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Autore: FarAway_L    23/03/2021    1 recensioni
«Parti», era un grido misto a paura, «Metti in moto o per noi sarà la fine».
Era la mano di Nathan quella che stava scuotendo nervosamente la spalla di Camylla, la quale sembrava essere entrata in un limbo di emozioni pericolose e contrastanti. Quella più dominante però, era il panico. E per quanto si sforzasse di voler girare la chiave per far partire quella benedetta auto, non riusciva a muoversi. Neanche ad emettere nessun suono. Solo, fissava la strada difronte a sé attraverso occhi persi. Arrendevoli.
Le sirene della polizia cominciavano a farsi vicine e ben udibili.
Troppo vicine. Troppo udibili.
A ritmo scandito.
Stavano arrivando.
MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo VIII.
8.346 parole

Dove il cielo si muove se lo guardi attentamente,
dove basta un minuto intenso per vivere sempre,
dove piove ma tu esci per bagnare la mente
perchè se la vita è nostra non ci ostacola niente.
Dove al posto dei piedi hai due pagine vuote
e ogni passo che compi loro scritturano note,
dove il sole è un'ipotesi e tu puoi solo pensarlo.

 
Camylla stava fissando la macchina rossa di Matthias ripartire adagio mentre dei brividi di freddo stavano facendo sì che si stringesse ulteriormente nel cappotto: lo sguardo triste, assente. Uno sguardo che racchiudeva desolazione, che gridava comprensione.
«Hey», una flebile voce alle spalle di Camylla stava provando a richiamare l'attenzione della ragazza, intenta ancora a seguire con lo sguardo quella vettura a lei tanto familiare.
Non rispose, preferendo respirare a pieni polmoni. Continuando a non farsi guardare: si sentiva stanca, sia a livello fisico che soprattutto a livello mentale. Le sembrava di esser divenuta una spettatrice passiva della sua stessa vita, dove si limitava ad osservare lo sgretolarsi di ogni cosa costruita fino a quel momento senza esser capace di reagire. Ogni qualvolta si sforzasse di riordinare i propri pensieri, quest'ultimi sembravano esser rinchiusi in un vortice senza uscita, rendendo la confusione più palpabile e meno comprensibile. Le sembrava di essere in balìa di una crisi senza precedenti: sentiva l'oscillazione paurosa vacillare tra l'esplosione radicale e il poco auto-controllo che le era rimasto, e il provare a lasciarsi andare aggrappassandosi alla sicurezza insana che le emanavano gli amici.
 «Camylla», ancora un sussurro alle spalle, delicato e attento. Camylla si ritrovò a sospirare, socchiudendo leggermente gli occhi. 
«Scusa Nathan», si voltò, interrompendo il contatto visivo con l'auto di Matthias ormai divenuta una piccola scia in mezzo al buio, «Sono stanca», lo superò, stando attenta a non sfiorargli la spalla. La voce pesante, quasi assonnata. Annoiata.
«Lo so, mi dispiace essere piombato qui a quest'ora», Nathan provò ad allungare il braccio sinistro per poter afferrare quello di Camylla, «Ma è importante».
Camylla gli riservò uno sguardo profondo, strattonando il proprio braccio per poter riuscire a liberarsi dalla stretta di Nathan e cercare le chiavi dell'abitazione all'interno della borsetta.
«Si tratta di mio padre», continuò Nathan: mosse un passo in avanti, accorciando le distanze con Camylla che non sembrava essere interessata alla conversazione che il ragazzo avrebbe voluto affrontare.
«Allora domani mattina chiama Lucas», Camylla usò un tono di voce assente mentre stava assottigliando gli occhi per provare a trovare le chiavi: un lampo improvviso illuminò per una breve frazione di secondo il cielo, facendo spaventare Camylla.
«Credo sia colpevole», ancora un passo in avanti, seguito da un sussurro poco udibile. Dettato dalla paura e dalla scoperta.
Camylla fu colpita da quelle parole: bloccò i movimenti della mano, deglutendo a fatica. Alzò lo sguardo incerto verso Nathan trovandolo immobile difronte a lei, con le mani in tasca e lo sguardo che gridava ascolto.
«Non è..», scosse la testa, rischiarendosi la voce, «Non è qualcosa che devi dire a me. Ti ripeto, chiama Lucas», abbassò nuovamente lo sguardo intenta a continuare la sua ricerca: stava arrivando ad un punto di collisione senza freni. 
«Penso di aver trovato qualcosa nel fascicolo», Nathan stava continuando a parlare debolmente: stava scandendo con attenzione ogni singola parola pronunciata, rimanendo nella sua stessa posizione; osservando Camylla nei movimenti impacciati e stanchi.
«Ok», Camylla sospirò, puntando i propri palmi aperti davanti al petto, «Domani chiederò di essere tolta dal caso di tuo padre, perciò non m'interessa sapere altro», stava parlando lentamente, come a voler imprimere affondo il concetto che si celava sotto: passo dopo passo sarebbe riuscita a togliersi da quella posizione scomoda in cui era finita inconsapevolmente. 
«No, non puoi farlo», Nathan stava scuotendo la testa: dalla sua voce trapelava incredulità e stupore mista ad una consapevolezza reale.
«Perchè?!», stavolta Camylla non si premurò dell'ora e del luogo, alzando noncurante il proprio tono di voce, «Perchè ho rubato quel fascicolo?», stava gesticolando nervosamente: sentiva, ben scandito dentro sè, il tempo dettare legge, «Beh, sai una cosa? Non m'importa. Ne pagherò le conseguenze ma almeno non avrò più a che fare con questo», l'indice della mano destra sembrava star disegnando dei cerchi concentrici che servivano a definire la situazione a cui erano arrivati.
«Non erano questi i patti», parlò a denti stretti, sputando con sè anche l'odio che in quel momento stava provando: si mosse in avanti, facendo così indietreggiare istintivamente Camylla.
«Patti?!», ne uscì una risata nervosa, «Noi non abbiamo nessun patto! Mi avete incastrata in qualcosa a cui non ho intenzione di prendere parte», anche Camylla stava cogliendo l'occasione di imporsi, di farsi intendere decisa e forte nelle proprie decisioni. 
«Ma ormai ci sei dentro», Nathan allargò le braccia davanti al petto come a voler rafforzare la propria affermazione, continuando a mantenere un tono di voce piatto, contrariamente a Camylla.
«Non per mia volontà quindi stai pur certo che troverò il modo di uscirne pulita», decise di aggrapparsi a quella determinazione che sembrava essersi nascosta da ormai diversi giorni, pigra e timorosa di essere spazzata via come foglie al vento. 
«Tradiresti così i tuoi amici?», ancora un leggero, impercettibile passo in avanti mantendendo una calma apparente; uno sguardo intenso reso ben visibile dall'ennesimo lampo che stava squarciando il cielo della città.
«Perchè, persone che ti coinvolgono senza consenso, li definiresti amici?!», stavolta Camylla incrociò le braccia al petto, con l'ombrellino mal ridotto a penzolare e dondolare nella sua mano destra. In attesa di una risposta; curiosa nel sentire ciò che avrebbe pronunciato Nathan.
«Alyssa credeva in una reazione ben diversa», una voce sottile, sussurrata in mezzo a lente goccioline che il cielo aveva deciso di rilasciare. 
«Nathan, non si tratta di organizzare una vacanza, lo capisci?!», Camylla decise di abbassare il proprio tono di voce, cercando di regolarizzare anche il proprio respiro. «Con quale criterio pensavate che non avrei fatto storie?», si ritrovò ad allargare le braccia davanti al petto mentre una goccia d'acqua le aveva appena sfiorato la guancia.
«Non ti abbiamo chiesto di commettere un omicidio! Ma di aiutare degli amici in difficoltà», Nathan si passò una mano tra i capelli, che lentamente stavano divenendo umidi, «Andrà tutto secondo quanto prestabilito. Non hai modo di preoccuparti». Eccolo il suo trasmettere tranquillità attraverso una voce delicata, uno sguardo leggero, dei movimenti sottili. Forse ben studiati.
Nonostante la sicurezza avesse predominato su Camylla fino a quel momento, quella frase dettata da Nathan ebbe la forza di far vacillare la determinazione della ragazza, rendendola per qualche attimo debole e spoglia: con lo sguardo perso e la bocca semi-aperta incapace di emettere qualsiasi suono.
«Non vi aiuterò in quel modo», nel suo tono di voce non c'era più coraggio e forza ma si distinguevano bene la paura e la delusione.
Infilò nuovamente, con movimenti  veloci e sicuri, la mano all'interno della borsetta intenta a trovar le chiavi e potersi richiudere in uno spazio familiare, lontano da voci insidiose, da sguardi penetranti. Da pioggia sporca.
«Pensaci bene», Camylla non si era accorta della distanza venuta meno grazie ai passi compiuti da Nathan: le accarezzò il braccio ricoperto dalla manica del giacchetto mentre le sorrise debolmente. Camylla sentì qualcosa di ghiaccio toccarle il dorso della mano e ne estrasse finalmente l'oggetto tanto desiderato fino a quel momento. Deglutendo a fatica, si ritrovò ad indietreggiare allontandandosi da quel contatto volto solo a farla sentire maggiormente inappropiata ed insicura.
Rimanendo in religioso silenzio, circondati dal rumore della pioggia sottile autunnale, Camylla voltò le spalle a Nathan, cercando di inserire la chiave all'interno della serratura facendola scattare.
Quando si ritrovò a chiudersi la porta, trovò il ragazzo sotto l'acqua, immobile, con una mano all'interno della tasca del giacchetto e l'altra penzolona lungo i fianchi; con sguardo perforante e attento; la bocca serrata.
Camylla abbassò gli occhi prima di troncare quel contatto pericoloso: si ritrovò a maledirsi per non essere stata in grado di aver dimostrato sicurezza fino alla fine della conversazione; si maledisse per essere stata tanto sciocca quanto infantile; per non essersi saputa dimostrare, ancora una volta, decisa nelle proprie convinzioni; per aver lasciato trapelare riluttanza e dispiacere.
Abbandonò con noncuranza sia il giacchetto che le scarpe vicino all'attaccapanni, prima di afferrare il cellulare e dirigersi sotto un getto di acqua bollente con l'intento di potersi scrollare di dosso almeno una piccola parte di pesantezza che si stava trascinando dietro.
Trovò essere presente un messaggio sul display del telefonino:

Un messaggio ricevuto: ore 11.56 pm
Da: M. 
Mi dispiace per l'eccessiva reazione che ho avuto prima. Ci siamo lasciati perciò entrambi possiamo fare ciò che ci rende più felici. Scusa ancora! Ci vediamo in giro

Camylla si bloccò a metà tra il quarto ed il quinto scalino, rileggendo ininterrottamente quelle righe nella speranza che potessero cambiare: si ritrovò a sospirare velocemente onde evitare di scaraventare il proprio cellulare difronte a sè, riuscendo a sfogarsi solamente in parte.
Era delusa, affranta, amareggiata. Era stanca.

07 Ottobre.

Camylla stava fissando il semaforo rosso, aspettando pazientemente che questo divenisse verde per poter avere la possibilità di attraversare la strada e raggiungere così il giardino del campus: il cielo colmo di nuvole grigio denso non prometteva una giornata serena, e gli improvvisi soffi di vento gelido ne rendevano l'aria circostante ancora più triste. Come era trascorsa la nottata di Camylla: lenta, solitaria, sconsolata. Si era ritrovata a fissare il soffitto della camera intensamente, riuscendo ad immagazzinare ogni minimo dettaglio impertinente; si era ritrovata travolta da onde di delusione, amarezza, desolazione. Le stavano scivolando dalle mani intere giornate: stava lasciando che il tempo prendesse il controllo della sua vita, imprigionandola a decisioni sbagliate e azioni deboli. Si sentiva un burattino che veniva sbatacchiato da un susseguirsi di mani sporche e pericolose: percepiva il dolore, ne poteva annusare l'odore, sentirlo lentamente insediarsi sotto pelle ma non riusciva a reagire perchè bloccata. Incatenata.
Quando un passante le spintonò leggermente la spalla, oltrepassandola a passi decisi e svelti, Camylla si rese conto di aver la possibilità di raggiungere il lato opposto della strada: il peso dei pensieri riuscivano a trasportarla in una realtà distorta e confusionaria, offoscundone il senso pieno della ragione.
I suoi passi erano lenti: si stava trascinando a fatica in una direzione che avrebbe richiesto un'attenzione minima necessaria che Camylla difficilmente sarebbe stata in grado di dare, rischiando di scrivere frasi sconnesse e poco comprensibili. Mentre osservava, tra i rami spogli mossi dal vento, l'enorme complesso di mattoni farsi sempre più grande e vicino, si ripromise di dover seguire con maggiore intensità le lezioni, affinchè potesse dare gli esami con entusiasmo e carica pertinente a passarli con ottimi voti.
«Buongiorno Cam», una voce squillante ed energica alle proprie spalle le arrivò limpida e cristallina, facendola voltare leggermente. Si soffermò vicino ad un piccolo bussolo dell'immondizia stracolmo di sporcizia.
«Oh Signore!», Camylla si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, sbuffando vistosamente, «Siete una persecuzione!».
«Scusa se frequentiamo tutti la stessa Università», a parlare fu Theo, con un sorrisetto ambiguo a dipingerli il volto. Lo sguardo furbo, i capelli spettinati.
«Potrebbe essere un valido motivo di ritiro», Camylla parlò piano, sussurrando quella frase banale la cui opzione non sarebbe stata completamente da scartare, se non fosse che ne stava dipendendo il suo stesso futuro. Abbassò la testa, riprendendo a camminare lentamente, raggiunta dai suoi amici.
«Ma come faresti senza noi?!», Alyssa le circondò un braccio intorno al collo, avvicinando la sua faccia ai capelli raccolti di Camylla pronta a stampargli un sonoro bacio.
«Sicuramente avrei meno pensieri», per tutta risposta Camylla si mosse impercettibilmente tanto da riuscire a liberarsi dalla stretta di Alyssa: si sistemò al meglio il laccetto della borsa contenente i libri, sul braccio. Sapeva che quell'incontro non poteva esser avvenuto casualmente: ne sentiva scandire i ritmi lenti e assordanti dei secondi che fremevano per arrivare allo scoppio.
«La notte ha portato consiglio?», Theo stava puntando lo sguardo davanti a sè, parlando con fare tranquillo. Senza agitazione o fretta.
Camylla notò che Nathan ancora non aveva proferito parola: semplicemente stava camminando alla loro andatura, con le mani in tasca e gli occhi persi. 
«Sentite», Camylla si fermò improvvisamente, bloccandosi sul bordo del marciapiede: puntò le proprie mani difronte al petto mentre cercava di controllare la respirazione, «Ve lo dico per l'ennesima volta, sperando possa essere l'ultima: voglio starne fuori».
«Sì, peccato che..», Theo stava allargando le mani con fare ovvio in modo teatrale mentre la sua voce stava prendendo una piega beffarda.
«Che mi avete registrata?», decise di continuare la frase, anticipandolo e prevedendone inevitabilmente le parole, «Non m'interessa, e oh! A proposito, vogliamo parlare di quello che ci siamo detti?», Camylla appoggiò entrambe le mani sui fianchi, in attesa. Cercò di sfidare Theo con lo sguardo, sicura di ciò che stava dicendo: lui stesso aveva ammesso di aver tenuto Alyssa all'oscuro dalla vera motivazione che lo stava spingendo a compiere un gesto irresponsabile.
«Non ci provare!», Theo si mosse in avanti, puntandole il dito indice contro con occhi sottili e minacciosi.
«Basta!», per la prima volta a parlare fu Nathan, che stava appoggiando la sua mano sul braccio di Theo, spingendolo ad abbassarlo.
«Non so che cosa sia successo ma volevo farti presente una cosa», la voce alta e squillante di Alyssa sovrastò addirittura il frastuono che le macchine stavano provocando sfrecciando a velocità sulla strada: puntò i suoi occhi in quelli di Camylla, ghiacciandola sul posto. Bloccandole il respiro. «Io non avrei mai voltato le spalle ai miei amici». 
«Scusa?!», Camylla era incredula: aveva gli occhi sbarrati, un sorriso leggero ad incorniciarle il volto, la bocca asciutta. Il tono della voce mostrava perplessità. Delusione. Trascorsero diversi secondi prima che Camylla potesse riuscire a parlare: cercò brevemente di riordinare una parte delle idee, provando a ragionare lucidamente nonostante un velo di consapevole tristezza si stava insinuando tra i pensieri. «Io non avrei mai coinvolto un'amica in tutto questo!».
«Quanto la fai lunga!», Theo gesticolò con il braccio sinistro, portandolo sopra le testa che stava inclinando leggermente.
«Ma vi sentite quando parlate?», istintivamente Camylla si ritrovò ad indietreggiare: era quasi intimorita dalla reazione che stavano avendo Alyssa e Theo davanti a questa insana situazione. Un gruppo di studenti le passarono affianco con camminata agile e notò che un ragazzo stava cercando di leggere l'ora sull'orologio al polso.
«Camylla, andrà tutto bene. Perchè ti preoccupi così tanto?», Alyssa tornò ad addolcire il tono della voce, sorridendo debolmente mentre mosse un passo in avanti in direzione di Camylla, «Preferiresti far rimanere suo padre in prigione?», distrattamente indicò Nathan che era tornato con entrambi le mani in tasca.
«Per favore!», Camylla scosse la testa, sorridendo nervosamente, «Non è neanche sicuro che vada in prigione! E ti ricordo che è difeso da Lucas», non credeva possibile che, nonostante tutto, fossero ancora lì a parlare di quel maledetto piano che aveva già cominciato a portare problemi prima ancora di essere stato messo in atto.
«E se fosse tuo padre ad essere in  quella situazione?», stavolta Theo parlò piano, quasi sottovoce.
«Aspetterei la sentenza e in caso negativo, cercherei un modo alternativo per farlo uscire», stava gesticolando intenta a farsi capire: voleva solamente che i suoi amici riuscissero a comprendere lo stato d'animo di agitazione che quella situazione le stava creando. 
«E se fossi nella mia di situazione?», ancora una volta Theo sussurrò una domanda lenta e precisa, con sguardo deciso e pugni serrati lungo i fianchi.
«Chiederei aiuto ai miei amici», Camylla potè sentire chiaramente lo sguardo incerto ed interrogativo di Alyssa perforargli il cranio ma cercò di non darne peso, «Sicuramente non rap..», dovette bloccarsi prima di guardarsi intorno furtivamente per accettarsi che nessuna persona a loro limitrofa stesse ascoltando. Tossicò leggermente, prima di riprendere a parlare, «Sicuramente non farei quello che vorreste fare».
«Non pensavo ti saresti comportata così», Alyssa parlò piano, fissando Camylla negli occhi: scrutandola in ogni movimento nascosto, in ogni parola non detta, in ogni lacrima racchiusa nell'iride pronta ad esplodere, «Gli amici prima di tutto», stava scuotendo la testa, come a voler rafforzare  la propria delusione.
«Potrei dirti la stessa cosa», Camylla sorresse lo sguardo, aggrappandosi disperatamente ad una piccola luce di speranza che stava cercando di intravedere attraverso gli occhi spenti e tristi di Alyssa, «Strano, vero?!».
«Però non ho ancora capito quali sono le tue intenzioni», Theo inclinò la testa di lato, assumendo un aria curiosa mentre le curve delle labbra si stavano aprendo in un finto sorriso, «Ci denuncerai?».
«La mia intenzione è di starne fuori», Camylla ci tenne a precisarlo ancora una volta, mentre il suo peso si stava spostando dal piede destro a quello sinistro, «E per quanto mi fossi ripromessa di farvi ragionare, mi sto rendendo conto che perderei solo tempo», ormai l'arrendevolezza stava prendendo il sopravvento, escludendo all'esterno ogni possibile prova, «Perciò fate quello che vi pare ma non coinvolgetemi».
«Adesso basta», era la seconda volta, quella stessa mattina, che Camylla potè sentire la voce di Nathan: se ne era stato in disparte ad osservare, perso tra i pensieri, racchiuso tra gesti non fatti e parole non dette, «Andiamo a lezione».
Camylla si ritrovò ad osservare Nathan: la conversazione avvenuta solamente qualche ora prima, durante la notte, le apparì nitida e ben visibile alla mente. Col senno di poi, stava riuscendo a catturare il tono di voce preoccupato che aveva usato per comunicargli la possibile sconcertante scoperta; stava immagazzinando lo sguardo assente, le mani titubanti. La sensazione di aver deluso Nathan si stava impadronendo del controllo, insinuandosi nelle ossa. Scorrendo come sangue nelle vene.

Con passi svelti e decisi, Camylla stava cercando di raggiungere la panchina su cui era seduto Thomas: le aveva scritto un messaggio, indicandone il punto esatto e le direzioni da seguire. Il vento sembrava voler dar tregua, rallentando il soffio; contrariamente  le nuvole si stavano presentando più colme d'acqua, in procinto di rilascarla andare.
In lontananza vide una mano allungarsi nella propria direzione: ricambiò il saluto sorridendo visibilemente e accelerando il passo cercò di raggiungere Thomas nel minor tempo possibile.
«Ciao straniera», Thomas le sorrise, spostandosi leggermente verso destra per poter far spazio a Camylla.
«Ciao», Camylla le diede un furtivo bacio sulla guancia prima di lasciarsi malamente andare sulla panchina: era letteralmente distrutta.
«Ti vedo provata. Che succede?», tirò fuori da una piccola busta trasparente, un'involucro contenente un panino. Ne addentò un morso, in attesa di risposta.
«Lezione è stata devastante», scosse la testa rendendosi conto di aver afferrato la metà dei concetti che il professore aveva spiegato con  dedizione: avrebbe dovuto contattare qualche studente frequentante del corso per poter ampliare gli appunti e poterci studiare.
«E poi?», Thomas parlò mentre un pezzo di panino veniva vigorosamente masticato senza ritegno.
«E poi sono giornate difficili», si passò una mano tra i capelli, decidendo di sfare la coda e lasciare liberi i capelli nella speranza che potessero donare un minimo di calore al collo. «Anche oggi niente Università?».
Thomas scosse la testa in segno di negazione mentre stava cercando di afferrare un tovagliolino per potersi togliere un macchia di senape caduta sul mento.
«Hai intenzione di tornarci, prima o poi?», Camylla si rilassò con la schiena sulla panchina cercando di far rilassare anche la testa colma di pensieri confusi.
«A parte che la mia carriera da chef sta prendendo il volo», Thomas sorrise, cercando di coprire la bocca con la mano libera, «E comunque lo sai che mi sono iscritto solo perchè voleva Savanna», un altro morso al panino, che stava arrivando alla metà esatta.
«Sì e non credo rimarrà contenta quando scoprirà che non ci stai andando», decise di tirare fuori dalla borsetta un piccolo snack da mettere sotto ai denti.
«Mi fai pena!», il ragazzo commentò con disgusto la barretta avena e cioccolato che Camylla stava tentando di aprire, «Ma tornando a noi, io e Savanna ci siamo lasciati perciò l'Università non sarà più un mio problema», Thomas alzò le spalle, continuando a degustarsi i morsi che stava addentando al panino.
«Cosa?!», Camylla bloccò il suo intento, rimanendo con le mani a mezz'aria, davanti al petto: la fronte corrugata e gli occhi sbarrati. «Ma se ieri sera, cioè quando è successo?».
«Ieri sera», Thomas sorrise mettendo da parte il cibo ed afferrando una bottiglietta d'acqua, «Mi ha sentito parlare al telefono con te ed ha ricominciato con i soliti discorsi», bevve un sorso, asciugandosi con il dorso della mano.
«E' sempre stata fastidiosamente gelosa!», Camylla assottigliò gli occhi, osservando al meglio Thomas, «Ha cercato più volte di farci allontanare e ancora continua imperterrita?!».
«Sì, dice che non sono normali le telefonate durante la sera tardi», scosse la testa, mentre Camylla sorrideva sconsolata ed allibita da ciò che aveva appena udito, «Così ieri mi ha definitivamente messo davanti ad una scelta: o lei o te», allargò le mani davanti al petto, rassegnato dalla decisione presa.
 «Non ci posso credere!», dette un piccolo morso alla barretta, evitando di disperdere le briciole sui pantaloni, «Mi dispiace», Camylla si sentiva felice: per la prima volta dopo giorni intensi e particolarmente snervanti, finalmente in quell'esatto momento credeva di essere in pace; di aver ricevuto l'affetto necessario che le stava venendo meno; di avere ancora affianco una persona su cui poter contare.
«No, non è vero», Thomas sorrise debolmente, agitando l'indice davanti agli occhi.
«No, vabbè..», Camylla si fermò a ricambiare il sorriso, leggermente imbarazzata, «Nel senso che mi dispiace se stai soffrendo. Ecco».
«Se in questi mesi non è riuscita a capire l'importanza della nostra amicizia allora significa che non mi ha conosciuto affatto», stava parlando serenamente, senza fretta. Misurando il peso delle parole, mischiando il celeste delle sue iridi in quelle castano di Camylla, «Quindi è meglio così», annuì con la testa come a voler accentuare la propria convinzione nell'affermazione.
«Non hai intenzione di darle un'altra possibilità?», Camylla incrociò la gamba destra sotto la sinistra mentre cercava di appallottolare la carta della barretta ormai finita.
«Non adesso», Thomas riafferò il panino appoggiato sulla carta, «La reazione avuta ieri sera mi ha dato da pensare quanta poca fiducia abbia nei miei confronti», un leggero morso.
«Magari sta vivendo un periodo più stressato?!», storse il naso nel pronunciare la domanda.
«L'hai detto tu stessa: non è la prima volta che ha comportamenti simili», si passò la lingua sulle labbra per riuscire ad afferrare una briciola scappata al morso, «Eppure io credo di averle sempre dimostrato di potersi fidare».
«Sì, beh, sei sempre stato un “fidanzato modello”», mimò con le dita le virgolette sulle ultime due parole, abbozzando un sorriso.
«T'immagini poi, io medico?! Ma quando mai!», sorrise apertamente, «Eppure per lei mi ero iscritto all'Università», si ritrovò ad alzare le spalle, con la testa bassa e lo sguardo ad osservare il panino tra le mani.
«Mi dispiace di aver chiamato ieri sera», Camylla si mosse impercettibilmente sulla panchina, incominciando a sentirsi a disagio difronte allo sguardo dispiaciuto di Thomas.
«Figurati! Se non avesse sclerato ieri lo avrebbe fatto oggi, o domani», Thomas alzò lo sguardo in direzione di Camylla, cercando di trasmetterle tranquillità.
«Ok, allora è meglio dire che mi dispiace essere la causa della vostra rottura», stavolta toccò a Camylla abbassare lo sguardo, consapevole di una verità palese che le stava donando una sensazione fastidiosa.
«Smettila subito!», allungò una mano per poggiarla delicato sul ginocchio di Camylla, «Il problema non sei te, e lo sai. Perchè Matthias non ha mai fatto queste storie?!», Thomas stava parlando lentamente. Sinceramente.
Camylla rimase con lo sguardo basso, fisso su quella mano leggera che stava cercando di rasserenarla, trasmettendole una sensazione di benessere provvisorio: nonostante le parole dell'amico, in una piccola parte del suo corpo stava cercando di venir fuori e farsi sentire, un senso di colpa non innocente; la remota possibilità che la causa della tristezza momentanea di Thomas potesse derivare anche per colpa sua, si stava ampliando con facilità disarmante, rendendo reale una situazione dettata fino a quel momento, solo a parole.
Il leggero fruscìo del vento era l'unico rumore che li stava circondando, avvolgendoli in un limbo che oscillava tra la leggerezza e la consapevolezza che quella tranquillità sarebbe terminata da lì a breve. 
«Scusa, io non..», Thomas si sporse in avanti, cercando di catturare con il proprio sguardo, gli occhi di Camylla, «Non volevo nominarlo», concluse con imbarazzo nella voce.
Camylla scosse la testa quanto bastava per potersi scrollare di dosso quel fastidio insidioso che stava avendo il potere di soffocarla, «Come?», chiese, voltandosi leggermente e trovando degli occhi celesti a rilassarla improvvisamente.
«Non volevo tirar fuori lui», sorrise debolmente, cercando di marchiare con più decisione quel pronome personale volto a mascherare un nome ancora troppo lucido, «Volevo solo farti capire che è stata Savanna l'unica a non comprendere la situazione», sollevò la mano dal ginocchio di Camylla per poter avere la possibilità di muovere il dito indice tra la sua direzione e quella della ragazza.
«Oh, non preoccuparti», Camylla si ritrovò ad inclinare gli angoli della bocca, gesticolando con la mano destra: con quel gesto sembrava voler scacciare via lo sguardo incerto dal volto di Thomas, «Matthias l'ho visto ieri sera».
 «Eh?!», Thomas stava tornando ad addentare il piccolo pezzo di panino rimasto, bloccandosi a metà nel sentir pronunciare nitidamente l'ultima parte di frase da Camylla, «E me lo dici adesso? Così?».
«Stavamo parlando di cose serie», Camylla alzò le spalle mentre involontariamente stava giocando con una piccola pellicina presente all'angolo dell'unghia del pollice sinistro.
«Questa è una cosa seria», l'ammonì scherzosamente Thomas, masticando rumorosamente, «Che poi, neanche lui mi ha ancora detto niente», socchiuse gli occhi come a volersi ripromettere mentalmente qualcosa, «Ma comunque racconta, avanti!».
 «E' stato un'incontro casuale avvenuto dopo la telefonata», si passò una mano tra i capelli, accorgendosi che il leggero movimento del vento stava facilitando la creazione di nodi.
«Quella telefonata è stata la svolta», rise apertamente mentre uno sguardo serio cercava di rimanere tale facendo intendere essere stata una pessima battuta. Thomas fu costretto a tossire per riprendere il controllo della situazione, mimando un debole “scusa” prima di completare il panino.
«Stavo tornando a piedi a casa e lui mi ha dato un passaggio», Camylla stava infilando una mano nella borsetta per poterne estrarre un pacchetto di sigarette.
«E..», Thomas inclinò il labbro sinistro, strizzandone l'occhio: era intento ad afferrare dalla busta un pezzo di pizza ma cercò di dedicare la piena attenzione all'amica.
«E niente, anzi», dovette premere sull'accendino una seconda volta perchè il vento le aveva spento la fiamma, «Ha avuto una reazione strana non appena ha notato Nathan davanti al portone di casa», Camylla aspirò lentamente il fumo della sigaretta mentre immagini nitide e ben marchiate le passavano ininterrottamente davanti agli occhi: lo sguardo di Matthias, la voce di Matthias, i gesti di Matthias. Il messaggio ricevuto al quale non aveva risposto.
«Aspetta un secondo», Thomas stava posando la pizza sopra un pezzo di tovagliolo, voltandosi meglio in direzione di Camylla, «Che ci faceva Nathan sotto casa tua? Cioè, sapevi che ci sarebbe stato?».
«No, voleva parlarmi di suo padre», Camylla rispose distrattamente, ancora avvolta tra i ricordi di un'incontro di cui avrebbe voluto poterne cambiare il finale. Il vento a consumargli una sigaretta tenuta debolmente tra le dita.
«No, no Cam, così no», si pulì velocemente le mani strusciandole tra loro, «In questa maniera mi perdo e basta quindi adesso racconti tutto, nel dettaglio, senza farti pregare», appoggiò il gomito sulla spalliera alta della panchina, in attesa. «Grazie», aggiunse sorridendo subito dopo.
«Non te l'ho detto del caso di suo padre?», si voltò in direzione dell'amico, osservandolo con la fronte corrugata a formargli piccole piaghe della pelle.
Thomas scosse la testa in segno di negazione, «Non mi racconti più niente», si allungò in avanti per afferrare la sigaretta che ormai Camylla aveva smesso di fumare.
«Lucas mi sta facendo lavorare ad un caso di omicidio in cui è coinvolto il padre di Nathan», Camylla stava parlando lentamente, colpita affondo dalle parole di Thomas: ancora una volta si rese conto di essere spettatrice inerme della sua stessa vita, lasciando che gli eventi facessero il loro corso senza reagire. «Ma ho scoperto essere stato Nathan stesso a chiedere a Lucas di farmici lavorare», una smorfia nacque spontanea sul volto di Camylla al ricordo della conversazione e al motivo susseguito legato al coinvolgimento.
«E perchè l'avrebbe fatto?», Thomas socchiuse gli occhi mentre del fumo stava circondando l'aria limitrofa.
«Perchè così facendo posso tenerlo aggiornato sui fatti», si ritrovò a sospirare, «E la cosa peggiore è che ho preso un fascicolo di nascosto dallo studio e l'ho dato a Nathan», Camylla si morse il labbro inferiore, chiudendo gli occhi per evitare di poter incontrare lo sguardo severo di Thomas.
«Scusami? Potresti ripetere?», Thomas tossicò talmente tanto da dover afferrare la boccetta dell'acqua per poterne bere un sorso, «Che avresti fatto?!».
«Sono stata stupida, lo so ma mi sono lasciata convincere», Camylla appoggiò entrambi i gomiti sulle ginocchia, lasciando che la testa le ricadesse ciondolona in avanti, «Ho intenzione di dirlo a Lucas dopo», un sussurro debole dettato da una consapevolezza imminente. Necessaria.
«Perchè?», lanciò lontanto la sigaretta ricevendo uno sguardo di rimprovero da parte di Camylla: per tutta risposta Thomas si ritrovò ad alzare le spalle, indicando la posizione in cui si trovavano.
«E' complicato e non dovresti saperlo», Camylla ritornò con lo sguardo su quell'erba umida schiacciata al terreno dai passanti: la sensazione di stanchezza stava tornando a farsi sentire prepotentemente; tutta quella situazione aveva il potere di far sentire Camylla inerme. 
«Non starai per caso cercando di dirmi che c'entra la rapina, vero?», Thomas si mosse in avanti, aspettando una risposta nonostante il tono della voce nascondesse debolmente la conoscenza della verità.
«Sssh», Camylla scattò con la testa, cominciando a guardarsi intorno con occhi sbarrati: nessun passante era relativamente vicino da aver potuto sentire ciò che Thomas aveva pronunciato, «Ma ti pare?!», allargò le mani, rimproverandolo con un tono accusatorio.
«Sì, ok ma rispondi», tagliò corto il ragazzo, noncurandosi della preoccupazione dell'amica.
«Va bene», Camylla chiuse gli occhi, sospirando a pieni polmoni: nonostante sapesse di star commettendo un errore coinvolgendo indirettamente anche Thomas, in quel momento parlarne ad alta voce le sembrava la soluzione perfetta. Si sistemò al meglio sulla panchina scomoda, voltandosi alla sua destra per poter guardare attentamente la reazione che avrebbe avuto Thomas. «Nathan vorrebbe farlo per poter riuscire a pagare la cauzione qualora suo padre dovesse finire in prigione», alzò il pollice verso l'alto cercando di non tralasciare niente di fondamentale, «Il tuo amico Theo - che adesso sta con Alyssa - lo vorrebbe fare perchè ha un debito di gioco», alzò anche il dito indice, osservado lo sguardo di Thomas farsi sempre più allibito e confuso, «Alyssa perchè è Alyssa», alzò anche il medio prendendosi qualche secondo per poter respirare.
«Questo è assurdo!», Thomas stava scuotendo la testa.
Camylla cercò di ignorarlo, continuando a spiegare, «Quindi Nathan vorrebbe che io gli passassi le informazioni sul caso ma qualora Lucas dovesse perdere in tribunale, avrebbe i soldi necessari», stava parlando velocemente: quella verità pronunciata ad alta voce risultava essere nettamente più pericolosa e minacciosa. Una sitazione irreale. «E Theo..», Camylla si ritrovò a sorridere amaramente distrutta, «Beh Theo mi ha registrata rendendomi complice del piano qualora decidessi di denunciarli alla polizia», concluse unendo le mani con uno schiocco sordo mentre scuoteva la testa: aveva appena commesso l'ennesimo errore della sua vita.
Tra loro calò il silenzio: in sottofondo stavolta era possibile udire un bisbiglio lontano e confuso di qualche persona che stava conversando; il vento aveva ripreso a soffiare aumentando le raffiche e staccando prepotentemente le foglie dai rami; le nuvole minacciavano di esplodere da un momento all'altro.
«Fammi capire», Thomas stava parlando piano: un tono di voce delicato. Preoccupato. «Stiamo parlando dello stesso Theo? Lui ha un debito di gioco?», Camylla lo vide deglutire a fatica e per tutta risposta si ritrovò ad annuire con la testa. «E non ho capito la registrazione, la polizia, il denunciare», socchiuse gli occhi, passandosi una mano tra i capelli.
«Voglio starne fuori, ok? Ma loro insistono», Camylla stava parlando con stanchezza assurda: stava trasmettendo il suo nervosismo. «Mi hanno coinvolto perchè pensavano avrei accettato senza storie», si ritrovò a scuotere la testa, alzando distrattamente un braccio, «E adesso mi stanno ricattando: se vado alla polizia ci sono prove sufficienti del mio coinvolgimento», Thomas sembrava essere immobile, cercando di comprendere appieno ogni singola parola, «Mentre se durante il piano dovessero venir presi, verrebbero comunque fuori le prove in cui si evince di quanto io fossi a conoscenza», Camylla si ritrovò ad abbassare la testa: si stava rendendo sempre più conto di quanto quella situazione stretta non lasciasse intravedere nessuna luce. Si stava rendendo conto di quanto la gabbia fosse piccola dove non vi era possibile compiere nessun movimento.
«Ma  hai provato a..», Thomas cercò di prendere parola dopo aver osservato attentamente Camylla.
«A farli ragionare? Secondo te?!», Camylla sbuffò sonoramente, facendo perno sulle gambe per potersi alzare in piedi, «Che facciano ciò che vogliono, sanno benissimo a cosa vanno incontro», stava alzando il tono della voce sotto l'occhio vigile di Thomas. Stava gesticolando nervosamente. «Basta che mi lascino in pace! Per questo dopo andrò da Lucas e gli dirò di togliermi dal caso», si bloccò difronte all'amico, incrociando le braccia al petto, «Questo è un primo passo».
«Non esiste, insomma voglio dire..», anche Thomas abbandonò la posizione seduta per potersi alzare in piedi e raggiungere Camylla, «Ti rendi conto dell'assurdità della situazione?». 
«Sarei così, altrimenti?», Camylla si indicò cercando di far capire a Thomas il proprio stato d'animo: erano giorni ormai che era costretta a convivere con pensieri capaci di togliere il respiro, le forze, le energie. Erano giorni che viveva di sensazioni contrastanti, pericolose, in grado di annientare. Erano giorni che non riusciva a reagire.
«Dobbiamo fare qualcosa», allargò le braccia davanti al petto, con fare ovvio.
«Tu», Camylla puntò contro il proprio indice destro, assottigliando lo sguardo, «Non dovrai fare un bel niente».
«E pensi che dopo aver saputo tutto questo io me ne stia zitto e buono in disparte?», Thomas incrociò le braccia al petto, assumendo uno sguardo beffardo ed il sopracciglio alzato.
«Sì, anzi lo spero», cercò di addolcire lo sguardo, pregandolo silenziosamente affichè potesse ascoltarla. «Dovresti essere all'oscuro di tutto. Se sapessero che ti ho raccontato, chissà come reagirebbero», Camylla riprese a camminare avanti ed indietro nervosamente, imprecando mentalmente: non avrebbe dovuto coinvolgere Thomas in una situazione più grande di lei ma l'idea di tenerlo all'oscuro le lacerava lo stomaco.
«Non me ne frega! Non lascerò che Theo commetta una cazzata dal genere», Thomas stava alzando la voce, rimanendo immobile sul posto ad osservare Camylla.
«Thomas ti prego, ho già un sacco di problemi», Camylla fu costretta a fermarsi nuovamente davanti all'amico: i suoi occhi stanchi stavano cercando di trasmettere ansia e nervosismo; i suoi movimenti scoordinati, agitazione; le parole non dette erano preghiere da ascoltare. «Non peggiorare la situazione».
«Io sarei un problema, adesso?», il tono di voce non riuscì a nascondere lo stupore; lo sguardo accigliato e la bocca aperta ne rendevano l'espressione un dolore lancinante al cuore di Camylla.
«No, certo che no! Non ho detto questo», si ritrovò a mordere il labbro inferiore, indecisa sui gesti da compiere, «Senti, anche io sono preoccupata, ok? Dovesse succedere qualcosa ad Alyssa, io..», Camylla non riuscì a finire la frase, mentre nella sua mente si stavano riproponendo possibili scenari dell'eventuale rapina, «Ma davvero, non li riconosceresti se li vedessi e sentissi adesso».
«Questo non è un motivo per lasciarli fare», Thomas appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Camylla, osservandola attentamente.
Camylla scosse la testa, arresa dalla determinazione insana dell'amico: fu costretta a socchiudere gli occhi, incapace di sorreggere quel celeste profondo volto a comprendere e trasmettere più di quanto sapessero fare le parole; fu costretta a sospirare sonoramente, mentre una consapevolezza aveva cominciato ad attaccarsi alle ossa. «Parlerò io con Theo, va bene?», riaprì debolmente gli occhi, deglutendo a fatica, «Tu però promettimi che non farai niente».
«Grazie», Thomas l'avvolse in un abbraccio caloroso, sicuro. Familiare. La strinse a sè, accarezzandole i capelli sciolti. E Camylla si lasciò cullare da quell'affetto necessario che riusciva a calmarla almeno temporaneamente. Si ritrovò a puntare gli occhi al cielo, reso visibile a tratti dai movimenti sconnessi dei rami, per evitare che alcune lacrime solcassero il volto: era riuscita a prendere una decisione imporante, e si era rivelata una decisione sbagliata; ad ogni passo falso la gabbia sembrava stringersi di più, bloccandole il respiro. Le sembrava di correre all'interno di un cerchio perfettamente chiuso. Sigillato.
«Adesso devo andare da Lucas o farò tardi», Camylla sciolse quell'abbraccio necessario, allontanandosi da Thomas e dalla sua sicurezza. «Non volevo coinvolgerti, io non..», sospirò, scuotendo debolmente la testa, «Cercherò di risolvere, non preoccuparti», afferrò la borsa accorgendosi del rumore della vibrazione all'interno di esso: ne estraesse il cellulare, il cui schermo illuminato presentava il nome di Lucas. Si picchiò una mano sulla fronte imprecando silenziosamente.
«Vai e salutami Gabriel», Thomas le strizzò l'occhio destro mostrandole apertamente un sorriso che Camylla non tardò a ricambiare seppur più stancamente. Lo salutò con la mano prima di voltarle le spalle e cominciare a correre in direzione dello studio.
«Ti voglio bene», Camylla sentì la voce di Thomas arrivarle distrattamente ma furono queste semplici parole a farla sorridere davvero, rincuorata. Le diedero la spinta per accelerare il passo; le diedero la forza per affrontare il capo. Le diedero la speranza di poter trovare davvero una soluzione.

Quando la porta scorrevole dello studio si aprì dinnanzi a lei, Camylla vi entrò energica cercando di accorciare ulteriormente il ritardo che fino a quel momento era di sette minuti e trentradue secondi.
«Salve signora Shaw», Camylla le sorrise distrattamente, salutandola con la mano libera: il respiro affannoso le stavano facendo intendere essere fuori allenamento.
«Buongiorno», il rossetto rosso accesso stonava nettamente con la maglia verde fluorescente che quella mattina Naomi aveva deciso di indossare, «Corri subito in ufficio», le sorrise mostrandole una chewing gum masticata tra i denti prima di alzare la cornetta del telefono.
Camylla la ringraziò con un cenno della testa, percorrendo a grande falcate il corridoio che portava alla grande stanza a vetri: in quel tratto cercò di regolarizzare al meglio il respiro e cercò di assumere uno sguardo rilassato e sereno.
Bussò delicatamente e per cortesia, nonostante Lucas fosse appoggiato al bordo della scrivania con le braccia e le gambe incrociate, ad osservarla.
«Salve signor Price, mi spiace essere in ritardo», Camylla si richiuse la porta alle spalle approfittandone per riprendere l'ennesimo respiro profondo. Socchiuse gli occhi decidendo di voltarsi lentamente.
«Evans», Lucas le ricambiò il saluto accentuando il cognome con l'inclinazione laterale della testa, «Cerca di essere più puntuale la prossima volta», afferrò dalla scrivania una piccolo taccuino iniziando a sventolarlo difronte agli occhi: cominciò a sfogliarlo, soffermandosi su di una pagina. Camylla vide Lucas estrarre dal taschino della giacca blu scuro una penna argentata lucida, il cui inchiostro si stava depositando a caratteri piccoli sul foglio precedentemente bianco.
«Sì, ha ragione», Camylla stava muovendo la testa come a voler rafforzare le sue scuse e il suo dispiacere: sapeva che non avrebbe più dovuto ritardare, per nessuna ragione al mondo.
«Bene, allora..», con una leggera spinta del fianco, Lucas si staccò dal bordo della scrivania per percorrerne il contorno e raggiungere la sedia nera in pelle, «Che cosa sai dirmi di nuovo del caso Mills-Foster?», si mise a sedere, appoggiando i gomiti sulla lastra di vetro, in attesa di risposta.
Camylla si ritrovò a deglutire prima di passare velocemente la lingua in mezzo alle labbra. Si mosse impercettibilmente in avanti, consapevole di star affronttando un argomento che avrebbe potuto portare contrasti.
«Ecco, a proposito di questo, io..», stava gesticolando con le mani mentre la voce risultava essere debole persino alle proprie orecchie, «Vorrei abbandonare il caso».
«Per quale ragione?», Lucas appoggiò la schiena alla sedia, incrociando le gambe e unendo le mani davanti alla bocca: lo sguardo attento con occhi che avevano cominciato a scrutare attentamente.
«Mi crea delle difficoltà», Camylla stava parlando lentamente, con un tono di voce debole: non sapeva come giustificare nel dettaglio la propria scelta senza lasciar trapelare niente di particolarmente compromettente.
«Delle diffcoltà in che senso?», stava dondolando, oscillando prima a destra e poi a sinistra, «Con chi?».
«Conoscendo il figlio mi risulta strano doverci lavorare», decise di muoversi in avanti, raggiungendo la sedia posta difronte a Lucas: si sedette lentamente, quasi timorosa del gesto che stava compiendo.
«E questa stranezza è venuta fuori soltanto adesso?», stava continuando ad osservarla in ogni gesto e movimento, con massima discrezione. Tamburellando con le dita della mano ancora davanti allo sterno.
Le domande insidiose di Lucas stavano mettendo in agitazione Camylla più del previsto. «No, certo che no però diciamo che in questo utlimo periodo ho avuto modo di conoscere meglio Nathan», accavallò le gambe per tornare nella posizione iniziale subito dopo: i palmi delle mani strusciavano sulle maniglie di pelle lucida della sedia; i suoi movimenti 
incerti e la sua voce sottile non rendevano solide le proprie difese.
«Quindi fammi capire», Lucas bloccò il movimento ondulatorio della sedia, fermandosi difronte a Camylla, «Davis non è tuo suocero ma vuoi abbandonare il caso per il rapporto instaurato con Nathan».
«Sì, esatto», Camylla dovette schiarirsi la voce per poter riuscire a farsi sentire.
«C'è ancora qualcosa che non riesco a capire», stava sorridendo beffardamente, gesticolando con l'indice della mano sinistra, «Per questo continuerai a lavorarci».
«Davvero signor Price, io prefe..-», Camylla si spostò talmente tanto da riuscire ad arrivare al bordo della sedia, in procinto di alzarsi in piedi e mettersi a camminare nervosamente avanti e indietro.
«E sappi una cosa», fu Lucas ad interromperla, facendo perno sulla mani aperte posizionate sul vetro della scrivania e sollevandosi in piedi, «Se farai parola del caso con Nathan, infrangendo il segreto professionale, non metterai più piede in questo studio», la voce era forte, decisa. Cruda. Gli occhi erano sicuri, assottigliati ma profondi. «E chissà, magari in nessun'altro studio», allargò le mani davanti al petto con fare ovvio prima di tornare seduto sulla poltroncina. «Quindi dicevamo, hai novità?».
Camylla si ritrovò a sospirare sonoramente mentre con la testa annuiva debolmente: il piano che si era preposta ed immaginata non stava seguendo la linea temporale giusta; gli avvenimenti stavano prendendo una piega differente da quelli sperati e desiderati; la sua sicurezza stava svanendo velocemente via, lasciando spazio ad una sensazione di debolezza e fatica mentale. Le sembrava di correre nonostante si trovasse legata alle caviglie con catene di ferro; le sembrava di respirare sotto l'acqua facendo sì che le se riempissero i polmoni. Si aggrappava ad ogni fragile appiglio, riuscendo a spezzarlo, rotolando sempre più in basso.

Camylla afferò l'ultimo quarto di pizza prima di osservarlo attentamente e riposizionarlo sul cartone unto: si pulì le mani al tovagliolo, pronta a bere il bicchiere d'acqua posizionato difronte a lei ancora pieno. 
«Quindi sei nella merda?», la voce di Thomas le arrivò distratta ma ben udibile.
«Esattamente», si asciugò con la manica della felpa una gocciolina d'acqua che stava scivolando sul mento, «Che poi non avevo niente di nuovo da dire sul caso quindi ti lascio solo immaginare», nel riposizionare il bicchiere sul tavolo, ci mise più forza del dovuto, provocando un rumore sordo.
«Hey, così mi farai perdere l'udito», non seppe spiegarne il motivo ma Thomas stava quasi urlando anzichè parlare con una tonalità considerevole.
«Scusa, ma sei in vivavoce», nonostante non potesse vederlo, Camylla si ritrovò istintivamente ad alzare le spalle e sorridere debolmente: si accorse di quanto il proprio cellulare fosse a pochi centimetri dal bicchiere.
«Cosa pensi di fare, adesso?», Camylla era pronta a scommettere che anche Thomas fosse in procinto di cenare, considerando il rumore di quelli che sembravano essere piatti posizionati sulla tovaglia.
«Non ne ho la più pallida idea!», morsicò il pezzetto di pizza, masticando rumorosamente: qualche ora prima, sotto il getto di acqua calda, aveva provato a dare un senso agli ultimi avvenimenti riuscendo solamente a trovare soluzioni sciocche ed inutili. Non era capace di pensare lucidamente, non riusciva a trovare la spinta giusta per poter affrontare quella situazione soffocante che lentamente aveva il potere di schiacciarla a terra. 
«Come ci sei finita così?!», la voce debole e preoccupata di Thomas ebbe come reazione uno sbuffo da parte della ragazza.
«Vorrei saperlo anch'io», scosse la testa, arresa ad un senso di colpa vivido e prepotente: perchè per quanto si rifiutasse di ammetterlo ad alta voce, Camylla era pienamente consapevole di essere stata complice di quel suo stesso vortice pericoloso, rimanendo ad osservare in disparte anzichè reagire al momento opportuno.
«Dimmi che troverai una soluzione», e quella risuonò a Camylla come una preghiera silenziosa; una forza nascosta necessaria per difendersi.
«Sì, Little T», si passò una mano tra i capelli sciolti, cercando di nascondere un sospiro nervoso, «Adesso però ti saluto: ho voglia di sdraiarmi sul divano e non pensare a niente».
«Va bene, ci sentiamo domani allora», Camylla percepì un rumore secco ed improvviso che la fece sobbalzare sulla sedia, seguito da un “cazzo” pronunciato a denti stretti. «Mi è caduta la pasta in terra».
«Che chef pasticcione», la ragazza si ritrovò a sorridere, alleggerendo per qualche istante le proprie spalle dallo stress e dall'ansia accumulate in quelle ultime ore. Sentì sorridere anche Thomas tra i vari vetri che si scontravano tra loro durante la pulizia. «Ah, chiama Savanna!», Camylla riattaccò prima che l'amico potesse aver modo di replicare: nonostante tutto, sapere che Thomas non era tranquillo e sereno come avrebbe dovuto essere, la faceva sentire peggiore di quanto già non lo era.
Afferrò il bicchiere ormai vuoto per posizionarlo all'interno del lavabo quando il suono leggero del campanello le fece bloccare l'azione a metà: si mosse velocemente, incuriosita nello scoprire chi si trovasse dall'altro lato della porta.
«Chi è?», cercò di individuare la persona attraverso lo spioncino ma il buio già calato rendeva impossibile identificarne l'entità.
«Sono Nathan», la voce squillante del ragazzo arrivò fresca alle orecchie di Camylla che si ritrovò interdetta con la mano sulla maniglia: non richiedeva l'ennesimo confronto a parole; non avrebbe sopportato di sentirsi nuovamente in trappola; non aveva le forze per riuscire ad affrontarlo. «Ti ruberò solo pochi minuti».
Camylla decise di aprire la porta, ritrovandosi difronte un Nathan che sembrava essere stanco. Affranto. Lo fece entrare, osservandolo in quelli che sembravano movimenti sconnessi, non pianificati. Non da lui. Il suo sguardo sembrava essere spento; il suo verde era cupo, forse triste.
«Che succede?», Camylla si fermò nel centro esatto della stanza sentendosi a disagio nella sua stessa casa; non sapendo con precisione come muoversi e in quale direzione andare.
«Volevo scusarmi per la situazione in cui ti ho messo», affondò i suoi occhi verdi nelle iridi castano di Camylla, rendendola incapace di replicare all'istante: si strinse nel cappotto marroncino chiaro, inclinando leggermente di lato la testa.
«Un pò tardi, non credi?», sorrise tristemente, passandosi una mano tra i capelli: più avrebbe voluto provare a staccare la spina, più i problemi si facevano sentire vivi.
«Te l'ho detto, sarebbe dovuto andare tutto diversamente», Nathan liberò le mani estraendole dalle tasche del cappotto per allargarle laterlamente.
«Senti, ti ho chiesto tempo ed è quello che adesso mi serve», Camylla prese a camminare nervosamente avanti e indietro, evitando di guardare Nathan negli occhi, «Vorrei potervi stare lontano per un pò, per pensare», quella frase  le uscì senza freni, spontaneamente. Non aveva mai pensato di poterlo dire ad alta voce ma in quel momento opprimente dove le cominciava a mancare l'aria, ne aveva sentito la necessità. «Tra l'altro oggi ho chiesto a Lucas di farmi allontanare dal caso di tuo padre e indovina?», si fermò davanti al ragazzo, allargando le braccia mentre i suoi occhi gridavano stanchezza.
«So che può sembrare tutto surreale ma..-», Nathan stava parlando piano, muovendosi leggermente in avanti con le mani lungo i fianchi e lo sguardo assente.
«No, no, no», Camylla stava sorridendo nervosamente, muovendo il dito indice come segno a voler rafforzare la negazione, «Questo è surreale! Mi avete incastrata! Mi avete manipolato», stava parlando a denti stretti, sputando tutto l'odio che era riuscita ad accumulare nell'arco di quei giorni trascorsi ad ingoiare bocconi amari.
«E' vero, ti abbiamo coinvolto in qualcosa di losco ma ti posso assicurare che ne uscirai pulita», le appoggiò le mani sulle spalle per bloccarle in parte quei movimenti sconnessi e poter così tornare ad osservarla negli occhi.
«Questo non puoi assicurarlo, lo capisci? Non puoi!», la voce di Camylla stava risultando alta e stonata: con un movimento secco del busto era riuscita a liberarsi dalla presa solida di Nathan, indietreggiando di qualche passo. «Mi state esasperando, mi state facendo impazzire», portò le mani alle tempie, premendo con forza e socchiudendo gli occhi: il dolore nella voce era ben udibile e si stava insediando all'interno del muro della casa.
«Pensi che per noi sia semplice?», stavolta fu Nathan ad incominciare a camminare per tutto il perimetro della stanza, «Ma dammi un'alternativa, una soltando e molleremo tutto», stava cercando con lo sguardo, gli occhi incerti di Camylla,  «Perchè mio padre potrebbe finire in prigione seriamente. Quindi tu cosa faresti?», stava parlando lentamente nonostante lasciasse trapelare un velo di nervosismo comprensibile.
«Io non lo so!», Camylla stava gridando: con le mani le cui dita erano visibilmente separate, a palmo aperto, che si stavano muovendo freneticamente; la fronte corrugata e gli occhi tristi, disperati.
«Perchè questo è l'unico modo», Nathan scelse di fermarsi nuovamente difronte a Camylla, «E noi abbiamo bisogno di te, sei  necessaria ai fini del piano», le passò una mano accarezzandole la guancia.
Camylla si rilassò istintivamente sotto a quel tocco leggero ed infuocato: rilassò le spalle, cariche di rabbia e piegate dal peso delle parole; rilassò gli occhi, lasciandosi cullare da quel verde che stava tornando ad essere limpido; rilassò le braccia lungo i fianchi, stanche di trattenere nervosismo; rilassò la testa, colma di agitazione e ansia.
Nathan accorgiò ulteriormente la distanza tra loro, arrivandole vicino al viso: Camylla ancora una volta si sentiva inerme, indifesa. In balìa totale dei movimenti di Nathan; catturata da quei gesti sottili e impercettibili. Ne poteva sentire il profumo, inebriarsi di quell'odore nuovo ma piacevole; ne poteva sentire il respiro, lento e controllato. E socchiuse gli occhi quando Nathan decise di piegarsi leggermente per poter arrivare a sfiorare le proprie labbra con quelle della ragazza.
In quell'esatto momento Camylla stava davvero riuscendo ad annullare i pensieri, se non fosse che un fastiodoso ed incessante martellamento le fece sbarrare gli occhi, spintonando Nathan indietro. «Sul serio?! Siete arrivati a questo pur di convincermi?!», nella voce di Camylla c'era delusione, dispiacere. Rammarico. «Vattene immediatamente da casa mia!».
Vide Nathan scuotere la testa in segno di negazione mentre a passi svelti raggiunse il portone.
«Lo farò, farò parte di questo stupido piano», stava parlando con disprezzo, rincarando la dose con l'indice della mano sinistra, «Ma d'ora in poi mi parlerete solo se strettamente necessario. E adesso fuori!», osservò il ragazzo aprire la porta, raffreddando ulteriormente quelle mura sorrette da angoscia e disgusto. Non si preoccupò di richiuderla sbattendola violentemente, interrompendo quel contatto visivo colmo di rabbia. 
Afferrò un piccolo soprammobile di vetro posto sulla credenza vicino allo specchio, prima di scaraventarlo a terra frantumandolo in mille pezzi: urlò con tutta la voce che aveva in corpo, facendo fuoriuscire il disagio che stava provando; gridò a gran voce, divenendo rossa in viso e provocando dolore alla testa incessante.
Si arrese all'idea reale di essere preda totale di Nathan; di essere appesa ad un filo di speranza sorretto dalle mani della stessa persona che l'aveva incastrata.






 

IM BACK!
Mi scuso per il ritardo ma eccomi finalmente qua con un nuovo capitolo. E devo ammetterlo: se siete arrivate/i fino allo spazio autrice, meritereste un vero e proprio premio! 
Spero ne sia valsa la pena. Mi sono impegnata molto affinchè le sensazioni dei personaggi potessero risultare veriterie al massimo. 
E a tal proposito, vorrei partire proprio dall'ultima scena e dalla scelta finale di Camylla: vorrei farvi capire che sta accettando di mettere a rischio il proprio futuro, per 
esasperazione. Avete presente quando un bambino piccolo vi chiede costantemente ed incessantemente una cosa? E continua imperterrito fino a che non la ottiene? Bene, questo è avvenuto. 
Poooi, che dire?! Probabilmente il padre di Nathan è colpevole ma tanto lo scopriremo perchè Lucas sta mettendo i bastoni tra le ruote a Camylla e quindi dovrà continuare a lavorarci.
Infine, - anche se non nel vero senso della parola - abbiamo Thomas che si è lasciato e che, cosa non da me, 
conosce tuttoooo!
Bene, adesso davver me ne vado. Voi, fatemi sapere.
Senza freniiii :)

Un bacio,
G.xx

 







 

 


  
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