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Autore: Queen of Superficial    25/03/2021    2 recensioni
E quando tutti se ne andavano
e restavamo noi due soli
tra bicchieri vuoti e posacenere sporchi,
com’era bello sapere che eri
lì come l’acqua di uno stagno,
sola con me sull’orlo della notte,
e che duravi, eri più del tempo,

eri quella che non se ne andava
perché uno stesso cuscino
e uno stesso tepore
ci avrebbero chiamato ancora
a risvegliare il nuovo giorno,
insieme, ridendo, spettinati.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Se procedi t'imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro
.

 

Era un assunto imprescindibile quel mutuo non chiedersi né dirsi dov’erano e dov’erano stati, cosa stessero facendo, con chi e perché. Vissero al sicuro dalle offese del tempo, in un equilibrio sacro e trasparente; lei sollevava il telefono al cielo per fargli sentire il vento, lui ascoltava e poi le rispondeva il mare. Dopo un po’ confusero le case senza neppure sentire il bisogno di inventarsi una scusa; parti via via più essenziali di lei si staccavano dalla villetta in cui abitava per trasferirsi da lui, nel boccascena sul Pacifico. Per primo, uscì dalla porta uno spazzolino da denti; lo seguirono i nastri che lei usava per legarsi i capelli, Il libro tibetano dei morti, un sentiero di collane e minuti orecchini di perle. Poi tutto il resto.
Jimmy rientrava e si infilava a letto (il suo, ora loro) senza una parola e lei sorrideva nel buio, svanendo intera dentro quell’abbraccio di appartenenza che era uno schiaffo in pieno volto alla città affollata oltre la finestra sempre socchiusa; a volte il suono della pioggia li cullava nel sonno, finché un tuono un po’ più forte spingeva lui — mai lei — ad alzarsi per chiudere le imposte ed evitare che l’iguana domestica morisse affogata. Ogni tanto, sempre senza scompiglio e senza avvertirsi prima, facevano l’amore in silenzio; tra i respiri rotti e le lenzuola che si attorcigliavano intorno a loro lei gli accarezzava i capelli e lo baciava all’angolo della bocca, sentendoselo addosso e dentro. La mattina dopo non ne parlavano mai. Lei non gli aveva mai chiesto se la amasse. Per lui rispondevano piccole cose di ogni giorno: la scintilla di preoccupazione che gli accendeva lo sguardo quando la vedeva triste; il modo in cui le metteva un braccio davanti al corpo prima di attraversare la strada; gli occhi che saettavano alla sua cintura di sicurezza quand’erano in auto, per assicurarsi che l’avesse allacciata; le dieci telefonate in sequenza che le faceva quando, alla prima, lei gli aveva risposto con una voce un po’ strana, densa di quella nube che Jimmy interpretava sempre correttamente.
Erano grandi, sapevano già che la vita insegna e tu non impari. Lei sosteneva di essere una persona alquanto non complicata, ed invece era un labirinto; lui non aveva alcun filtro e non intendeva imporselo, ma conosceva i propri limiti e si stupiva ogni volta di quanto lei fosse brava a silenziare i suoi agguerriti demoni.
“Ti voglio segnalare che nella tradizione orfica il daimon è l’essenza stessa dell’anima. Il corpo è una prigione da cui cerca di liberarsi. Per Socrate si trattava di una guida, una sorta d’ispirazione divina; prima che il Cristianesimo mettesse becco su tutto, le parole che formavano il mondo avevano chiaro il proprio significato e influenzavano la realtà.”
“Il nome della cosa,” commentò Shadows, a mezza voce.
“La rosa, cretino,” lo corresse Zacky, soave.
Lei non li aveva neppure sentiti. Guardava Jimmy e parlava a tutti, gli occhi grandi accesi dal fuoco del confronto intellettuale: “Ma la Bibbia è sempre solo servita a disciplinare i semplici e scandalizzare gli eruditi; la parola del Signore è azione, non lessico.”
Era una di quelle cene di famiglia a cui lei veniva automaticamente invitata da sua madre nella sorda speranza che i ragazzi, come li chiamava lei, si innamorassero. Il fatto che fossero già innamorati, lapalissiano per quella volpe delle nevi di Brian Haner Jr. (al secolo Synyster Gates) seduto tra sua moglie e una crisi di nervi, sembrava essere del tutto irrilevante. Jimmy vide con la coda dell’occhio suo padre che si sporgeva da capotavola per parlare.
“Dunque tu non credi che siamo al mondo per testimoniare la grandezza di Dio?”
“No, io credo che siamo al mondo per darne prova.”
Joseph Sullivan si raccolse in contemplazione per un lungo istante.
“E il male, invece?”
“Il male è subdolo. Dio è quello che fa chiasso, secondo il Canone; l’ira, le inondazioni, le pestilenze. Le punizioni. Il male, da parte sua, seduce; e le parole sono una scienza esatta, contrariamente a quanto si creda. Sedurre viene dal latino, non significa condurre a sé ma condurre in disparte. Lucifero deve essere un grande estimatore del silenzio.”
Jimmy spostò lo sguardo su suo padre, che a sua volta guardava lei come se la stesse leggendo; capitò anche su Shadows che, interessatissimo, stava chiaramente prendendo appunti a mente.
“Anzi, forse il silenzio di Dio è proprio il più grande punto di forza del diavolo. Crediamo in un potere superiore che è apparente, mai manifesto; gli parliamo da sopra per farci sentire, preghiamo, ripetiamo le nostre formule magiche senza posa, ma il solo modo che abbiamo di farci ascoltare da lui è testimoniarlo come tu dici, Joe, però con le azioni. Mia nonna comunicava con Dio impastando le torte, accarezzandomi i capelli, riordinando le fotografie, ed è così che ho imparato a farlo anch’io; ogni bacio una preghiera, ogni carezza una scommessa vinta contro il pericolo di lasciarsi condurre in disparte. Dio mi capisce meglio, quando leggo una poesia o pianto una rosa. O forse sono io che capisco meglio lui.”
“Ma la fede si basa proprio sull’assenza di prove.”
“Oh, non lo so. Io vedo Dio in tante cose. Lo sento sorgere in me, certe volte. Lo avverto sotto le dita quando…”
La sua mano strinse istintivamente quella di Jimmy sotto il tavolo, e dal modo in cui lui sorrise alle briciole sul piatto suo padre si chiarì qualche dubbio sullo stato delle cose e perfino sul Padreterno.
“Però bisogna avere il coraggio della propria fede, tesoro,” disse l’uomo, prosaico, prendendo un sorso dal bicchiere, “o la si spoglia del suo significato.”
“Dimentichi che la fede si fonda sul mistero, Joe.”
“Quando un mistero è risolto non è più un mistero.”
“E cos’è?”
“Un invito.”

 

Quell’aria fragrante appesa all’ancora della notte: stasi e movimento; l’oceano vicino, la sabbia fredda e la danza delle onde. Il cielo immobile e nero, le pennellate rade di nuvole in trasparenza. Abbracciò tutto con un profondo respiro. Il profumo era sempre la prima cosa che le arrivava addosso; dopobarba e pelle, cuoio e muschio, presenza. Sentì la sua bocca tra i capelli, ferma davanti a quella finestra sull’eternità quieta della spiaggia, e si chiese se arrendersi sia una scelta o un obbligo. Date le circostanze. Non si mosse quando la mano di Jimmy le si piantò sul ventre, tra l’ombelico e l’oblio, né quando avvertì il suo corpo che aderiva al proprio. Ebbe voglia di leccarlo; si voltò nell’abbraccio e passò lentamente la lingua sul suo collo, fino all’orecchio. Lui le rispose con un piccolo bacio sul viso.
“Nella mia personale esperienza con te, questo significa che vuoi fare l’amore.”
Lei annuì piano, senza riuscire a guardarlo; Jimmy seppe che era arrossita anche se restava ostinatamente con il viso nascosto nel suo collo.
“Puoi anche dirmelo, sai? Non c’è niente di male.”
“Vuoi sentirtelo dire?”
Lui sorrise, suo malgrado, e gli occhi rincorsero uno stormo di gabbiani diretti all’orizzonte.
“Lo fai anche con qualcun altro?”, le chiese, senza pensare.
Stavolta fu lei a sorridere.
“E quando? Sono sempre con te.”
“Quando non sei con me.”
“No. Solo con te.”
Lo spinse verso il letto e gli salì addosso; un bacio che spogliò l’oscurità di tutta la sua innocenza.
“Brian ha ragione.”
“Lo so, non dirglielo.”
“Siamo innamorati.”
Lei si tolse tutto ciò che aveva addosso, gli sfilò la maglia, litigò a lungo con la cerniera dei suoi jeans; era calma e ipnotica, e Jimmy credette di perdere la ragione quando si sistemò i capelli da un lato e lo accolse dentro di sé. Sopra di lui non poteva ricordarsela, non c’era mai stata prima. Le afferrò i fianchi e la sentì fremere, come ubriaco; allora la baciò, e lei gli morse le labbra.
“Sei molto dolce quando hai fame” le disse piano contro la bocca, ricevendo in cambio un sorriso.
“Ho sempre fame, quando ci sei tu.”
Sotto di lui era ancora meglio; era familiare e indomabile, selvatica. Gli sembrò, come sempre, di dover lottare per tenerla ferma. Le gambe gli stringevano i fianchi in un gioco di tenue resistenza che continuava a piacergli da morire.
“Ricordati che sei mia. Solo mia” le soffiò sulla pelle.
Le si annebbiò la vista e gli morse il collo per non urlare.
“Oh, Jimmy…” sussurrò, appena poté farlo.
Anche quello era pregare, e forse nel modo migliore.

Di giorno sfortunatamente c’era sempre qualcuno che li cercava. Un interminabile pomeriggio in studio, a sferrare colpi al muro del suono; il dipartimento di studi filosofici (pensano di aver inventato il mondo) e quello di studi post-coloniali (e loro pensano di doverlo aggiustare).
Il giorno in cui conobbe il volto insospettabile del fato, la madre di lei l’aveva invitata per il tè ed aveva fatto vibrare la tazza sul piattino un attimo prima di posarla; quello, del resto, era sempre stato il suo unico modo di esprimere preoccupazione. Lei sosteneva il suo sguardo con grande dolcezza; Jimmy ci aveva messo quindici anni a trovarlo e quindici secondi a riconoscerlo, e questo non è il genere di cosa che puoi spiegare ad una madre. Los Angeles, fuori, era una biglia lucente in una distesa di carbone. Quei bravi ragazzi apparvero oltre la vetrata della sala da tè e le fecero un segno; sua madre sussultò, Zacky Vengeance la salutò alzando il mento. Brian fece di più; entrò a presentarsi con Jimmy, che la signora aveva già incontrato. L’ineffabile le porse una mano inanellata e tatuata e disse: “Buonasera signora, sono Brian; ci dispiace dovervi interrompere, ma siamo stretti con i tempi.”
La donna era bella, altera e non la sfiorò il desiderio di informarsi su quali fossero i programmi di Synyster Gates e fratelli per il pomeriggio.
“Piacere. Non si dia pensiero.”
“Salve, signora.”
“Ciao, Jimmy.”
La ragazza non poté fare a meno di sorridere nel tovagliolo, poi lo posò con grazia accanto al piattino, si alzò e diede un bacio alla sua indecifrabile madre.
“Venite a cena?”
Si voltarono tutti e tre, scossi.
“Tuo padre ci tiene molto.”
I musicisti e la dolce donzella varcarono le porte del locale con gli occhi di chiunque puntati nella schiena.
“Era proprio necessario venire al gran completo?”
Shadows e sua madre si sorridevano attraverso il vetro in una muta conversazione fatta di sguardi languidi; lui si era sfilato gli occhiali da sole ed ora tutte le signore della sala si erano distratte dai discorsi ai tavoli per accarezzare discretamente con gli occhi quel sorriso smagliante, le fossette che provocava, le sue braccia forti incrociate sul petto.
“Mi devo ricordare di indagare su questo argomento,” osservò lei con piglio scientifico, “attempate signore perbene e musicisti metal.”
“Potresti indagare anche su giovani donne perbene e musicisti metal, sono certo che la ricerca ti toccherebbe più da vicino.”
Sorrise a Brian senza malizia né rancore e saltò nell’auto di Shadows, riflettendo per un lungo istante sui poggiatesta di pelle che sfoggiavano orgogliosi il teschio alato, simbolo della band. Jimmy l’abbracciò senza cercare una ragione e se la tirò addosso, dando inavvertitamente un po’ di spazio a Johnny Christ che era schiacciato tra Zacky e lo sportello. Era ancora vivo per una svista degli altri, che nell’ebbrezza dello scenario ottocentesco avevano sospeso i consueti tormenti ai suoi danni.
“Tua madre è una bellissima donna.”
“Mia madre ha sessant’anni, Shadows.”
“Portati benissimo.”


La sera che si erano conosciuti i Sevenfold non sapevano neppure cosa ci facessero, a quel concerto. Il compleanno di qualcuno, forse; un tavolo, la sala gremita di gente che Johnny definì bacchettoni in mancanza di termini più adeguati. Era stato un anno di convalescenza e crisi come non se ne vedevano da un po’: ciascuno di loro si era ritrovato a mettere in discussione qualcosa, o più di qualcosa, che prima sembrava invulnerabile agli strali di qualsiasi Fortuna. Sull’anulare di Jimmy brillava, rossa e recente, una cicatrice al posto del nome che lo aveva accompagnato per quasi tutta l’età della ragione (se aveste chiesto a Shadows, vi avrebbe detto che di ragionevole in quella lunga era di Jimmy ci vedeva ben poco; ma Shadows nessuno lo interpella mai neppure per farsi dire che giorno è, figurarsi sulle questioni filosofiche). D’un tratto, Valary l’aveva vista; in dissolvenza, contro il bancone. Un’apparizione mariana dentro un abito di seta perlacea che mandava un bagliore discreto, luminescente. Aveva afferrato il polso di sua sorella e catalizzato l’attenzione di tutti su quella visione; Jimmy, che l’aveva già notata da tempo (perché stronzo non era, ed ormai da dieci anni ci vedeva benissimo), prese un sorso di whiskey alla castagna che si rivelò un po’ troppo generoso e quasi morì stroncato da un attacco di tosse. Florence Welch si intratteneva frusciando con un gruppo di distinti ammiratori, poco lontano. L’impianto mandava Doin’ the things that we want to di Lou Reed. Lo splendore di perla rideva con qualcuno, giocando con il bordo di un bicchiere. Si voltò ed incrociò lo sguardo del batterista, che aveva da poco ripreso a respirare normalmente; gli sorrise e abbassò gli occhi. Valary interpretò misteriosamente quel gesto come rivolto a tutti loro.
“Pensate che sappia chi siete?”, chiese.
“Sei ubriaca?”, le rispose telegrafico il cognato.
Valary si agitò. “Brian, è esattamente una come lei che voglio nella prossima campagna del brand. Qualcuno si sacrifica e va a capire se è una modella?”
“Posso andare io?”, scherzò suo marito.
“Se avessi la sensazione che le piacciano le donne andrei direttamente io, quindi sì. Certo che sì. Vai pure, se te la senti. Io ti benedico, Matthew Sanders.”
“Senza sfasciare equilibri coniugali,” intervenne pratico Jimmy, che non le staccava gli occhi di dosso, “vado io.”
“Tu ti inceppi, con le belle ragazze” si preoccupò Brian, del tutto a schiovere.
“Tu invece sei un esempio di eloquenza per tutti noi.”
“Ma perché tu, stronzo, ti senti sempre obbligato a fornire la tua illustre opinione su ogni cosa che dico?”
Mentre Zacky e Synyster battibeccavano come la coppia sposata che in realtà erano, Jimmy si era già alzato.
Val lo prese per un braccio. “Non spaventarla. Non fare lo splendido. E non esagerare.”
“Quindi cosa faccio, le chiedo se sa che ore sono?”
Ora le casse avevano virato su Supernatural Superserious dei R.E.M.
L’amica con cui lei stava parlando vide il batterista in arrivo e si dileguò come David Copperfield, ma Jimmy non ci fece caso (fraintendere il proprio ruolo tra predatore e preda è il grande limite del nascere maschi, vi avrebbe spiegato Valary in confidenza — ma era rimasta al tavolo). Più l’immagine di lei si faceva nitida, più lui cercava scuse che, lo sapeva, non avrebbe mai trovato. Si sedette sullo sgabello accanto a lei, ordinò un altro whiskey (pessima idea), e provò a fare un po’ d’ordine tra i pensieri. Gli veniva in mente solo la lunga litania di bieche stronzate con cui si abbordano le donne di solito; vieni qui spesso? Dio mio, no. C’è un fidanzato che devo uccidere per portarti a cena? Divertente, ma lei poteva prenderla male. Gli servirono il whiskey che ancora taceva. Lei era sempre lì, anche se si sforzava di non guardarla; vedeva le sue dita giocare con il gambo del calice, e perciò si accorse che il suo bicchiere era quasi vuoto.
Che cazzo sta facendo?”, strillò impercettibile Brian, a diversi metri.
“Me ne daresti un altro, Frank?”
Jimmy sussultò. Aveva una voce bellissima e, sporgendosi verso il barman, il profumo dei suoi capelli si era sparso come un incantesimo. Visto l’open bar, si rese conto di non avere neppure la possibilità di offrire lui e dare così inizio ad un qualche tipo di conversazione. Qualunque tipo.
Frank il barman, che sfoggiava un insolito baffo grigio e non lo aveva mai visto in vita sua, gli scoccò un’occhiata di aspro rimprovero e gli fece eloquentemente segno con lo sguardo di fare almeno un tentativo di rivolgerle la parola. Jimmy inspirò forte e si preparò a voltarsi per dirle qualsiasi cosa, scacciando la sgradevole sensazione che gli dava la sua famiglia di dissociati al tavolo, compatta nell’impresa di tenergli gli occhi puntati dentro la schiena.
Frank le mise davanti un bicchiere di champagne ed un fiore, una piccola margherita di campo. Lei ringraziò, prese il fiore e lo porse a Jimmy, che cercò di dissimulare un embolo dando un sorso al drink e guardandola interrogativo. Lei gli sorrise, incantevole: “Per l’ultimo album. Mi è piaciuto tanto. Pensate di fare un tour?”
Jimmy le restituì il sorriso, accettò la margherita e se la rigirò tra le mani. In lontananza Brian e Zacky inscenarono, sdilinquendosi, una ola da Superbowl o un numero di nuoto sincronizzato, non si capì bene. Shadows fermò sua moglie un istante prima che lei potesse applaudire.
“Solo se mi prometti di venire alla data di apertura, altrimenti annulliamo tutto” le rispose infine, perfettamente padrone del mondo e di tutto quanto c’era sopra, e fece un segno vago verso il tavolo a cui stavano gli altri, che si ricomposero in gran fretta per attrezzare un saluto con la mano. Lei sorrise e fece un dolce arabesco con le dita che lo colpì dritto al basso ventre.
“La mia amica Val, la moglie di M. Shadows, potrebbe essersi innamorata di te.”
“Sono lusingata. E sono Lily.”
“Io sono Jimmy”
Invece di stringersi la mano fecero un brindisi. Synyster, al tavolo, per esprimere la sua approvazione incondizionata fece inaspettatamente squit!, sconvolgendo Zacky Vengeance.
“Sei con qualcuno?”
“Sono da sola. Ma c’è un po’ di gente che conosco, qui in giro.”
“Verresti a cena con me?”
Lily sorrise e catturò tutta la luce della stanza.
“Sì, certo,” gli disse sporgendosi con tutto il corpo verso di lui, e come se fosse l’unica risposta possibile, “quando?”
“Ogni sera finché non ti convinco che sono l’uomo della tua vita?”
Guardò il sorriso di lei che si smarriva nel bordo del bicchiere mentre prendeva un sorso.
“È un’impresa nobile, però inutile,” rispose lei, “ne sono convinta già da moltissimo tempo.”
Jimmy mancò un battito per la prima volta nella sua vita, ma si disse che non era un battito importante.
“Splendido, vorrà dire che non dovrò sforzarmi di essere brillante.”
“Non hai alcun bisogno di sforzarti. Che io sappia, lo sei.”
“D’accordo, mi sono innamorato.”
Lo speaker annunciò l’inizio del concerto acustico da lì ad un quarto d’ora.
“Ti va di venire al tavolo? È proprio sotto il palco, il divanetto è comodo.”
“Se il divanetto è comodo…”
Val saltò in piedi, si qualificò, le chiese se per caso era una modella e se le andava di posare per un progetto. Lily sorrise al fuoco di domande, le strinse la mano, le disse ora ti racconto, si presentò a tutti gli altri, quindi prese posto nello spazio che le avevano ricavato sul divanetto e che aveva costretto Jimmy a restare in piedi; mentre lui e Shadows si voltavano da una parte all’altra in cerca di una poltrona o di una sedia lei si alzò — ancora parlava con Val, informandosi sul suo brand, — prese Jimmy per mano, lo fece sedere al suo posto e si accomodò con delicatezza sulle sue ginocchia senza minimamente perdere il filo del discorso. Val rispose ad una curiosità cortese sul piano di marketing senza riuscire a reprimere un piccolo, saggio sorriso di soddisfazione. Dunque no, non era una modella; era una ricercatrice con un dottorato. Florence Welch si fermò a salutarla prima di salire sul palco.
“Non mi avevi detto che stai con il batterista degli Avenged Sevenfold” le disse, gioviale.
“Sì, beh, anche per lui è una notizia di stasera,” rispose Lily.
Si sorrisero senza sentire il bisogno di spiegazioni coerenti. Gli altri erano un po’ sorpresi; anche Jimmy, ma gli costò una fatica immane reprimere una fitta di orgoglio.
“I miei ed i genitori di Florence sono amici di vecchia data,” spiegò Lily, mentre l’artista si preparava a cantare. 

 

“La ricordi, tu, la nostra prima volta?”
Con l’anima che le tremava sulle labbra si sporse a baciarlo, e quella fu la sola possibile risposta. Cosa dirgli, del resto? Che si era sentita sua dal primo istante in cui l’aveva vestita di uno sguardo, spogliandola nel contempo di tutto ciò che non le occorreva, incluso il vestito? Avevano dormito insieme molte notti, prima di quella; la schiena di lei contro il torace di lui, le braccia forti intorno al suo corpo tiepido. Mani piene di rispetto non cercavano mai qualcosa che lei non gli offrisse; in quel momento ne sentiva una, aperta, sotto il seno. L’altro braccio, quello su cui si era addormentata, era steso a farle da cuscino. Fu di spalle, al buio e nel silenzio che si mosse contro di lui — del resto lo aveva già baciato a lungo, prima di dormire, — si sfilò la biancheria e sollevò impaziente la camicia da notte. La mano di lui ora si era fatta più audace e stringeva la carne morbida dove non aveva mai osato arrischiarsi; lei si scostò i capelli e si lasciò mordere il collo. Mosse le dita alla cieca, tra loro, per afferrare l’orlo dei suoi boxer. Se lo sentì dentro e tutto divenne ovattato e confuso; l’orgasmo, intenso e istantaneo, un pugnale che qualcuno le sfilava lentamente dalla schiena, lasciandola sgomenta a chiedersi per quanto tempo era stato piantato lì. Non si voltarono neppure a guardarsi, quando ebbero finito. Jimmy la tenne stretta fin quando le passarono i brividi e capì che si era addormentata; poi disse qualcosa, chissà che ed a chi, e si addormentò anche lui.
La mattina dopo la trovò già sveglia; seminuda e tiepida, impilava pancake e parlava di un cimitero in Italia. Aveva sognato Mary Shelley e la vecchia macchina da scrivere Remington di suo nonno.
“Era un aviatore. Te l’ho mai detto?”
Gli depose davanti un caffè e lo baciò sul naso.
“No, non me l’hai mai detto.”
Sul sesso, neppure una parola. In compenso, moltissime considerazioni sui poeti romantici inglesi e la loro strana inclinazione a fare della morte di un albatro un vero e proprio caso di stato.
“Uccello non bellissimo, lo devi ammettere.”
“Senz’altro, ma non mi pare un buon motivo per restare indifferenti davanti al suo brutale assassinio. Non è che ci possiamo commuovere solo per i cigni, ti pare? Sarebbe una banalità.”
“E noi marciamo in direzione ostinata e contraria alla banalità, Jimmy.”
“Sempre.”  

“La ricordi, tu, la nostra prima volta?
Io me la ricordo bene. Ho pensato che avessi freddo; quel tuo muoverti contro di me nel cuore della notte non era una novità. Lo hai sempre fatto, nel sonno; io reggevo finché non ne potevo più, solo allora mi staccavo un pochino. Non ci ho mai visto niente più di quel che era; un tuo istinto primordiale con me, anche mentre dormi. Fa parte della tua innocenza. Ma quella notte il sonno non c’entrava, avevi proprio fame. E, come sai, sei molto dolce quando hai fame.”
Jimmy le porse un batuffolo di zucchero filato che lei mangiò direttamente dalla sua mano.
“Mi tratti come una bambina.”
“Ma tu sei una bambina.”
“Okay. Adesso scopami.”
“Una bambina decisamente sboccata.”
Lei lo guardò tra le ciglia e gli succhiò le dita.
La stese sul divano con un solo braccio e lasciò che gli aprisse i jeans, per non dover togliere l’altra mano dalla sua bocca; era ancora lì quando entrò in lei, che continuava ad accarezzare le sue dita con la lingua come fosse un gioco, un lecca-lecca. Appena ne ebbe abbastanza, lui tolse la mano e la baciò; sapeva di zucchero e oblio. Lily desiderò la violenza che ogni tanto voleva; Jimmy, come sempre, riuscì a leggerle nel pensiero. La rovesciò sotto di sé, le arpionò un fianco con una mano e con l’altra le tirò i capelli, per costringerla a inarcarsi contro di lui.
“Ma quanto ti piace provocarmi finché non divento una bestia…” le sussurrò all’orecchio. La mano che le teneva sul fianco si spostò tra le sue gambe, in un punto così sensibile che lei sussultò di piacere. “Brava, piccola, così…”
Il modo in cui le reggeva il collo dava un nuovo significato alla parola ‘possesso’. Lily soffiò ardente il suo nome, invocò un Dio che si scansò per pudore, e affondò le unghie nel suo braccio; Jimmy si alzò d’improvviso, la guidò sul tappeto e le offrì la spalla, perché sapeva che le piaceva mordere quando aveva un orgasmo.
Il telefono squillò una volta di troppo; loro respiravano forte l’uno sull’altra, cercando di recuperare il filo dei pensieri. Lily allungò una mano alla cieca, guardò lo schermo, lesse il messaggio, lo gettò da parte e soffocò Jimmy in un abbraccio.
“Che succede?”
“Questa maledetta cena.”
“Matt è lanciatissimo. Ti avverto che potrebbe provarci con tua madre.”
Lily scoppiò a ridere e lo lasciò andare. Lui si alzò in piedi e tirò su i boxer; i jeans li lasciò aperti, si sfilò la maglia che aveva tenuto addosso e afferrò le sigarette da un mobile postmoderno che sembrava, in effetti, un tronco.
“Ma tu le vuoi tutte queste cose, Jimmy?”
“Una cougar? Per ora no. Poi, madre e figlia sarebbe impegnativo perfino per me.”
Lily rise di nuovo e lo centrò con un cuscino mentre tornava da lei con le Marlboro e il vino; lui lo scalciò di lato, le si sedette accanto e le riempì un bicchiere, lasciando che gli sfilasse la sigaretta dalle labbra.
“No, parlo di tutto ciò che mia madre rappresenta. Matrimonio, figli. Famiglia. Il camino.”
“Piccola. Che cazzo ce ne facciamo di un camino in California?”
“Non letteralmente, cretino.”
“Ah, la famosa teoria del camino metaforico… No, la famosa teoria del camino metaforico in questo momento purtroppo mi sfugge.”
Lei si rabbuiò un po’ e non riuscì a dissimularlo efficacemente; anche se avesse voluto, comunque, con lui non ce l’avrebbe mai fatta. Jimmy si stese ed appoggiò la testa sulle gambe di Lily, fumando.
“Va bene,” disse, “vuoi un camino? Avrai un camino. Faccio abbattere questo muro qui e poi con i vicini qualcosa ci inventiamo, non so. Qualche strana sindrome europea, una disfunzione termica che ci costringe a tenere fiamme libere in casa anche se in inverno la minima è di venti gradi centigradi.”
Alzò lo sguardo su di lei.
“E voglio tutto, con te. Vivere con te e morire con te. Tu vuoi sposarmi?”
Lei chiuse gli occhi e lasciò andare il freno ai pensieri, sfiorandogli i capelli con le dita.
“E tu? Tu vuoi sposarmi?”, gli chiese di rimando.
Lo sentì sollevarsi e sedersi accanto a lei, abbattendo di netto qualcosa alla sua sinistra. Sorrise. Aprì gli occhi soltanto quando lui la prese tra le braccia; aprì gli occhi e vide che le porgeva un anello.
“Sono serio quando dico che voglio tutto, con te. Allora?”
Lily era finalmente a corto di parole, per una volta nella sua vita; non seppe fare di meglio che porgergli la mano sinistra e lui le infilasse il solitario.
“Lo prendo per un sì?”
“Beh, non mi pare un no.”

 

Shadows se ne accorse per primo, perché lui e Lily avevano questo rituale strano che consisteva nel salutarsi sempre al pianoforte all’ingresso; lei sedeva e suonava High Hopes dei Pink Floyd, lui le cantava sopra, e quello era il loro ciao, come stai? — durava circa sette minuti. Ogni volta. Gli altri li lasciavano fare. Ogni tanto si univa anche Zacky, dando al quadro una patina d’altri tempi; uno spaccato della vita di Cole Porter diretto da David Lynch. Ma non sempre.
“Allora ce l’ha fatta” commentò il cantante con un sorriso.
Lily chiuse il piano con un leggero schiocco.
“Sì.”
“E com’è stato?”
“Inevitabile, strano e bellissimo. È stato lui, sublimato in proposta di matrimonio.”
“Ottimo. L’hai detto a Val?”
“Non l’ho detto neppure a me stessa; è successo ieri sera e da allora ho vissuto in una specie di crepa tra la realtà ed il sogno. Insieme a lui, ovviamente.”
Lei e Jimmy erano passati a prendere i Sanders; Val, in lontananza, dava marziali istruzioni a sua madre che aveva in custodia diversi bambini e tre cani. Matt lasciò Lily ad aggiornare sua moglie e se ne andò dal migliore amico, che stazionava nel patio confuso e leggero come una mollica di pane in uno stagno.
“Congratulazioni.”
“Grazie.”
“Te l’avevo detto che avrebbe risposto sì.”
“Non ha esattamente detto sì.”
“Dal momento che porta l’anello, non avrà neanche detto no.”
Urla concitate alle loro spalle li informarono che la notizia era in discussione presso le signore. Jimmy sorrise, e Shadows non poté far altro che sorridere a sua volta.
“Sono preoccupato, Matt.”
“La devi smettere di tormentarti, Jimmy. No, non sparirà da un giorno all’altro; non cambierà, rivelandosi un’altra persona; non si innamorerà di un altro uomo. Anche lei è spaventata a morte e ne ha molto più motivo di te, lo sai.”
“Quand’è che sei diventato così saggio?”
“Qualche anno fa.”
“E come mai nessuno se n’è accorto?”
“Sei molto divertente, lo sai, Rev? Meno male che ogni tanto me lo ricordi perché altrimenti c’è il rischio concreto che me ne dimentichi, di quanto sei divertente.”
Però risero entrambi.
“Prima le ho chiesto se l’avesse già detto a Val e mi ha risposto che non lo aveva ancora detto neppure a se stessa.”
“Una frase proprio da lei.”
“Ed ora stiamo andando a questa… a questa cena dai suoi.”
“Sì.”
“Durante la quale, immagino, lei darà ai genitori la lieta novella.”
“Penso di sì.”
“E la cosa come ti fa sentire?”
“Per caso sei diventato anche psicologo, oltre che saggio?”

La villa era grande in un modo non necessario. Tutto gridava salvezza; gli addobbi da esterno, le scarpe con il tacco che si conficcavano nel terriccio, quella prevalenza assoluta di colori neutri ed i lunghi tavoli da buffet soffocati da candide tovaglie e vasche ricolme di ghiaccio dietro le quali cuochi giapponesi attendevano impassibili. In un angolo dell’immenso giardino, pericolante e rossa contro il verde del ligustro, una piramide di mele caramellate.
“C’è anche un labirinto, per caso?” si informò con discrezione Brian.
“Purtroppo sì,” rispose Lily.
Suo padre, dentro un completo estivo, scese due rampe di scale e aprì le braccia.
“Che piacere conoscervi, finalmente! Benvenuti.”
Un veloce giro di strette di mano terminò con Jimmy.
“E tu devi essere il compagno di mia figlia. Beh, ti faccio i miei auguri; di lei non ci ho mai capito il becco di un cazzo, spero che tu abbia miglior fortuna.”
“Ne verremo a capo, signore.”
“Chiamami John, per carità. Servitevi pure da bere, cerco mia moglie e vi raggiungo. Ciao, amore.”
Baciò in fretta sua figlia e sparì in una portafinestra, eco di un passato quantomai presente.
“Che mito, tuo padre.”
“Sì, Johnny, è opinione diffusa.”
“E che Patek Philippe.”
“Ne ha una collezione, Zacky. Sono certa che sarà felicissimo di mostrartela. Io non ho feeling con il tempo, perciò non ne capisco niente di orologi.”
Lily si sentì già stanca e si aggrappò al braccio di Jimmy. Aveva voglia di ubriacarsi in malo modo e di uscire barcollando dalla civiltà.
“Il tuo ex…”
“Reginald.”
“Dio santo.”
“Non puoi reagire così ogni volta che ti ricordo come si chiama.”
“Reagisco così perché me lo ricordo benissimo da solo, come si chiama; e non finirò mai di stupirmene.”
“Cosa c’entra ora lui?”
“Perché l’hai lasciato?”
Lily era già stata fidanzata una volta; con Reginald, per l’appunto. Di come e quando quel fidanzamento avesse ceduto alla pressione atmosferica invece Jimmy sapeva poco, perché a lei non faceva piacere parlarne.
“Va bene, J, domani ti trascino in comune a presentare i documenti per il matrimonio.”
“Il matrimonio di chi?”
“Il nostro, mamma. Io e Jimmy ci sposiamo.”
La signora conficcò le Manolo Blahnik nel terreno e vacillò per un momento: “Ah, che bello. Così, all’improvviso?”
“Beh, di solito funziona: proposta di matrimonio e risposta. Sono almeno cento anni che non si usa più farsi ricevere dal padre della futura sposa nel disimpegno per ottenerne il permesso, cercando di non coinvolgere le galline nella trattativa. Vuoi che lo mandi da papà? Avete pensato alla dote?”
Jimmy sorrise al prato, poi alla sua fidanzata, infine a sua suocera, che fissava sua figlia come se non l’avesse mai vista prima ed al contempo le fosse misteriosamente familiare.
“C’è un’altra cosa, a dire il vero; vogliamo sposarci il prima possibile, mamma.”
La signora John Hawke-Grant guardò Lily e scartò un milione di parole prima di pronunciare le meno adatte.
“Volete farlo qui?”
“In territorio neutro, madre. Lo sappiamo come siete, voi Capuleti.”
“O magari sarebbe bello alla casa sulla spiaggia…” proseguì la donna, fingendosi sorda.
La casa sulla spiaggia, Villa Conchiglia, Jimmy non l’aveva ancora vista; sapeva che era un luogo irreale, sognato più che vissuto, in cui Lily aveva passato l’infanzia e l’adolescenza stordita d’amore e dal profumo del rosmarino che si accalcava, in siepi, intorno al patio terrazzato che dava sul mare.
“Potreste anche andarci a vivere, se volete; a me e John farebbe piacere.”
“È molto gentile da parte sua, signora, ma devo farle una domanda fondamentale: c’è un camino?”, si informò Jimmy. Lily sorrise e, prima che sua madre potesse capire cosa le era stato chiesto, se lo trascinò per i lunghi corridoi i cui stucchi sembravano invulnerabili al tempo; i ritratti di famiglia, a partire dagli irascibili antenati inglesi, li guardavano benevoli da entrambe le pareti. Aprì una porta bianca, oltre la quale la stanza di una principessa splendeva ancora di stoffe broccate rosa antico, tulle e piccoli trofei. Tra le cose appese al muro c’erano delle punte da danza classica consumate dall’usura erano, una fotografia incorniciata di lei su un cavallo in corsa, i capelli al vento ed il prato verde delle fiabe. In un angolo, lui notò un necessaire con tre specchi ingombri di polaroid; una, sbiadita dagli anni, ritraeva gli Avenged Sevenfold in una posa inedita.
“Questa quando l’hai scattata?”
“Il secolo scorso.”
Jimmy sorrise al fantasma della bambina che Lily doveva essere stata; un bel casino, non c’è che dire. Un manichino indossava ancora un vecchio tutù ma giusto accanto, impilati in bell’ordine, diversi libri sull’alchimia e l’occultismo formavano una torre precaria e solida.
“Balli ancora, non è vero?”
“Sì. E ascolto ancora gli Avenged Sevenfold.”
Lei si voltò a guardarlo accostando le tende color crema e gli indicò con gli occhi il letto a baldacchino; lui le restituì uno sguardo neutro e si rimise a studiare le fotografie. Allora Lily attraversò di corsa la stanza e si frappose tra Jimmy e gli specchi, afferrandogli il mento a due dita perché non guardasse altro che lei: “Hai intenzione di ignorarmi?”
“Sì.”
“Perché?”
“Perché tra dieci minuti inizia la cena, perché abbiamo già fatto sesso tre volte oggi, e perché sono più grande di te e devo ricordarti di comportarti bene.”
“Come mai non ti credo?”, rispose languida lei, sbottonandogli la camicia per baciargli il torace.
“Perché sei una peste indisciplinata.” la informò lui, sollevandola tra le braccia per gettarla sul copriletto color malva.

Sopravvissero alla cena, ma poi gli toccò il pranzo dai Sullivan; Joe ci teneva a mostrare a tutti le infinite virtù del suo nuovo forno per le pizze.
Barbara li vide arrivare dalla veranda, colse un bagliore lontano e schiaffeggiò sua figlia maggiore su un braccio.
“Cosa vuoi, mamma?”
“Tu ci vedi meglio, Katie. È un anello, quello al dito di Lily?”
“Mi sembra.”
“Ti sembra o lo è?”
“Mi sembra, lo è, che ne so? E poi che importanza ha? Non penserai…”
Ma Barbara pensava. E, come spesso accadeva quando Barbara pensava, aveva ragione. Suo figlio le si parò davanti, si chinò a baciarla ed assunse un’espressione seria che lei gli ricordava fin dall’infanzia, rara e interessante quanto le faccende importanti per cui la indossava.
“Mamma, le ho chiesto di sposarmi.”
“Oddio. E lei che ha detto?”
“Ha detto di sì, Katie, che cazzo doveva dire?”
“Non ti alterare, Jim. Ti sale la pressione. E inoltre ti spettini.”
Dopo quel breve confronto, si voltarono entrambi verso la madre e la trovarono a fissarlo in adorazione con gli occhi lucidi e il labbro tremulo. Kelly, la più piccola dei fratelli Sullivan, era al centro del cortile e saltellava su e giù accanto a suo padre davanti a una Lily in evidente imbarazzo.
“Okay, devo andare a salvarla prima che le facciate cambiare idea.”
“Che galante cavaliere dell’Apocalisse!”
“Grazie sempre, Katie.”
“Dovere.”
Barbara guardò amorevolmente Jimmy che cercava senza successo di dissolvere l’abbraccio in cui suo marito stringeva Lily e si rivolse alla figlia maggiore, ispirata.
“Hai visto che pregare serve?”
“Non c’entra Dio qui, mamma.”
“E chi altri?”
“Mio fratello, che per una volta si ricorda di non essere immortale. E Lily, che invece crede che lui lo sia.”
La signora Sullivan mise in fuga dēi e mortali con un gesto vago del braccio, ponendo fine alle speculazioni filosofiche.
“Comunque sia,” sentenziò ad alta voce, perché Dio potesse sentirla bene,  “è una buona cosa.”
“Sì,” concordò sorridendo Katie, “è una buona cosa.”

Villa Conchiglia era un’idea di pietra bianca incastrata tra le dune; il Pacifico di fronte a lei spazzava cento metri di spiaggia vergine, irraggiungibile da chiunque non risiedesse nell’area che, guarda caso, era di esclusiva proprietà degli Hawke-Grant da oltre settant’anni.
“La lista degli invitati?”
“Se ne stanno occupando tua madre, mia madre e Valary.”
“Il catering?”
“Valary e le tue sorelle, credo.”
“Fioraio? Fotografo?”
“Valary e la sua coscienza.”
“Per curiosità, tu pensi di venire almeno all’altare oppure, colpo di scena, mi sposo con Valary?”
Lily rise e si legò i capelli, incastrandosi per un lungo istante il nastro di raso nell’anello.
“Detesto il caos e non ho mai desiderato un matrimonio in grande stile, ma tu hai un’infinità di amici.”
Jimmy sorrise e sbuffò una voluta da Brucaliffo di fumo di sigaro, seduto com’era a visionare spartiti sul divano accanto al camino (ebbene sì).
“Un’infinità, Jimmy. Un’orda, un esercito.”
“Mi faccio voler bene.”
“Sì, lo so. Ti voglio bene anch’io. Sono mortificata di essere così sociopatica, l’umanità mi stanca.”
“Non sei sociopatica; stai benissimo in mezzo alla gente e tutti ti adorano, non c’è bisogno che te lo dica io. Però in realtà sei introversa. E tendenzialmente solitaria. Non sono difetti, sai.”
Lily gli piombò accanto con un bicchiere di whiskey — per lui, lei continuava ad odiare il whiskey — ed un album da disegno: “Dimmi se ti piace.”
“Cos’è?”
“Il vestito da sposa.”
Jimmy sorpassò a destra tutte le consuetudini e le convenzioni ed aprì la cartella, studiando a lungo le linee morbide dell’abito semplice che — spiace dirlo — Valary aveva disegnato per Lily.
“È bellissimo. Sembrerai più che mai un giglio, vestita così.”
“Sei un uomo fortunato.”
“Lo sono.”
“I capelli… sciolti o legati?”
“Mi conosci. Ti voglio con i capelli sciolti. In ogni circostanza.”
Così dicendo, le tirò il nastro e si incantò per un secondo a guardare quella pioggia di boccoli leggeri che le cadeva sulle spalle.
“Mi fai i dispetti?”
“Perché mi piaci. Non lo sai che i dispetti sono il primo sintomo di coinvolgimento sentimentale, nei bambini?”
Lei sospirò e si rassegnò a baciarlo. “Va bene, però non rubarmi le matite; sono indietro con la revisione di questo saggio su John Keats.”
“Sai che adoro i tuoi amici poeti morti.”
“Anche loro adorano te.”
“Quei fruttivendoli vivi dei miei compagni di band, invece, si aspettano che io consegni questi entro domani — quindi lasciami lavorare, o stasera dovremo saltare i giochi erotici che tanto ami per non restare indietro sulla tabella di marcia.”
“Ti detesto e desidero violentemente, quando fai l’adulto della situazione.”
“I problemi con papino discutili con Freud, Jimmy deve lavorare. Su, aria, piccola. Vai a mettere la cena in forno.”
“Il patriarcato è morto.”
“Io direi agonizzante, più che morto. Se vuoi però gli diamo il colpo di grazia e penso io a quel pollo, ma ti ricordo che cucino molto male.”
“Va bene, resuscitiamo il patriarcato. Le vuoi le verdure?”
“La risposta è sempre no, ma tanto poi mi dici che fanno bene e me le dai lo stesso. Quindi?”
“Quindi niente, vorrei provare l’ebbrezza di sentirti dire sì, ho proprio voglia di broccoli.”
“Ho proprio voglia di morire.”
“Più melodrammatico di Amleto.”
“E molto più figo. Vai, amore.”
“Come mi hai chiamata?”
“Ti ho chiamata broccolo.”
“Non mi hai chiamata broccolo.”
“Sì, amore, ti ho chiamata broccolo. Ora vai.”

La chiesa della Vergine delle Grazie era una costruzione di quarzite grigia in cui ogni statua e superficie, dall’altare alla madonna che torreggiava sui fedeli da un lato della navata principale, era in selenite; la luce entrava dalle vetrate spoglie e rimbalzava, iridescente, nei dettagli e le scanalature di ogni cosa. Solo le panche in legno chiaro conferivano all’ambiente un qualche senso di concretezza; il resto era sospeso fuori dal continuum spazio-temporale, respirando a chiare lettere il ritmo dell’eternità. Lily si sorprese a chiedersi se, in effetti, non esistesse davvero un Dio a capo di tutto quel viavai di cuori in piena attività; ottanta, novant’anni al mondo e poi via, in un immensità opalescente che lei immaginava immersa in una perenne nebbia argentea. Allunghi le mani e trovi, senza cercare; l’amore di un tempo, il pomeriggio infinito di un’infanzia felice, la ragione del Cosmo, una tempesta tra le stelle. John Hawke-Grant stava dando istruzioni precise a sua figlia maggiore, Ianthe, che conviveva da dieci anni con una pittrice newyorkese di nudi senza testa. Marble — si proprio chiamava così, biglia, perché la gente è pazza — era diventata velocemente una delle persone preferite di Jimmy, e lo amava alla follia; Lily li aveva sorpresi spesso impegnati in fittissime conversazioni sull’arte e l’aldilà. A Villa Conchiglia troneggiava un ritratto di lui (nudo, ma fortunatamente solo dalla cintola in su) che si confondeva con il tronco di un enorme albero di noce americano (“è il legno delle mie bacchette, non è geniale?”), i cui rami gli oscuravano il viso.
La signora Hawke-Grant e la signora Sullivan apparvero nel piccolo cottage attiguo alla chiesa per agitarsi brevemente com’era loro insindacabile diritto, ma vennero messe in fuga da Valary che non solo si stava occupando di ogni cosa lo scibile umano ritenesse di sottoporle, ma ricopriva anche il ruolo di damigella d’onore. Padre Pio, dall’altro mondo e fino ad allora campione imbattuto di bilocazione, dovette sentirsi leggermente ferito nell’orgoglio.
L’abito di Lily era essenziale; seta bianca (come quella sera), scollo a barca e maniche lunghe. Le frusciava intorno alle caviglie ed uno spacco generoso si perdeva tra le pieghe del lato sinistro, diventando visibile solo quando lei camminava. Tra i capelli sciolti e mossi portava un’anemone Mistral (lo stesso fiore che il solerte Shadows aveva appuntato sul risvolto della giacca a se stesso, al padre della sposa, al padre dello sposo, a Synyster Gates, a Zacky Vengeance, a Johnny Christ e a Jimmy, che Dio lo aiuti — sempre che il frontman non riesca ad appuntare un anemone Mistral anche a Lui, nella confusione generale), richiamo al suo bouquet nuziale di anemoni e calle. Nessuna delle volenterose donne assiepate nell’angusto spazio seppe che lo sposo era fuggito dalla chiesa finché lui non si materializzò lì, apparentemente senza nemmeno passare dalla porta.
“Devo farti una domanda urgente” disse, poi la vide. Lily si voltò nel vestito da sposa, per niente sorpresa, e gli rivolse uno sguardo carico di tenerezza. “Ti ascolto,” rispose.
Valary buttò tutti fuori a calci metaforici e poi si chiuse l’uscio alle spalle.
“Che facciamo?”, sibilò sua sorella.
“Siediti, Michelle. Preghiamo.”
I bambini urlarono e Val diventò improvvisamente atea.
“Allora?”, lo incoraggiò Lily, andandogli incontro.
Jimmy la guardò senza parole, incantato; esitò, e scoppiò a piangere.
“Mi dispiacerebbe se saltasse tutto,” osservò Michelle da fuori, origliando dalla finestrella alle sue spalle, “per una volta che la sposa non ci ha costrette a indossare abiti di merda. È tutto così tranquillo e poetico, senza dress code…”
Valary, anche lei all’ascolto, le sibilò disratta: “C’è, il dress code.”
“Ma lo hai stabilito tu… E comunque cercate di non combinarvi come dei clochard non è un dress code, è buonsenso.”
“Di cui i nostri mariti ed amici sono da sempre sprovvisti, o ti era sfuggito qualche dettaglio? Comunque non salterà proprio niente.”
“Perché lo dici tu?”
“Esatto,” replicò il Capo, di modo che l’Universo prendesse atto e si facesse da parte, “perché lo dico io.”
Dentro, Jimmy e Lily danzavano abbracciati al suono di nessuna musica.
“Almeno non ho pianto davanti a tutti.”
“Sono io che non posso piangere, tu non sei truccato. O sì? Fammi vedere.”
Jimmy rise, si lasciò prendere il viso tra le mani e la baciò; una minuta cicatrice spiccava sotto il suo labbro inferiore nel punto in cui una volta c’era il piercing.
“Cosa volevi chiedermi?”
“Tu credi che ce la faremo?”
“A fare cosa?”
“A fare tutto.”
Tutto era: bambini da tirare su e idoli da tirare giù dai piedistalli, doposcuola e tate, ritardi e scadenze, separazioni momentanee e imprevedibili, mesi in tour e dipartimenti di anglistica, picnic nei parchi nazionali di mezza America (e l’altra metà in hotel), stanchezza antica quanto e più di tutte le ere del Creato e di qualsiasi religione, liti (che ancora non avevano affrontato, ma avrebbero), gelosie, noia, marmellata di albicocche, quadri appesi storti, opinioni inconciliabili sulla letteratura contemporanea, fantasie selvagge e cavalli docili, concerti altrui, un ritratto in bianco e nero di Patti Smith (in cornice, in salotto. “Al posto del tradizionale crocifisso?” “Sì, amore, al posto del crocifisso. Tanto in casa ci sei già tu a fare da monumento itinerante a tutto ciò che è andato storto nel Catechismo dai tempi in cui Gesù Cristo era ancora apprendista falegname”), il lavabo che si ribella alle leggi della fisica, piccole rivolte quotidiane, incrollabile lealtà, l’imperativo categorico di dover essere e fare in tempo, — il verbo “dovere,” a proposito, che fa un rumore come di specchio infranto, dimenticare il futuro dentro un bacio, le strade dei ragni, il primo sorso di caffè al mattino, l’assurda e perenne primavera dell’aria in California, tutto il coraggio e poi telefonate, zuppe di lenticchie, certezze, ruote bucate e irrealtà. Le sette di sera, ogni giorno per il resto della loro vita. Ed anche le lettere d’amore, una nevicata di carta bianca intarsiata di sciocchezze imprescindibili che sanno manomettere gli ingranaggi del destino.
“Ma certo che ce la faremo.”
“Ma come diavolo fanno le persone normali?”
“Come noi, ma con meno poesia.”
I centocinquanta invitati alla cerimonia restarono come dei fessi davanti all’immagine degli sposi che si stagliava controluce nella cornice della porta; perfino la Vergine delle Grazie, notò il gentile giovane prete che officiava la funzione, aveva assunto un’espressione vagamente disorientata. John Hawke-Grant guardò Shadows che guardò Valary, la quale fece spallucce; Johnny Christ fu il primo ed il solo a capire che bisognava fare qualcosa e premette play sull’impianto che doveva suonare il Canon in D Major di Pachelbel al violoncello. Sfortunatamente però l’infernale apparecchio si connesse al telefono di Zacky Vengeance, che non aveva spento il bluetooth come Val gli aveva ripetuto appena sei volte poco prima, e partì a tutto volume No sleep di Wiz Khalifa.
Seguirono diversi attimi di incoerente e totale follia.
Last night I let the party get the best of me; waking up in the morning, two hoes laying next to me. Plus, I heard an officer arrested me. Good weed and cold drinks, that’s the motherfucking recipe.
Johnny si confuse. La famiglia Sevenfold piombò nel panico organizzativo; Valary ebbe un’esperienza di premorte, Barbara quasi svenne, Joe trasformò una risata in un più discreto colpo di tosse e Brian Haner Sr., fottendosene altamente della discrezione, estrasse il cellulare per immortalare l’evento. A parte Khalifa, nella chiesa regnava un silenzio da museo. Synyster Gates decise di intervenire con il solo risultato di bloccare definitivamente la riproduzione.
The drinks is on me, the bitches, the hotel, the weed is all free; get high, I mean so high we don't see the whole suite, then fly to a level where you gon' need your own key.
Al secondo 00:35 gli sposi decisero di cantare, accennando anche un principio di danza hiphop; attraversarono la navata centrale incitando progressivamente la folla, che si rivelò alquanto partecipativa, ad applaudire a ritmo. La marcia nuziale si trasformò nei prodromi di un rave party con somma e candida sorpresa del prete, il cui cuore sincero si questionò su se fosse il caso di bippare almeno le parolacce soffiando nel microfono.
No driving, no sleeping, live it up like it's the weekend; when the DJ play the right song gon' drink, gon' party all night long.
Ovunque c’erano tifo da stadio ed anziani che ballavano; Florence Welch era in piedi su una panca, ad agitare un braccio mentre Jimmy e Lily coordinavano damigelle e testimoni. I bambini impazzirono momentaneamente. Synyster Gates e Johnny Christ si misero ai lati del prete e lo chiusero in una morsa danzante, costringendolo ad abbozzare timidamente qualche passo sconnesso al suono della musica; perfino Barbara aveva ceduto ed imbastito una specie di coreografia con la nonna e la sorella minore di Brian.
“Hai ragione,” sussurrò la moglie a John Hawke-Grant mentre gli si dimenava addosso, “sono proprio fatti l’uno per l’altra.”
Alla fine del pezzo qualcuno ebbe il buonsenso di staccare la spina (sì, ovviamente Valary).
“Bene,” urlò il prete con il fiatone, “siamo qui riuniti oggi, al cospetto di questa comunità e della Santissima Vergine delle Grazie…”
“Che non si è mai divertita tanto,” sussurrò Brian, riprendendo posto accanto a Jimmy.
“… per unire quest’uomo e questa donna nel sacro vincolo del matrimonio, con la benedizione di Nostro Signore e di Wiz Khalifa.”
Gli invitati proruppero in un boato e si ricomposero a fatica. Jimmy prese le mani di Lily, che appioppò il bouquet di anemoni e calle al primo santo di selenite che vide, guardò negli occhi l’uomo che stava per sposare e si innamorò di lui di nuovo, da capo e per sempre.

La cerimonia fu bellissima, struggente, toccante, dissero tutti.
“Che palle, Dio santo,” disse Brian, rischiando di impiccarsi nel tentativo di allentare il nodo alla cravatta. “Posso venire con voi? Sono stato cacciato dalla mia auto: troppi bambini.”
La signora Sullivan, Lily, scavalcò con mossa ardita i sedili anteriori della decappottabile per passare dietro, sconcertando suo marito al posto di guida.
“Cosa faccio, arrivo al ricevimento con il mio migliore amico affianco e mia moglie nei sedili posteriori?”
Il fotografo si avvicinò per documentare; si misero in posa tutti e tre, soprattutto Brian che aveva perso la pazienza ed il controllo dei capelli.
“Mi sembra il minimo; io e te in fondo siamo sposati da molto più tempo.”
“Vorrei tanto bere qualcosa,” soffiò Lily, quasi distesa.
“Ti fanno male le scarpe?”
“No, ho scarpe comodissime. L’unica regola con Val è stata niente trampoli in raso, niente corsetti assassini, niente spade di Damocle come forcine, niente problemi inutili. Soft.”
“Soft,” le fece eco suo marito.
Synyster fece un gioco di prestigio e le porse gentilmente una fiaschetta.
“Cos’è?”
“Tequila. Vi voglio bene, ma non così bene da tollerare un’ora e mezza di cerimonia da sobrio e consolarmi con i Mimosa al ristorante.”
Lily prese un sorso generoso e si lasciò spettinare dal vento: il fiore le volò via dai capelli.
“Mi piaci da morire quando bevi,” le disse Brian.
“Anche tu mi piaci da morire, quando bevo.”
Jimmy scoppiò a ridere.
“Fermati lì, amore.”
“Come mi hai chiamato, piccola?”
“Non ci senti? Ti ho chiamato broccolo,” rispose lei. Smontò con grazia dall’auto e si avviò verso il panorama; una ringhiera di legno separava il quotidiano dall’eterno, tuffandosi sul Pacifico immenso che il sole trasformava in una tavola traslucida di misteriose sinfonie. I due uomini le si fecero accanto; c’erano voluti anni ad insegnargli a portare i completi eleganti con la stessa disinvoltura con cui sfoggiavano teschi e borchie in quelli che loro avrebbero chiamato ‘i tempi d’oro’, senza sapere che il tempo non è fatto di metallo, ma di vento.
C’è un’isola in me, dove il vento soffia di terra, e quando il mare urla la sabbia impazzisce. E c’è sempre luce, ma non è mai giorno.” sussurrò lei.
“Con chi parli?”
“Con mio nonno, l’aviatore. È una poesia di Fernando Pessoa.”
“Un portoghese praticamente cieco, ha scritto Il libro dell’inquietudine” lo ragguagliò Jimmy a bassa voce per non incrinare la traiettoria dei pensieri di Lily, che trovavano sempre un ritmo arcano quando incontravano acqua. Brian annuì serio.
“Non c’era oggi?”
“Pessoa? No, è morto da un po’. Naturalmente io l’avrei invitato, ma non so se sarebbe venuto.”
“Intendevo tuo nonno.”
“Anche lui è morto. Qualche anno fa.”
“Mi dispiace…”
“Anche a me. Mi citava sempre una frase di Edward Morgan Forster tratta da Camera con vista. Diceva sappiamo di venire dal vento, e di doverci tornare. Sappiamo che la vita tutta è forse un nodo, un groviglio, una macchia sull’uniformità dell’eterno. Ma perché mai questo dovrebbe renderci infelici?
La radio della decappottabile suonava Knockin’ on Heaven’s door, nella versione dei Guns’n’Roses.
“Già,” concordò Synyster, “perché mai?”
Jimmy le sorrideva, invincibile e bellissimo nel suo gessato scuro; i suoi occhi non furono mai più tanto blu e infiniti come dentro quell’istante. Lei lo sottrasse al mondo per imprimerselo bene nella retina; lo strappò alle braccia del tempo, del suo Dio e di quello degli altri, per tenerlo ancora un po’ con lei, solo con lei, nel bagliore mistico di quello strapiombo sul mare. Le estremità della parietaria aggredivano la base della ringhiera e di lì passò, indisturbata, una minuscola farfalla bianca. Amarsi un giorno per volta, pensò Lily, con lui era impossibile; bisognava amarsi all’indietro, riaccendere le lampade a olio, rispedire al mittente gli irlandesi dal porto di Boston, rivivere la peste, litigare con Shakespeare, rifare le Crociate, polemizzare ad alta voce con i dinosauri in forma di insetto gentile, ridiscutere pure il Big Bang e la regola del riposo il settimo giorno. Era necessario ripensare il mondo tutto da capo, perché si meritasse quell’uomo e capisse che privilegio, quanta inaspettata gioia lui era e sarebbe sempre rimasto. Inviolabile. Imbattuto. Sacro, nel solo modo in cui il sacro aveva senso di esistere. “Se solo avessi fatto gli straordinari,” sussurrò a Dio senza rancore. E Dio, che per caso la stava ascoltando, la sentì.
Brian si accese una sigaretta, la diede a Lily; ne accese un’altra e la porse a Jimmy; alla terza, quella che aveva preso per sé, gli era già passata la voglia di fumare.
“Sai, piccola, dovresti consigliarmi un po’ di libri da leggere” buttò lì, facendo girare la fiaschetta di tequila. Il vestito da sposa le danzava intorno, bisticciando con l’aria; il chitarrista pensò, e fu un momento, che forse sul vento aveva ragione l’aviatore. Si sorprese perfino a contemplare l’ipotesi di un qualche Dio che metteva apposta sulla terra gente come loro, li incrociava e mischiava finché poi non ne veniva fuori qualcosa di orecchiabile, una specie di melodia, e infine si divertiva ad osservarli mentre prendevano sempre le stesse sette note — che facessero musica o meno, era irrilevante — e le combinavano inventandosi nuove versioni della stessa cosa: nascita, crescita, matrimonio, figli, battaglie, bottiglie. Una vita. O anche due, tre, venticinque vite in una sola, come nel caso di Jimmy e Lily; conigli zombie e lezioni di buone maniere, illustri poeti portoghesi e Wiz Khalifa. Cristo, l’anticristo ed ogni loro possibile variante, inclusi tutti i loro insospettabili punti di incontro.
“Ti dico un segreto sui libri, Brian,” disse la sposa, poi si ricordò all’improvviso di aver dimenticato il bouquet nuziale in braccio a San Arcario di Noyon, patrono dei caratteri difficili. E si interruppe.
“Oddio, ho lasciato le calle sulla statua del santo patrono dei caratteri difficili.”
Jimmy scoppiò a ridere. “È grave?”
“E cosa lancio alle damigelle?”
Suo marito si strinse nelle spalle. “C’è una piscina lì, puoi lanciargli un salvagente a forma di papera di gomma.”
“Tu e queste papere…” sussurrò Brian, pensieroso.
“A proposito, meglio se andiamo.”
L’auto riprese a sfrecciare per le curve impossibili della California del Sud.
“Cosa stavi per dirmi sui libri?”
“Come?”
“Il segreto.”
“Ah, sì… Della maggior parte dei romanzi che contengono le più belle frasi mai scritte o sentite dall’umanità tutta nel suo improbabile collettivo di lettori ed autori, puoi serenamente farne torba per il camino.”
“Ah, quindi è questo lo scopo del camino? Dare fuoco alle parole superflue?”
“Dare fuoco alle parole superflue perché anche loro generino calore, amore mio. È diverso. A volte, di ottocento pagine non si salva che una sola virgola; ma, se per ottenere quella virgola sono state necessarie tante inutili parole, allora vuol dire che sono tutte ugualmente benedette. Mi spiego?”
“Perfettamente, adorabile broccolo,” le rispose Jimmy, con gli occhi che gli brillavano dietro gli Aviator, nello specchietto retrovisore.

“Mancano gli sposi. E Synyster Gates.”
“Cos’è, l’incipit di un nuovo romanzo di Stephen King?”
“Vorrei tanto, ma purtroppo è la realtà dei fatti.”
La realtà dei fatti stava facendo saltare tutti i nervi a Valary Sanders. Quando vide la decappottabile apparire in fondo al viale della tenuta si voltò verso sua sorella e le telegrafò quanto segue: “Tuo marito è composto all’ottanta per cento di acqua di cesso, ne sei consapevole?”
“Sì.”
“Molto bene.”
Tornò a fronteggiare la strada. I tre fuggitivi stavano smontando dall’auto; la sposa era spettinata e radiosa. Val si concesse quattro secondi di sollievo seguiti da un accesso di furia.
“Gli invitati sono già tutti piuttosto ubriachi.” li informò con un sorriso spaventoso.
“Pure noi, un po’…” ribatté Brian, barcollando fuori dall’abitacolo.
Jimmy e Lily le si avvicinarono abbracciati: ridevano. A Val venne un breve ictus. Si infilò tra loro e sistemò alla meglio i capelli di lei: “Che fine ha fatto l’anemone?”
“È volato via.”
“Non importa, ne prendiamo un altro dal bouquet.”
“Temo di averlo lasciato in braccio a San Arcario di Noyon, patrono dei caratteri difficili.”
“Sì, lo hai fatto; ed io l’ho recuperato.”
“Val, tu sei la santa delle grazie impossibili.”
“Quella è Santa Rita da Cascia; io sono la santa patrona dei metallari teste di cazzo. Muoviamoci, forza.”
Poco oltre l’ingresso, Jimmy e Brian sparirono scortati dalla damigella d’onore per darsi una sistemata e Shadows si piantò allegro accanto a Lily, generando un equivoco epocale. Una piccola folla li raggiunse all’istante ed il pover’uomo si ritrovò a ricevere un’infinita processione di congratulazioni per le nozze al posto del legittimo sposo; dopo la terza coppia che gli stringeva la mano complimentandosi per la cerimonia, smise di cercare di rettificare spiegando che lui era solo uno dei testimoni. Si scambiò giusto uno sguardo di intesa con la sposa ed iniziò a ringraziare accoratamente. Fu così Val e Jimmy trovarono i rispettivi consorti; a ricevere gli ospiti lasciandosi baciare sulle guance, auguri auguri, ah, che bella messa, molto toccante, tanta felicità, a quando i pargoli? I due squinternati erano molto calati nella parte.
“Stai andando benissimo, te lo dico per tranquillizzarti perché questa è la seconda volta che lo faccio, e ti giuro che non avrei mai pensato…” le sussurrò tenero Matt, sorridendo smagliante ad una coppia di attempate sorelle dall’aria sofisticata, entrambe signorine.
“Ma che bel ragazzo!”, proruppe una delle due.
“Grazie, signora,” ribatté lui, educato.
“Papà!”, ululò il maggiore dei suoi figli, appendendosi ad una gamba.
“Non capisco?”, si scandalizzò Signorina Attempata Numero 2, “Ha già figli?”
“Sì, Caroline,” disse serena la sposa, accettando un bacio da qualcuno.
“E come farete?”
“Oh, li cresceremo tutti insieme. Siamo progressisti.”
“Tutti chi?”, si informò Signorina Attempata Numero 1, ma la fila stava già scorrendo oltre. “Te l’avevo detto, Caroline” sibilò a sua sorella allontanandosi, “sono adoratori di Satana.”
“Ma no, sono solo un po’ hippie.”
Il padre di Lily, apparso insieme al padre di Jimmy, squadrò la scena ed asserì: “Sono un po’ confuso.”
“Eh.” commentò Val, rassegnata.
“Che coppia meravigliosa, avranno dei bambini bellissimi!” pigolò una donna elegante alla mamma di Lily, che era appena planata scivolando sui sandali accanto a Valary; lei seguì il dito dell’anziana fino a localizzare sua figlia ed il testimone di nozze impegnati in quella che sembrava a tutti gli effetti l’accoglienza. “Loro due? Certo sarebbe una sorpresa, ma nemmeno più di tanto” rispose, stanca.

Le stelle sorsero indisturbate e Lily chiese al personale di abbassare le luci; con quel discreto sfiorarsi di nuvole nel cielo, il fulgore degli astri fu tutta la luce di cui ebbero bisogno. Se ne stava in piedi tra le braccia di Jimmy nella quiete etilica della fine del ricevimento, lontano dalla sala semivuota.
“Voglio stare da sola con te,” gli disse, e lo baciò a lungo. Suo marito arricciò il naso, le sorrise e la prese un po’ in giro.
“Siamo già soli.”
“Non è vero.”
Si voltarono a guardare Brian che inciampava in un cespuglio, si incazzava molto, alzava verso di loro una bottiglia di champagne semivuota in segno di buon augurio e veniva tirato per la camicia dal braccio di Zacky Vengeance di nuovo nel gazebo. Jimmy tornò a dedicarle la sua esclusiva attenzione; aveva le gote rosse, gli occhi accesi di ebbrezza e felicità.
“Jimmy, tu sei…”
“Sì?”
“Tu sei…”
“Cosa sono, bambolina?”
Lei si fece seria all’improvviso.
“Tu sei tutta la poesia.”
Lui sorrise e le diede un’impercettibile, dolce testata piena d’amore.
“Hai bevuto, piccola.”
“Anche tu”
“Ma io reggo l’alcol, a differenza tua.”
“Ormai è l’alcol che regge te.”
“Non sai quanto hai ragione.”
Si cercarono le mani senza sciogliere l’abbraccio; le loro fedi si scontrarono e tintinnarono, facendoli ridere.
“Sei sposato, Jimmy Sullivan?”
“Anche tu sei sposata, Lily Sullivan. Con me. E sei bellissima.”
“Troviamo un posto per fare l’amore?”
“L’hai detto, finalmente.”
Jimmy — che, oltre ad essere un uomo, era anche un ideale e l’arcano maggiore numero 1 dei tarocchi marsigliesi, — spogliò un tavolo della relativa tovaglia, quindi cercò un angolo appartato e distante da ogni cosa, lo trovò, si tolse la giacca e fece stendere Lily in una macchia di radura tra gli ulivi; si amarono piano e intensamente, facendo arrossire il firmamento. Lei lo baciò in un punto alla base del collo che lo faceva sempre impazzire e gli sussurrò, stringendo le gambe intorno ai suoi fianchi: “Ora concentrati, e facciamo un bambino.”
“Facciamo tutto quello che vuoi, piccola,” le rispose nell’estasi, “quindici bambini.”
“Quindici sono tanti.”
Jimmy si fermò. “Sei stata l’unica di cui io l’abbia pensato, sai?”
“Cosa?”
“Che volevo metterti incinta e legarti a me per sempre.”
“Perché questa cosa suona così eccitante?”
“Perché sei pazza.”
“Tu invece sei una persona normale.”
Lui le sorrise sulle labbra e riprese a muoversi.
“L’abbiamo sempre fatto?” le chiese lei, tra un sospiro e l’altro.
“Cosa?”
“Conversare durante il sesso.”
Jimmy si fermò di nuovo.
“Mi pare di sì.”
“Su qualsiasi argomento…”
Gli venne da ridere: “Una volta, nel bel mezzo di una fantastica scopata contro un muro, hai sentito il bollitore dei vicini che fischiava e mi hai sussurrato all’orecchio una cosa tipo oddio, sì, ricordati che domani dobbiamo chiamare l’idraulico. Credo che tu stessi per avere un orgasmo, ma sei comunque riuscita a specificare, con voce rotta, per il sifone della doccia. Poi mi hai morso, come al solito.”
Risero insieme, baciandosi; gli ci volle poco e niente a riprendere da dove avevano lasciato.
Più tardi, tra invitati stanchi e in numero costantemente decrescente, stravaccato con gli altri al tavolo degli sposi Jimmy chiese a Matt, che era seduto proprio accanto a lui: “Tu e Val parlate, mentre scopate?”
Matt sorrise, perplesso, poi provò ad assicurarsi di aver capito bene: “Intendi frasi sconce e cose così?”
“No, intendo vere e proprie conversazioni. Osservazioni. Faccende pratiche.”
Zacky si affacciò dall’altro lato, donna Luisella sopra il balcone che sente succosi pettegolezzi tra le massaie giù in strada: “Io vorrei pure, ma Meg è sostanzialmente muta.”
“Michelle ogni tanto lo fa,” intervenne solidale Brian, seduto sbilenco sui piatti del dolce, “oh, sì, così, ma ti rendi conto di quanto cazzo ci costa quel giardiniereEEEH.
“L’hai cantata come Nightmare, te ne rendi conto? Ma come scopi? In si bemolle?”, Zacky.
Nightmare non è in si bemolle, asino.”
“Tua madre è in si bemolle.”
“Me lo ha fatto notare proprio Lily,” proseguì Jimmy, che aveva sviluppato una provvidenziale sordità selettiva, “prima, mentre stavamo… beh, stavamo, e stavamo anche parlando, mi ha chiesto se parlare durante il sesso è una cosa che io e lei facciamo normalmente. A me sembra di sì, però prima di lei non mi è mai capitato, quindi volevo sapere se voi…”
“Lacey a volte mi fa la lista della spesa. Temevo si annoiasse, ma se anche le vostre hanno quest’abitudine…”
I Sevenfold si guardarono in faccia; basiti, sbronzi e un poco preoccupati.
“Voglio dire,” incalzò Johnny, colto da sgradita illuminazione, “non è che possiamo fare tutti schifo a letto. O sì?”
Silenzio.
“Però anche noi, cioè, rispondiamo… Non è che le ignoriamo o cosa.”
“Ma che cazzo di discorso è? Io pensavo che quella sciroccata fosse Michelle! Johnny, ma ti pare che io prendo mia moglie, la metto a novanta gradi e mi do al commento critico della bolletta del gas? Oh come sei sexy, piccola, vieni qui che ti faccio male, a proposito, ma questo mese quasi duemila dollari di gas? Hai aperto un campo di concentramento e non mi hai detto niente?
“Anche questa l’hai cantata, ma su Beast and the harlot.”
Scoppiarono a ridere come i cretini che erano.
“Voglio sperare che almeno in determinate circostanze Lily non parli,” osservò coscenziosamente Shadows, “potrebbe anche ferirti, e intendo fisicamente.”
Silenzio.
“Con i denti.”
“Ah!,” buongiorno, Jimmy, “su quel fronte non mi posso proprio lamentare; non solo è incredibilmente brava, lei adora, proprio ama, farmi i—”
I bollini! Certo, tutte le volte un tale casino con questo Diesel, è uno scandalo che non adeguino tutti i distributori… Signor Hawke-Grant!” strillò Zacky per ammazzare il finale della frase del batterista, sfoggiando peraltro un’insospettata estensione vocale.
“È solo John, quante volte te lo devo ripetere, eh, ah, Zack?” bisbigliò ubriaco il padre di Lily, prima di oltrepassarli. Brian si allungò verso il migliore amico per dirgli, in confidenza: “Non sottovalutare la fortuna che hai, qui di solito bisogna pregare per farsi fare un—”
“Cocktail?” spuntò il cameriere dal nulla, con un vassoio.
“Posso avere una cannuccia?”, chiese Lily, prendendo un bicchiere.
“Certo, signora.”
“Da dove sei uscita?”
“Di che parlavate?”, domandò allegra ai ragazzi.
“Dei tuoi molti, molti talenti” rispose Brian, sfilando la cannuccia dalle mani del cameriere per porgerla all’amica con un sorriso allusivo. Jimmy gli diede un cazzotto in petto.
“Heyy” apparve Michelle, sbilenca, “di che parlano questi ragazzacci?”
“Di quanto sono brava a fare pompini,” le rispose soave Lily, lasciando il bicchiere in mano a uno sconvolto Brian (al cui fianco Jimmy si sbellicava dalle risate) per darle una mano a mettersi seduta.
Zacky si infilò gli occhiali con un gesto affettato, accorgendosi solo in quel momento che le decorazioni del gazebo che aveva ospitato l’interminabile pranzo di nozze potevano essere solo opera di Valary Sanders. “Scusate, non ho capito bene” disse, e intorno a lui si fece un silenzio alcolico, “ma voi due quand’è che vi siete messi insieme?”
Dovettero prendersi un momento per capire con chi ce l’aveva, poi l’attenzione finì per convergere sugli sposi.
“Non lo so,” rispose Jimmy, “chiedi a lei.”
“Ah, chiedo a lei? Scusa, tu non eri presente?”
“La sera in cui ci siamo conosciuti, per quanto mi riguarda,” ribatté lei, in braccio al marito,  “testimone Florence Welch.”
“Sì, va bene, ma poi siete stati amici per un po’…”
“Cioè, amici non proprio… Si vedevano?”
“Ma scopavano?”
“Perché si finisce sempre a prendere il sesso come misura di una relazione? Cioè la differenza tra il mio rapporto con Jimmy e quello con…” si guardò intorno, localizzò la sua damigella d’onore, “con tuo marito sta nel fatto che io e tuo marito non andiamo a letto insieme?”
“Almeno spero, con buona pace delle vecchie zitelle” rispose Valary, accorata.
“Va bene, riformulo… io e te, Val, passiamo quasi tutto il nostro tempo libero insieme da quando ci siamo conosciute. E ci vogliamo molto bene. Se facessimo sesso”
“Ricordatevi di invitare” si intromise Shadows.
“Se facessimo sesso,” proseguì Lily, “staremmo insieme?”
“Beh, no.”
“Allora? Ci sono un milione di cose tra due esseri umani, un milione di cose; c’entrano tutti gli organi, non solo la f—”
Festa! Sì, direi proprio che la festa è finita; bellissima, ma si è fatto un po’ tardi.”
Grazie agli occhiali, Zacky aveva potuto prevedere quanto agli altri, immersi nella conversazione, era sfuggito; i Sullivan e gli Hawke-Grant, al gran completo, si stavano avvicinando per i saluti.
“Fate i bravi.”
“Sì.”
“Telefonate!”
“Sì.”
“Fateci un nipotino!”
“Signore onnipotente, abbi pietà di me e dammi tregua.”

Villa Conchiglia si era inusitatamente trasformata in uno scenario futurista di scatole e valige. Lily inciampò in una tavola da surf e sorrise al muro.
“Mi ricordi perché i tuoi amici vengono in luna di miele con noi?”
“Perché li hai invitati tu, amore.”
Jimmy si fece spazio in una coltre di palloncini.
“Pensi di aprirli, questi regali?”
“Tu pensi di aprirle, quelle cozze nel lavandino?”
“Neanche per sogno, mi fanno schifo. Le cozze aspetteranno Brian.”
Le cozze aspetteranno Brian. La frase fece il giro dell’open space, sbatté addosso al dipinto di Marble Arch (questo, il nome completo della cognata pittrice di Lily. Non un nome d’arte, per giunta) e si fermò a fluttuare nell’aria. Il quadro surrealista che ritraeva Jimmy si chiamava Invincible; Marble gli aveva spiegato di aver cercato per giorni l’esatta tonalità di blu dei suoi occhi per infonderla al cielo sulla tela. Se Lily fosse stata normale sarebbe stata gelosa; lo aveva pensato perfino lui, cui le attenzioni della matta newyorkese pure non dispiacevano. Ma Lily era Lily; volteggiava schiaffeggiando palloncini dentro un vestito che non era molto diverso da quello in cui si era sposata, solo che aveva le maniche corte e una miriade di bottoni che lui avrebbe fatto volentieri saltare con i modi un po’ rudi che lei a volte lo implorava di usare.
Suonò il campanello.
“Questa casa è introvabile, non è nemmeno sulle mappe, è un cazzo di miraggio. È la casa di Up.”
“Ciao Brian! Sei atteso.”
“Davvero?”
Davvero. Tutti cresciuti al mare, ed il solo in grado di aprire le cozze era la chitarra solista. 

La prima cosa che scoprirono, appena atterrati alle Hawaii, fu che Lily parlava correntemente hawaiano. Valary la guardò conversare allegramente con l’addetto del resort che era andato a prenderli e a suo marito non sfuggì il suo limpido sconcerto; sembrava una che assiste ad un esorcismo mentre si trova in fila alle poste.
“La gente del continente non parla mai la mia lingua.”
“Io non sono del continente.”
“E di dov’è, se posso chiederlo?”
“Di ovunque. Mia madre è italiana, nata e cresciuta lì; la mia bisnonna, sua nonna, veniva dalla Polinesia. Io ho passato la mia vita tra l’Italia, la Francia, la Svizzera, il Regno Unito e la California. Ogni anno, poi, un mese in Irlanda; mia nonna paterna era Irlandese.”
“Tu tutte queste cose le sapevi?”, si informò concitato Zacky.
“Certo,” rispose sereno Jimmy.
“Vedo che il suo cognome è irlandese, infatti” osservò compiaciuto l’addetto, mentre li scortava al bus.
“Sì, ma per matrimonio. Ho preso quello di mio marito.”
Il proprietario del cognome irlandese in questione si stupì di quanto fosse semplice considerarsi veramente suo marito.
“Il mio nome invece è di qui. Mi chiamo Leilani,” disse Lily sorridendo.
“Ma che cazzo?” esclamò Brian, scandalizzato. Johnny Christ si girò di tre quarti: “Veramente? Non hai ascoltato neppure il prete a messa?”
“Faceva caldo” si giustificò quello.
“Figurati,” ingiunse Shadows a denti stretti, “non avevo capito manco io…”
“Ma siete dementi? Eravamo affianco a loro, all’altare…”
“Ma che ne so,” sibilò Brian, unendosi al maestro dei sussurri, “ho sentito una cosa strana ed ho pensato: sarà uno di quei nomi pretenziosi che gli europei danno ai figli…”
“Ti devo ricordare come l’hai chiamato il tuo, di figlio?”, lo redarguì Johnny a volume normale.
“Secondo voi,” sempre Shadows a denti stretti, “glielo dobbiamo dire che si è fatto cancellare il tatuaggio all’anulare inutilmente? Perché tanto non ci voleva nulla a modificare un po’ il…”
“Partiamo?”, disse l’hawaiano.
“Sì, è meglio,” rispose Johnny, disapprovando tutte le sue scelte di vita.
Valary li fulminò tutti quanti e li precedette sul pullman.

Il complesso che avevano riservato per loro era un polmone spalancato sul blu, incastonato come una pietra preziosa nella lussureggiante vegetazione locale. Si chiamava ‘Aumakua che, aveva spiegato Lily, significava spirito ancestrale, o famiglia, o dēi personali; stava inoltre cercando di insegnare i rudimenti della lingua al chitarrista ritmico.
“Non è laulea, Zacky, è laule-a. Se c’è un apostrofo bisogna pronunciarlo.”
“In nome di Dio, cosa mi tocca sentire! Ma come cazzo si pronuncia, un apostrofo?!”
Jimmy adorava le Hawaii e il sentimento era reciproco. Lui e quello che Shadows chiamava, confidenzialmente, William Fucking Shakespeare non avevano mai avuto grande confidenza prima che Lily entrasse nella sua vita; osservandolo fissare il sole che si inabissava nel mare dalla piccola veranda del loro bungalow, gli disse qualcosa su una tempesta. Aveva scambiato l’abito da viaggio con un copricostume quasi trasparente che gli diede una piccola scarica di orgoglio e gelosia; si mise tra lui ed il tramonto, stringendosi nello scialle.
“Come va la vita da donna sposata?”
“È sorprendentemente uguale a quella di prima. Ci siamo davvero sposati?”
“Ti fai la domanda sbagliata, piccola.”
“E qual è quella giusta?”
Le si avvicinò per prenderla tra le braccia.
“Quella giusta è: siamo mai stati non sposati?”
Lily lasciò cadere il libro che aveva in mano e gli allacciò le braccia al collo.
“Lo sai cosa sei tu, Jimmy?”
“Lo so,” rispose lui, nascondendo la soddisfazione dietro un’espressione annoiata, “sono tutta la poesia.”
“Esatto.”

E quando tutti se ne andavano
e restavamo noi due soli

tra bicchieri vuoti e posacenere sporchi,
com’era bello sapere che eri
lì come l’acqua di uno stagno,
sola con me sull’orlo della notte,
e che duravi, eri più del tempo,
eri quella che non se ne andava
perché uno stesso cuscino
e uno stesso tepore
ci avrebbero chiamato ancora
a risvegliare il nuovo giorno,
insieme, ridendo, spettinati.

 

 

In cima c’è Montale, in fondo Cortázar; in mezzo, ventuno pagine di storia.
Ventuno come la primavera; e, proprio come la primavera, senza fine.
È uno spaccato di vita quotidiana in cui non succede niente di niente, e credo che sia proprio questa la cosa che a tutti noi manca di più in questo momento; perciò, a voi la finestra da cui guardare l'ennesimo dei miei futuri per lui.  
Sempre mille scuse ai Sevenfold, e un abbraccio a Wiz Khalifa.
Tutto il mio amore, come ogni volta, a voi. 


















 

   
 
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