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Autore: NyxTNeko    21/03/2021    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 108 - Arresto -

Sieg, 5 agosto

Napoleone era giunto al campo di Sieg, nei pressi di Nizza, da poco tornato dal matrimonio di Giuseppe. Era stata una giornata festosa, allegra, anche se, come al solito, se n'era stato per conto suo, a contemplare, da lontano, la felicità del fratello, d'altronde era il suo giorno più importante. Quel particolare momento che non si dimentica mai più. Era contento per lui, Giuseppe si era sistemato ed era sinceramente innamorato di Julie Clary, di questo Napoleone ne era più che sicuro. Aveva intravisto l'amore negli occhi chiari del maggiore, che era ricambiato dalla neo sposa. Inoltre con la dote della ragazza la famiglia si era sistemata e poteva godere di maggior benessere.

Il giovane generale era rimasto in compagnia della sorella Eugénie Desirée con cui si erano scambiati qualche parola, per gran parte del tempo erano rimasti in silenzio, a guardarsi, ad esplorarsi con lo sguardo, soprattutto la sedicenne, voleva essere certa dei sentimenti che provava nei confronti del corso. "È proprio una bella ragazza" rifletteva Napoleone mentre era a galoppo sul suo destriero per il viaggio di ritorno "Di aspetto grazioso, anche se dev'essere un po' educata, non ha molta cultura, devo rimediare" pensava ancora, sorridendo. Quella ragazza aveva sciolto leggermente quel cuore indurito dalla vita, dall'addestramento militare che avevano inquadrato il suo carattere e la sua mentalità.

I suoi aiutanti non facevano caso alla sua aria riflessiva, quasi trasognata, lo conoscevano fin troppo bene e lo avevano lasciato stare nel suo oceano di pensieri. Seppur scherzassero tra loro, specialmente dei modi un po' legnosi del comandante, avevano notato, infatti, i suoi tentativi nei riguardi di Desirée e ciò li aveva divertiti molto. Era un decisamente impacciato, non per questo, però, mancava di dolcezza e gentilezza.

Tuttavia non appena si era fermato all'accampamento per far sostare i cavalli, stanchi per il viaggio, aveva percepito, nell'aria qualcosa. Nemmeno lui sapeva dire cosa effettivamente fosse. Era sceso da cavallo, il quale stava già brucando l'erba un po' arsa dal rovente sole di agosto, e stava compiendo qualche passo per sgranchire le magre gambe. La sua mente era rivolta ancora a quel 1° agosto, in cui si era risvegliato il desiderio di mettere su famiglia al pari del fratello, con enorme sforzo aveva messo a tacere questa volontà. Doveva aspettare, pur odiando il termine, doveva ammettere che era necessario attendere tempi migliori. La sua posizione non era ancora del tutto stabile, ogni cosa era in bilico.

Raggiunta a grandi passi la scrivania, si era accomodato alla sedia e iniziato a rivedere attentamente le carte, il suo progetto di invadere l'Italia era ancora lì, nitido, nella sua mente, quasi del tutto pronto, avendo avuto l'occasione di studiare da vicino le città della Repubblica di Genova e del Regno di Sardegna del Piemonte. "È l'unica soluzione per abbattere l'Austria e indebolire le forze della coalizione" ripeteva a se stesso. Inoltre, un'altra, folle, idea gli era balenata in testa e al pari di un ronzio risuonava nella mente: preparare una spedizione per riprendersi la Corsica e allontanare gli inglesi a gambe levate.

Nonostante si fosse ripromesso di non voler più sapere nulla del destino della sua isola natale, si era tenuto aggiornato circa la situazione politica: Paoli e gli inglesi avevano creato un regno anglo corso, stilato una costituzione che concedeva ampia libertà agli isolani, persino a livello linguistico. Apparentemente sembrava che tutto fosse stato risolto, invece Napoleone era più che convinto che ci fosse la trappola "Agli inglesi non può bastare avere un controllo formale della Corsica, loro ambiscono a possederla letteralmente, in maniera peggiore dei francesi, questi, dopo un periodo in cui fu considerata colonia, l'hanno riconosciuta come parte della Francia" elaborava sogghignando sottecchi, divertito dall'ingenuità dei suoi ex conterranei "Non faranno mai governare un uomo come Paoli, che aspira ad avere un ruolo di spicco, potrei quasi dire reale, piuttosto metteranno un inglese o un corso malleabile a capo del parlamento... già parlamento" quella parola gli fece fare una smorfia di disgusto. Quel termine suonava troppo britannico alle sue orecchie.

Con impazienza malcelata attendeva una risposta da Parigi, che non si era fatta sentire. Da settimane non aveva notizie dei Robespierre, ciò era davvero strano, i due fratelli costituivano il centro della vita francese, ogni evento, ogni esistenza era nelle loro mani - Generale Buonaparte! - udì provenire improvvisamente dall'esterno, si ridestò, era la voce di Junot, era preoccupata, allarmata - Generale Buonaparte! - ripeteva l'aiutante, ansimava vistosamente, correva assieme agli altri assistenti.

Napoleone balzò in piedi ed uscì dalla tenda, li vide avanzare, tenendo tra le mani un giornale locale - Che succede? - domandò inquietato dalle loro espressioni cupe e spaventate. Tremavano dal testa ai piedi, eppure era piena estate. Era accaduto qualcosa di grave.

Quelli si guardarono l'uno l'altro, annuendo reciprocamente, tentarono di parlare, non ci riuscivano, non sapevano come riferire tale notizia, avevano provato pure ad elaborare delle frasi poco prima, la mente si era completamente svuotata. La paura si era impossessata delle loro anime, come potevano rivelare quanto accaduto a Parigi? Nessuno era abbastanza forte, per questo pensarono di consegnargli direttamente uno dei tanti giornali che avevano trovato nelle vicinanze.

- Insomma volete dirmi cosa diavolo succede? - sbottò Napoleone, vedendoli in quello stato di terrore. Si ricordò del giornale e lo strappò di mano bruscamente, per poco non lo distruggeva e si mise a leggere. Le iridi chiare saettavano da una parte all'altra, fino a quando si pietrificò improvvisamente - No... - gli sfuggì sbiancando - Non può essere... - quelle parole stampate, a caratteri cubitali, parlavano chiaro: il Terrore era crollato, trascinando tutti coloro che lo avevano ideato e sostenuto, in primis i Robespierre.

Il colpo di Stato era stato attuato e i termidioriani si stavano mettendo all'opera per cercare di migliorare la situazione del paese. Questa svolta non rassicurò affatto Buonaparte, al contrario, gli generò un timore angoscioso che nemmeno lui credeva di avere, che s'illudeva di averlo sepolto in fondo al suo cuore, ignorando la natura istintiva degli esseri umani, portata alla sopravvivenza. I fogli gli caddero dalle mani, rimanendo immobile a fissare un punto del paesaggio che si stagliava all'orizzonte - Ed ora...che accadrà? - sentiva che la sua carriera e la sua vita erano in serio pericolo. Aveva questo terribile presentimento.

- Che ne sarà di noi? - si chiesero gli aiutanti di campo - Finiremo alla ghigliottina! - si sovrapponevano l'uno, l'altro, atterriti, pallidi - È così generale? Faremo quella fine? - gli domandarono rivolgendogli occhiate interrogative. Ma Napoleone non prestò loro attenzioni, abbassò il volto spigoloso, sul quale era scesa una lunga ombra, voltò loro le spalle e si ritirò all'interno - Ma non ha ascoltato una sola parola di quello che abbiamo detto? - fece Marmont sbattendo le palpebre.

- Pare proprio di no - rispose Junot dandosi un colpo sulla fronte sudata - Ed è un guaio se nemmeno lui sa cosa ci accadrà, se davvero il nostro destino è finire sotto la lama della ghigliottina!

Muiron rivolse lo sguardo verso la figura del generale che si confondeva con l'oscurità della tenda, man mano che s'inoltrava "O forse lo sa benissimo...a giudicare dalla sua espressione..." Il giovane artigliere stava imparando a conoscere Buonaparte meglio degli altri due, aveva intuito il turbine di pensieri che quell'avvenimento gli aveva scatenato, però, per quanto impaurito, non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro, avrebbe condiviso il destino del suo comandante. La sua esistenza era strettamente legata a quella di Napoleone, non avrebbe mai rinnegato la sua amicizia, lo considerava addirittura un fratello maggiore.

'Sono rimasto un po' turbato dalla sorte del Robespierre minore' iniziò a scrivere, di getto, rivolgendosi a Tilly, con cui aveva stabilito un sincero rapporto di complicità, di rispetto reciproco 'Mi piaceva e lo consideravo onesto, ma se fosse stato mio fratello, se avesse aspirato alla tirannia, lo avrei pugnalato io stesso' ed era sincero in queste sue rivelazioni, perché per Augustin aveva riservato realmente stima, aveva visto la purezza, la limpidezza dei suoi intenti, diversi da quelli di Maximilien, che provenivano dal cuore.

Non riusciva a credere che alla fine, anche lui, fosse piombato nella trappola del potere. A quanto pareva, era proprio così. Si preparava ad accettare il suo di destino, confidando nell'amicizia di Saliceti "Lui è il solo che può aiutarmi ora, non ho più nessuno" sospirò profondamente, ancora scosso e irriquieto. Si sistemò il ciuffo di capelli che aveva spettinato e respirò profondamente. Non poteva immaginare quello che sarebbe accaduto da quel momento in poi, era un'enorme e spaventosa incognita.

Barcelonette, 6 agosto

Saliceti, spaventato dagli eventi, al pari di tutti quelli che avevano collaborato con il Terrore, non aveva alcuna intenzione di proteggere colui che fino a quel momento aveva considerato uno dei suoi pupilli, dei suoi uomini migliori. Doveva allontanare dalla sua persona ogni sospetto, aveva lavorato per Robespierre. Non aveva alcuna intenzione di finire i suoi giorni in uno squallido carcere prima e sotto l'implacabile lama dopo, per cui, conoscendo la natura del suo compatriota, pensò che la cosa giusta fosse di metterlo agli arresti. Vi erano troppe ombre sulla sua persona.

In molti era sorto il sospetto che dietro le decisioni di Robespierre minore ci fosse proprio Buonaparte, che tramite spie e uomini fedeli, elaborava i suoi piani. Così come quel progetto che Augustin aveva portato a Parigi, intenzionato a metterlo in pratica. Per i colleghi di Saliceti, Laporte e Albitte, il piano militare di Napoleone era liberticida. Ricacciando i rimorsi e i sensi di colpa, il corso era intenzionato a portare avanti le ricerche sugli spostamenti di Buonaparte. Doveva trovare la prova perfetta per incastrarlo definitivamente, solo così poteva eliminare quella macchia che avrebbe potuto compromettere il suo nome.

Mise sottosopra qualsiasi documento riguardante il giovane corso, lavorando senza sosta per giorni, trovò delle lamentele da parte di alcuni marsigliesi circa la posizione dei cannoni messi da Buonaparte in persona, sul lato terra verso la città, come se fosse intenzionato a colpire direttamente la città e i suoi abitanti, piuttosto che i nemici. Poi, come un lampo, Saliceti ricordò del libretto, le Souper de Beaucaire, che Augustin gli aveva mostrato qualche mese fa prima del suo arrivo a Tolone - Ma certo - si diede uno schiaffo in faccia - Ecco la prova che cercavo, con quel trattato fortemente giacobino nessuno potrà dubitare della sua adesione al Regime del Terrore! - corse immediatamente a riferirlo ai suoi colleghi che compilarono:

'Il generale di brigata Buonaparte, comandante in capo dell'artiglieria dell'Armée d'Italie, è provvisoriamente sospeso dalle sue funzioni. Egli sarà, per le cure e sotto la responsabilità del generale in capo della detta armata, messo in stato d'arresto e tradotto al Comitato di Salute Pubblica a Parigi, sotto buona e sicura scorta. I sigilli saranno apposti su tutte le sue carte ed effetti' una volta firmato fu consegnato all'ufficiale incaricato di arrestarlo, accompagnato da dieci soldati, e questi si erano messi in viaggio per eseguire gli ordini.

Parigi

Una donna dall'aspetto malmesso, gli abiti sgualciti, i capelli tagliati cortissimi e spettinati, dall'espressione incredula, sconvolta, era appena uscita dalla Prigione dei Carmelitani. Era molto stanca, provata, dai lunghi mesi di prigionia che aveva dovuto subire in quel luogo infernale. Non riusciva ancora a credere di essere ancora viva, di essere sfuggita alla ghigliottina per un soffio, a causa del cambio di governo. Nessuno pareva badare a lei.

Camminava raso al muro, toccando i mattoncini di alcune case, era esausta, aveva il bruciante bisogno di dormire in un letto morbido, accanto ai suoi figli, quel pensiero la rese malinconica e felice al tempo stesso - I miei bambini, li posso andare a prendere, finalmente - sussurrò sorridendo, gli occhi scuri, allungati le si inumidirono e scoppiò a piangere. Per sua fortuna la rivoluzione non era stata dura con loro, i suoi figli non avevano alcuna colpa, se non di avere il cognome del loro defunto padre. Già perché suo marito Alexandre de Beauharnais non era riuscito a sopravvivere alla Rivoluzione. Questa donna malmessa era la viscontessa Marie-Josèphe-Rose Tascher de la Pagerie, da tutti chiamata semplicemente Rose.

Poco più di una settimana prima, il 23 luglio il marito era stato ghigliottinato assieme al fratello Augustin, senza un processo com'era la norma oramai, lui che aveva sempre combattuto per la patria e per la rivoluzione. Quando seppe della sua morte era svenuta, complice anche il continuo stato di tensione e apprensione a cui era stata sottoposta per mesi. Nonostante non fosse mai stato un marito e un padre esemplare, al contrario, era violento, vanesio e presuntuoso, glielo aveva rinfacciato più volta prima di venir arrestati l'aprile dello stesso anno. Da quel giorno i livori, almeno da parte della donna, erano stati accantonati, per restare accanto a quell'uomo che l'aveva sempre disprezzata e per la quale provava vergogna "Perché sei incredibilmente ignorante e provinciale, come posso portarti con me senza sentirmi a disagio?" risuonarono le parole del marito.

Rimembrava ancora le percosse, le urla, la violenza di quell'uomo che non l'aveva mai voluta, mai amata, aveva accettato di sposarla per contratto, perché la sua promessa sposa era morta poco prima di raggiungere la Martinica e per mantenere la parola fatta a Joseph Tascher, che possedeva una piantagione da zucchero, La Pagerie sull'isola. Quel dolce ricordo d'infanzia la fece sospirare, le mancava davvero tanto giocare con i figli degli schiavi, che le volevano un gran bene e trascorrere le giornate con l'amata nutrice mulatta Marion. Da quando era giunta in Francia nel 1779, a quindici anni, non era mai stata felice, escludendo la nascita dei suoi due figli, Eugène, di dodici anni ed Hortense di undici.

Ma poco dopo la nascita della bambina, il marito aveva cominciato ad insinuare che non fosse figlia sua. Una volta aveva persino rapito il piccolo, che allora aveva tre anni, per convincerla a tornare da lui. Questo, assieme ai comportamenti libertini del marito, avevano portato la donna ad allontanarsi fisicamente da lui, rifugiandosi in un convento per aristocratiche e successivamente chiedendo la separazione consensuale dal marito, ottenendo il permesso di poter alloggiare ovunque volesse, la custodia dei bambini e il mantenimento. "È acqua passata" si disse la donna "Adesso devo solamente pensare a vivere di nuovo, a sistemare i miei bambini" aveva intenzione di utilizzare le sue doti fisiche e ammaliatrici per attirare qualche nuovo potente e ricevere protezione e soldi.

Anche se non era più giovanissima, aveva da poco compiuto trentun anni, e bellissima, i denti in particolare, erano cariati a causa dello zucchero che aveva sempre masticato fin da bambina, ma aveva imparato a sorridere a labbra chiuse. Certamente non era una nobile occupazione, ma doveva dar da mangiare ai suoi e a sé stessa, le entrate che aveva ricevuto fino ad ora non bastavano più. Era sicura che la sua vita sarebbe migliorata con la caduta del Terrore, aveva già notato tra le vie della capitale, un clima diverso, tutti avevano voglia di dimenticare quei tempi drammatici, terribili e godersi nuovamente un'esistenza felice e un futuro roseo.

Nizza, 9 agosto

Napoleone, intanto, aveva ripreso la sua attività militare dimostrando di essere apparentemente tranquillo, in cuor suo era agitatissimo. Aveva quello strano presagio che, da quando aveva saputo della fine dei Robespierre, lo tormentava. Aveva collaborato con loro, ma lo aveva fatto in un momento storico in cui non ci si poteva permettere di aderire ad un club rivoluzionario diverso.

Nonostante ciò manteneva l'autocontrollo, perfino quando i suoi aiutanti avevano esclamato che si sarebbero scagliati contro le guardie, se queste avessero solamente provato ad arrestarlo - Voi non farete un bel niente, siamo intesi! - li aveva rimproverati duramente, come raramente gli era capitato, per poi immergersi completamente nei libri che divorava giornalmente, ne leggeva tantissimi, decine e decine, come se non avesse più il tempo per poterlo fare. Il proprietario dell'abitazione era preoccupato al pari di tutti gli altri, più che altro per il fatto che ciò avrebbe potuto compromettere la sua reputazione. Per questo decise di far allontanare sua figlia Émilie, che aveva un bel rapporto con il giovane generale.

Il rumore di una carrozza lo mise in guardia, sollevò il collo in direzione della finestra, avvistò un piccolo gruppo di militari che, scesi dalla vettura, marciava verso la loro dimora. Il cuore di Napoleone prese a battere velocemente, comprendendo perfettamente che erano arrivati appositamente per lui. Chiuse con una mano il libro e si fece forza respirando lentamente, non doveva perdere la calma, qualsiasi cosa sarebbe successa "È l'ora quindi..." Si alzò dalla poltroncina e guardò i suoi uomini che avevano intuito ciò che sarebbe accaduto ed erano pronti a scattare - Mi raccomando - disse con tono pacato, chiuse gli occhi - Fate come vi ho detto e non succederà nulla di grave - li riaprì, sorrise tirato e si diresse verso la porta d'ingresso.

- Come se fosse facile - si lasciò sfuggire Junot, soffocando un'imprecazione, torturandosi le unghie. Il bussare della porta mozzò il respiro per qualche secondo.

Laurenti corse ad aprire, agitato, l'ufficiale che fece il suo ingresso, circondato da soldati di bassa lega, corpulento, coperto da un'ampia fascia tricolore, chiese immediatamente dove fosse Buonaparte, pronunciandolo in modo assolutamente fantasioso, ma comunque comprensibile - Ho un mandato d'arresto...

- Sono io - emise Napoleone apparendo, dalla penombra in cui era nascosto, dinnanzi all'ufficiale inferiore, il quale non si aspettava quel tipo di reazione da parte sua. Si era immaginato un discorso apposito, per convincerlo a seguirlo senza opporre resistenza. Invece il giovane uomo, che si trovava davanti, non aveva nessuna intenzione di opporsi al suo ordine, stava impettito con le mani dietro la schiena e lo fissava intensamente - Comportatevi come dovete - disse poi con calma invidiabile il generale, cominciando a sfilare la sciabola per consegnargliela.

Junot alle sue spalle dovette essere trattenuto a fatica dai suoi due compagni, Marmont e Muiron, che gli ricordarono di non fare pazzie e di mantenere i nervi saldi. Scorse il suo comandante per l'ultima volta, che lanciò loro una fugace occhiata, volendo far intendere loro di non doversi preoccupare per lui. Dopodiché si accodò agli uomini che lo avevano arrestato, diretti alla fortezza della città, che Napoleone aveva ispezionato personalmente.

- Dobbiamo scoprire dove lo porteranno - fece Junot, dopo essersi ripreso - Non credo proprio che lo faranno stare qui a Nizza per molto tempo

- Avete ragione, Junot - replicò Marmont, a braccia conserte, battendo ritmicamente il piede al suolo - Ma dobbiamo essere prudenti, altrimenti potrebbero insospettirsi e...

- E compromettere ancora di più la reputazione del comandante - completò Muiron sospirando, il generale si era comportato stoicamente, consapevole di ciò che gli aspettava - Ed è l'ultima cosa che vogliamo, se lo portano a Parigi è la fine

Laurenti si lasciò scivolare sulla poltrona - Ma guarda in che situazione dovevo andare a cacciarmi... - sussurrò tra i denti.



 

 

   
 
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