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Autore: Freya_Melyor    25/03/2021    3 recensioni
~ Seconda classificata al contest "Eroi tragici nel mondo magico" indetto da matiscrivo sul forum di Efp ~
Dal testo:
"[...] «Questa volta sarà diverso» continuò a dire [...] «Questa volta sarà normale». Lo sputò con astio, sibilandolo quasi. Non l'avevo mai visto così furente, così dannatamente convinto. [...] In quel momento, per lui, non rappresentavo altro che un orifizio da violare, da inseminare con la sua essenza malata; un grembo vuoto da riempire con quel figlio sano che non gli avevo dato, con quel figlio che l'avrebbe reso fiero, che sarebbe stato uguale a lui [...]".
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eileen Prince, Tobias Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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~ Dannato figliol prodigo ~

 

Cokeworth, 1° settembre 1971


«Questa volta sarà diverso» disse, il tono infuriato così come l'espressione da mastino ringhioso.
«Niente più abomini». Uno schiaffo.
«Niente più disgrazie». Un altro.
Bloccandomi le braccia, mi spinse con forza sul materasso che non condividevamo da tempo, schiacciandomi il viso contro le coperte stropicciate; mi strappò la veste – l'ultima decente che mi era rimasta – e, viscido, s'insinuò in me.
Non era la prima volta che abusava del mio corpo, e i molteplici lividi che a stento riuscivo a nascondere n'erano la prova; ma mai, prima d'allora, si era spinto a tanto.
«Non ci saranno altri mostri» pronunciò con astio, la voce tremante a causa della rabbia e del piacere; non il piacere carnale, bensì quello che l'inebriava ogni volta che riusciva a umiliarmi, a farmi sentire una nullità. «Nessun altro fenomeno da baraccone in questa famiglia».
Famiglia.
Quando mai lo eravamo stati?

Rinunciai a tutto per lui, per seguirlo in questo mondo piatto e incolore, inquinato e maleodorante¹. Tradii il padre, la madre e il fratello col quale condividevo il sangue, consapevole delle conseguenze cui sarei andata incontro. Ma lo volevo, volevo quel babbano che m'aveva rubato il cuore, credendo che nulla più avrebbe avuto importanza se non fossi stata al suo fianco.
Così abbandonai il mio cognome da nubile – e tutte le qualità che possedeva² – divenendo Eileen Piton, moglie di Tobias. Malgrado ciò, la favola nella quale avevo creduto si tramutò presto negli avvertimenti che m'erano stati rivolti, nel peggiore degli anatemi che la mia famiglia d'origine potesse scagliarmi contro: il sorriso che m'aveva fatto innamorare si trasformò rapido in un ghigno perennemente insoddisfatto, i bei lineamenti del volto vennero sostituiti dalla costante ira e quella bocca, dapprima indaffarata a rubarmi passionali baci, prese a tradirmi con le bottiglie più disparate.
Dopo qualche tempo nacque Severus, e un tiepido raggio di sole mi fece sperare in un miglioramento, spingendomi a credere che potesse esserci ancora salvezza per noi. Ma neanche una nuova vita, quella che avevamo generato insieme, poté nulla contro la rabbiosa bestia che s'era impossessata delle fattezze di mio marito.
Così crebbi mio figlio da sola, o almeno ci provai.
Gl'insegnai a essere invisibile agli occhi del padre, a muoversi senza far rumore, a prendersi cura di se stesso senza dover chiedere aiuto, perché sapevo non avrebbe avuto dei genitori sui quali poter fare affidamento.
Ogni volta che Tobias era assente, cercavo di colmare i vuoti di Severus parlandogli del mondo al quale in realtà appartenevamo e delle grandi magie che un giorno sarebbero scaturite dalla sua bacchetta³. Quando infine capii che mio figlio ascoltava i miei racconti e carpiva informazione col fine di evadere da quelle mura d'infelicità, il cuore mi si spezzò un altro po', ma non riuscii a biasimarlo: avevo fatto del mio meglio, eppure sapevo di non essere stata presente, troppo impegnata a lottare quotidianamente contro l'uomo ch'era diventato il mio carceriere. Non avevo più un posto dove andare o una casa in cui tornare, non potevo far altro che sopportare... se non per il mio bene, quantomeno per quello di Severus. Confidavo che, una volta cresciuto, avrebbe compreso di come la mia negligenza di genitore fosse servita a tenerlo lontano dai soprusi di suo padre; di come, prestando maggiore attenzione a Tobias piuttosto che a lui, fossi quasi sempre riuscita a distogliere l'aguzzino che avevo sposato dal picchiare il figlio che condividevamo, incassando i colpi al posto suo.
All'undicesimo compleanno di Severus, la lettera da Hogwarts arrivò puntuale a salvarlo e a concretizzare la sua fuga da Spinner's End. Così feci quello che non avevo più fatto da quando divenni la signora Piton: usai la magia.
Recuperai la bacchetta che avevo nascosto, lanciai un incantesimo contro mio marito e accompagnai mio figlio a prendere quel treno che l'avrebbe sì condotto lontano da me, ma che gli avrebbe anche regalato la prospettiva di una vita migliore. Aspettai alla stazione fintanto che l'Hogwarts Express non scomparve alla mia vista, desiderando di piangere lacrime nuove, diverse da quelle versate fino a quel momento, ma non lo feci; poi tornai a casa con la morte nel cuore, preparandomi all'ira che, n'ero consapevole, mi avrebbe sopraffatta.

«Questa volta sarà diverso» continuò a dire mentre, velenosi, seguitavano gli affondi. E intanto che il suo corpo profanava il mio, mi morsi la lingua più che potei per non gridare, per non versare quelle lacrime che m'avrebbero fatto compagnia durante la notte, per non dargli soddisfazione.
Cercai d'ignorarlo, di non ascoltare gli abusi verbali che stavano accompagnando quello fisico, di concentrarmi su altro. Ma le sue parole continuarono a penetrarmi la ragione più di quanto stesse facendo il suo infido membro, radicando pericolose nella mia mente, risuonando come il più macabro dei sortilegi.
«Normale» disse. «Questa volta sarà normale». Lo sputò con astio, sibilandolo quasi. Non l'avevo mai visto così furente, così dannatamente convinto.
«Hai sottratto quello sgorbio al mio controllo, portandolo lontano da questa casa. Gli hai intossicato la mente con tutte quelle fandonie, definendolo “speciale”. Pensi che non me ne sia accorto?» grugnì iracondo, afferrandomi una ciocca di capelli. «Credi che non vi abbia sentiti?» continuò, tirando con forza. Poi, pesando ancor più su di me, avvicinò il volto al mio e un'ondata di alcol e fumo m'investì le narici, bruciandomele. «Ma fidati...» riprese con tono d'improvviso pacato e tuttavia inquietante «...avrò il figlio che merito, uno che somigli a me e non a te, lurida puttana».
Percepii il suo fiato fetido sul collo, mentre le spinte divennero più poderose e pregne di tutta la malsana collera che l'aveva invaso; avvertii la mia carne, asciutta e contratta, squarciarsi a causa di quell'intrusione forzata, ma non mi azzardai a emettere suono alcuno. In contemporanea, anche la presa sui miei capelli divenne più forte: tirò le ciocche come se avesse voluto frenare la pazza corsa di una bestia indomita, impiegando talmente tanto vigore che quasi mi strappò il cuoio capelluto, facendomi sentire come la più misera delle giumente.
In quel momento, per lui, non rappresentavo altro che un orifizio da violare, da inseminare con la sua essenza malata; un grembo vuoto da riempire con quel figlio sano che non gli avevo dato, con quel figlio che l'avrebbe reso fiero, che sarebbe stato uguale a lui.
E mentre i suoi gemiti indecenti e le peggiori bestemmie affiancarono la fine dello stupro, mi sentii infettata da tutto il suo marciume, da quella maledizione che veniva dal cuore, proferita con le parole più sincere che mi rivolse da tempo.
Con calma si alzò, smettendo di pesarmi addosso, lasciandomi finalmente la possibilità di respirare – sebbene mi sentissi costretta nella più angusta delle camicie di forza; si rivestì alla buona e, prima di andare, altri schiaffi si abbatterono sul mio corpo e sul mio fondoschiena nudo ed esposto alla sua mercé. «Lurida puttana» ripeté con una risata gutturale e forsennata che mi fece accapponare la pelle, poi uscì dalla stanza.
Rimasi in quello stato per un tempo indefinito, incapace di muovermi benché la posizione mi facesse dolore ancor più la schiena e il resto delle membra. Ma alzarsi avrebbe significato distogliere lo sguardo dalle coperte stropicciate e osservare quanto successo, concretizzandolo.
Non ero ancora pronta a scorgere nuovi lividi macchiarmi la pelle, confondendosi con gli altri che faticavano a guarire. Non ero pronta a rattoppare l'ennesimo vestito, a cambiare quelle lenzuola lerce con altre ugualmente sudice, a far finta che nulla fosse successo... perché non era vero. Perché qualcosa, più delle altre volte, era successo: perché una vita, lo sentivo, sarebbe nata da quella violenza carnale. Perché la profezia di Tobias avrebbe preso forma nel mio ventre, dannando l'essere che avrei portato in grembo.
Si sarebbe formato in un liquido amniotico tossico, alimentato dall'immoralità; sarebbe nato tra mura pregne d'afflizione e violenza, strappato brutalmente dal mio seno materno, costretto ad assistere a continue liti e abusi e prepotenze, divenendo vessatore come suo padre. Perché questo figlio – che con tutta me stessa speravo non arrivasse – sarebbe stato plasmato dal padre, dalla sua collera e dalla sua insania. Non sarebbe stato mio né nostro, solamente suo. E io non ce l'avrei fatta, non questa volta.
Tuttavia, proprio come temevo, qualche mese dopo ebbi la conferma della mia peggior paura, accompagnata dall'assenza dell'unico sangue che avrei voluto sgorgasse dal mio corpo.
Quando ne fui assolutamente certa, il mondo mi crollò addosso più di quanto già non pesasse sul mio animo greve. Piansi le lacrime più amare della mia vita, sentendomi disperata come non mai. Se undici anni prima, con Severus, pensai che un figlio avrebbe potuto risollevare le sorti della nostra famiglia rendendoci infine tale, questa volta sapevo che avrebbe irrevocabilmente capitolato la delicata precarietà nella quale vivevamo. Non potevo, nella maniera più assoluta, permettere che la maledizione di Tobias prendesse vita, che quel dannato figliol prodigo vedesse la luce. Avrei preferito morire piuttosto che partorire quello che sarebbe divenuto il vero abominio, ma dovevo resistere; dovevo rimanere per quel figlio che, invece, era mio.
Così, mossa da una forza che non credevo più di possedere, chiamai a raccolta tutta la concentrazione che riuscii a racimolare e riaccesi, dopo anni, il fuoco sotto al mio calderone.
Mentre rimestavo la pozione, una miriade di pensieri iniziò a rigirarmi nella mente, proprio come il liquido che sobbolliva sotto ai miei occhi affranti.
Davvero mi stavo spingendo a tanto? Ne sarei stata sul serio capace?
La vista mi si appannò senza che potessi rendermene conto, annacquandomi lo sguardo indipendentemente dalla mia volontà: cuore e ragione mi scissero l'animo in due, ponendo sul tavolo pro e contro. Malgrado ciò, a nulla servirono i tentativi del cuore, basati su criteri che faticavano a reggersi in piedi. Così mi ritrovai a raziocinare, forse realmente per la prima volta da molto, troppo tempo: per tutta la vita ero stata ingannata, maltrattata e abusata dall'uomo che m'aveva fatto innamorare, quello per il quale avevo rinunciato a tutto; ero andata contro la mia famiglia, dicendo addio al mondo magico e alla mia vera essenza pur di sposarlo, pur di passare il resto dei miei giorni insieme a lui. Eppure, alla fine, fu il mostro dietro l'uomo a giurarmi amore eterno. Ma sopportai ogni inganno, ogni maltrattamento, ogni abuso; piegai la schiena, accusai i colpi e andai avanti, facendo del mio meglio – e comunque non abbastanza – per proteggere Severus. Se resistetti ad anni di soprusi, fu solo per lui, per far sì che potesse giungere a prendere quel treno che l'avrebbe condotto verso il futuro.
E ora che ce l'avevo fatta, ora che tutti i miei sforzi erano finalmente arrivati a destinazione, non potevo permettere a nessuno di rendere vano il sacrificio al quale mi ero sottoposta.
Soffrire, adesso, toccava a colui che m'aveva procurato il dolore più grande.
Edotta quindi di quelle consapevolezze alle quali sarei dovuta giungere molti anni prima, mi accorsi di come lo sguardo dapprincipio annacquato divenne lucido e asciutto, furente e sicuro.
Davvero mi stavo spingendo a tanto? Sì. Ne sarei stata sul serio capace? Assolutamente.
Senza più alcuna remora, cancellata dalla stanchezza del mio essere vittima, buttai giù la pozione che mi trasformò in carnefice: il liquido corposo, nero come la pece, scese nell'esofago bruciando al suo passaggio; all'apparenza nulla sembrò accadere, ma dopo qualche istante percepii lancinanti fitte all'altezza del ventre. Comincia a contorcermi dal dolore, perdendo l'equilibro e finendo con le ginocchia a terra; serrai le braccia attorno al grembo e, in silenzio, sopportai la lotta che si stava tenendo all'interno del mio corpo. Immaginai la pozione, densa come le tenebre e crudele come la morte, attaccare la vita che custodivo dentro; non avevo mai provato un dolore simile, nemmeno tutte le percosse ricevute s'erano mai avvicinate agli spasmi che mi stavano dilaniando le membra e che, dal ventre, s'erano metastatizzate in tutta la mia persona.
Si dice che, per una donna, non ci sia dolore più bello di quello del parto.
Nel mio caso, non ci fu dolore più bello di quello che provai nell'uccidere il figlio prediletto dal padre. Quel figlio che avrebbe plasmato con la sua ignominia e che l'avrebbe reso orgoglioso.
Quel figlio che, nel mio cuore di donna, di madre e di strega, sapevo sarebbe stato altrettanto spregevole, altrettanto mostruoso.
Quel figlio che, per tali ragioni, non avrebbe mai respirato l'aria contaminata di questa terra.
Quello che rappresentò la mia rivalsa, che uccisi per vendetta.

 

«Soffro, lo capite che soffro,
patimenti che strappano le urla.
Maledetto figlio di una madre detestabile,
possiate crepare, tu e tuo padre [...]».





¹Faccio riferimento al fiume inquinato e maleodorante vicino il quale si trovava la casa della famiglia Piton.

²Il cognome da nubile di Eileen è Prince, Principe. Poiché “Il Principe” è anche il titolo di un famoso trattato politico di Machiavelli, se si attribuisce al cognome un senso machiavellico, è possibile interpretarlo come un tentativo di raggiungere obiettivi con metodi astuti, intriganti e senza scrupoli, che può alludere ai tratti ideali della casa dei Serpeverde (https://harrypotter.fandom.com/wiki/Eileen_Prince
Nella mia personale visione, Eileen, sposando Tobias, prende il cognome del marito rinunciando al proprio e, con esso, rinuncia anche alla magia e alla vera se stessa – quindi a tutte quelle qualità che poteva aver posseduto in passato e che avevano contribuito non solo a smistarla nella Casa di Salazar, ma anche a definirla come strega.

³Severus mostra, fin dalla tenera età, capacità magiche. Ecco perché la madre gli parla delle magie che un giorno compirà, perché sa che sangue magico scorre nelle sue vene.

NdA:
La storia prende spunto dalla “Medea” di Euripide, famosa tragedia greca.
In questa tragedia, Medea tradisce la propria famiglia e uccide il fratello in favore di Giasone, l'uomo di cui si è innamorata. Successivamente i due si sposeranno e avranno dei figli ma, dopo dieci anni di matrimonio, Giasone abbandonerà il letto coniugale per prendere in moglie Glauce, principessa di Corinto. Medea, distrutta dall'oltraggio subito, ucciderà dapprima Glauce e in seguito i propri figli in modo da vendicarsi del marito.
Da contest, carattere fondamentale della storia doveva essere, dunque, l'infanticidio da parte della madre/moglie ai danni del marito.
Rifacendomi alla tragedia e adattandola all'universo potteriano, ho immaginato una Eileen che tradisce “[...] il padre, la madre e il fratello col quale condividevo il sangue, consapevole delle conseguenze cui sarei andata incontro”. Non si sa se Eileen fosse figlia unica, ma io – per rimanere in tema alla tragedia – ho immaginato avesse un fratello. Il tradimento e le conseguenze cui faccio riferimento, consistono nella decisione di Eileen di sposare un babbano e nel conseguente disconoscimento da parte della famiglia d'origine.
Di Tobias Piton, sappiamo fosse un uomo dall'indole violenta. Nella mia visione della storia, è cambiato radicalmente dopo il matrimonio, dandosi all'alcol. Inoltre, nel mio personale immaginario, non tollera la magia della moglie e del figlio (per lui percepita come diversità), motivo per il quale Eileen abbandonò le arti magiche dopo il matrimonio e insegnò a Severus ad apparire il più invisibile possibile agli occhi del padre.
Dopo aver scoperto che la moglie ha accompagnato Severus a prendere il treno per Hogwarts nonostante il suo diniego, Tobias abusa di Eileen come mai prima di quel momento, arrivando a stuprarla, convinto del fatto che quella sarebbe stata la volta buona; la volta in cui avrebbe finalmente generato un figlio normale, del quale essere fiero. Eileen, turbata non solo dalla violenza fisica ma anche dalle parole di Tobias, si convince del fatto che il marito (sebbene babbano) abbia maledetto il frutto di quell'unione forzata e, una volta avuta la conferma di essere incinta, prenderà la decisione estrema di bere una pozione che la farà abortire per non dare alla luce un figlio che – nella sua mente scossa dai continui soprusi – sarebbe divenuto un mostro, esattamente come il marito. Si vendicherà così di Tobias, negandogli la possibilità di far da padre a quel figlio sano tanto voluto.
La citazione finale, quella scritta in corsivo e allineata a destra della pagina, è tratta appunto dalla tragedia, anche se l'ho leggermente modificata (parlando di un figlio al singolare piuttosto che di figli al plurale) in modo da adattarla alla trama.

 

 

   
 
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