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Autore: Calipso19    25/03/2021    0 recensioni
Un viaggio infinito che racconta l'ormai leggenda di un mito troppo grande per una vita sola. Una storia vissuta sulle ali della musica, respinta dalla razionalità umana, colpevole solo d'essere troppo anomala in una civiltà che si dirige alla deriva. La rivisitazione di un esempio da seguire.
( Capitolo 4 modificato in data 14 marzo 2016)
Dalla storia:
- Sono cambiate tantissime cose da quando guardavamo le stelle nel guardino a Gary.
- E ne cambieranno altrettante Mike. Se fra quarant'anni saremo ancora insieme te ne accorgerai.
Insieme.
Michael ripetè nella mente quella parola più volte, come una lezione da imparare, e concluse quel bellissimo quadro con un sorriso.
- Certo che saremo ancora insieme, non dire sciocchezze.
- Ci credi davvero Michael? - lei lo guardò con occhi seri e sinceri. - Le persone attorno a te arrivano e se ne vanno come niente.
- Certo che lo credo, anche se non so dirti in che modo. E dovresti crederci anche tu Jackie, avere un po’ più di fiducia.
Abbassò gli occhi per vedere le proprie mani cingere la vita di Jackie, scorse una piccola macchia di pelle bianca sul polso.
Chissà quanto ancora si sarebbe allargata.
Tutto cambiava, senza sosta.
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Tutto, attimo per attimo, è com’è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo.



Joe era solo un operaio, pensò Jackie mentre continuava a sfogliare i documenti solo per non dover alzare lo sguardo sul proprio interlocutore.
Era solo un operaio a cui piaceva giocare a fare l’uomo di spettacolo ma che non era in grado di gestire la celebrità. Nel suo caso specifico però, si trattava fondamentalmente di soldi.
L’enorme quantità di denaro a cui era andato incontro con il primo successo dei Jackson 5 doveva avergli montato la testa più del dovuto, considerando quello che aveva di fronte.
Un business plan di assoluto rispetto, stampato in carta di qualità ma assolutamente privo di ragionevolezza.

- Allora che ne pensi? - le chiese Marlon, accanto a lei.
- Vuoi la mia risposta di facciata o un mio parere professionale?
- Andiamo Jackie.
- OK, è assolutamente da fuori di testa. Non potrà mai funzionare. Se dipendesse da me, cambierei tutto. A partire dal costo dei biglietti e dalla scelta della modalità d’acquisto.
- Lo sospettavo, maledizione.
- Scusa se sono stata un pò dura nel mio commento.
- Non scusarti, te l’ho chiesto io.
- Hai intenzione di fare qualcosa?
- Cioè?
- Parlerai dei tuoi dubbi con il vostro promoter o il vostro agente? O anche solo con gli altri?
- Sei matta? Sai che sarebbe assolutamente inutile. Te l’ho chiesto solo per essere sicuro di sapere cosa aspettarmi da questa faccenda.
- Mi spiace… Ma allora perché hai scelto di parteciparvi?
- Hai parlato con Michael no? Direi che non abbiamo avuto molta scelta.
- Io non la penso così. C’è sempre una scelta.
- Sei praticamente cresciuta con noi, Jackie. Dovresti sapere che a volte non c’è.
E aveva ragione, pensò guardandolo.
Marlon era il più ragionevole della classe maschile dei fratelli Jackson, togliendo Michael ovviamente. Almeno con lui poteva parlare di qualcosa che non fossero i soldi, il successo, la celebrità o le donne.
Sapeva che Marlon non aveva mai scelto di intraprendere la carriera del musicista. Come per tutti, era stata scelta da suo padre, e sebbene gli altri l’avessero poi resa propria, decantando un destino che a detta loro si erano scelti anziché esercivi ritrovati, lui non aveva mai nascosto la realtà dei fatti. Non esaltava né rimpiangeva la sua vita o la sua carriera.
Fra tutti i fratelli era quello che più assomigliava a Michael. Persino Janet non era così autentica.

- Visto che non ne hai intenzione di parlare - disse lei - Allora gradirei che la nostra conversazione restasse un segreto. Almeno, il mio commento su questo programma.
- Non preoccuparti - rispose lui, ridacchiando. - Ci siamo seduti qui a bere, a parlare di come cucinare le ali di pollo e guarda caso il depliant l’abbiamo trovato sotto questa rivista.
- Sei buffo - rise lei, ma quell’attimo di leggerezza si interruppe subito, quando il pensiero tornò di colpo a Thomas, e tutta la tranquillità che avvertiva evaporò all’istante.
Marlon cominciò a parlare di musica, degli ultimi videoclip, di quanto era contento dei lavori dei Jackson.
Jackie lo stette a sentire, parlando poco. Non voleva mentirgli, ma non poteva neanche dire che i lavori dei Jackson le piacessero: sound e ritmo erano palesemente copiati da Michael (possibile che nessun giornale se ne fosse accorto e avesse riportato un commento a riguardo?), e il loro gusto e la loro originalità su tutto il resto lasciavano molto a desiderare.
Più andava avanti, più iniziava a rendersi conto della portata del progetto a cui aveva lavorato con Michael. Thriller sarebbe rimasto una pietra miliare nella storia.
Era ancora tutto da vedere, ma ne era sicura.
Una sensazione dentro di lei le suggeriva che Michael stesso sarebbe diventato molto, molto importante. Non sapeva ancora per chi o per cosa, esattamente.
Riusciva solo a immaginarlo, a sentirlo come una sensazione sconosciuta e di cui non si conosce la causa.
Il suo pensiero andò a Michael, alla sua figura e alla sua persona, poi tornò su Thomas, e si sentì stringere il cuore in una morsa.

Erano passati diversi giorni dall’ultima discussione. Lui l’aveva chiamata poco dopo, dicendo che aveva bisogno di più tempo per pensare. A cosa? Non sapeva, ma lei doveva lasciarlo in pace e per favore, per favore, niente distrazioni sul lavoro. Lui avrebbe pensato a come si sentiva e a cosa fare e poi le avrebbe dato una risposta.
Nel frattempo sperava che lei non ci stesse troppo male.
Jackie gli aveva chiesto scusa e, sulla scia della disperazione e della follia, quasi lo supplicò di perdonarla. Lui l’aveva rassicurata, le disse che non la odiava di certo, anche se era scosso da quel suo comportamento e aveva bisogno di tempo anche per rendersi conto della faccenda. Si era immaginato tutt’altro quando aveva pensato di chiederle di sposarlo. E l’aveva lasciata sola con quel rimorso.
Era giusto, me lo sono meritato, si disse Jackie. Si sentiva male nei confronti di Thomas, non voleva che lui soffrisse, ma allo stesso tempo, non sapeva cosa pensare di sé stessa né a come si sentisse veramente. Sentiva una grande tristezza e paura, ma non riusciva a dar loro una direzione all’interno dell’intera situazione. E non riusciva a capire la radice di questi pensieri.
Che diavolo di problemi aveva?

Gli aveva promesso che non gli avrebbe dato noia al lavoro, e aveva tutta l’intenzione di non venire meno alla parola data. Ma quando Michael tornò a casa, a Encino, e la macchina entrò nel cortile, non potè fare a meno di indugiare maggiormente con lo sguardo sui bodyguard alla guida. Bill e Thomas, quel giorno. Non potè fare a meno di lanciargli una lunga occhiata quando scesero dalla macchina e si misero a parlare tra loro. Lui non diede cenno di averla vista, ed era giusto così, ma lei sapeva che l’aveva fatto. Era così presa da lui che ignorò Michael fino a quando non le fu vicino ed ebbe salutato Marlon.
Deglutì, cercando di recuperare la compostezza, e distolse lo sguardo rivolgendosi finalmente al suo amico, che la guardò con uno sguardo di finto rimprovero.

- Ora vai a salutarlo, ma non prima di aver baciato me. - disse scherzando, una scintilla di dispettosa maliziosa negli occhi notturni. Lei non riuscì a ricambiare la battuta, e lui se ne accorse subito. Il suo sguardo cambiò improvvisamente. Marlon, a pochi metri, non si curava di loro come loro non si curavano di lui. Jackie si sentiva spaesata. Era come se avesse dimenticato che Michael non poteva conoscere ogni attimo della sua vita, soprattutto quelli appena vissuti e senza che si fossero visti.
- Jackie?
Si costrinse a ricambiare il sorriso e a guardarlo negli occhi. Lui capì, ma ne avrebbero parlato dopo.
- Bentornato e congratulazioni per l’ennesimo Grammy Awards. Sono fiera di te.
- Di noi.
Si avvicinò e la strinse.
Jackie lo abbracciò, stupendosi della sua statura, in quanto in mente ormai aveva quella di Thomas. Era facile abbracciare Michael. Sentiva le sue grandi mani a coprirle la schiena senza impedirle di circondarlo per le spalle. Sentì anche lo sguardo di Thomas su di sè, su di loro.
Michael girò la testa, la baciò teneramente sulla guancia e avvicinò la bocca al suo orecchio.
- Sono stato da Frank dieci giorni fa. Abbiamo firmato un contratto. Adesso è lui il mio manager.
Allontanò il viso per guardarlo in faccia.
- Sei sicuro della tua scelta?
- Certo. - rispose immediatamente sulla difensiva, poi si incuriosì - Non dovrei? Qual è il tuo parere?
Non positivo, ma non aveva voglia di pensarci. Sarebbero finiti a discutere su qualcosa di inutile e di qualcosa su cui lei non aveva nessun potere. Non aveva senso. Inoltre, non aveva voglia di stare lì con lo sguardo di Thomas su di sè.
- Non lo so, ma mi fido di te. Avrai avuto le tue buone ragioni.
Quella risposta, come avrebbe dovuto aspettarsi, non lo soddisfò.
- Mi vuoi dire perché o mi devo inginocchiare?
- Dire perché a cosa? - chiese Marlon, intromettendosi nel discorso. Michael deglutì: non avrebbe dovuto rivelare a nessuno, non ancora, le proprie nuove disposizioni.
Ci pensò Jackie a salvare la situazione.
- Mi ha chiesto come cucinare le ali di pollo. E perché.
Mentre Michael la guardava interdetto, Marlon rilasciò un lungo fischio, annuendo.
- Allora non sono solo. Tranquillo Mike, anche per me questa storia del tour è una grande sciocchezza, ma vediamo di fare buon viso e cattivo gioco, che ne dici? D’altronde, sarà divertente ritornare ai vecchi tempi.
- Si… Si… -. Allora è di questo che parlavate prima che arrivassi. Guardò Jackie, che distolse lo sguardo da un punto dietro di lui per annuire rapidamente alla sua occhiata.
Aggrottò un sopracciglio e si voltò appena per vedere la propria auto sparire nel garage.
Sorrise con metà del volto, non sapeva se essere divertito o irritato.
E non sapeva se a irritarlo fosse la palese attenzione di Jackie per Thomas nonostante la loro conversazione, o il fatto che a lei non piacesse Di Leo. O anche il fatto che doveva fare un tour che non aveva assolutamente voglia di fare, pensò infine. Dannazione, possibile che lei avesse tanto potere sulla propria vita?
- Beh, sei ancora qui? - le disse. - Guarda che puoi andare a salutarlo anche se sta lavorando, ci vediamo dopo a cena.
Jackie aprì la bocca per parlare ma non ne uscì alcun suono, e lui vide l’angoscia che lei non riusciva più a trattenere.
- Marlon, accompagno un attimo Jackie, ci vediamo dopo.
- Ok tranquillo.
La prese per le spalle e la portò via. A quel gesto lei arrossì, e lui capì che doveva essere successo qualcosa di grave.
Mentre l’accompagnava per le scale, diretti al piano di sopra nella sua stanza, l’unico posto dove potevano sperare in un pò di pace, fece mille congetture su cosa potesse essere successo a quei due.
Come aveva potuto non capire prima che il motivo della tristezza di Jackie era Thomas? Era stato uno sciocco. Raramente l’aveva vista così, poiché raramente lei tendeva a mostrare le proprie emozioni più distruttive. Cosa diavolo aveva combinato quell’idiota per ridurla così?
- Michael, vai piano. - sussurrò lei, passivamente, mentre la trascinava dentro la stanza.
Lui arrossì, ma i suoi occhi rimasero seri.
Una volta dentro chiuse la porta, si voltò verso di lei e la fissò, tenendole le mani sulle spalle.
Jackie nascose il volto fra le mani, ma lui sapeva che non stava piangendo. Sbuffò costernato. Che stupida. Avrebbe sempre cercato di non lasciarsi andare davanti a lui. Davanti a chiunque.
- Cosa è successo Jackie?
Fu tentata di dire ‘niente’, ma non poteva mentire a Michael. Non ne sarebbe stata in grado. Ma come riuscire a spiegargli quanto era successo senza piangere? Come spiegargli le strane sensazioni che provava.
Semplicemente non ce la fece, perché un abbraccio improvviso ma estremamente dolce la distolse da qualunque pensiero.
Si ritrovò sommersa nel profumo di Michael, quello del suo dopobarba e della sua pelle. Una fragranza che le infuse immediatamente una grande serenità.
La tristezza e il peso che aveva sulle spalle erano ancora lì, ma dentro di sé era nata una piccola scintilla di luce, che le dava forza e la scaldava. Quella luce interiore, lo sentiva, proveniva da Michael e solo da lui.
Le sfuggì una lacrima, che lui raccolse col pollice come se l’avesse vista, nonostante la stesse abbracciando.
Non dissero nulla per un pò. Fortunatamente nessuno venne a cercarli.
Michael non domandò più nulla. Si limitò ad aspettare, a cullarla fra le braccia e, a un certo punto, iniziò ad accarezzarle i capelli. Quando la sentì leggermente più serena, decise di parlare.
- Lui non ti ha fatto del male. - constatò, basandosi su quanto gli suggeriva il proprio istinto. Lei annuì, il viso sepolto contro il suo petto.
- Tu hai fatto del male a lui. - Lei sospirò in risposta. - Vi siete lasciati?
- Non lo so. - disse finalmente Jackie con un filo di voce.
- Io non credo che tu gli abbia fatto del male volontariamente. Non sei quel tipo di persona. - La prese per le spalle e la allontanò da sé. Lei non si sottrasse al suo sguardo, e lui scorse chiaramente i segni delle lacrime sulle guance Si morse il labbro. - Cosa ti ha costretto a farlo?
- L’unica cosa che non sono in grado di fare.

 
———



Jackie non aveva pianto nemmeno quella notte.
Lui l’aveva convinta a rimanere con lui. Aveva bisogno di supporto e non voleva lasciarla sola.
Erano riusciti a ricomporsi e a scendere per la cena ma nessuno, apparentemente, si era accorto di nulla, né della loro assenza né della loro condizione.
Quando lui congedò i BG, avvertendoli che nessun altro avrebbe varcato il cancello di casa per uscire, Thomas le lanciò un’ulteriore occhiata che Michael interruppe prendendo Jackie con sè e sottraendola allo sguardo dell’uomo. Lei non si era ribellata, anche se in un altro momento non avrebbe mai permesso a Michael di prendere certe posizioni.
Non si era ribellata, ma non avrebbe saputo dire di aver fatto bene o male.

Il giorno dopo non ebbe tempo di vedere se il gesto di Michael avesse provocato una qualche reazione in Thomas, poiché il suo amico la coinvolse sin da subito in attività legate all’imminente tour.
Dapprima Jackie si fece trasportare, ma quando la vicinanza con gli altri membri del gruppo si fece troppo pesante decise di tornare a casa. Disse a Michael che avrebbe accompagnato Katherine alla prima data e che si sarebbero rivisti in quell’occasione. Fino ad allora, decise, si sarebbe presa una vacanza.
Una vacanza che consisteva in una pausa di riflessione riguardo la propria carriera.
Dopo il successo di Thriller si era aperta per lei la possibilità di considerarsi una compositrice, e Jackie voleva capire se poteva imboccare quella strada.
Per chiunque lei era già una compositrice, avendo effettivamente scritto e arrangiato diverse canzoni già presenti sul mercato musicale, ma per Jackie la musica non era solo un prodotto da vendere o comprare, era un pezzo d’anima, un’opera d’arte. E imboccare quella carriera significava in parte zittire quella incosciente voce dentro di sè che le ripeteva di non schierarsi dalla parte di chi capitalizzava delle opere d’arte.

Non aveva ancora preso una decisione che venne ricontattata proprio da Katherine, che le chiedeva di raggiungerli in anticipo.
Non ne aveva molta voglia: aveva paura di quello che avrebbe visto sul palcoscenico e in più raggiungere Michael significava con molta probabilità vedere Thomas, e lei non voleva. Non era pronta ad affrontare quella realtà.
Stava scappando come una codarda, e quella consapevolezza la portò ad accettare la richiesta di Katherine.
Quando arrivò sul posto si trovò un’accoglienza inaspettata: Joe la volle incontrare subito e la coinvolse nell’attività dietro le quinte. Alcune cose, evidentemente, non erano andate come lui si aspettava, e Jackie capì. Non si poteva nemmeno dire che la stesse ingaggiando. La stava letteralmente relegando a risolvergli dei problemi.
Senza avere la possibilità di farlo.
Pertanto Jackie si rifiutò e, prima che Michael, Katherine o qualcun altro riuscissero a fermarli, iniziò un’accesa discussione a poche ore dall’inizio dello spettacolo.
- Io non lavoro per te. - continuava a dire Jackie, ed era una frase che Joe sembrava non sentire.
- La famiglia viene prima di tutto. - continuava a rispondere lui, cercando di fare leva sull’unica cosa che avevano in comune.
- Joe, ora basta. Jackie non fa parte di questa famiglia. - disse Michael a un certo punto, e quella frase provocò reazioni diverse e contrastanti.
Katherine trattenne il fiato, allibita da quella frase. Joe digrignò i denti, per poi borbottare qualcosa come ‘finché le faceva comodo però ne ha fatto parte’ e andarsene circondato dai suoi collaboratori.
Jackie non disse nulla, ma dentro di sè si sentiva sollevata. Michael l’aveva tolta da quell’impiccio. Anche se all’esterno, con quella frase, aveva creato una parvenza di grande distanza fra loro, lei gli era grata perché l’aveva allontanata da quella famiglia che ormai non aveva più nulla a che fare con lei. Un gruppo di persone quasi del tutto anonime, escluse Katherine e forse Janet, che non poteva nemmeno definire amici, ma alla stregua di conoscenti. Conoscenti che avevano molto a cuore solo i propri interessi e non si interessavano minimamente degli altri. Non avevano nulla da spartire nemmeno con Michael che, da quando aveva iniziato quella farsa, non faceva che mangiarsi le mani dal rimorso.
Dopo quella discussione, prima di dover raggiungere gli altri per le prove, lui si rivolse a lei, senza avvicinarsi.
Il suo sguardo la raggiunse meglio di qualunque carezza.
- Perdonami per quello che ho detto. Sai che non la penso davvero così.
- Lo so cosa pensi. Non fa nulla. Anzi, grazie.
Sorrise, e per un attimo fu come se fossero solo loro due. Loro due contro la famiglia Jackson, contro lo staff e gli spettacoli, contro Thomas, contro il mondo che li circondava.

Un mondo che alla fine vinse su di loro.
Il tour non fu esattamente un fiasco, anzi, ma non era assolutamente paragonabile agli standard di Jackie. E nemmeno a quelli di Michael, nonostante lui avesse deciso di non interessarsi minimamente all’organizzazione dello spettacolo.
Nonostante la discussione con Joe, Jackie decise di restare per fare da supporto morale a Michael, e anche per fare compagnia a Katherine. L’anziana donna non doveva aver gradito la decisione di Jackie, e si era chiusa in uno strano e risentito mutismo, che però durò solo pochi giorni. Jackie sapeva che Katherine conosceva le sue ragioni ma che non era facile per lei gestire la situazione, visto che si trovava a metà di una fragile bilancia familiare.
A causa di ragioni logistiche, la vendita degli biglietti diventò un serio problema, sia per la modalità di vendita che lo staff aveva prestabilito, sia perché col tour in corso non riuscivano a stare dietro alla consegna esatta e in orario dei biglietti ai compratori. La situazione era così problematica che Jackie alla fine ebbe così pena per lo spettacolo stesso, che accettò di intervenire per la seconda parte del tour.
Michael era costernato e non sapeva se essere grato di averla al proprio fianco o arrabbiato per la situazione in cui entrambi si erano andati a cacciare.
- La famiglia viene prima di tutto, no? - gli diceva lei con umorismo, quando lui condivideva le proprie preoccupazioni. Non avrebbe mai immaginato che quella decisione avrebbe avuto una ripercussione in ben altro ambito della sua vita.

Thomas la chiamò una mattina, telefonando all’hotel dove alloggiava, piuttosto agitato. Le chiese se stesse bene come se fosse stato molto preoccupato, e alla sua risposta affermativa, si rivelò arrabbiato. Le disse che aveva impiegato ore a rintracciarla, che non aveva potuto chiedere aiuto ad Albert perché si trovava in vacanza con la compagna, che non sapeva che lei era ingaggiata per quel tour né che si sarebbe mai allontanata da Los Angeles senza dirgli nulla, soprattutto vista la loro situazione. La lasciò interdetta.
- Avevo capito che volessi essere lasciato in pace. Che avevi bisogno di pensare e che mi avresti contattata tu. - gli rispose. Cominciò a sentirsi in colpa per essersi allontanata senza averlo avvisato, ma una vocina ribelle dentro di sé la corresse subito.
Cosa diavolo stai pensando? Avvisarlo? Non siete marito e moglie. Anzi, non dovrebbe nemmeno avanzare certe pretese. Ti ha lasciata sola quando sei tu quella che sta soffrendo di più in questo momento.
Zittì quei pensieri malefici quando lui le chiese l’indirizzo del prossimo spettacolo. Le disse che l’avrebbe raggiunta, poi sembrò cambiare idea.
- Vuoi che torni io a Los Angeles? - chiese Jackie. Dal tono di voce di Thomas non riusciva a capire se quello che doveva dirle era positivo o negativo per la loro relazione.  
- No, stai dove sei. Stai lavorando dopotutto. Te lo dico adesso. - Lo sentì sospirare. - Mi sono licenziato. Ho dato le dimissioni a Bill una settimana fa. So che Michael non ne è al corrente a causa del tour, per questo non ti ha avvisata.
- Oh. - Non sapeva come reagire. - Come mai? - Si morse il labbro, in preda a un pensiero. - Spero tu non l’abbia fatto a causa mia.
- Certo che l’ho fatto a causa tua. - Le rispose semplicemente, senza nessuna emozione. Lei sentì le proprie gambe cedere. - Ho intenzione di tornare a casa, Jackie. Intendo a casa mia, in Texas, da mia madre e le mie sorelle. Ho bisogno di cambiare aria, cambiare vita, e di lasciarmi tutta questa storia alle spalle. Compresa tu.

Quello che l’aveva ferita maggiormente non era stata la notizia della sua partenza, incredibilmente, quanto il fatto che non le aveva lasciato possibilità di replicare. L’aveva messa di fronte alla decisione senza darle il tempo di chiedergli qualunque cosa.
E lei non sapeva cosa fare, cosa pensare. Non sapeva nemmeno come interpretare le emozioni che stava vivendo.


 
———



- E' quasi mezzogiorno. A quest'ora sarà già all'aeroporto.
Jackie abbassò il capo e rimase ferma a pensare. La sua mente era ancora ancorata a quell’ultima telefonata. Non si era nemmeno resa conto che erano trascorsi dei giorni e che erano tornati a Los Angeles.
Avvertì la presenza umida delle lacrime che stavano inumidendole le guance, e con il dorso della mano si preoccupò a cancellare la loro traccia.
Michael la guardava, incapace di toccarla, di consolarla, di dirle una parola gentile.
Poi Jackie si voltò decisa.
- E' la mia ultima occasione per parlargli. - Disse risoluta - Ora o mai più.
- Ma… Non arriveremo mai in tempo!
- Devo tentare. - I suoi occhi erano lucidi e profondi, Michael si sentì male solo a guardarli. Rischiava di annegarci dentro.
- Pensaci un attimo, Jackie. - Tentò di farla ragionare, cercando di nascondere il proprio inconscio dispiacere.
Jackie non seguì il suo consiglio.
- No Mike - Rispose subito senza indugi. - Io penso quando lavoro, quando scrivo una canzone o la lista della spesa. Penso quando voglio comprarti un regalo, ma hai già tutto e non so cosa scegliere. Penso tante volte a tante cose. Ma ora non voglio pensare, voglio solo seguire il mio istinto. E voglio andare all'aeroporto.
Senza aggiungere altro corse fuori dalla stanza, e Michael non poté che seguirla con il cuore dolente.
- Allora lascia almeno che ti accompagni. Percorreremo la strada in fretta, e farò in modo di evitare il traffico.
Jackie si girò a guardarlo stupita, il cappotto già mezzo indossato. Dopo un secondo gli gettò le braccia al collo, ignara degli strani sentimenti d’angoscia che pervadevano Michael. - Sei il mio più caro amico Mike, ti ringrazio tanto.
Michael non seppe se a fargli più male fossero state quelle parole o il fatto che Jackie stesse rincorrendo un altro uomo. Ciò però non lo distolse dall'intenzione di accompagnarla, di volerla vedere felice.
Quando arrivarono dovette restare in auto, in un parcheggio nascosto e non sorvegliato, e la guardò correre alla rinfusa da sola.
Fortunatamente qualche giorno prima erano stati raggiunti da Albert, che senza dire una parola scese dall’auto e camminò verso l’edificio, con l’intento di essere vicino a Jackie nel caso avesse avuto bisogno. Lei, svanita nel traffico dell'aeroporto, aveva già individuato la sua meta e ora, faticosamente, cercava con lo sguardo l'oggetto del suo desiderio nella sala d'imbarco, poiché il volo sarebbe decollato a breve. I minuti scorrevano, e l'ansia stava già premendole il petto.
Era così agitata che non riusciva nemmeno a distinguere bene i volti delle persone attorno a lei. Fortunatamente, per gli altri non era così.

- Jaqueline! Cosa ci fai qui? - Si girò di scatto come se fosse appena stata fulminata.
- Thomas! - Jackie lo guardò in viso e l'energia le mancò. Grazie al cielo non è ancora partito, pensò in preda al panico. La presenza dell'uomo tanto cercato, che ora la guardava metà confuso e metà sorpreso, affievoliva la sua determinazione.
- Cosa ci fai qui? - Ripeté lui. Nulla nel suo viso era rassicurante per lei, non una smorfia né una ruga che le svelasse il suo vero stato d'animo.
- Sono venuta a cercarti. - Confessò, prendendo respiro. - Devo parlarti.
- Eppure ci siamo già detti tutto. - Rispose Thomas freddamente ma con un lampo di tristezza nello sguardo.
- No, hai parlato solo tu. Ora voglio farlo io. - Lui sbuffò, e Jackie capì che aveva la sua completa attenzione. Sospirò. - So di aver fatto una totale stupidaggine, e non so nemmeno perché. Hai ragione, avrei dovuto dirti tutto dall'inizio. - Abbassò lo sguardo, deglutendo faticosamente. - Ma da quando ho saputo che non posso avere figli ho dovuto imparare a non considerarlo un elemento importante nella mia vita. Per proteggermi, capisci? E' una privazione terribile da sopportare per una persona che non vorrebbe essere altro che genitore. - Lui le appoggiò una mano sulla spalla.
- Mi dispiace per te, Jaqueline. - Disse, sinceramente dispiaciuto. - Ormai è andata così.
- No! - Gli afferrò i lembi della giacca e lo guardò negli occhi. - Sono corsa fin qui per dirti che sì, sì, ci tengo a te e voglio sposarti!   
Si rese conto di quanto fossero sbagliate quelle parole quando era troppo tardi. Lasciò la presa, tremando. Non sapeva nemmeno come guardarlo.
- Se mi vuoi ancora… - aggiunse in un soffio.
- Ma Jaqueline - Le prese le mani fra le proprie. La sua voce era un petalo nel vento. - Ora sono io che non lo voglio più.     
 Quelle fredde parole l'ammutolirono. Thomas le strinse più forte le mani.
- Cioè, io ti vorrei, ma non così. - Deglutì. - Non se se sarei in grado di… Gestire tutto. Non solo per la tua sterilità, ma anche… Per la tua scelta di vita. - Sospirò, le sue mani erano una morsa potente. - Non pregarmi, te ne pentiresti. Io ti ho già perdonata per non essere stata completamente sincera. - Le sorrise amaramente. - Avrei potuto commettere lo stesso errore, quindi va bene così. Non ce l’ho con te. Ma desidero troppo avere dei figli, figli miei. E se fino a ieri sentivo di poter affrontare questa cosa con te, nonostante il tuo problema, solo per stare con te… Beh, adesso ho capito che in futuro me ne pentirei. E allora è meglio smettere ora, prima di rendere le cose ancora più difficili.
 Jackie non aveva più parole. Il nodo che aveva in gola era troppo grande per riuscire anche solo a respirare. Thomas le prese il volto con le mani e le sollevò lo sguardo, guardandola intensamente.
- Io ti amo Jaqueline Annie Foster, non ho mai amato così tanto. Questo basterà per non dimenticarti.
Lei non riuscì a trattenere un singhiozzo, e in quel momento lui la baciò, soffocandole il pianto in gola. Un bacio dolce e appassionato, pieno d'amore, che Jackie raccolse con inconsapevole trasporto e la totale nebbia nella mente.
Quel bacio aveva un sapore terribilmente amaro, ma ricambiò con tale fervore che perfino Thomas si staccò a fatica, sospirando. Quando si separarono, lui si voltò a raccogliere il bagaglio senza guardarla negli occhi. Quando si voltò per salutarla, le sorrise con la sua solita aria felice e spensierata.
La sua prima espressione che Jackie aveva conosciuto. L’ultima che avrebbe visto.
Quel candido e sincero sorriso che apprezzava moltissimo, il sipario di uno spettacolo che ora si chiudeva.
- Ti auguro tutta la felicità del mondo, Jackie. Sono certo che la troverai. - Nonostante le si stesse spezzando il cuore in mille frammenti  ricambiò il sorriso, radiosa come il sole d'estate, come tutti erano abituati a vederla.
- Buona fortuna Thomas. - E lo guardò allontanarsi e sparire per sempre dalla sua vita.
Affacciata al vetro delle finestre, osservò l'aereo sollevarsi in volo e diventare un punto invisibile nel cielo. Solo allora permise a una lacrima di sgorgarle dagli occhi.
E' incredibile: tutto il dolore che sento sembra insopportabile, pensò. Eppure, io sono ancora qui, e il mondo non è crollato. E’ quasi confortante sapere che, se questo è il dolore che ci si procura vivendo, amando e perdendo, allora sono in grado di sopportarlo.
Nonostante quei pensieri, decise di passare per la toilette per lasciar uscire quel pianto che comunque doveva sfogare, e dopo un tempo interminabile uscì. Si era lavata la faccia e si sentiva meglio.
Forse la scelta di Thomas era stata la migliore per tutti. Se sapeva già di non riuscire a reggere una vita matrimoniale senza figli, allora era stato davvero meglio concludere prima di aver iniziato. Lui meritava di meglio, e lei sarebbe rimasta comunque bene senza di lui.
Dopotutto, non era un matrimonio ciò che poteva renderla davvero felice. E non era mai riuscita a convincersi del tutto di amarlo come sentiva di essere in grado di amare.
Finalmente l’aveva capito.
Poco distante dalla porta della toilette la stava attendendo Albert. Appena lo vide lui la raggiunse, sorprendendola.
- Albert! - Esclamò sobbalzando. - Cosa ci fai tu qui? - Un pensiero le volò in mente, alzò un sopracciglio. - Ti ha mandato Michael vero? E' sempre così protettivo!
Il fratello non rispose subito. Rimase a guardarla e alla fine sorrise.
- Nonostante quello che ti è appena successo, ti è bastato passare dieci minuti in bagno per uscirne nuova e sorridente come sempre. - Le accarezzò la guancia. - Sei così maturata, e sei così forte. - Mormorò con dolcezza. Jackie si sciolse e lo abbracciò.
- Doveva andare così. - disse con leggerezza, schiacciata contro il suo petto come per soffocare la tristezza. - Ha detto di avermi perdonata, e credo che questo concluda più che bene la vicenda fra me e lui. Inoltre, ha parlato di volere dei figli propri, quindi le cose fra noi non avrebbero funzionato.
Sentì la mano di suo fratello accarezzarle i capelli.
- Non so se la questione dei figli abbia una grande importanza. Ci sono altri modi per diventare genitore, se si vuole. - rispose Albert. - Ma non importa, Jackie. Io penso che tu sia una persona speciale, ma davvero speciale. Sei rara, e meriti al tuo fianco qualcuno che sia alla tua altezza. Che riesca a capire perfettamente come sei e sia in grado di amarti in ogni tua sfumatura. Thomas è una persona stupenda, ma non è in grado di averti al suo fianco - Si staccò leggermente per guardare la sorella negli occhi. - Sono tuo fratello, e so quanto vali come persona. Anche se spesso stento a crederci io stesso.
- Non pensi di esagerare? Mi stai idealizzando! - rispose, ridacchiando più per sdrammatizzare quelle parole che per vero divertimento. Si sentiva sopraffatta da quelle parole e dalla loro sincerità.
Albert non rispose. Non a parole. L’adorazione che aveva negli occhi mentre guardava la ragazza di fronte a sé era sufficiente per capire i suoi pensieri.
 
Michael era rimasto nascosto per tutto quel tempo nella limousine, sorvegliato da almeno cinque bodyguard e seduto in una sorta di riflessione meditativa. Era da molto che Jackie se n’era andata. Aveva risolto? L'aereo doveva essere partito da un pezzo. Doveva aver risolto di certo, altrimenti sarebbe tornata in lacrime. Si era aspettato di vederla tornare in lacrime, ma così non era stato e man mano che i minuti passavano si sentiva sempre più inquieto. Albert era con lei, o no? La stava sorvegliando, no? La stava proteggendo, vero?
 Mentre quei pensieri sembrarono sul punto di divorargli l'anima, Jackie entrò nell'auto senza dire una parola facendolo trasalire, poi si sedette accanto a lui, lasciandolo sorpreso e perplesso.
- Jackie?
- Michael. Scusami se ti ho fatto aspettare e grazie per avermi accompagnata. Possiamo tornare a casa ora, se vuoi.
- … Ok, certo. - Disse ai BG di partire, e osservò la castana che guardava fuori dal finestrino in silenzio. La cosa gli metteva ansia.
- Jackie, sei strana. Com'è andata? Hai trovato Thomas? - Si arrischiò a chiederle, cauto. Lei si voltò verso di lui, dandogli apparentemente tutta la sua attenzione, e sorrise cordialmente.
- Certo. Abbiamo parlato ed è finita qui. - I suoi occhi erano vacui, e Michael se ne accorse e capì immediatamente. Si avvicinò e le appoggiò una mano sulla schiena.
- Dimmi. - Le disse piano, e la sua voce rassicurante bastò per far crollare le difese di Jackie. Abbassò lo sguardo e si abbandonò sul suo petto, abbracciandolo con sincero affetto. Michael sorrise, quel contatto gli era mancato.
Gli raccontò dell’accaduto. Alla fine non seppe dire cosa stesse provando Michael, se dispiacere per lei o uno strano sollievo. In ogni caso, sapeva che era felice di vederla serena, e quello bastava. A lei rimaneva comunque un pò di sana tristezza da sfogare.
- Io ti sono vicino, lo sai. - Le soffiò sui capelli, li accarezzò e li baciò delicatamente. Jackie sorrise.
- Sai cosa potresti fare per me in questo momento? - Chiese, staccandosi dall'abbraccio.
- Tutto quello che vuoi. Anche fare il moonwalk in mezzo al centro di New York.
- Mi prenderesti un gelato? - Chiese, suscitando una risata nell'altro.
- Un gelato? Tutto qui?
- Si, un gelato. Molto grande. Al cioccolato. - Michael sbatté le palpebre sorpreso.
- Ho la macchina del gelato a casa, possiamo farlo lì e scegliere noi i gusti che vogliamo.
- Si! - Jackie sorrise entusiasta. Quell’espressione contagiò Michael. Sembra una bambina, pensò. Nonostante quello che è appena successo e il fatto che si stia comportando da donna forte.
La mia Jaqueline è una donna forte.
Si sentì pervaso dall'amore, ma non disse né fece nulla e si limitò ad accontentarla. Una volta a casa passarono le ore successive a produrre una quantità di gelato imbarazzante per qualunque persona normale a Los Angeles, che consumarono la sera davanti a un sacco di film. Michael non l'aveva mai vista mangiare così tanto: era un'occasione più unica che rara. Quantomeno, la quantità di gelato e cioccolato assunto sembrarono temporaneamente scacciare la sua malinconia. Jackie sorrise e scherzò per tutta la sera. Michael pregò per vederla sempre così. Con quella forza invincibile addosso.
Giurò tuttavia di averla vista trangugiare il gelato con le lacrime agli occhi, ignorando il pianto che lui stesso vedeva salirle in gola.

 
———


Passò un pò di tempo, e la vita proseguì come sempre. Thomas tornò a non esistere e non si parlò più di lui. Fu come se non fosse mai esistito, se non fosse per l’enorme ferita che aveva creato nel cuore di Jackie. Almeno, così credeva Michael. E così credeva Albert.
Ma Jackie non era ferita nel cuore, quanto più nell’orgoglio, nella femminilità. La sua privazione si faceva sempre più insopportabile, e con forzata indifferenza era tornata a ignorare la faccenda legata a Thomas o a qualunque altro pretendente. Con altrettanta forza fece finta di non considerare l’idea di non poter avere figli.
Si sentiva sciocca a fare questi pensieri, e si sentiva ancora più sciocca quando, facendoli, avvertiva quella sensazione che precede le lacrime. Non le piaceva sentirsi debole. Era nata in un mondo e in un tempo dove solo il fatto di essere giovane, donna, piccola e sterile la rendevano debole. Gli uomini la vedevano debole. Le altre donne la vedevano debole. Lei, a volte, si sentiva debole e indifesa. E odiava sentirsi così.

Ripensò a quando Michael l’aveva abbracciata, fuori dalla sua seconda casa, lungo la Jackson Street, dopo che aveva detto addio a suo padre.
Lui c’era stato per lei.
Ricordava distintamente i suoi occhi preoccupati e la sua stretta piena di conforto e rassicurazione.
Allora non era che una ragazzina, ed era scoppiata a piangere fra le sue braccia.
Si morse il labbro, avvertendo un sacco di emozioni contrastanti di fronte a quel ricordo.
Si ripromise che non sarebbe più accaduto, non avrebbe più pianto così davanti a lui.
Non sarebbe più stata debole di fronte a nessuno, né a Michael né a sé stessa. Lei sarebbe stata forte, e avrebbe trovato la forza da sola. E da sola avrebbe impedito a sé stessa di piangere, di piangersi addosso, di cercare aiuto.

 
———


Fu quando Michael si liberò da tutti gli impegni e fu di nuovo pronto a ritornare in studio che i suoi due collaboratori si dileguarono. Quincy e Jackie avevano organizzato un viaggio in Italia per far conoscere alla famiglia materna colui che si considerava il padre adottivo di Jackie.
Venne accolto con molto entusiasmo e per lui fu come entrare a far parte di una terza famiglia.
Il loro tempo in Italia non fu particolarmente breve, ma Michael non se ne accorse, poiché era impegnato con il suo progetto di Neverland. Quando i due tornarono e i tre si rividero per decidere che cosa fare nel lavoro futuro, a tutti sembrò di essersi incontrati solo il giorno prima.

Quando Jackie scrisse We Are The World e la portò a Michael, non aveva intenzione di fargli un regalo speciale. Era solo l’abbozzo di un ritornello che le era venuto in mente la notte prima. Si era messa al piano e l’aveva canticchiato spensieratamente e, quando aveva ascoltato la propria registrazione più tardi, si rese conto di aver creato qualcosa che sarebbe potuto diventare molto di più di quello che era.
Non aveva intenzione di fargli un regalo speciale.
- Ho qualcosa per te Mike, dimmi se ti può interessare. - disse prendendo la cassetta dalla borsa e controllando il nastro. Lui sorrise. Non sapeva ancora di cosa si trattava ma già era felice. Adorava vederlo sorridere così, sembrava spensierato. E quel cerotto sul naso, per quanto sospetto, gli dava un’aria ancora più infantile.
- Molto bene - le rispose - Anche perché ieri sera ho scritto un testo e vorrei dargli una melodia.
- Di che parla?
- Dei bambini. La tua musica ha già delle parole?
Lei lo guardò sbattendo le palpebre, colpita dal fatto che inconsapevolmente la stessa ispirazione li aveva presi entrambi.
- Beh, si… Solo il ritornello.
Dimenticò la seconda strofa della propria composizione. Ripose la cassetta nella borsa e Michael la guardò confuso, sbattendo le palpebre.
- Meglio dal vivo. - spiegò lei brevemente, raggiungendo il piano.
- Oh, d’accordo.
La guardò mentre testava lo strumento prima di iniziare. Sembrava improvvisamente concentrata, come se stesse cercando nuove parole.
Quando Jackie iniziò a cantare e suonare, Michael sentì il proprio interesse per il mondo svanire, sostituito da un’estasi euforica. Ciò che lui non riusciva a trovare nella propria ispirazione, Jackie glielo creava senza sapere di star compiendo un miracolo.
Benedisse quei minuti di assordante silenzio.

 
———


Il singolo e l’idea del video girato insieme a molte altre celebrità erano stati l’ennesimo successo, per cui si sentiva soddisfatto e decise di festeggiare. Sarebbe stata una festa solo per lui e Jackie, perché non aveva voglia di vedere altra gente e voleva sentirsi sé stesso. Pensò di organizzare qualcosa di alternativo rispetto alle solite serate.  
- Ehi Jackie, domani sera cena? - Lei lo guardò  con gli occhi luccicanti.
- Cinese take away e indigestione a casa mia? - propose eccitata. L'avevano già fatto tre volte e per tre volte erano stati malissimo, ma il cibo era così buono e il contesto così divertente che l'idea la entusiasmava sempre.
- No. Pensavo di prenotare al Golden Shell's. Fatti bella, ti vengo a prendere alle cinque.
- Ok! A domani! - salutò militarmente e si avviò. Poi realizzò le parole dell'amico e tornò indietro. - Aspetta Mike, cosa significa 'ristorante di lusso' e 'fatti bella'? - chiese leggermente stupita. Lui sorrise.
- Hai capito bene, a domani cara! - Ricambiò il saluto militare e scomparve quasi di corsa, lasciandola di stucco.

 
———


Jackie entrò nella lussuosa automobile tenendo su il vestito frusciante.
Michael non le staccava gli occhi di dosso, come se la vedesse per la prima volta. Lei se ne accorse e lo guardò a sua volta, fingendosi irritata.
- Cosa c'è? Perché mi guardi così? Hai detto tu di vestirmi elegante e l’ho fatto, ma non c’è motivo di mettermi a disagio. Mi guardi perché ho sbagliato qualcosa? - La sua esagitazione sembrava non averlo coinvolto.
- No - rispose lui, sorridendo. - Ho dimenticato il cappello in casa. Ti guardo perché voglio che me lo vai a prendere.

Entrarono nella grande e lussuosa sala dei ricevimenti. Non c'era nessuno. Jackie guardò Michael che a sua volta guardò il cameriere e si rivolse di nuovo a lei, imbarazzato.
- Ci sarebbe stata troppa gente. Ho dovuto prenotare un piano solo per noi. - spiegò grattandosi il capo. Il cameriere abbassò lo sguardo con discrezione, e Jackie represse una risata.
- Beh, dovremmo esserci abituati ormai - disse, sentendo il proprio nervosismo evaporare. Erano lui e lei, com’erano da anni. Che il luogo fosse un ristorante di lusso, un palcoscenico o un parcheggio in periferia, la reciproca compagnia avrebbe reso comunque quel tempo piacevole. Si accomodarono vicino all'acquario, ordinarono e per un po' ammirarono il vago e annoiato nuotare dei pesci, nel silenzio dispersivo della grande sala.
- Mike?
- Uhm?
- Hai notato lo sguardo imbarazzato del cameriere? Secondo me pensa che il grande Michael Jackson sia venuto qui in coppia con la sua fidanzata - scherzò fingendosi scandalizzata, e lui arrossì come un liceale al primo appuntamento. Con le guance in fiamme le prese la mano come se fosse stata una rosa delicata, se la portò alle labbra, vi depositò un bacio e se la portò al petto in un teatrale gesto di finta disperazione.
- Noi siamo una coppia. - E la guardò sorridere, mentre mimava con lui quella curiosa scenetta.
- Una coppia di imbecilli. - disse lei. Due imbecilli che forse hanno creato l’album musicale più venduto della storia, pensò lei orgogliosa. Non lo disse, eppure Michael la stupì.

- Due adulti imbecilli che però ce l’hanno fatta. - Lo guardò sorpresa: aveva avuto il suo stesso pensiero. Lui la stava guardando con stupore. - Sai, a volte faccio fatica a rendermi conto della strada che abbiamo percorso. Quindici anni fa eravamo da soli, a Gary, io schiavo di mio padre e tu praticamente abbandonata. Adesso sono l’uomo più celebre del mondo, e tu… -. Lo interruppe.
- Nulla che non ti meriti, amico mio.  

Michael le porse il braccio e la condusse sull'enorme terrazzo del ristorante. Gli era passato l’appetito. Si sentiva euforico e pensieroso allo stesso tempo.
Le varie luci presenti facevano risplendere i capelli di Jackie, che parevano fili d'argento intrecciati.
Michael rimase a guardarli in silenzio, in preda ai pensieri, mentre lei l’aveva superato e aveva alzato il naso verso il cielo, persa nel tessuto blu sopra di loro.
Il silenzio era incontrastato, finché Michael decise di interromperlo.
- Se sono arrivato fino a questo punto - disse, raccogliendo dalla tasca un piccolo oggetto quadrato - Lo devo in buona parte a te.
- Non è vero! - protestò Jackie, voltandosi verso di lui. - Non dirlo nemmeno! Hai un talento naturale per la musica, e una grandissima passione oltre che una buona dose di esperienza. Il frutto di tutto questo lavoro è unicamente tuo e di nessun altro.
- Bè - disse Michael imbarazzato. - Senza i consigli di Quincy non sarebbe stata la stessa cosa.
Jackie gli diede silenziosamente ragione. Dovevano riconoscere a Q i suoi meriti.
- Ma a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se non ci fossi stata tu. Dubito che sarei riuscito ad arrivare a questo punto, senza di te.
- Smettila - Lo guardò severamente, anche se non poteva fare a meno di sentirsi imbarazzata e lusingata da quelle parole così spontanee. Cercò di sdrammatizzare. - Non ti riconosco Michael: sei così egocentrico che non è da te attribuire il merito del tuo successo a un’altra persona.  
La guardò costernato.
- Non l’ho fatto. - si difese, e lei rise.
Michael storse la bocca sentendosi quasi infastidito, ma ne approfittò per avvicinarsi a lei. La abbracciò da dietro con affetto, appoggiando la guancia sul capo di lei. I suoi capelli lo solleticarono, ma non si spostò.
Sei libera di pensarla come vuoi, piccola testarda, ma io so qual è la verità.

- Ti voglio bene Jaqueline. - le disse in italiano. Una frase che lei gli aveva insegnato tanto tempo fa e che gli era piaciuta moltissimo. Aveva un significato simile al dire Ti amo, ma più intenso e profondo. Significava, letteralmente, desiderare il bene dell’altro, indipendentemente dal coinvolgimento emotivo di chi pronunciava quella frase. E lui voleva dirle esattamente quello: che voleva il suo bene, e così fece. Che le era grato e che la amava, ma non lo disse. Non conosceva abbastanza parole.
Prima che lei potesse rispondergli spostò la propria mano, quella che teneva la scatolina quadrata, raggiungendo quella di lei e depositandogliela nel palmo. Una volta fatto ciò, la stessa mano chiuse la sua presa stringendole le dita.
- Ti ho fatto un regalo. Questo è per te. - Tolse la mano prima che lei potesse cercare di restituirglielo. Era una reazione quasi spontanea quando riceveva un dono. Non si era mai abituata completamente a riceverne. Spesso piangeva quando qualcuno le donava qualcosa. Strano ma vero, l’eccezione a quella regola era stato Thomas.
Sotto il suo sorriso lei aprì la scatolina, rivelando una collana con pietre verdi, dalla tonalità simile a quella dei suoi occhi. Ridacchiò quando lei lo ringraziò, la voce impastata dall’imbarazzo, per poi borbottare un grottesco ‘Non dovevi, comunque’.
Restò abbracciato a lei per tranquillizzarla e si soffermò sul cielo sopra di loro. Desiderò poter vedere tutte le stelle del firmamento.
- Ti ricordi le notti che passavamo a guardare il cielo da bambini? A Gary si riuscivano a vedere più stelle rispetto che qui. - disse lei dopo qualche minuto.
Sbuffò meravigliato e divertito. Ancora una volta, uno dei due aveva anticipato il pensiero dell’altro.
- Sono cambiate così tante cose da quel periodo. - mormorò. Sentì Jackie appoggiarsi di più a lui, le sue scapole incastrarsi sul proprio addome.
- E ne cambieranno altrettante Mike.
Rimase pensieroso, una domanda un pò ingenua sulla punta della lingua.
- Non ti fa paura il futuro? - chiese infine. Si sentì sciocco, ma lei non fece una piega.
- No. Il futuro ha paura di me. Se fra quarant'anni saremo ancora insieme, te ne accorgerai.  

Insieme.
Michael ripetè nella mente quella parola più volte, come una lezione da imparare, una verità da accettare. Scosse la testa, costernato.
- Certo che saremo ancora insieme, non dire sciocchezze.
Cercò di sorridere, ma sentiva la malinconia schiacciarlo come un macigno.

- Ci credi davvero Michael? - gli chiese lei. Non lo stava guardando, perché era sempre davanti a lui, ma era come se i suoi occhi lo stessero fissando. - Le cose cambiano velocemente, soprattutto per una persona che ha scelto questo tipo di vita. Le persone attorno a te arrivano e se ne vanno come niente. Tu credi davvero che riusciremo ad essere ancora insieme, in qualche modo?
Il soffio di vento leggero che li così in quel momento sembrava l’ausilio delle loro medesime sensazioni.
L'ansia del cambiamento.
Tutto attorno a loro mutava con la stessa facilità con cui il vento cambia direzione. Come fece in quel momento.
- Lo credo. Sei la persona a cui tengo di più al mondo, sei insieme a me da quando siamo piccolissimi. - Rispose senza pensare. Le parole gli erano uscite dalla pancia. - Certo che credo che saremo ancora insieme, anche se non so dirti in che modo. E dovresti crederci anche tu Jackie, dovresti avere un po’ più di fiducia. - Abbassò il tono. - Se non in te stessa, quantomeno in me.
Abbassò gli occhi fino a vedere le proprie mani cingere più saldamente la vita di Jackie, le maniche risalire leggermente fino a fargli scorgere una piccola macchia bianca sul polso che la camicia e l’orologio da polso non riuscivano a nascondere completamente.
Chissà quanto ancora si sarebbe allargata.
Chissà in quanto tempo il bianco l’avrebbe ricoperto totalmente.  
- Io non ti abbandonerò Michael. Credo a questo.
Tutto cambiava, senza sosta.
 
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Eccoci giunti alla fine. Grazie a chi è arrivato fino a qui. Spero vi sia piaciuto leggere questa storia quanto a me è piaciuto scriverla. Ci vedremo, spero presto, con la seconda parte.
Un ultimo grazie a Michael, il cui alter-ego immaginario e da me reinterpretato è il protagonista di questa storia. Grazie all'artista che ha ispirato la storia e mi ha aiutato in molti momenti di solitudine.
Buona luce a tutti!
  
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