tempo vi siete guardati come una coppietta di ragazzini.», rabbrividisce al ricordo.

«Stai zitto. Non siamo una coppietta.», protesta Kuroo. 

Se non avesse un briciolo di dignità da mantenere, a questo punto sarebbe già arrossito.

«Non ancora.», commenta Kenma, sibillino.

 

Sul finire della primavera le piogge si intensificano e diventano sempre più imprevedibili. Così Daishou si ritrova a dover correre dal un lato all’altro del campus senza un ombrello. Questo è stato venerdì mattina. Adesso, che è sabato, ha il raffreddore una voce nasale che lo distrae mentre cercano di ripetere gli ultimi argomenti prima del prossimo esame.

«Credo che dovresti prenderti qualcosa contro il raffreddore e metterti a dormire. Non si può davvero continuare a ripetere così.»

Daishou sbuffa infastidito. 

«Sto benissimo. Grazie, mammina.», sfotte, tirando su con il naso.

Kuroo grugnisce. Già gliel’ha fatta, la predica secondo cui non dovrebbe mai uscire senza ombrello, perché poi finisce zuppo, ma visto che non ha sortito alcun effetto non ha senso fargliene un’altra ora. 

«Fai schifo.», protesta Kuroo.

«Anche tu.»

Domenica mattina, però, Daishou ha la febbre. Non altissima, solo fastidiosa, o almeno Kuroo deduce che deve esserlo perché sono le sei di mattina e Daishou si sta lamentando come se lo avessero appena pugnalato a morte. 

«Kuroo-», lo chiama, trascinando la o finale. «Mi fa male la testa.»

«Tagliatela.», e la sua risposta secca.

«Cattivo. Me ne ricorderò, quando starò meglio.»

Kuroo sospira e scaccia via le coperte. Non sta prestando soccorso a Daishou perché è innamorato lui, eh. E nemmeno perché glielo sta chiedendo con tanta gentilezza. In realtà, non gli sta chiedendo proprio un bel niente. SI sta lamentando e basta come un piccolo moccioso petulante. Ecco, proprio perché si sta lamentando e lui vuole che smetta il prima possibile perché non gli dia più fastidio, gli sta passando un antidolorifico e un bicchiere d’acqua. Perché gli dà fastidio. Non perché si vuole prendere cura di lui.

«Come va?», gli chiede, dopo che sono passati un paio di minuti.

«Male, infermiera.», borbotta, nascondendo.

«Al massimo infermiere.», sbotta Kuroo.

«Mhh. Però io ti vorrei vedere con una gonna. Hai sempre avuto delle cosce che-», si ferma, dopo aver realizzato quello che sta dicendo, e poi scrolla le spalle. «Be’, non è che si possa negare.»

«Forse è meglio tornare a dormire.», propone Kuroo, imbarazzato.

Sta per alzarsi dal bordo del letto di Daishou, dove è stato seduto fino a quel momento, quando lui lo afferra per un polso e lo tira giù. Gli fa spazio, affianco a lui, e Kuroo vorrebbe protestare, vorrebbe almeno provare a protestare, ma Daishou lo sta abbracciando a cucchiaio ed è tutto sudato per la febbre e Kuroo crede di stare per avere un infarto.

«Già. Dormiamo.»

 

«Quindi avete dormito insieme?», chiede Kenma, che sta armeggiando con il suo telefono.

«Be’, sì. Ma non abbiamo fatto niente.»

«Proprio niente?», insiste Kenma, stranamente curioso riguardo tutta la faccenda, e Kuroo scuote la testa.

«Sei inutile, Kuroo. Davvero. Io non- uno passa tanti anni ad avere un amico solo per essere deluso in questo modo e-», Kenma lo scuote per le spalle. «La prossima volta, ti prego, fate qualcosa.»

«Quanto avete scommesso?», chiede Kuroo, che ha visto una stringa di messaggi sul telefono di Kenma tra cui uno un capslock di Yaku che diceva: “se non hanno fatto niente non vale!”.

«Tanti yen. Non vuoi davvero sapere quanti. Yaku dice che tu sei troppo orgoglioso e non ti farai mai avanti con Daishou. Ma io ti conosco meglio di lui e quindi ho scommesso che farete qualcosa entro la fine di questo semestre.»

Kuroo sbuffa. Begli amici, i suoi. Lui a crogiolarsi nei sentimenti non corrisposti di una cotta assolutamente non desiderata e loro che facevano puntate sulla sua prossima mossa.

«Se io non fossi sempre così gentile-», comincia, e poi si scrolla Kenma di dosso. «Farò qualcosa per la fine del semestre. Anzi, farò qualcosa adesso. Ma voglio metà della vincita.»

 

«Io non ci posso credere, stavamo dormendo e tu sei letteralmente scappato!», sbotta Daishou appena Kuroo si tira la porta dietro le spalle. «Se ti avessi baciato cosa avresti fatto, saresti sprofondato nelle profondità della terra?»

Probabile, pensa Kuroo, e poi riascolta le sue ultime parole ‒ in quel momento, qualunque ragionamento logico si sgretola sotto i suoi occhi. Si lancia verso di lui, gli scosta i capelli sudaticci dal volto e quando lo bacia la sua bocca è praticamente bollente. Dopo un primo istante in cui Daishou rimane immobile, probabilmente sorpreso da un simile gesto, si scioglie sulle sue labbra, si aggrappa alle sue spalle e lo tira su di sé.

Qualche ora ‒ e molti baci dopo ‒ Kuroo starnutisce rumorosamente, e mentre Daishou lo rimprovera, manda una foto a Kenma su cui campeggia il suo naso rosso e un segno di vittoria.

«Davvero, Kuroo, quale decerebrato bacerebbe qualcuno con la febbre?»







 
  
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