Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: _Lightning_    22/03/2021    4 recensioni
01. Ali: Erwin non ha mai volato, in vita sua. Ma Levi sa che spiccherà comunque il volo.
02. Là fuori: La libertà è nella canna di un fucile. Va presa tra due dita, caricata e lasciata partire, con gli occhi fissi sull'obiettivo.
03. Fermo, immobile: "Sii sempre un guerriero, mi hai capito? Sempre, non solo per me." Bertholdt aveva annuito senza capire del tutto, donandogli solo uno dei suoi rari, schivi sorrisi spontanei.

Pensieri, sogni, piume sparse al vento, dentro e al di là delle Mura.
[Spoiler!S4 // Introspettivo // Sentimentale // MultiShip // 3/10]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Berthold Huber, Erwin Smith, Levi Ackerman, Reiner Braun
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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             ©_Lightning_
 
Genere: introspettivo, malinconico
Personaggi: Bertholdt Huber, Reiner Braun (menzione)
Contesto: S1 (vago)
Avvertimenti: one-shot, headcanon
Bonus: Colonna sonora-> Little One

[832 parole]
 
      


















È tutta la vita che Bertholdt cammina rimanendo fermo.

Si sente sempre qualcosa attaccato ai piedi, sotto la suola delle scarpe. Un’ombra, che si allunga e deforma senza mai cambiare peso. Sa che è quella, a zavorrarlo – a rendere ogni suo gesto e movimento e passo molto più lenti di quanto non vorrebbe. Come se fosse sempre, costantemente nel corpo del Colossale, schiacciato da migliaia di tonnellate di carne fumante e ossa.

Eppure, non è quel mostro a pesargli nei piedi, addensandogli l’anima nei talloni. Non c’è la forma del Colossale, nell’ombra che lo segue passo passo.

È il Bertholdt bambino che ha lasciato indietro, ad artigliarsi alle sue caviglie. Per frenarlo. Per farlo voltare.


Girati, guardami. Guardami.


Non è sempre la sua voce, a chiamarlo. A volte è la voce dell’uomo impiccato. A volte è la voce di suo padre.


Guardami, Bertholdt. Guardami.


Bertholdt non si volta, mai. Non vuole vedere se stesso fermo, immobile, al capezzale di un ammalato. Non vuole vedere la pelle diafana di suo padre, sottile come carta di riso attraverso la quale si possono veder pulsare le vene.

A volte è l’uomo impiccato ad avere la voce di suo padre. E quelle sono le volte in cui nei sogni corre, corre a perdifiato, coi passi che tuonano come quelli del Colossale. Non vuole vedere gli occhi neri dell’uomo appeso, col volto divorato dal rimorso e gonfio d’ipossia, irriconoscibile – potrebbe essere il volto di chiunque, di chiunque.

Non si volta mai. Non ha niente da offrire a nessuno di loro.

Né al bambino che ha sacrificato tutto se stesso, colmo di speranza, per una causa in cui ha finito per credere, ma che non è mai stata il primo motivo per cui combatteva. Né a suo padre coi polmoni corrosi dalla malattia, ancora fiero, ma con l’animo colmo di fiele per aver affidato suo figlio a un destino incerto. Né tantomeno all’uomo impiccato – quel padre vinto dal rimorso, con figli ormai perduti che ha lasciato indietro – a lui non può più offrire nulla, nulla.


Girati, Bertholdt. Guardami.


È l’uomo impiccato, è se stesso bambino, è suo padre – non l’ha mai guardato negli occhi, quando era allettato, non ha mai voluto mostrargli la paura che si portava nelle pupille ogni volta che gli era accanto, né vedere quella annidata nelle sue. È un morbo contagioso, la paura, più di qualunque tubercolosi: ti segue viscida e ti trattiene il cuore nel palmo con dita scheletriche. Basta un'occhiata per farla radicare in fondo al petto, per vedere  lo spettro di un’altra persona invece del proprio padre, del proprio figlio.


Pa’, quando diventerò un Guerriero ti farò portare al mare, al sole. Guarirai, promesso.


Ricorda ancora la sua mano impacciata racchiusa nella sua stretta salda, nonostante fosse ormai pelle e ossa, una pergamena incartapecorita di vene, calli e tendini. Il sorriso così sottile da sembrare una spaccatura sul volto cereo, che conservava comunque due chiazze rossicce e ilari sugli zigomi, memoria di risate roboanti e di qualche bicchierino di troppo. Le ciglia d’inchiostro che sfarfallavano stanche, a schermare il verde delle iridi.


Fa’ quello che devi, Bertl, ma sii sempre un guerriero, mi hai capito? Sempre, non solo per me.


Bertholdt aveva annuito, senza capire del tutto, donandogli solo uno dei suoi rari, schivi sorrisi spontanei. Dubita di aver capito davvero anche adesso che è in battaglia, se una parte di lui è ancora ferma, immobile di fianco a quel letto, con una mano ancorata a quella debole, eppure salda di suo padre. I suoi piedi sono sempre inchiodati lì, dove non c’è nulla da cui possa davvero fuggire – niente Giganti, né spari, né demoni. Sa solo che quello è il suo posto – sono i suoi posti, dove nessuno può vederlo.


Bertholdt, guardami.


Non sa chi glielo stia chiedendo, adesso. Ma teme comunque di vedere la propria paura riflessa in occhi altrui. Abbassa gli occhi, china il capo.

«Bert! Ehi, sei qui?»

La mano ampia e ferrea di Reiner si posa sulla sua spalla, fa pressione. Lo schiaccia contro la sua ombra, e quella sembra allentare la stretta feroce sui suoi piedi. Alza lo sguardo, intercettando per un istante quello interrogativo del compagno, coi riflessi d'ambra infiammati dai raggi solari, ma lo rifugge subito, ritroso. Si sente riportare alla realtà.

Il sole sta calando oltre le colline aride che accerchiano il cratere del campo d’addestramento. Dall’interno della baracca del refettorio arriva l’acciottolio vivace di stoviglie e posate, il vociare soffuso degli altri soldati – demoni. Fuori risuona il tintinnio delle attrezzature per i dispositivi di manovra, mosse da pigre folate come sonagli a vento malinconici. Liberio torna a essere un miraggio tremolante.

«Sì,» risponde, con un cenno del capo. Socchiude gli occhi a quella mezza bugia. «Sono qui.»

Fermo, immobile. Accanto a chi ama, in mezzo alla morte. Ancora un Guerriero, sempre un Guerriero, nonostante tutto. Qui e altrove.

Reiner annuisce in silenzio. Gli rivolge il sorriso poco convinto di chi è abituato a mentire spesso e sa vedere oltre il velo sottile di una bugia altrui. Una pacca sulla schiena suggella la fine del discorso e allo stesso tempo una muta comprensione. Rientra senza aggiungere altro, lasciandolo solo nell’oro rosso e liquido del tramonto. Il sole morente stiracchia le ombre verso l’orizzonte, dove i suoi occhi si appuntano spesso, creando finestre da aprire col cuore.


Guardami.


Uno sguardo fugace, un battito di ciglia nere, pozzi verdi boschivi, brillanti. Poi Bertholdt dà le spalle alle mura e al sole, la schiena diritta, i piedi pesanti ma agili, le falcate ampie. La sua ombra si allunga dietro di lui, colossale.

Riprende a camminare, ma non si è mai mosso da lì, da casa.

 
 E Bertholdt, Reiner lo sa, non gli ha mai mentito

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
suvvia, dopo aver affrontato Reiner, non potevo certo lasciare da parte Bert, no?
In realtà queste sono due shot "preparatorie" studiate per prendere confidenza coi personaggi, prima di affrontarli insieme in un progetto che, molto probabilmente, esulerà da questa raccolta *spamspamspam*

Spero che la resa di Bert sia risultata convincente ♥ Nei suoi silenzi, è un personaggio che dal punto di vista introspettivo offre moltissimo, ma il rischio di snaturarlo è dietro l'angolo, quindi ogni critica o appunto è bene accetto!
Ah, e se volete buttare via il cuore, ho allegato la colonna sonora con cui l'ho scritta lassù :D
Ringrazio di cuore la mia Guascosa Miryel per aver fatto da prima lettrice, oltre che per avermi permesso di usare la sua fanart meravigliosa come banner del titolo ♥ Andatela a mipiacciare si instagram, dannati! *voce di Shadis* -> miryartefp

 
Grazie a chiunque abbia letto fin qui, e a tutti coloro che hanno commentato/votato la storia, qui o su Wattpad ♥ Il vostro riscontro è prezioso!
Alla prossima, ovviamente con altro angst,

-Light-

 
   
 
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