Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: macabromantic    25/03/2021    4 recensioni
[ SPOILER ALERT: Stardust Crusaders / Stone Ocean / Diamond is Unbreakable || TW: ptsd / depression / flashbacks ]
[ Jotaro Kujo x Kakyoin Noriaki ]
...
Kakyoin aveva camminato fino alla stazione di Shibuya immerso nei propri pensieri. Arrivato al grande incrocio nel quale si snodavano numerose strade del quartiere alzò lo sguardo verso il semaforo.
Fu in quel momento che lo vide.
Alto, immensamente alto, sarebbe stato impossibile non riconoscerlo anche in mezzo a tutta quella gente. Sebbene fosse di un bianco smagliante, illuminato dai colori al neon che si mescolavano in piazza fra i toni del turchese e bluette, Kakyoin avrebbe riconosciuto quel cappello dovunque. Un cappotto lungo fino a terra, una pesante catena che scivolava dal lato sinistro del petto. Una sigaretta accesa tra i denti, la mano sinistra vicino alle labbra, quella destra infilata in tasca, una grossa busta di carta che pendeva dal polso.
Jotaro Kujo si trovava dall’altro lato della strada, con la fronte corrugata e gli occhi fermi sulle strisce pedonali. Quando il semaforo scattò dal rosso al verde, Jotaro sollevò lo sguardo e in quell’istante incontrò gli occhi di Kakyoin.
Il cuore gli si fermò nel petto, la sigaretta gli cadde dalle mani.
...
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Jolyne Kujo, Joseph Joestar, Jotaro Kujo, Noriaki Kakyoin
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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“And meanwhile, a whole lot goes down
Somewhere in the darkness, us together for a while
You loved it then, so did I
A feeling deep inside you wants to love it all again

Now don't leave it there, just give it a chance
If only I'd forget you after one last dance
But you're everywhere, yes you are
In every melody and in every little scar
Yes you are, you are, love”

– bridge from “Habibi” by Tamino


00.
Prologo


 
 
La mano destra di Kakyoin scivolava agile sul suo blocco da disegno. Ormai era da quasi dieci anni che non usciva di casa senza almeno un quadernetto per gli schizzi, non si poteva mai dire quando lo avrebbe colto l’ispirazione per un nuovo dipinto. Gli era capitato di doversi arrangiare con strumenti di fortuna, spesso era successo di armarsi di penna a sfera e tovagliolini del bar pur di non sprecare la bozza di un’idea. Con una matita sanguigna dalla mina morbida, sul foglio color avorio del suo blocco, Kakyoin tracciava ora linee ampie, ora tratteggi di chiaroscuri. Disegnava l’ombra del mietitore riflettersi su un parco-giochi pieno di coloratissime giostre, il tutto con punti prospettici che si mescolavano. Non esisteva un solo punto di vista, la cosa certa era che la morte si alzava in un grande slancio dal basso verso l’alto, la falce tenuta stretta in mano, la lama sporca di sangue. Guardando quella torva figura, Kakyoin aveva la sensazione di udire la sua risata derisoria riecheggiargli nel cranio.
Era talmente concentrato sul suo disegno da avere corrugato la fronte, le labbra serrate in uno strettissimo fascio di muscoli. Non respirava e il cuore bussava con forza dietro lo sterno come spesso gli capitava quando le immagini distorte dei suoi ricordi gli affollavano la mente.
Una goccia d’acqua cadde a bagnare il foglio destandolo dalla sua concentrazione.
«...Signor Noriaki?» Kakyoin alzò lo sguardo, una lacrima gli rigava il viso scivolando dall’occhio sinistro in prossimità della cicatrice che gli tagliava le palpebre, parte della fronte e dello zigomo. A chiamarlo era stato il signor Toshiba, un uomo gentile che sfiorava i sessant’anni, appassionato di arte contemporanea. «Va tutto bene?» domandò con un sorriso paterno riferendosi a quella lacrima che cadeva copiosa dall’occhio di Kakyoin. Lui dovette prendersi un momento per capire di cosa parlasse, poi si sfiorò il viso con il dorso di un indice e si rese conto che l’acqua che aveva bagnato il suo disegno veniva da lui.
«Ah...» sorrise con delicatezza, intanto dal taschino della camicia abbottonata alla coreana tirava fuori un fazzoletto di stoffa. Su di esso vi erano ricamate le proprie iniziali in bella grafia. «Sì, non è niente. È colpa delle cicatrici, di tanto in tanto si accumulano i liquidi nel dotto e inizio a lacrimare. Ormai non ci faccio più caso.»
Toshiba annuì intrecciando le mani sul tavolo.
«Capisco.» Con due dita sistemò gli occhiali sul naso spingendoli verso la fronte. «Ma tornando a noi, cosa ne pensa?»
Kakyoin contrasse le sopracciglia mentre tamponava l’angolo interno dell’occhio che aveva finalmente smesso di lacrimare.
«...di cosa?»
«Della nostra offerta!» Il signor Toshiba iniziava a perdere la pazienza, tante piccole rughe d’espressione si sommarono a quelle dell’età tra la fronte e le code degli occhi. Si ricompose con un sospiro, allentò leggermente il nodo della cravatta. «Signor Noriaki, glielo ripeto un’altra volta: il direttivo del MOMAT1 è interessato ad esporre in via temporanea alcune delle sue opere più significative degli ultimi cinque anni, si potrebbe persino discutere di un’esposizione permanente per alcuni pezzi.»
Kakyoin annuì con lentezza, gli occhi si abbassarono sullo schizzo. Nella goccia della propria lacrima la carta si era arricciata creando una serie di grinze poco distanti dalla faccia del mietitore, un dettaglio che si sarebbe potuto mantenere anche nel dipinto che avrebbe poi fatto su tela.
«Quando sarebbe possibile esporre?»
«Stavamo pensando a questa primavera.»
Kakyoin ci pensò un momento, poi scosse il capo.
«No, è troppo presto. Non è possibile attendere fino alla fine dell’estate?»
La richiesta di Kakyoin fece inarcare un sopracciglio al direttore artistico del museo.
«Posso chiederle come mai questa richiesta?»
«Devo ancora ultimare dei dipinti, in più vorrei che l’esibizione temporanea durasse cinquanta giorni esatti, non un giorno di più, non un giorno di meno.»
Toshiba lo ascoltava con attenzione, prendeva appunti su un’agenda ordinata.
«Capisco, allora le–»
«Un’ultima cosa, vorrei scegliere io il dipinto da esporre in maniera permanente e il nome della mostra.»
Toshiba si illuminò in un sorriso leggero.
«Oh, ha una proposta?»
Kakyoin annuì.
«Per il momento mi interessa che venga esposto l’arcano maggiore che rappresenta le stelle.» Toshiba riprese a prendere appunti, Kakyoin puntò il gomito sinistro sul tavolo e sul palmo della mano posò il mento. Guardava fuori dalla grande vetrata di Starbucks, quella sera le strade di Tokyo erano particolarmente trafficate, gente indaffarata a fare le ultime compere dell’anno. «E il nome della mostra sarà Stardust Crusaders
Appuntato anche questo nella sua agenda ben rilegata in pelle, il signor Toshiba annuì con un sorriso soddisfatto e infilò la penna a scatto nella tasca interna della giacca, infine si alzò e porse la mano tesa a Kakyoin. Questi si alzò a sua volta, un sorriso tiepido a stendere le labbra, e strinse la mano dell’uomo.
«Signor Noriaki, allora direi che per oggi è tutto. La ricontatterò non appena dal museo avrò avuto notizie sulla disponibilità delle date per quest’estate.»
«La ringrazio, signor Toshiba.»
Quando il direttore si fu allontanato, Kakyoin tornò a guardare la bozza che aveva disegnato quasi senza rendersene conto. In alto, nell’angolo destro della pagina, c’erano appuntate delle parole con calligrafia distratta, cose che aveva detto Toshiba sul museo e sui dipinti, qualche ideogramma lasciava intendere che aveva parlato della posizione e della disposizione. Solo ora che le rileggeva Kakyoin si rese conto che molte di quelle condizioni non gli stavano bene, doveva avere avuto un altro dei suoi momenti di estraniamento. Sospirò con forza, chiuse il blocchetto da disegno e lo ripose nella sua tracolla in cuoio. Sebbene fossero passati dieci anni dall’Egitto, Kakyoin continuava ad avere momenti dissociativi che lo portavano a non rendersi conto della realtà circostante. Spesso accadeva prima di avere la visione che si sarebbe poi trasformata in un disegno, peggioravano ogni volta che si avvicinava l’anniversario di quella atroce ricorrenza, ma ora non aveva senso. L’anniversario era lontano.
Raccolse il resto delle proprie cose in silenzio, indossò il proprio cappotto di un intenso verde bottiglia e si avvolse nella sciarpa color crema che gli proteggeva le labbra e il naso. Quando si immise sul marciapiede venne investito dall’aria pungente di Tokyo, quell’anno l’inverno era particolarmente freddo. Aveva nevicato spesso, negli ultimi giorni le belle giornate avevano fatto in modo che la neve si sciogliesse ma restava raggruppata in piccole chiazze sui marciapiedi e sui rami spogli degli alberi. Stringendosi nella giacca, scavando con il naso fra le pieghe della sciarpa, Kakyoin si mescolò silenzioso nel chiacchiericcio della gente. C’era chi rideva, chi parlava a voce alta, chi aveva fretta e chi camminava distratto, chi da solo, chi in compagnia, chi con il proprio cane. Chi, come lui, non vedeva l’ora che questo periodo passasse e basta.
Il Natale gli aveva sempre messo tristezza. Era una festa che la sua famiglia festeggiava regolarmente, a casa si invitavano tutti i cugini e la mamma preparava da mangiare per tutti. Ciò nonostante, Kakyoin si sentiva solo, spesso restava da solo anche quando i suoi cugini giocavano dopo aver mangiato. Quel senso di solitudine lo aveva accompagnato per anni con l’impressione che Hierophant Green fosse il suo unico amico e per di più immaginario, un amico inquietante, che non parlava, che lo osservava standogli sempre accanto, un amico che non aveva creato lui. Solo molti anni dopo, grazie a quella maledetta esperienza in Egitto, aveva scoperto che il suo Hierophant era un dono, ma si era rivelato presto anche una maledizione. Da dieci anni aveva smesso di evocarlo, lo tratteneva rinchiuso nella scatola delle memorie insieme a tutto ciò che era successo.
Sebbene non amasse il Natale, non lo disprezzava neppure. Attendeva che passasse come si attende che tornino a sbocciare i fiori da sotto la neve, un inevitabile passaggio che avrebbe portato alla rinascita.
Kakyoin aveva camminato fino alla stazione di Shibuya immerso nei propri pensieri. Arrivato al grande incrocio nel quale si snodavano numerose strade del quartiere alzò lo sguardo verso il semaforo.
Fu in quel momento che lo vide.
Alto, immensamente alto, sarebbe stato impossibile non riconoscerlo anche in mezzo a tutta quella gente. Sebbene fosse di un bianco smagliante, illuminato dai colori al neon che si mescolavano in piazza fra i toni del turchese e bluette, Kakyoin avrebbe riconosciuto quel cappello dovunque. Un cappotto lungo fino a terra, una pesante catena che scivolava dal lato sinistro del petto. Una sigaretta accesa tra i denti, la mano sinistra vicino alle labbra, quella destra infilata in tasca, una grossa busta di carta che pendeva dal polso.
Jotaro Kujo si trovava dall’altro lato della strada, con la fronte corrugata e gli occhi fermi sulle strisce pedonali. Quando il semaforo scattò dal rosso al verde, Jotaro sollevò lo sguardo e in quell’istante incontrò gli occhi di Kakyoin.
Il cuore gli si fermò nel petto, la sigaretta gli cadde dalle mani.
Dopo dieci anni, quando credeva ormai di aver smesso di pensare a lui, il destino gli aveva portato davanti l’unico uomo che avesse mai amato.



 
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 N.d.A.:
 
1: il più famoso e importate museo d’arte moderna a Tokyo

Buonasera ♥ bentornat* nelle note d'Autore!
Sorprendentemente mi sono decisa a pubblicare anche questa storia. La sto scrivendo pian piano, senza pretese e senza darmi una vera scadenza a livello di pubblicazione - ciò nonostante cercherò di pubblicare ogni giovedì, se un giovedì dovesse saltare ci si vede direttamente la settimana successiva.
Ho scelto di adottare Kakyoin come nome e Noriaki come cognome per pura comodità stilistica, spero questa cosa non disturbi troppo. Semplicemente mi suona meglio--- 
Alcuni frammenti della storia, fra cui il titolo, sono ispirati alla canzone citata nel prologo: Habibi di Tamino Amir

Concludo lasciandovi il link di un'altra storia che sto scrivendo, specie se siete amanti della BruAbba: Come una volta - macabromantic
Se avete commenti, pareri o consigli, non esitate a farmi sapere!

A presto,

iysse ♥

 
   
 
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