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Autore: Bibliotecaria    24/03/2021    1 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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16. Il giorno è arrivato
 
 
Il fatidico giorno in fine arrivò: 24 aprile 2024 della terza Era.
La festa nazionale che ricorreva la presa di quella che sarebbe divenuta la capitale dello Stato, Mazelia, da parte dell’antica casata umana degli Olmi. Simbolo l’inizio della affermazione del potere degli uomini e la data che aveva segnato l’inizio della terza Era.
In quello specifico anno delle tremende sommosse e proteste avrebbero portato allo spargimento di sangue di centinaia di persone a Meddelhok, e ciò avvenne perché Malandrino voleva assicurarsi che gli occhi della S.C.A. fossero puntati su qualcos’altro quella notte, voleva che la sicurezza riservata al drago venisse ridotta e che la gente fosse troppo presa dalle sommosse da badare ad un camion anonimo che si muoveva per le strade di campagna.
 
 
Uscii la mattina presto del tutto inosservata poiché i miei sarebbero stati fuori tutto il giorno: durante le feste nazionali tutto il personale S.C.A. era costretto a fare turni molto più lunghi per assicurare la massima efficienza e sicurezza. Lo sapevo molto bene perché ero stata io a raccogliere informazioni su come si sarebbero mosse le forze del ordine.
Arrivata al rifugio iniziammo a sistemare accuratamente tutti gli attrezzi e le armi necessarie e, contemporaneamente, ripassammo il piano: ad alta voce quello ufficiale, nella mente mia e dei miei amici quello reale. Sapevamo che non sarebbe stato un viaggio facile e che sarebbe bastato il più piccolo errore per farci beccare, oltretutto se anche solo un’informazione si fosse rivelata errata avremmo dovuto improvvisare e con missioni di questo calibro spesso equivale ad una disfatta, quindi la tensione era, giustamente, elevata.
 
Incontrammo il primo ostacolo dopo aver percorso appena dieci minuti di viaggio: un blocco di controllo ad uno dei ponti che permettevano l’accesso alla città. E a sorvegliarlo c’erano due agenti di polizia chiaramente annoiati.
“Documenti, prego.” Ci chiese l’agente più giovane. Porsi i miei documenti falsi e nel frattempo mi ripetevo la mia falsa identità: sono Anita Zentin, 19 anni, umana, sono una camionista come mio padre e oggi devo fare una consegna di verdura alla fiera della città di Savor. L’agente guardò me e poi il mio compagno, purtroppo notò che Nohat era un vampiro quindi gli chiese i documenti, e questi glieli passò con tranquillità. L’agente lo guardò per un secondo e poi glieli porse senza porre domande.
“Devo controllare il vostro carico.” Al ordine scesi dal camion e aprii lo sportello. Al suo interno c’erano carni in scatola, verdure, festoni e altre cose da fiera. L’agente controllò la lista e ci fece cenno di procedere.
Ero appena salita quando una voce attirò la mia attenzione. “Signorina!” Mi bloccai terrorizzata. “Sì?” Domandai con un sorriso un po’ tirato mentre pensavo che ci avessero beccati.
“Le è caduto il berretto.” Mi toccai il capo, in effetti mi era caduto, sciolsi i nervi con una risata nervosa e imbarazzata. “Grazie!” Esclamai afferrando il berretto possessivamente e tornai sul camion.
Una volta lontani io e Nohat ci fissammo per mezzo secondo, la tensione si sciolse, compimmo un paio di respiri affannosi e scoppiammo in una fragorosa risata. “Cosa succede? Non starete ridendo di me!?!” Ci chiese Garred da dentro il container, nascosto da una parete di alimentari che arrivava fino al soffitto che era stata costruita affinché, fintanto che tutti fossero rimasti zitti, nessuno avrebbe notato la loro presenza. Tuttavia bastava un nulla e quella parete sarebbe caduta, mandato a monte mesi di preparazione.
“Le era caduto il berretto!” Esclamò Nohat asciugandosi le lacrime e cercando di calmare la sua risata. Probabilmente dietro si stavano chiedendo se eravamo impazziti poiché per una decina di minuti continuammo a scherzare su quel maledetto berretto. Solo un’ora dopo, quando ci fermammo per fare un cambio alla guida il sorriso sparì dal nostro sguardo.
 
Dal container non si vedeva nulla, tuttavia potevo intuire più o meno a che punto eravamo del percorso. Seguimmo l’autostrada per un po’, per poi passare alla statale, in seguito deviammo dal percorso principale grazie ad una stradina di campagna tutta bucata che costeggiava un bosco, lì ci fermammo per fare un pranzo frugale. Uscimmo dal camion a turni di tre o quattro per prendere una boccata d’aria e rinfrescarci, un’ora dopo ripartimmo.
Quando girammo verso nord per una via ancora più piccola in terra battuta, sconnessa e piena di buche trovammo il nostro mezzo di trasporto effettivo: Orion e un altro paio di persone ci stavano aspettando lì da qualche ora dato che noi avevamo fatto il giro lungo per depistare le tracce. Caricammo tutto il materiale che avevamo nascosto nel container e tutti noi salimmo nel camioncino di Orion che era stato tinteggiato di nero per l’occasione e togliemmo la targa falsa. Mentre caricavo le armi sentii la tensione crescere in tutti noi, eravamo terrorizzati però eravamo coscienti che da qui non si tornava più in dietro. Un paio di noi presero il camion e lo portarono in un vicino magazzino che non faceva troppe domande sul contenuto dei container. Teoricamente io avrei dovuto condurre il drago in quel container una volta conclusasi la missione ma, non era importante: poiché non lo avrei mai fatto comunque.
 
 
In quel furgoncino facevo quasi fatica a respirare per la tensione percepita e, come se non bastasse, la strada che percorrevamo era dannatamente accidentata e lunga dato che, per essere certi di non essere ripresi dal eventuali telecamere o rischiare di poter essere identificati in seguito da eventuali testimoni, stavamo seguendo un sentiero generalmente adoperato dai taglialegna. Durante il tragitto sedetti accanto a Giulio e ci usammo a vicenda come cuscino, sonnecchiando durante le ultime ore di viaggio per preservare le energie, anche se con scarso successo. Nessuno di noi aveva voglia di parlare, troppa tensione in un’unica area. Cercai di distrarmi osservando con maggiore attenzione il furgone ma non notai nulla a parte il rudimentale sistema di refrigerazione che Orion probabilmente usava per il suo effettivo lavoro: trasportare carne alle macellerie. Non osai chiedermi come riuscisse a conciliare questa vita con il suo lavoro, l’unica risposta che mi diedi era che dormiva nel pomeriggio.
 
Ad un certo punto, come previsto, ci fermammo, nascondemmo il mezzo tra la selva e iniziammo a prepararci per la missione. Mi assicurai che il piccolo mitragliatore che avevamo recuperato dal magazzino nell’incrocio tra via Ferri e via Galvano non avesse subito alcun tipo di danno durante il tragitto, che i caricatori fossero caricati a dovere e che le bombole con il gas stordente fossero integre.
“Diana, che te ne pare, c’è tutto?” Mi chiese Vanilla chiaramente nervosa, lanciai un’occhiata al suo zaino: kit medico, acqua, fiammiferi, corda per arrampicarsi, rampini, maschera anti-gas, attrezzi da scassino, coltellino multiuso, persino del esplosivo nell’eventualità in cui fosse necessario far saltare la sala comandi. “Sì, c’è tutto, non preoccuparti.” La rassicurai accarezzandole la schiena per cercare di confortarla. “Vieni, ti intreccio i capelli.” Le proposi trascinandola in un angolo dello spiazzo in cui ci eravamo accampati e iniziai a farle una treccia semplice ma resistente. “Non ti facevo tipa da trecce.” Mi disse Vanilla con un sorrisetto leggermente teso. “Infatti io meli raccolgo in una crocchia, è che la mia migliore amica d’infanzia, Zafalina, le ama quindi, per farla contenta, ho imparato a farle.” Le spiegai mentre facevo compiere un ulteriore giro al elastico per assicurarmi che non si sfilasse.
“Piuttosto, sicura di stare bene? Non ti ho mai vista così nervosa.” Le domandai sfregandomi le mani sulla sua schiena nel tentativo di riscaldarla e di farla rilassare almeno un po’. “Sì, tutto bene, a parte il fatto che me la sto facendo addosso. E non sono l’unica.” Disse indicandomi Garred che era letteralmente terrorizzato, ma accanto a lui c’era Galahad che stava riuscendo a mantenere il sangue freddo quindi confidai, giustamente, nelle sue doti.
“Tranquilla.” La rassicurai. “Galahad sa il fatto suo. Riuscirà a calmarlo entro il tramonto.” Dissi lanciando un’occhiata anche a Felicitis che si stava tentando di domare i suoi ricci. La chiamai e raccolsi anche i suoi capelli per poi abbracciare questa con il braccio destro e Vanilla con il sinistro. “Calme, d’accordo? Ci ritroveremo tutte e tre qui tra qualche ora.” Sussurrai strofinando loro le braccia nel tentativo di rincuorarle, malgrado fossi la prima ad essere terrorizzata. “Felicitis: hai fatta parecchia pratica per questo giorno, sono sicura che anche nel peggiore dei casi saprai gestire la situazione.” La rassicurai guardandola nei suoi caldi occhi da cerbiatta. “Vanilla: sei un’ottima tiratrice ed entrambe sappiamo che se vuoi hai un piccolo asso nella manica e se servisse, non esitare ad usarlo.” Vanilla mi guardò sorpresa. “Sei sicura che sia una buona idea? Quella volta…” “Ha fatto il suo dovere. Non esitare se servisse.” Decretai interrompendo qualunque suo dubbio. “Di che state parlando?” Ci domandò Felicitis, chiaramente confusa: lei non sapeva nulla dei piccolo segreto che univa me e Vanilla. Forse era ingiusto, ma Felicitis costudiva parecchie delle mie insicurezze, quindi non aveva minore fiducia ai miei occhi, anzi tutt’altro. Però questo era il segreto di Vanilla, non il mio, spettava a lei la scelta se rivelarlo o meno. “Dell’esplosivo.” Mi limitai a rispondere.
 
 
Giunta l’ora lasciammo Felicitis e un altro tizio di cui non ricordo il nome a vegliare sulla nostra unica via di fuga rapida e ci addentrammo nella foresta.
Dovemmo camminare per venti minuti abbondanti nel fitto del bosco e nel buio più totale, alcuni di noi iniziarono a temere che ci eravamo persi, tuttavia Malandrino era sicuro che fosse la strada giusta.
Tuttavia questa preoccupazione stava assillando anche me quindi iniziai ad osservare la zona e non notai, per quanto mi fosse possibile con la sola luce della luna, segni di basi militari nascoste: niente telecamere, niente sorveglianza, iniziai a temere che Malandrino ci stesse conducendo in una trappola o che avesse preso un granchio.
 
Stavamo perdendo le speranze, finché, ad un tratto, non intravidi la luce di un faro. Allora, come un solo uomo, ci abbassammo camminando ancora più accortamente di prima e togliemmo la sicura dai piccoli mitragliatori. Procedemmo quatti in quella boscaglia di frassini e noccioli e intuii che ci dovevamo trovare a sud-ovest della struttura ora che riuscivo ad intravederla.
Distinsi subito l’unico edificio circondato da una spessa recinzione elettrica che copriva anche il cielo: sembrava un’enorme gabbia per uccelli. Per nostra fortuna c’era solo una torretta: evidentemente queste persone prediligevano la segretezza come prima linea difensiva. Però, così facendo, avevano limitato la loro possibilità di notare intrusi a cui sparare a vista.
 
Mi avvicinai cautamente a Malandrino, dato che per il momento dovevamo mantenere il silenzio radio. “Com’è la situazione?” Domandai a lui in un sussurro, mentre Orion e il nostro cecchino controllavano la torretta. “Hanno ridotto il personale, come previsto, probabilmente aver fatto girare la falsa voce di un attacco all’armeria di Riva è stata una trovata utile.” Disse con sguardo orgoglioso e da predatore, in un certo senso ne fui anch’io contenta, in fondo era stata una mia idea quella di far girare questa falsa informazione legata alla vicina base S.C.A, tuttavia lo sguardo di Malandrino non era rassicurante neanche quando esprimeva orgoglio.
“Confermo: solo due uomini sulla torretta e sei a terra. Speriamo che i cavi siano dove ci hanno detto.” Ci comunicò Orion tranquillo. “Bene. Tuttavia non sappiamo quanta gente ci sarà là dentro, teniamoci pronti.” Decretò Malandrino. “Tu, resta qui intorno e appena sarà saltata la corrente spara ai due tizzi sulla torre, noi penseremo a quelli a terra.” Il nostro cecchino accennò di aver capito ma non si mosse dalla sua postazione. “Diana, tu, Nohat e Giulio pensate a quelli al entrata a Nord.” Accennai affermativamente e feci cenno a Giulio e a Nohat di seguirmi mentre Malandrino continuava a parlare.
 
Fummo costretti a compiere il giro della struttura velocemente e cercando di restare ben nascosti fino a quando non raggiungemmo la boscaglia prossima all’unica entrata ed uscita della base, eravamo così vicini che avrei potuto vedere il bianco negli occhi di quegli agenti ignari.
Stavo per iniziare a muovermi quando Giulio mi afferrò per il braccio e mi indicò quella che doveva essere un ufficio per la guardiola o qualcosa di simile. Aguzzai la vista, purtroppo gli umani non vedono quasi nulla al buio al contrario di molte altre razze. Fu in quel momento che mi accorsi d’un terzo uomo nascosto dentro a quella minuscola postazione di sorveglianza.
Respirai affondo per mantenere la lucidità e mi rivolsi a Nohat, gli feci cenno di fare il giro e di raggiungere la baracca dal altro lato della strada e di attendere la nostra mossa, lo scelsi perché, in quanto vampiro, vedeva molto meglio di me al buio e, per giunta, era più agile e silenzioso di Giulio. Lui accennò affermativamente e iniziò a camminare velocemente verso il punto prestabilito.
Quando si allontanò mi rivolsi a Giulio e gli feci capire di non usare i mitragliatori quando sarebbe giunto il momento o avremmo attratto l’attenzione della guardia, in risposta abbassò l’arma e mi sorrise da sotto il passa montagna mentre mutava la sua mano destra in qualcosa di più animalesco con una facilità impressionante: si era riempita di peli e dei possenti artigli si erano formati al posto delle unghie. Pensai che probabilmente la sua trasformazione era facilitata dalla presenza della Luna in cielo, ricordandomi della leggenda secondo la quale era stata lei ad aver donato questo potere ai licantropi. Ma gli sorrisi affermativamente: oramai mi ero in parte rassegnata a questo aspetto di Giulio e avevo deciso di fidarmi del suo istinto, però c’era sempre quella piccola vocina fastidiosa che mi lasciava l’amaro in bocca e che storpiava il mio sorriso.
 
Nello stesso istante in cui Orion fece saltare la corrente tranciando dei cavi posizionati dall’altro capo della struttura, io e Giulio attaccammo i due soldati prima ancora che riuscissero a mettere mano al grilletto. Giulio gli tagliò la gola con un’artigliata ad uno, mentre io squarciai il collo al altro sorprendendomi del fatto che fosse stato così facile e che eravamo stati così silenziosi.
A quel punto la guardia nella postazione cercò di guardare attraverso alla finestra tuttavia qualcuno bussò e questi, probabilmente agitato dalla situazione, andò ad aprire e Nohat gli si lanciò addosso disarmandolo e poi uccidendolo con il suo coltello.
Poco meno di un minuto dopo sentimmo degli spari nitidi provenire dalla foresta seguiti da dei lamenti, il cecchino aveva fatto il suo lavoro.
 
Nel giro di poco riuscimmo ad aprire il cancello ed entrammo nel complesso mentre il generatore di emergenza iniziava a funzionare. Ci addentrammo mantenendo le orecchie rizzate e gli occhi aperti correndo attraverso quel campo aperto, fortunatamente ad attenderci c’era già il resto dei ragazzi pronti ad entrare nel edificio in metallo in cui tenevano il drago.
Osservai con maggiore attenzione l’edificio: aveva una forma allungata con il tetto a cupola in vetro annerito e in ferro arrugginito, alle pareti c’erano crepe e strati di vernice mancanti o mezzi scrostati, un grosso portone di ferro battuto e arrugginito nel fronte e una porticina di servizio d’acciaio, l’unica cosa in quel edificio che pareva nuova. Come sempre la S.C.A. e l’esercito non si smentivano mani in quanto a bruttezza e trasandatezza.
 
“Quella è la finestra.” Mi sussurrò Orion indicandomi una finestrella leggermente a destra rispetto alla porta di servizio.
Grazie ad una soffiata sapevamo che era del tutto inutile entrare dalla porta principale che era a prova di bomba e che il vetro del tetto era una trappola mortale, l’unica via per accedervi era quella minuscola finestrina. “D’accordo.” Così dicendo presi il rampino dal borsone e lo lanciai sul tetto, strattonai un paio di volte la corda per assicurarla e iniziai ad arrampicarmi, raggiunsi la finestra, estrassi il taglia vetri e, con cautela, feci un buco abbastanza grande per far entrare la mia mano e aprii la finestra.
Silenziosamente ringraziai il Sole e la Luna che fosse abbastanza grande per far entrare anche Orion, che era il più grosso tra di noi.
Mi guardai attorno: non c’era nessuno, lo trovai strano, tuttavia per sicurezza lasciai cadere il gas, non si sapeva mai. Provai ad affinare l’udito mentre mi misi su la maschera-antigas, feci un cenno con la mano che la strada era libera e iniziarono ad arrampicarsi. Nel frattempo io tirai fuori un altro rotolo di corda con rampino e, assicurandola a un punto stabile della finestra, scesi dall’altra parte con cautela guardandomi sempre le spalle e con il mitragliatore a già pronto per l’uso. In quel momento fui quasi grata ad Orion per avermi sempre rifilato lavori in cui dovevo calarmi da qualche parte, soprattutto negli ultimi mesi. In fine appoggiai i piedi su di una piattaforma in ferro e nel giro di pochi minuti tutti furono dentro, eccetto un ragazzo che avrebbe fatto la guardia alla parte esterna dell’edificio.
 
Quel luogo era freddo e stagnante: le scale e le piattaforme erano tutte in ferro ed erano sospese a mezz’aria intersecandosi con corridoi in cemento e i muri di un bianco ospedaliero, la luce della luna calante filtrava opaca e fredda rendendo tutto spettrale e agghiacciante. Il silenzio era infernalmente chiassoso già ché quasi non respiravamo per paura d’essere uditi. “Non c’è nessuno qui.” Commentò d’un tratto Vanilla con un sussurro atterrito. “Ne dubito.” Rispose Malandrino. “Continuate ad usate il gas, se non li stenderà quanto meno renderà loro difficile vederci.” Velocemente ci sistemammo meglio le maschere-antigas e, una volta assicurate, iniziammo a rilasciare una bomboletta di gas ad ogni incrocio, non era mortale ma di certo in quantità come quella che avevamo rilasciato avrebbe steso chiunque sotto i cento chili per tre ore abbondanti.
 
A quel punto ci dovemmo separare: io, Malandrino, Giulio e Nohat saremmo andati nella parte bassa del edificio, dove ci sarebbe dovuto essere il drago, Garred e Orion sarebbero andati alla sala macchine e da lì avrebbero aperto il tetto per la via di fuga, Galahad e Vanilla sarebbero andati alla stazione di controllo per informarci d’un eventuale arrivo di agenti, l’ultimo membro rimanente avrebbe continuato a controllare la nostra via d’uscita e ci avrebbero avvisati in caso di pericolo, così come il ragazzo al esterno e il cecchino.
 
Mano a mano che scendevamo e ci avvicinavamo al drago incrociavamo sempre più lavoratori; per la maggior parte erano immobili, distesi a terra, privi di sensi, alcuni avevano riportato dei graffi nella caduta e, se non fosse stato per il leggero, quasi impercettibile, ampliarsi e ristringersi della cassa toracica, avrei potuto giurare che fossero tutti morti. I restanti perdevano i sensi pochi istanti dopo che li incrociavamo.
Evidentemente il gas aveva avuto l’effetto desiderato, aveva colto alla sprovvista anche diverse persone che facevano chiaramente parte della S.C.A. e del esercito. Sospettai che probabilmente stavano cercando di mettere al sicuro gli scienziati nel istante della perdita di corrente mentre attendevano conferme sul accaduto, però noi avevamo annientato i soldati al esterno così velocemente che non avevano fatto a tempo ad accorgersi del avvenuto, in più il gas aveva bloccato ogni loro possibilità d’agire dato che non erano muniti di maschere. Mai una volta che lo Stato usasse i suoi fondi in ciò che sarebbe servito realmente.
 
Quando mi resi conto che un sorriso soddisfatto era apparto tra le mie labbra a questo pensiero, un senso di nausea mi pervase. Non avrei dovuto pensare quelle cose: malgrado fossero nemici erano pur sempre persone, avevo appena strappato un’altra vita e anche se non le avevo viste o sentite, anche altre guardie che erano fuori erano morte, non avrei dovuto esserne fiera.
Il panico mi invase, ero sicura che se avessi continuato a questo modo sarei potuta diventare come Malandrino o qualche spietato assassino seriale che di quando in quando apparivano nei giornali. La singola idea mi faceva sentire subdola e sporca dentro.
Per mia fortuna Giulio si accorse che stavo avendo un crollo nervoso. “Tutto bene?” Mi chiese poggiandomi la mano destra alla mia spalla destra stringendomi leggermente, accennai un’affermazione frenetica con la testa, ma il malumore mi stava pervadendo e stavo perdendo sempre maggiormente il controllo delle emozioni, già ché dovetti lottare per non far cadere una lacrima. Giulio se ne accorse e mi strinse a sé passando un braccio sopra alle mie spalle. “Non arrovellarti. So che non ti piace la situazione ma questo è quello a cui stai lavorando da mesi, so che è difficile ma non puoi vacillare adesso, soprattutto perché so che sei in grado di affrontare qualsiasi emergenza da lucida.” Le sue parole, la sua voce, il suo contatto e il suo calore mi diedero nuova forza e sicurezza e mi riscossero: non potevo permettermi debolezze.
 
“Quando avete finito con le effusioni.” Iniziò Malandrino irritato. “La ragazzina avrebbe un lavoretto da svolgere.” A quelle parole ci separammo di malavoglia e mi sistemai davanti ad un’enorme porta in ferro da cui veniva uno strano rumore, pareva un respiro pesante. “Apri la porta.” Ordinò Malandrino.
Nohat stava per eseguire quando udimmo degli spari rimbombare nel edificio a cui seguirono lunghissimi istanti di silenzio assoluto in cui ci guardammo tra di noi spaesati. “Proseguite.” Decretò Malandrino, Nohat eseguì e aprì la porta ma un peso si era formato nel nostro cuore: eravamo consci che qualunque cosa i nostri amici stessero affrontando se la sarebbero dovuta cavare da soli.
La serratura scattò e, con una serie di rintocchi metallici, la porta si scostò appena facendo filtrare l’aria. Spingemmo il portone aprendolo quel poco che bastava a far passare una persona, sporsi la testa e lo vidi.
 
 
In quel momento qualcosa si scosse in me, era come se sapessi di essere nata per questo, era come se sentissi che quella lucertolona enorme che riempiva il centro della stanza rientrasse nel mio destino.
Rimasi affascinata dalle squame di un rosso così scuro da sembrare nere. Il mio cuore accelerò certo che non avevo mai visto creatura più straordinaria, eppure sentii che tutto ciò era maledettamente sbagliato. La museruola in ferro che gli sigillava le immense mascelle, le ali ripiegate e legate al corpo da possenti legacci in cuoio, le zampe ancorate al terreno da catene, al collo un pesante collare lo incatenava al pavimento con catene spesse sei centimetri, la coda era bloccata da tre anelli che ne impedivano i movimenti, le squame erano sparite in alcuni punti, lasciando spazio alla carne rosea e al sangue rappreso, vi erano cicatrici lungo il corpo dell’animale e in alcune di queste c’erano delle placche di metallo.
Nel vederlo in quello stato una morsa mi trafisse lo stomaco e si raddoppiò in me il desiderio di liberarlo.
La creatura dormiva nella grossa, un sonno pesante e privo di sogni. Il suo sguardo era triste e rassegnato privo d’ogni traccia d’orgoglio o fierezza, il suo aspetto era consumato e spezzato, e non potei che provare pietà. Mi domandai quanto dovesse aver sofferto quella creatura per la stupidità umana.
 
“Dorme.” Mi limitai a dire in totale estasi. “Possiamo entrare.” Sussurrai, e a quel punto entrai nella stanza. Malandrino una volta dentro rise di gioia e potemmo vedere l’occhio rosso e oro del drago spalancarsi annoiato. Tutti e quattro indietreggiammo spaventati all’idea di una fiammata infernale. Ma il drago non badò a noi e si limitò a voltare lo sguardo. “Sembra non interessato a quello che gli faremo.” Sussurrò Nohat spaventato ma affascinato. “Forse ne ha passate così tante che non gli interessa più.” Propose Giulio, e a quelle parole mi feci coraggio. “Allora non c’è pericolo.” Dissi avviandomi al suo muso, feci per iniziare a togliere le catene quando l’impensabile avvenne.
 
“Vattene.” Sobbalzai assieme a tutti i presenti nella stanza. “Il drago ha parlato…” Sussurrò Nohat incredulo. “Voglio restare solo.” Ero atterrita e affascinata da quella voce possente e roca quasi innaturale. “Tu parli?” Sussurrai tanto per sottolineare l’evidente. “Quando serve.” Rispose il lucertolone come se fosse la cosa più banale del mondo per poi voltare la testa dalla parte opposta.
“Non credevo che i draghi parlassero.” Borbottai più a me stessa che al drago, lui si mise a ridere, una risata spenta, sarcastica e tetra che scosse tutti i presenti. “Sei nuova, giusto? Cos’è fanno ancora questo stupido scherzo. Beh, sappi allora…” Il suo occhi di fuoco mi fisso stancamente. “Che ci sono ancora molte cose che non sai.” Mai nessuna frase fu più vera.
 
Dopo qualche istante ritentai ad avvicinarmi. “Non mi lasciate mai in pece, voi maledetti! Vattene!!!” Malgrado la museruola l’urlo echeggiò fra le pareti, mi spaventai compiendo un balzo all’indietro e sentii Giulio avanzare verso di me, ma mi voltai e gli feci cenno di restare dov’era. Malgrado sembrasse possedere una volontà propria non sapevamo come avrebbe reagito alla presenza di un non-umano, era questo il motivo per cui a Malandrino serviva un umano: per quanto ne sapevamo potrebbe essere stato addestrato a carbonizzare a vista gli Altri. Tuttavia questa piccola scoperta cambiava le carte in tavola.
Presi un bel respiro, continuai a liberarlo e incominciai a parlargli sotto il suo sguardo incredulo. “Senti lucertolone, io sono… non posso rivelarti il mio nome. Però ti giuro che non sono qui per farti del male.” La mia voce era controllata e serena ma dentro stavo sudando freddo e al contempo ero così emozionata che a stento riuscivo non tremare.
“Lo dicono tutti, e guarda le mie ferite umana.” Aggiunse sconsolato e rassegnato il drago. Feci scattare il chiavistello della catena e gli sfilai la pesante museruola. Potei leggere lo sconcerto in quegli occhi meravigliosi. “Ora va meglio?” Domandai placidamente.
Rivolse il suo occhio su di me: era arancione con strisce d’orate verso l’esterno ma all’interno era rosso sangue con piccole pagliuzze arancioni, a circondare la pupilla nera, dalla forma che ricordava vagamente una spada. “Bene Non-posso-dirti-il-mio-nome. Cosa vuoi dunque?” Mi domandò il drago mantenendo una certa compostezza.
Mi voltai, Malandrino era in trepidante attesa. Giulio mi fece un cenno d’assenso. “Liberarti.”
 
 
Tutto accadde in fretta.
Nohat afferrò Malandrino da dietro strozzandolo. Malandrino tentò istantaneamente di liberarsi e abbassò il mento per cercare di evitare lo strangolamento, nello stesso istante Giulio gli afferrò il mitragliatore e lo sganciò dalla fascia che lo assicurava a lui. Malandrino in risposta lo calciò sullo stomaco, Giulio indietreggiò un istante ma riuscì comunque a sottrargli il mitragliatore e lo fece scivolare lontano dal folletto.
Malandrino riuscì a liberarsi dalla presa di Nohat con un’ulteriore spinta che fece cadere atterra il ragazzo. Un istante dopo gli occhi neri del nostro nemico erano puntati su Giulio e si avventò su di lui. Tuttavia Giulio approfittò del leggero squilibrio di Malandrino per schiantarlo a terra, questi emise un lamento quando batté la testa e fece uscire tutta l’aria in corpo. Giulio gli fu addosso al istante e lo bloccò a terra usando il peso del suo corpo per impedirgli ogni movimento.
“Legalo!” Tuonò Giulio a Nohat che si era già gettato sulle gambe di Malandrino e le stava legando tra loro con una certa fretta. Quando fu certo di avergliele bloccate aiutò Giulio a girarlo pancia a terra e gli legarono le mani immobilizzandolo.
 
Mentre tutto questo avveniva il drago si ritrasse su se stesso, terrorizzato, e io, assicuratami che il lucertolone non stesse facendo mosse strane, mi avvicinai a loro lentamente pronta a sparare alla prima mossa falsa. Nohat e Giulio ora stavano privando Malandrino della pistola, del coltello, della radio, dei fumogeni e in fine della maschera-antigas. “Maledetti ragazzini!” Non finì il discorso: Giulio e Nohat lo imbavagliarono.
Era il momento perfetto per liberarci una volta per tutte di Malandrino. Una sete di sangue si era impossessata di me e io la stavo ascoltando.
“Bene!” Si intromise Giulio. “Ora non dovrebbe causarci problemi, sbrighiamoci a liberare il lucertolone e usciamo da qui.” Mi disse Giulio abbassandomi la mitragliatrice e guardandomi in volto: aveva capito che volevo ammazzarlo, ma non avevamo molto tempo a disposizione e uno sparo avrebbe potuto attirare diverse attenzioni. Lo pregai in silenzio di lasciarmelo fare ma Giulio fu irremovibile. “Non ne vale la pena. Muoviamoci.” Mi incoraggiò Giulio, eseguii l’ordine malgrado sentissi che mi sarei dovuta occupare di Malandrino prima: sarebbe bastata una coltellata alla carotide o al cuore e sarebbe morto.
Avrei dovuto ascoltare quel presentimento.
Tuttavia diedi retta a Giulio e lo aiutai a liberare il drago mentre Nohat teneva sotto controllo Malandrino con un mitragliatore puntato alla testa. Il drago, ovviamente, pretese delle spiegazioni e gliele demmo anche se molto stringate e semplificate poiché tutti noi eravamo occupati con la missione.
 
Le catene erano pesanti e non facili da scassinare ma con un po’ di pazienza le stavamo aprendo tutte.
Fu in quei momenti che sentimmo la ricetrasmittente aprirsi e chiudersi una prima volta e dieci secondi dopo una seconda: era il segnale accordato per indicare che Galahad e Vanilla avevano disattivato le telecamere e distrutto i nastri. Per giunta il soffitto sopra di noi iniziò ad aprirsi segno che Orion e Garred erano arrivati alla sala macchine.
Tutto stava procedendo per il meglio.
 
“Maledette catene.” Sussurrai mentre stavo forzando la serratura. “Calmati, più ti agiti più sarà difficile.” Mi riprese Giulio mentre pensava a quella accanto alla mia.
Mancavano davvero pochi catenacci quando sentimmo un urlo di dolore.
Mi voltai: Nohat era steso a terra, faticava a respirare e sputava sangue. Lì accanto c’era Malandrino e reggeva uno stiletto imbrattato di sangue.
Istantaneamente mollai la catena e puntai il mitragliatore contro Malandrino, ma nel tempo in cui tolsi la sicura questi stava già usando il corpo di Nohat come scudo puntandogli lo stiletto alla gola e lo aveva privato delle sue armi. Istantaneamente mi bloccai e così fece anche Giulio.
 
“Bel gioco ragazzini, ma adesso le detto io le regole, a meno che non vogliate vedere il vostro amico morirvi davanti agli occhi.” Potei senti il corpo di Giulio entrare in tensione e puntò l’arma verso Malandrino. “Oh… voi lupacchiotti siete così sensibili quando si tratta dei vostri amichetti. Avanti ragazzino, spara.” Giulio strinse l’arma e la puntò verso Malandrino che gli sorrise e avvicinò ulteriormente Nohat a sé. Dopo un istante di esitazione Giulio abbassò il mitragliatore: era un buon tiratore, ma non aveva la confidenza di sparare se aveva un margine d’errore così piccolo e così importante.
“Non lo fare! Non badare a me! Spara! Maledizione, spara!” Giulio non ascoltò Nohat. “Cosa vuoi che facciamo?” Sapevo quanto stesse costando a Giulio chiederglielo ma avevamo le mani legate, la nostra unica speranza era temporeggiare in attesa che arrivassero Galahad e Vanilla, ma se fossero arrivati prima Orion e Garred la questione sarebbe stata ancora sospesa.
“Giulio!” Urlò Nohat esasperato. “Mi ammazzerà comunque! Non ascoltarlo!” A quel punto Malandrino rese più pressante la presenza della lama sulla gola di Nohat e questo si zittì alla prima goccia di sangue. “Disarmatevi e allontanate le armi da voi.” Ordinò Malandrino.
Bloccai Giulio prima che lo facesse, se proprio dovevamo arrenderci tanto valeva trattare. “Prima allontana il coltello da Nohat.” Decretai avvicinandomi a Giulio che mi guardò sorpreso e preoccupato. Malandrino sorrise divertito. “Pazienza. Un cadavere può bloccare i proiettili.” Fu la sua risposta e a quel punto premette nuovamente sulla gola di Nohat. “ASPETTA!” Lo bloccò Giulio terrorizzato. “Va’ bene, va’ bene. Lo stiamo facendo.” Disse Giulio iniziando a disarmarsi e seguii il suo esempio, rassegnata: sapevo che ci stavamo condannando a morte così ma, per quanto non sopportassi Nohat, non avrei permesso che morisse così.
 
Facemmo scivolare i mitragliatori, i coltelli e le pistole, tutto il più lentamente possibile per tentare di guadagnare qualche minuto ma accelerammo il processo quando Malandrino infilzò Nohat alla spalla destra. In più volle che ci togliessimo le maschere-antigas così che non ci venisse la fantasia di usare una bombola nascosta.
 
Il drago osservò la scena immobile e rannicchiato su se stesso, pareva del tutto indifferente a quel che stava succedendo. Una parte di me lo odiò per questo ma l’altra capì che un suo intervento sarebbe stato disastroso, per giunta era ancora incatenato.
 
“Avresti dovuto ascoltarmi ragazzina…” Iniziò con uno sguardo freddo Malandrino gettando a terra Nohat come uno straccio e questi non riuscì a muovere un muscolo che il suo esecutore lo bloccò a terra schiacciandogli il capo con il piede. “Ma a quanto pare ho fatto male a credere che fossi così ingenua. Pazienza, ti avrei uccisa comunque dopo questa missione.” Disse Malandrino riposizionando lo stiletto nelle protezioni delle braccia ed alzò una pistola.
“Malandrino metti giù la pistola.” Iniziò Giulio tentando un approccio diplomatico. “Tutti noi vogliamo un mondo in cui saremo liberi. Ma distruggere una città non è la soluzione.” Continuò pacato. “Quello? Oh, quello è solo l’inizio: distruggere Meddelhok mi serve solo per avere il controllo di uno snodo. Ma da lì… una ad una farò cadere tutte le città.” Iniziò Malandrino continuando a puntare la pistola a Nohat ma tenendo un occhio su di noi. “Capisco. Ma se distruggi Meddelhok causerai l’ira di tutti, anche degli Altri. Avanti Malandrino. Se farai così non ci sarà nessuno dalla tua parte.” Sapevo che Giulio stava disperatamente tentando di guadagnare tempo e in qualche modo ci stava riuscendo, così continuai a guardarmi intorno per cercare qualcosa di utile.
“Parte?” Domandò Malandrino continuando a guardare verso di noi. “Parte? Parte? Parte?” Ripeté divertito tra sé giocando con la pistola. “Non mi parlare di parte!” Urlò mentre i sui occhi neri si iniettavano di sangue e puntando l’arma verso di noi. “Voi avete tradito le vostre razze!” Istintivamente strinsi la mano a Giulio e lui rispose. Non volevo andarmene da sola.
“Siete solo dei codardi che non hanno abbastanza palle per usare un’arma quando ne hanno una!” Allora puntò nuovamente la pistola verso Nohat. “Questa è la vera forza: uccidere chiunque si metta tra te ei tuoi diritti.” Mentre Malandrino parlava Nohat tentò ad alzarsi ma l’altro lo colpì allo stomaco rimettendolo a terra.
 
Probabilmente quella fu la goccia che fece traboccare il vaso perché Giulio perse il controllo e iniziò a trasformarsi in lupo. “Giulio no.” Sussurrai quando sentii il pelo crescere nelle sue mani, ma ormai non potevo fare nulla.
“Oh, interessante.” Esclamò Malandrino. “Non vedevo qualcuno usare la magia da… mai? Un vero peccato, eri in gamba Giulio, molto più sveglio della media dei ragazzi, ma se caduto nella mia tela per la lealtà che hai verso questo vampiro quindi… è quasi romantico che adesso sei nuovamente sotto il mio giogo per lo stesso motivo.” Sentii ogni suo muscolo incrinarsi, era evidente che stesse facendo di tutto per controllarsi ma non ci stava riuscendo. “Cosa pensi di fare? Uhm?” Domandò Malandrino con un sorriso sarcastico. Giulio non gli rispose.
 
“Tu sei pazzo folletto…” Iniziò il drago in un sussurro. Solo allora Malandrino gli rivolse attenzione. “Grato che tu l’abbia notato.” Rispose con un sorriso malato che fece arricciare il drago su se stesso ma continuò a parlare tirando fuori tutto il suo coraggio. “Ho sentito parlare del tuo popolo. Un popolo ingegnoso, acuto e attivo.” Continuò con voce tremante. “Ma tu… tu non vali la metà dei tuoi antenati!” Il drago probabilmente aveva tentato di intimidirlo ma non c’era riuscito neanche lontanamente.
Malandrino, dopo alcuni istanti di sconcerto, rise al commento del drago. “Tu non mi puoi giudicare, drago. Tu sei un niente rispetto a ciò che era la tua razza. Eravate i re e ora siete alla pari delle cavie da laboratorio.” A quella parola vidi il drago rimpicciolirsi su sé stesso e probabilmente Malandrino se ne accorse perché continuò. “Sei solo un piccolo rettile strappato dalla madre prima ancora di schiudersi. Nessuno, neanche il più miserevole degli insetti, interessa cosa dici o cosa credi di pensare.” A quelle parole il drago si arricciò contorcendosi su sé stesso spaventato, lo guardai con rabbia. “Che fai? È uno stecchino aiutaci.” Sussurrai furiosa sperando di infondergli un po’ di coraggio. “No, io sono solo una cavia, non ho mai sputato fuoco e colpirei il tuo amico. No, non posso.” Schioccai la lingua seccata e preoccupata, non avevo idea di cosa avrei potuto fare.
 
“Adesso basta con i giochetti. Mi libererò di tutti voi.” Malandrino puntò la pistola verso Nohat che stava perdendo sempre più sangue. Era la fine: prima sarebbe morto Nohat, poi io e Giulio e in fine avrebbe ucciso anche il resto dei ragazzi ed in fine Meddelhok sarebbe diventata un ricordo lontano.
Tuttavia notai che Giulio aveva il respiro sospeso e sembrava stesse attendendo qualcosa, non era in semplice tensione per la situazione: si stava preparando a scattare. In quella forma a metà tra il lupo e l’uomo avrebbe avuto una velocità maggiore, tra noi e Malandrino non c’erano neanche cinquanta metri se fosse scattato nell’istante in cui avesse chiesto a Nohat le ultime parole, cosa che sicuramente avrebbe fatto, dato che voleva farci soffrire prima di ucciderci, sarebbe riuscito ad raggiungerlo e a deviare il colpo.
Lasciai andare la mano di Giulio, non servivano sguardi, lui sapeva che avevo capito.
Mi guardai attorno: l’arma più vicina era un coltello, se fossi scattata subito dopo Giulio avrei potuto afferrarlo e usarlo per uccidere Malandrino nel remoto caso in cui Giulio avesse fallito.
Ci preparammo consci di avere una singola possibilità e che, se falliva, non solo avremmo perso Nohat ma anche noi avremmo rischiato la vita.
 
“Sai che c’è….” Disse Malandrino d’un tratto con tono infantile continuando a guardare Nohat oramai ridotto ad uno straccio ma anche in quegli istante fissò con sfida il suo esecutore: non voleva dargli nessuna soddisfazione.
“Mi voglio divertire.” Sussurrò Malandrino e, con un gesto fluido, puntò la pistola e i suoi occhi neri verso di me, premette il grilletto e il suono dello sparo riempì l’aria.
 
   
 
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