Film > The Phantom of the Opera
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Autore: __aris__    23/03/2021    1 recensioni
Ophelia Weston non parla da dieci anni, da quando ha assistito alla morte dei genitori. Suo nonno, Lord Edward Weston, ha chiamato i migliori precettori ed i migliori medici che l'Europa di fine 800 è in grado di offrire ricevendo un unico verdetto: il mutismo della nipote è irreversibile. A Parigi sente parlare del Fantasma dell'Opéra e viene a conoscenza delle lezioni di canto impartite a Christine Daaé, così decide di salvare Erik da un imboscata dei gendarmi proponendogli un patto: gli offrirà la possibilità di lasciare la Francia se verrà con lui e proverà a ridare la parola a Ophelia.
-- Questa è un'idea che avevo da tempo e che torna spesso a tormentarmi. L'ennesima possibilità per Erik di rifarsi una vita dopo l'Opéra. spero vi piaccia e che venga recensita.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 “Mr Coyle, posso andare ad ascoltare? La signora Cooke ha detto che devo chiedere a voi il permesso.” La sguattera era diventata tutt’occhi e se ne stava con le mani giunte al petto, come se fosse in preghiera.
Non ho nulla in contrario.” Rispose con la sua solita voce greve e composta “ma dovrai restare sulle scale della servitù, non farti vedere da nessuno e tornare in cucina appena la signora Cooke ti chiamerà.”
Grazie Mr Coyle!” Gli occhi della ragazza si illuminarono e sembrarono diventare ancora più grandi, e l’attimo dopo era già uscita dalla stanza veloce come un gatto permettendogli di tornare a lucidare l’argenteria da tavola che era riposta nel suo ufficio.
Che i domestici chiedessero a Mr Coyle di poter ascoltare Mr Destler suonare almeno per qualche minuto era diventato parte della routine di Grainstar House. Le prime settimane erano state ricche di commenti su quanto strano fosse il suo metodo per far parlare Ophelia, ma non più delle biglie di vetro o degli altri tentativi fatti dai suoi predecessori. Alla maschera si erano abituati tutti sorprendentemente presto, forse era stata la spiegazione del Duca o magari il fatto che né Me Coyle e né Mis Price permettessero che se ne parlasse, a spegnere ogni commento al riguardo. Però tutti i domestici gli riconoscevano una rimarchevole perseveranza: erano ormai quasi quattro mesi che continuava a provare, tutti i giorni con l’esclusione delle domeniche, ma anche se nulla sembrava cambiare il precettore non voleva abbandonare l’impresa. Cosi piano, piano le chiacchiere erano finite e i domestici si erano abituati perfino alla maschera bianca e alle altre stranezze dell’uomo, ma la musica era ancora capace di distrarre i domestici fino al punto di far cadere vassoi colmi di bicchieri o farli restare immobili senza alcun ricordo di cosa stessero facendo. Perfino l’imperturbabile Coyle non era immune da quella magia.
A dire il vero il maggiordomo si fermava spesso ad ascoltare per qualche minuto dalla biblioteca o dalla scala della servitù. Cinque minuti esatti, cercava di non restare mai di più per non farsi prendere da quella malia. In quei pochi minuti sperava che sarebbe stato il giorno buono, quello in cui Ophelia avrebbe parlato, cantato o fatto quel qualsiasi cosa Mr Destler era così certo che prima o poi sarebbe successa, ma quel giorno non sembrava giungere mai e lui finiva per richiudere l’orologio da taschino sospirando. Sapeva che Mr Destler era un musicista molto più bravo di lui e forse un giorno avrebbe ridato la voce a Ophelia, ma ogni volta che lo ascoltava gli tornava in mente il giorno in cui la nobile scese ad ascoltarlo suonare nel refettorio della servitù.
Dalla visita di Andy si era chiesto spesso come gli fosse venuto in mente di chiederle se volesse provare a suonare. Il maggiordomo di allora, appena vide la giovane duchessa nelle stanze riservate ai domestici seduta accanto a un comune cameriere intenta ad imparare la melodia di una ballata popolare, andò immediatamente da Sir Edward per farlo licenziare, ma il Duca aveva respinto la richiesta quando vide la nipote seduta su quel vecchio piano scordato muovendo le gambette avanti e indietro a tempo di musica. Lo aveva perfino ringraziato, perché gli aveva dimostrato che un giorno Ophelia avrebbe parlato ancora. Il suo predecessore si dimise in quell’istante e Sir Edwsrd gli propose di essere il nuovo maggiordomo prima ancora che l’altro riempisse la sua valigia. Da allora aveva diretto la casa con tutta la millimetrica precisione di cui era capace aspettando che Ophelia parlasse, ma ogni mattina doveva riporre la sua fiducia nella lezione successiva e se, mentre Destler suonava, vedeva un vassoio scivolare di mano a qualcuno lo aiutava a raccogliere i cocci senza dire niente.
L’improvviso scompiglio proveniente dal corridoio lo riportò nel presente. Con gesti composti e precisi si tolse i guanti e appoggiò il grembiule accanto agli argenti appena puliti prima di uscire dalla stanza per domandare spiegazioni e ricordare a chiunque stesse correndo a destra e a sinistra il decoro che la servitù di una nobile casata deve sempre possedere. Apri la porta e percorse il corridoio che portava al refettorio dove sembravano essersi radunati tutti, inclusa la signora Cooke e il resto del personale di cucina. “Posso chiedere qual è la causa di questo trambusto?”
Mis Price scambiò uno sguardo complice con le due cameriere accanto a lei. Tutti avevano un’espressione strana, come se qualcosa di assolutamente straordinario fosse appena successo. Daisy e Margaret stavano piangendo, ma se fossero lacrime di gioia o disperazione Coyle non avrebbe saputo dirlo. Perfino Evan sembrava senza alcun commento sarcastico da fare, e restava immobile con l’orologio della sala da fumo in mano. “Ha parlato!” Disse la governante.
La terra gli mancò sotto i piedi mentre si scoprì a sgranare gli occhi e senza parole.
Lady Ophelia non ha proprio parlato …” intervenne Bess “ha emesso un suono …come un canto … è … è durato solo qualche secondo ma … ma è qualcosa, no?” domandò cercando negli altri la risposta.
Con gambe tremanti Coyle si avvicinò al tavolo per cercare un sostegno “Ne siete sicure?
L’abbiamo sentita … io e Margaret … ci eravamo fermate nella sala grande prima di andare a pulire la camera da letto del Duca e … per un attimo abbiamo sentito un’altra voce oltre a Mr Destler.”
Coyle sapeva cosa doveva fare: dire a tutti di tornare a lavoro e ricominciare a lucidare gli argenti da tavola. Era sicuro che il suo predecessore avrebbe agito esattamente così, ma non lo fece. Gli occhi caddero sul pianoforte, forse Mr Destler aveva ragione e magari la musica era la strada giusta. Anche se si trattava di una via che lui stentava a vedere, cosa importava? Per la prima volta dopo anni di tentativi c’erano reali possibilità che Ophelia parlasse ancora, e non poteva chiedere di più.
Vi sentite bene Mr Coyle?” chiese Mis Price dopo qualche attimo di silenzio.
Che ci crediate o no, non sono mai stato meglio.
Rimasero tutti lì ancora per qualche minuto assaporando la gioia del momento, almeno fino a quando il campanello della sala da musica non li richiamò tutti ai loro doveri. Oscar, uno dei camerieri, si avviò verso le scale ma il maggiordomo lo fermò con un gesto della mano.  “Vado io.” Disse prima di recuperare la solita voce severa e la postura dritta “Voi ritornate a fare quello che stavate facendo prima.”
 
 
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La tenuta di Grainstar House era di oltre mille acri e sulle sue terre vivevano pastori, commercianti e contadini. Ovviamente la maggior parte della sua gestione era affidata a un amministratore, ma ciò non impediva che lord Weston passasse molte mattine nel suo studio a leggere rendiconti, progetti e relazioni. Prima e dopo l’arrivo del Fantasma dell’Opera in casa sua.
Durante le prime settimane era stato difficile trovare la concentrazione con Erik che suonava nella stanza accanto, ma alla fine aveva imparato a resistere all’urgenza di lasciare le carte sulla scrivania e spiare il procedere dei tentativi del Fantasma. Aveva dovuto far appello a ogni oncia della sua forza di volontà, ed erano state molte le volte in cui le righe di numeri neri su fogli candidi si erano confusi gli uni con gli altri in una nuvola di grigio indistinguibile. Ma Lord Weston si riteneva dotato di una tempra molto resistente e si impegnava costantemente per vivere secondo quell’idea.
Tuttavia quella mattina si era ritrovato paralizzato alla scrivania, con la penna che gli tremava tra le dita. La giornata era iniziata in modo assolutamente ordinario, con il Times appena stirato e il pudding della signora Cook accompagnato dal solito caffè nero. Ophelia lo aveva salutato con il solito bacio sulla guancia prima di iniziare a fare colazione. La lezione di musica era iniziata prima delle nove con le solite scale ed esercizi, ma anche questo accadeva ormai spesso. Poi Ophelia aveva smesso di suonare e c’era stato qualche minuto di silenzio prima che il suo posto sul seggiolino fosse preso da Erik e in quel momento Sir Weston aveva capito che qualcosa era cambiato. Aveva girato la testa verso la porta incuriosito, avrebbe voluto dire di capire perché quella fosse la musica di Ophelia ma non ne era in grado. Era una sensazione istintiva: sapeva che quella era la musica di sua nipote nello stesso modo in cui sapeva stare in equilibrio sui propri piedi.
Si scoprì a trattenere il fiato, come se stesse prendendo la mira durante una battuta di caccia, e dovette ricordarsi più volte di respirare. Era quello il giorno che stava aspettando da tanti anni?
Secondo Destler sarebbe stato facile, per lui era solo una questione di scegliere i tasti giusti tra gli ottantotto del pianoforte e poi lei avrebbe cantato. Dal canto, prima o poi, sarebbe nata la parola. Ma per lui crederci era stato un atto di fede.
Aveva incontrato la Viscontessa de Chagny e l’aveva vista rabbrividire e tremare come una foglia colpita da una gelata a maggio al ricordo dei prodigi che il suo Maestro sapeva creare usando solo un violino e la sua voce. Lo credeva una sorta di demone dell’inferno con la voce d’angelo, non una totale bestia ma di sicuro non un uomo. Se non fosse stato per il terrore nei suoi occhi probabilmente non si sarebbe mai fatto invitare a cena dal sindaco di Parigi per scoprire quanto più possibile sul Fantasma dell’Opéra mentre cercava di capire se potesse essergli utile o meno.
Non lo avrebbe confessato nemmeno sul letto di morte, ma aveva avuto più fede nei miracoli di un uomo deforme che in Dio. Per questo aveva accettato tutte le bizzarre richieste dell’uomo e aveva aspettato, armandosi della stessa pazienza dei ragni. Lo aveva sentito suonare quasi tutti i giorni negli ultimi mesi, conosceva la sua musica ed ormai era certo che, se non fosse stato per il suo aspetto, il suo talento avrebbe fatto impallidire perfino Listz. Ma quella musica era diversa da tutte le altre; non era solo una successione di accordi dissonanti e consonanti, ma aveva un certo potere sulle persone e dopo averla ascoltata non era stato difficile credere che le suggestioni della Viscontessa fossero vere.
Si impose di ricominciare a lavorare e ci riuscì con più facilità del solito, almeno fino a quando si chiese se questa fosse la prova che determinate musiche possono avere maggiore potere di altre sulle persone. E se fosse stato davvero quello il caso, c’era un limite a quel potere? Fino a che punto avrebbe potuto esserne influenzato se quella fosse stata la sua musica?
Per quanto avesse girato il mondo non aveva alcuna risposta al riguardo, ma l’importante era il risultato: Ophelia doveva parlare ancora se voleva un posto in società e non finire in un manicomio, che ci riuscisse con la musica o le biglie di vetro era assolutamente secondario.
Poi Ophelia cantò davvero: per pochi secondi e con una voce appena percepibile, ma Sir Edward non ebbe dubbi sul fatto che la magia stesse funzionando davvero, proprio come era successo con Christine.
Un sorriso da predatore soddisfatto apparve sotto la barba grigia, aveva avuto ragione di tutti quelli che erano conviti che Ophelia fosse solo una giovane isterica. Ripose con ordine tutte le carte che stava esaminando ed estrasse la pipa dalla giacca, doveva solo continuare a fare la parte del ragno e il resto sarebbe venuto da sé.
 
 
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La pazienza era una delle poche doti che il Destino si era degnato di concedergli.
Conoscere a fondo la medicina o le arti dell’illusione aveva richiesto anni, ma sopravvivere si era rivelato, spesso, una questione di paziente attesa. Per questo, al contrario di Sir Edward, lui non aveva alcuna fretta, gli bastava sapere che Ophelia stesse ascoltando la sua Musica.
Sapeva che poteva farla urlare o cantare a piacimento in poche ore soltanto, ma non era un ipotesi che voleva prendere in considerazione: Ophelia avrebbe cantato quando sarebbe stata pronta a farlo, non prima, e lui non l’avrebbe torturata più di quanto non avesse già fatto.
Aveva aspettato mesi solo perché lei si fidasse di lui tanto da abbandonarsi completamente alla Musica, e come sempre la sua pazienza era stata premiata. Era passata qualche settimana da quando Ophelia gli aveva chiesto di suonare per lei e aveva osservato come, giorno dopo giorno, si lasciasse trasportare sempre di più dalla sua Musica, ma il risultato era diverso da quanto aveva immaginato.
La prima volta che Ophelia ascoltò fu quando gli chiese di suonare per lei, lo stesso giorno dell’apparizione di Andy Brooks, e forse non era una coincidenza. Si era domandato in che modo un ladro ubriacone avesse potuto spingere Ophelia a abbandonare i suoi timori e non aveva trovato risposta. O forse il passare del tempo aveva fatto il suo corso e Ophelia si era semplicemente abituata a quei suoni suadenti. O forse era la sua connessione con la Musica, diventata più profonda, a infonderle la fiducia necessaria.
Era certo di essersi comportato sempre allo stesso modo con la sua nuova allieva, era stato attento a mantenere la distanza che sentiva necessaria per evitare di perdere il controllo come aveva fatto con Christine. Ed era altrettanto certo che la ragazza non avesse mai cercato di valicare quei limiti non detti, semplicemente si era aperta alla Musica come si schiudono i fiori alla luna, senza che null’altro sembrasse cambiato. Non si era lasciata andare completamente, non all’inizio almeno, ma ogni giorno si era fatta trasportare un po’ più lontano dalla sua coscienza.  E, per quanto ci avesse riflettuto, Erik non aveva capito la ragione di un tale e improvviso cambiamento.
Qualsiasi cosa fosse stata, era come se all’improvviso Ophelia avesse deciso di dimenticare i suoi timori e fidarsi, di qualcuno che aveva dimostrato di poterle fare più male di quanto fosse capace di sopportare. Avrebbe voluto poter dire di meritare quello stato di abbandono o di essere compiaciuto dei suoi progressi, ma una parte di lui preferiva i giorni in cui faceva del suo meglio per non ascoltarlo.
Dopotutto, i mostri vanno tenuti a distanza.
Ma così non era più e la fiducia che Ophelia gli aveva concesso traspariva in piccoli gesti che lo coglievano ancora di sorpresa. Come quando le offriva la mano per alzarsi dal seggiolino e lei l’accettava con una naturalezza che trovava ogni giorno sorprendente.
Ancora una volta l’aveva paragonata a Christine per cercare una spiegazione, ma non era servito a niente. Christine era stata messa su un piedistallo e, per non farsi rifiutare, si era presentato come un angelo sfruttando tutti i trucchi da prestigiatore che conosceva per dare corpo a quella illusione. Aveva perfino risvegliato i morti perché la sua Musa non lo lasciasse mai.
Non aveva mai ingannato Ophelia, non in quel modo almeno. Le stava nascondendo chi era e il suo passato, ma tutto quello che le diceva sulla Musica era vero. Non aveva mai fatto nulla che non fosse rivolto a farle trovare la sua voce, anche se in alcuni momenti era stato un processo doloroso.
Cosa importava del resto?
Ophelia aveva vissuto in un castello protetta da tutte le cose terribili che popolano il mondo; un lusso concesso dalla sua posizione sociale, ma anche una prigione in cui aspettare il suo debutto in società. E in quel castello sarebbe rimasta anche quando lui sarebbe tornato nella pace dell’oscurità. Non c’era bisogno di rompere quel precario incantesimo per farle sapere quanto sangue gli avesse macchiato le mani, o cosa nascondesse la sua maschera.
Peccato che lui conoscesse la risposta a entrambe le domande, e tanto bastava perché una parte della sua coscienza gli dicesse di non meritare la fiducia che gli Ophelia gli concedeva.  
Aveva accettato di diventare suo precettore solo perché trovava ripugnante il pensiero di far morire in manicomio qualcuno che sentiva la Musica con la sua stessa intensità, ma osservandola aveva imparato che c’era più del talento da apprezzare. Ophelia era gentile, dote non scontata per un nobile. Anche se la sua posizione non le imponeva di esserlo e la sua condizione spesso le impediva di dimostrarlo come avrebbe voluto, Ophelia era naturalmente gentile. Forse gentile non era nemmeno la parola adatta, ma non ne trovava altre. La prima volta che se ne accorse realmente fu quando lo ringraziò per insegnarle ciò che aveva imparato durante i suoi viaggi e Erik era sicuro che fosse molto più di quanto meritasse.
All’inizio aveva deciso che il carattere della sua allieva fosse ininfluente, dopo tutto lui aveva un compito ben preciso e una volta che si fosse esaurito Grainstar House sarebbe stata solo uno dei tanti posti in cui era vissuto. Ma più Ophelia si faceva guidare nella Musica, più gli dimostrava di non temere la sua Arte, e più si sentiva più in debito con lei di quanto non lo fosse con Lord Weston per avergli salvato la vita. E tutto solo per il banale motivo che Ophelia era gentile.
Era quasi ridicolo a ben pensarci, l’Angelo della Morte disarmato da una ragazza muta, ma era tutto tremendamente vero.
Venite vicino al pianoforte.” La ragazza smise di guardare i giardinieri che portavano via le foglie secche e si avvicinò. “Mettete le mani sulla cassa e ascoltate.” Ancora una volta la ragazza ubbidì senza esitazione e Erik iniziò a suonare. Dopo pochi minuti unì la sua voce al pianoforte, osservando la sua allieva scendere in una sorta di trance progressiva.
Cantò e suonò per lei, come faceva ormai da mesi, fino a quando un flebile mi bemolle non uscì dalle labbra di Ophelia. Appena cantò lui smise perché anche lei potesse finalmente ascoltare la propria voce. Non era un suono pieno e rotondo; si sentiva che le corde vocali, la laringe e tutti i muscoli della gola non erano più abituati ad essere usati, ma era un suono percepibile e tanto bastava.
Quando nella stanza tornò il silenzio, Erik aspettò qualche istante per farle assaporare quanto più possibile quel momento prima di guardarla in volto. La ragazza era rimasta immobile con le mani che coprivano la bocca e occhi spalancati colmi di lacrime. Ancora incredula riportò le mani tremanti sul pianoforte per cercarvi un sostegno. Poi chiuse gli occhi e fece molti respiri profondi, quando li riaprì le lacrime erano sparite.
Immagino che questa volta ve ne siate accorta.”
Lentamente, Ophelia annuì. La prima in cui sentì suonare il suo precettore doveva aver urlato, anche se non se ne era convita di averlo solo immaginato. Ma quel giorno non era stato facile distinguere cosa fosse reale da cosa non lo era, e aveva dovuto fidarsi più della parola del suo precettore che delle sue percezioni. Quello che era appena successo era diverso: lei aveva voluto cantare, era come se avesse avuto quella nota sulla punta della lingua fino al momento adatto per cantarla.
Immagino anche che comprendiate che se potete cantare, un giorno sarete anche in grado di parlare.”
Un altro cenno di assenso.
Bene.” Erik si alzò dal seggiolino. “Devo accertarmi delle condizioni di alcuni muscoli e per farlo ho bisogno che vi facciate toccare. Non vi farò del male.”
Ophelia annuì ancora e Erik si avvicinò tanto da fiorare la gonna con le scarpe. Posizionò una mano sullo sterno e l’altra sulla pancia, poteva sentire che erano fredde da sotto gli indumenti.
Respirate con la bocca, immaginate di mandare l’aria oltre i polmoni, più in basso che potete” disse osservandola allo stesso modo di un medico “Cercate di usare il diaframma …” la mano posata sul ventre fu portata su un fianco “Immaginate di espandere solo i lati della cassa toracica … adesso potete respirare normalmente.” Poi iniziò a tastarle punti specifici del collo, prima di farle piegare la testa a destra e a sinistra, avanti e indietro. “Dato che non parlate da molto tempo avete dei muscoli atrofizzati.” Disse quando l’esame fu finito, ritraendo subito le mani. “Ma dovrebbero riprendere le loro normali funzionalità con il tempo.”
Ophelia lo guardò ad occhi granati, era davvero così facile? Poteva davvero parlare ancora?
Nelle prossime settimane continuerò a suonare fino a quando catare non sarà più facile. Poi vi insegnerò come respirare nel modo corretto, come mantenere il suono o variare la sua intensità senza sprecare aria, come muovere la bocca e la postura adatta. In qualche mese dovreste riuscire a cantare in modo accettabile. Avete qualche domanda?
Ophelia cercò il quaderno che aveva appoggiato sulla cassa del pianoforte qualche ora prima. E le parole? Scrisse appena lo ebbe trovato.
Io posso solo darvi gli strumenti per parlare, non posso costringervi a farlo. Ma sono sicura che parlerete prima o poi, quando sarete pronta.” Doveva solo avere abbastanza pazienza per vederlo.
   
 
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