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Autore: Moonfire2394    26/03/2021    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
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 AVVISO PER I LETTORI: Non ci crederete mai, ma questa è davvero la fine. Non vi sto trollando per l'ennesima volta. A dire la verità non ci credo nemmeno io. Godetevi l'ultimissimo paragrafo e ci vediamo sotto per le considerazioni finali! Se vi siete persi le parti 1 e 2 del prologo con i POV di Gab, Morgana, Fabiano e Leona, andate a recuperare!

Leona

Leona era in cerca di risposte. Se solo avesse conosciuto le domande. Le sembrava di avere una miniera di gnomi che le picconava nella testa alla scoperta di minerali nuovi. Un ricordo se ne stava lì ad aleggiare nel labirinto della sua mente come uno spettro inafferrabile a cui non avrebbe mai potuto dare un volto. Si pizzicò il cavallo dei pantaloni per farli cadere meglio su di lei mentre pendeva a testa in giù dal ramo di un abete, grata di aver lasciato le gonne alle borghesucce di provincia, e sfrecciò fra le tenebre beneficiando della ritrovata comodità della sua tenuta da protettrice. Il bosco aldilà dello Specchio era per lo più afono se non per i lievi fruscii delle creature sonnambule che montavano di guardia. Leona saltava da un albero a un altro altrettanto silenziosamente, provando ad adattarsi al suo nuovo universo tattile in cui era costretta ad esplorare il mondo con un guanto a mediare fra il suo tocco e tutto il resto.
«Sono troppo cresciuta per giocare nascondino» urlò alla notte non così forte da allarmare il gufo che sonnecchiava in cima al suo trespolo ricurvo «So che siete qui. Venite fuori e facciamola finita». Si lanciò dal suo covo di foglie, roteò per aria e atterrò una manciata di metri più sotto senza disturbare la polvere a disperdersi nell’etere. Non era una sua impressione. Il bosco stava fischiando. Un suono così tenue che nessun orecchio umano avrebbe potuto percepire, ma non quello di una Cacciatrice di vampiri. Il loro odore dolciastro di corpi in bilico fra la vita e la morte impregnava la corteccia degli abeti e l’umidità di quella sera non faceva che aumentarne l’intensità. Un tempo Leona lo avrebbe detestato. Ma quell’odio apparteneva a un’altra Leona, non le sembrava nemmeno più suo. Forse non lo aveva mai posseduto, per questo aveva bisogno di risposte, doveva esserne assolutamente certa prima di discuterne con suo fratello. Si disfò del cappuccio e frugò nel miele dorato degli occhi di Edward, il rosso vermiglio del sangue di quel vile stupratore lo aveva finalmente abbandonato. Il bianco della sua pelle combatteva tenacemente le tenebre della notte che lo avvolgevano, il suo miglior biglietto da visita s’incurvò lì, all’angolo della bocca. Ci sarebbero voluti ancora tanti anni prima di rendersi immune al quel dannato sorriso sghembo che le faceva imbizzarrire i palpiti nel suo petto. Col suo udito sopraffino doveva aver percepito quell’improvvisa accelerazione e comunque non c’era modo di sfuggirgli, era un lettore di menti fin troppo abile. Doveva rassegnarsi, mente e cuore erano sotto il suo giogo. Se non avesse odiato quel suo fottuto modo di farsi gli affari suoi, lo avrebbe quasi abbracciato. Quasi, ovviamente.
«Se c’è qualcosa che ti diverte, vorrei ridere anch’io Succhiasangue. In caso contrario ti sconsiglio di provocare una Protettrice nel pieno della frenesia della caccia, soprattutto se ti trovi sotto il suo mirino».
«Sono solo felice di vederti di nuovo in piedi, non mi stavo prendendo gioco di te» disse Edward scrollandosi alcune foglie secche rimaste incastrate fra i suoi capelli.
«E io sono felice che tu abbia abbandonato le tue discutibili abitudini alimentari. I poveri conigli lo saranno di meno».
Poi ci fu un tonfo.
«Lui preferisce i puma» la informò Emmet venuto giù all’improvviso da un punto impreciso della foresta.
«Avete mai sentito parlare di impatto ambientale?» commentò sarcasticamente Leona soppesando l’imponente muscolatura del vampiro. A proposito non era niente male…
«Abbiamo a cuore l’ecosistema ragazzina, noi cacciamo con coscienza, ed è un vero peccato che siano le specie sbagliate ad essere condannate all’estinzione» disse qualcun altro facendo un riferimento non troppo velato alla sua razza di super guerrieri. Quella voce melodiosamente astiosa la convinse a lasciar perdere l’oggetto della sua attenzione per traslarla su qualcuno di decisamente meno erculeo e più principesco, da fatina perfettina delle favole. Rose fra tutti i Cullen era quella che conosceva di meno, ma il cuore non le doleva affatto per questo. La sua bellezza ti scalfiva come un pugno ben assestato nello stomaco. Ovunque sbirciasse non vi era altro che perfezione statuaria, forme al punto giusto, capelli dorati appena cotonati dal parrucchiere e pelle così liscia e compatta da farti credere di non aver mai conosciuto le impurità cutanee. Quella spudorata bellezza le dava sui nervi, e Rose sembrava esserne consapevole da come gongolava sotto i baffi. Si posizionò al fiancò di Emmet in un chiaro gesto di marcare il territorio. Che cagnolina dispettosa…pensò segretamente Leona.  Edward, spettatore del suo monologo interiore, per poco non si affogò nella sua stessa risata. Rosalie lo fulminò atrocemente socchiudendo gli occhi dorati. 
«Vampiri ecologisti, vegetariani…» commentò Leona ad alta voce «Andateci piano con le virtù, la perfezione prima o poi stufa». Il ringhio sommesso di Rose la riempì di soddisfazione e avrebbe continuato a stuzzicarla se non avesse visto Carlisle e Esme avanzare verso di loro. Leona andò incontro ad Esme e ci si tuffò fra le braccia senza preoccuparsi delle dure conseguenze dell’impatto. Non sapeva ancora perché lo avesse fatto, non capiva perché avrebbe dovuto elemosinare l’affetto di quella  fredda creatura, ma lo voleva, ed Esme fu più che generosa nell’accontentarla. La teneva stretta a sé delicatamente per paura di far troppa pressione su di lei, le accarezzava i capelli e anche se non udiva nessun cuore battere, Leona era certa che se lo avesse avuto le avrebbe cantato all’orecchio il suo caldo benvenuto. Sapeva di gigli appena sbocciati e camomilla setacciata, odori leggeri che fungevano da miorilassanti ad ogni nuova zaffata. Esme le sollevò il guanto che nascondeva la protesi e le chiese «Come ti senti, bambina mia?». Era incredibile come anche una semplice domanda come quella riuscisse ad emozionarla. Leona si fece coraggio e glielo mostrò alla luce della luna. Il suo sguardo si contrasse e si morse un labbro, un vezzo così umano che le fece dimenticare di avere davanti un Immortale. Poi si aprì in un sorriso e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Sei stata molto coraggiosa Leona, devi essere fiera di quello che sei».
Leona ne era cosciente: quella non era sua madre e non lo sarebbe mai stata. Allora perché quelle parole la rimpinzavano di così tanto orgoglio da sentirsi scoppiare? Il colore dei capelli non corrispondeva, né quello degli occhi, la forma della mascella era più addolcita, gli zigomi meno pronunciati, il suo sorriso era fin troppo mieloso per ricordarle quello deciso della sua vera madre. Arianna era una guerriera, ed Esme era di quanto più lontano potesse essere da una combattente. Però non smetteva di pensare che il destino le stesse proponendo una seconda possibilità, voleva credere che quello fosse l’ultimo regalo di sua madre.
Poi Emmet la distolse dalle sue fatalistiche congetture «Ehi ma quel coso funziona? Insomma, non è troppo pesante per un esserino delicato come te?». Leona si sforzò di allacciare i nervi e i muscoli alle giunture metalliche della sua protesi, ignorando il fastidio che le procurava. Voltò piano la testa verso la montagna che l’aveva punta nel vivo del suo orgoglio piegandosi lievemente sulle ginocchia. «Mmm, non lo so. Vogliamo testarlo su di te?» disse prima di assestargli un pugno metallico fra gli addominali duri come pietra. Emmet venne sbalzato via dal colpo. Sorpreso e confuso si ritrovò a rotolare in un cumulo di terra che in quello svelto vorticare gli era finito pure in bocca. Infilò mani e piedi sotto il primo strato di terreno, strisciando dei solchi sulla sua superficie fino a fermarsi. Sputacchiò le pietruzze che aveva ingerito accidentalmente e scoppiò a ridere così forte da indispettire la famiglia di pipistrelli che si godeva la sua quieta nottata invernale. 
«Mi piace la bambolina, ha un bel caratterino» sentenziò tutto contento quando ebbe smesso di ridere.
«Attento Emmet» gli suggerì qualcuno che faceva la sua comparsa il quel grottesco teatrino di vampiri e cacciatori. La figura longilinea di Jasper si materializzò al fianco di Carlisle con le mani in tasca «Non tutti gli angioletti riescono con l’aureola…».
«Non avrà le ali, ma devi ammettere che si tratta di un angioletto con un bel paio di guanti. Anche quando si combatte lo si deve fare con stile» disse Alice spolverandosi la gonna distrattamente. Leona le fece l’occhiolino e lei ricambiò.
«Vedo che cominci a prendere confidenza» postulò Carlisle con un sorriso sornione «Posso vedere? Mmm…è davvero interessante. È un miracolo della biologia e della metallurgia che potrebbe rivoluzionare  il mondo della sinterizzazione organica… I due elementi non sono complementari eppure tu riesci a farli collaborare come un sistema d’ingranaggi ben oliato. Richiede un notevole sforzo, non è così?»
«Richiede una buona quantità di mana e concentrazione in effetti e ancora non riesco a percepire con certezza le cose che tocco».
«Col tempo riacquisirai anche il tatto, il tempo di capire come allacciare le terminazioni nervose ai filamenti all’interno della protesi, che a proposito dal punto di vista anatomico è perfetta. Non fraintendermi hai fatto un ottimo lavoro, ma con le tue capacità avresti potuto ricostituire ciò che avevi perso…Perché non l’hai fatto?»
«Presupporrebbe una conoscenza dei singoli tessuti e apparati di cui al momento sono sprovvista, non mi piace ammetterlo ma le mie conoscenze di medicina non sono sufficienti per cimentarmi nella neogenesi di un arto con tanto di ossa e vasi sanguigni e…insomma non me la sono sentita. Rischierei di fare un disastro e l’ultima cosa che voglio è che guardiano con disprezzo alle mie deformità.  Il metallo è decisamente più facile da maneggiare specialmente quando si trova allo stato fuso. La sua struttura molecolare reticolata è più schematica e intuitiva rispetto alla materia organica. Mi è più familiare insomma, non sono ancora pronta per questo» disse provando a muovere le dita.
Carlisle annuì serio senza aggiungere altro.
«Carlisle, tu però potresti istruirla?» propose Esme con entusiasmo.
«Io…non credo che sia…» cominciò a dire la protettrice prima che Alice la circondasse con le sue lunghe braccia spigolose «È già deciso! Sarà un piacere vederti gironzolare per casa! Certo non accadrà subito, almeno non prima che tu abbia terminato l’addestramento con Benjamin!».
«Cosa? Ma io…» balbettò ancora una volta interrotta nel bel mezzo della frase da un altro Cullen.
«Ah!» esclamò gioioso Emmet acciuffandola alla base delle ginocchia per portarsela sulle spalle «Almeno da tutta questa brutta faccenda abbiamo ricavato una adorabile mascotte!».
«Mettimi giù scimmione! O ti farò assaggiare un altro po’ del mio metallo» lo sgridò ridendo del suo incontenibile entusiasmo. Edward li osservava sorridendo addossato al tronco di un albero.
«Allora siamo tutti d’accordo!» esclamò Alice roteando nella sua gonna svolazzante di merletti.
Jasper a quel punto fece finta di tossire «Forse non proprio tutti…». Allora Emmet si girò istintivamente verso al sua compagna imbronciata come se fosse la metafora vivente del disappunto e fece scivolare Leona dietro la sua schiena.
«E dai Rose, non fare la solita guasta feste!»
«Chiedi al sole di non sorgere il mattino successivo, forse avrai più fortuna…» disse sottovoce Edward fingendosi disinteressato a quella questione. «Edward!» lo rimproverò amorevolmente Esme e lui scrollò le spalle in risposta.
«No, Esme. Questa cosa fra noi è sbagliata. Non sto dicendo di essere pentita di avervi salvato, lo rifarei ma in questo momento voi dovreste fuggire da me, dovreste temermi…»
Emmet roteò gli occhi «Adesso non esagerare…».
«Falla finire Em» gli chiese Edward con tutta la cortesia di cui fosse capace. Leona lo ringraziò con un breve assenso della testa. Poi riprese «Sto mandando a puttane secoli e secoli di regole e tradizioni, miti e credenze, e vogliate perdonarmi, ma voglio essere sincera con voi, non sono del tutto certa che qualunque cosa stia succedendo qui debba avere un seguito. Un equilibrio millenario sta per essere sconvolto…».
«Da ambo le parti».
Tutti i presenti si voltarono verso chi aveva parlato. Rose sembrava più interessata alla punta del suo tacco tredici ancora perfettamente lucido di lacca rossa, eppure era stata lei a pronunciare quelle parole.
«Anche noi stiamo rischiando molto più di quello che credi. La nostra libertà, la nostra segretezza non mi sembrano sacrifici che possano essere ignorati. Chi ci dice che tu non stia mentendo o stia facendo il doppio gioco? Hai detto bene: tu sei e rimarrai sempre una cacciatrice. E per quanto possiamo fare finta di giocare a fare gli amichetti, che cosa farai quando qualcuno di noi commetterà un errore? Te ne resterai lì a guardare e ti volterai da un’altra parte? Io non credo. Che cosa credi che il mondo giri attorno a te? Ricopro già io il ruolo dell’egocentrica in questa bizzarra famiglia, quindi siamo al completo. Non ti conosco e non muoio dalla voglia di farlo, ma so riconoscere un tipo che rimane fedele a se stesso e ai suoi principi quando ne vedo uno. Perciò smettila di emanare quell’aria martirizzata perché non ti crede nessuno. Se questo errore avrà un seguito lo faremo da entrambe le parti e ce ne assumeremo le conseguenze. Così siamo pari». 
Sei paia di occhi dorati guardarono la vampira con l’immobilità incorruttibile di una statua. Edward sospirò piano scuotendo la testa, gustandosi un divertimento tutto suo fatto di sfumature di cui gli altri non potevano godere. Le menti altrui dovevano essere una sorta di soap opera per il vampiro.
«Che cosa sta succedendo?» spezzò il silenzio Emmet. Alice lo guardò annoiata, girandosi una ciocca di capelli corvini fra le dita. Probabilmente aveva già visto la scena e conosceva il finale. Jasper la osservava chiedendosi a cosa stesse pensando.
«Amore, sei sicura di stare bene?» le domandò Emmet poggiandole una mano sulla schiena. Gli si rivolse con uno sguardo inviperito «Non sono un’ ingrata, va bene?» poi fece qualche passo verso Leona «Ti ringrazio per ciò che hai fatto per noi, io di certo non lo dimenticherò. Ma questo non significa che tu mi piaccia».
Leona si sollevò il cappuccio sul capo dandole le spalle, pronta per andarsene via. «Lo capisco Bionda, tranquilla» le disse come se fosse distratta da qualcos’altro.
«E cosa avresti capito?». Il tono acido con cui glielo domandò le fece intuire di aver conquistato la sua attenzione.
«Oh, non è ovvio? Ti senti minacciata» aggiunse fingendo un’ostentata innocenza da stralunata.
«Da te?» ringhiò lei in risposta.
«Vedi nessun’altra medjai stupenda da svenire in giro? Ti rode il fatto che crescendo potrei diventare più bella di te, ammettilo qui e ora e vedrai che il tuo ego dopo tutto non ne uscirà irrimediabilmente mutilato». Dopo qualche tenebrosissimo minuto di silenzio in cui tutti temettero il peggio, Rosalie scoppiò a ridere a crepapelle.
«Ma guardate la nanerottola, ha il senso dell’umorismo. È divertente! Propongono di tenercela come giullare». Sarebbe rimasta a scherzare con loro tutta la notte. Ormai era chiaro. Qualcosa in Leona, e in sua madre prima di lei, non funzionava come avrebbe dovuto.
Lei era cresciuta a pane e odio. Era nata dall’odio. Aveva un solo obiettivo, e non poteva semplicemente dimenticarsi di quanto avesse goduto nel mozzare le teste degli adepti di Ellak, non poteva ignorare quella languida oscurità che si nutriva del loro smembramento. E quel pensiero rintoccò, squillando nella sua testa: e se non fosse mio? Se fosse stata contaminata da qualcos’altro?
Edward la fissò serrando le labbra.  Aveva bisogno di rimanere sola con lui. Doveva attingere al suo pozzo della verità,  una polla che solo lui poteva concederle e con cui si sarebbe  potuta dissetare. Gli altri dovevano essersi accorti del suo improvviso disagio da come Leona si torturava la cucitura dei guanti.
«Fra un po’ uscirà il contingente notturno e non ho nessuna autorità per impedirgli di darvi la caccia. Farete bene ad andare e anche in fretta» li avvisò Leona scrutando in lontananza i bagliori frammentati della luna che si specchiava nel lago infranto dalla spuma della cascata. Quell’avvertimento le pungeva la lingua. Non riusciva a scacciare quella parte di sé in conflitto con la sua vecchia versione da macellaia di vampiri. «Quando avrò finito di compilare tutta la documentazione per il trasferimento ad Orione e ottenuto i permessi dalla commissione degli strateghi, ci incontreremo ad Menfi, ai piedi della vestigia del re Menes».
«Ci saremo» annuì Carlisle prendendo per mano la moglie. Poi sfrecciarono nella notte lasciando soltanto l’eco melodioso e canzonatorio di un “arrivederci cacciatrice”. Leona sospirò scostandosi una ciocca di capelli dalla faccia. Aveva sbattuto le palpebre solo una volta. Edward occupava il vuoto davanti a lei.
«Sei sicura?» le disse con un tono di voce carico di compassione. La cacciatrice si appese ai risvolti della giacca del vampiro e li strinse fra i suoi pugni guantati.
«Devo sapere» gli comunicò col pensiero.
«Non so se riuscirò ad accontentarti»
«Dimmi solo se il ricordo che ti mostrerò è reale. D’accordo?»
«Ci proverò». Leona non sarebbe mai stata pronta a rivivere quell’incubo. Le tremarono le gambe quando sprofondò nei meandri del suo familiare tabù, ma si fece violenza e lo riportò in vita denudando la sua coscienza di fronte a Edward. Si lasciò inondare ancora una volta da quel ricordo mettendo a tacere l’irrefrenabile voglia di soffocarlo, per non essere sopraffatta dal dolore. Le ronzava la testa per l’odore del sangue, ed Edward represse un ringhio. Cercò di focalizzarsi su altro, non era sua intenzione tentarlo in quel modo. Sentiva il peso inconfondibile di Symphony fra le mani. Le tende che svolazzavano, gli occhi spalancati di suo padre che fissavano la morte, i rantoli di sua madre sul pavimento scivoloso…e poi si sentì gelare. La fredda pelle del vampiro la bruciava come se avesse passato un dito su un fornello accesso. Ma durò poco. L’abbraccio di Edward si serrò su di lei e dopo qualche istante d’incertezza, il freddo smise di importunarla. C’era calore in quell’abbraccio, un calore che andava oltre la carne e che le aveva raggiunto l’anima.
Il vampiro, la sua occasione di vendetta era stretto a lei, avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento. Lei invece vi si aggrappò con tutto quello che aveva. Pianse sulla sua costosa camicia di lino, ma lui non protestò. Non si vergognava della sua vulnerabilità, le veniva naturale esporgli le sue debolezze. Avrebbe dovuto spaventarla eppure non provava altro che pace fra le sue braccia. Lui le sollevò il mento. Voleva ritardare il più possibile il confronto con quegli occhi d’oro galleggianti, perché in essi vi era scritta la resa dei conti.
Il suo sguardo era straziante, lo stomaco le precipitò sotto i piedi. «Tu sei l’unico a conoscere le coordinate dell’isola deserta in cui sono naufragata». Il suo dolore mutò presto in confusione nell’espressione del suo viso.
Edward la scosse dal suo torpore e le disse «Questo ricordo non ti appartiene. È come se ce lo avesse messo qualcuno. Non mi ero mai imbattuto in niente del genere. Sai questo che vuol dire?» le chiese teso per l’emozione «Leona, tu non hai ucciso tua madre, non eri lì».
Leona fu pervasa da un prorompente sollievo.
Le si diffuse nelle vene come linfa refrigerante.
Per anni, per tutta la sua vita era rimasta schiacciata dalla colpa del suo più grande peccato e il suo più grande rimorso, soltanto per scoprire che portava il peso di qualcun altro. Poi, finalmente, ricordò. Lei non aveva esitato, glielo aveva tolto dalle spalle volutamente. Lo aveva accolto, lo aveva fatto suo e ci aveva plasmato sopra i suoi pensieri, annodandolo nei recessi della sua memoria così in profondità da impedire a chiunque di tirarlo fuori. Forse allora non sapeva quanto l’avrebbe danneggiata, quanto l’avrebbe cambiata.
Lascia che prenda il tuo dolore… Non era solo una metafora fra loro.
Non poteva sentire la mancanza di una Leona che non sarebbe mai esistita. Quella Leona era morta con quel ricordo. Un ricordo che aveva depredato dalla mente di chi non era in grado di custodirlo. Una mente ancora acerba per contenere tutto quel dolore che l’avrebbe spezzata. Leona si rese conto di quanto ancora disconoscessero le reali potenzialità di quel flusso di coscienze denominato effetto osmosi. Quante altre possibilità si spalancavano davanti ai loro occhi increduli e in quante possibili forme avrebbero potuto usufruirne. La manipolazione dei ricordi andava ben oltre le sue capacità persino in quel momento, non avrebbe saputo come ripetere quell’esperimento. La spinta, il propulsore che lo aveva messo in moto era stato dettato da un forte stato emotivo, sfociato dalla profonda cicatrice traumatica che li aveva marchiati a vita. La magia dei medjai era fortemente legata alle emozioni, lo riconosceva oggi più che mai, specialmente dopo aver assaggiato l’energia rivitalizzante delle reliquie che gli permetteva un facile accesso al simulacro del loro potere.
«Ti sbagli» gli rispose dopo averci riflettuto abbastanza a lungo da giungere a quella conclusione «Per un po’ è stato mio. Quello che ho dovuto affrontare nel labirinto degli specchi non ha messo alla prova la mia purezza, la mia bontà d’animo o il mio coraggio. È stato molto di più. Fronteggiare la verità è di quanto più terrificante ci si possa ritrovare a combattere. Mia madre mi aveva chiesto di proteggerlo ed è ciò che ho fatto. É stato necessario, dovevo provarlo sulla mia pelle per arrivare a comprenderlo. Se non avessi pugnalato io stessa il cuore di mia madre, se non avessi sentito come ci si sente a farlo, se non avessi provato ciò che ha attraversato lui…probabilmente lo avrei odiato, come ho odiato me stessa per tutto questo tempo».
«E tu lo odi, adesso?» domandò il vampiro. Leona non si fermò nemmeno un istante a pensarci più del dovuto. Le si allargò un sorriso sulle labbra.
«Lui è il mio fratellino» affermò come se in quelle parole avesse racchiuso il senso della sua esistenza. «È un’estensione di me, è la parte che più amo. E so che per lui è lo stesso. Siamo fatti così, ci prendiamo l’una cura dell’altro, non importa quanto sia insopportabile il dolore che ci logora. Se lo portiamo in due, diventa inevitabilmente più leggero.»
Ci furono degli schiamazzi e dei fischi, chiaro segno che la caccia era aperta e che non poteva permettersi di rispettare nemmeno il giorno del lutto. Le persone continuavano a morire. La morte non andava mai in vacanza. Lì fuori ci sarebbe sempre stato qualcuno che avrebbe avuto bisogno dei protettori.     
Leona allora affondò il viso nella sua camicia, inspirò forte il suo odore e sorrise dove lui non poteva vederla. Non voleva staccarsi da lui, non voleva interrompere quella sessione di psicanalisi stravagante in cui non aveva nemmeno bisogno di parlare. Ma questa non sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero visti. Lui le alitò all’orecchio «Grazie, piccola tempesta». Il suo respiro era fresco, come ghiaccio che si scioglie sulla pelle.
«Di cosa?» aveva chiesto, ma ormai abbracciava il vuoto. Riabbassò le braccia, interdetta e delusa.
«Tutto a posto mia medjai?» sentì dire a un protettore che le si era avvicinato di soppiatto. Altri membri della squadra le aleggiarono attorno in attesa del suo responso. Leona pensò a quello che andava fatto. Avvertì il sapore di metallo in bocca e le sue nocche d’acciaio scricchiolarono.
«Sì, adesso va tutto bene» disse più a sé stessa che a loro. Corse via a grandi falcate e si tuffò dalla cascata, infrangendo la superficie dello Specchio. Ma quella volta, quando i flutti del lago la accolsero dentro il suo ventre freddo e spumoso, lei non ebbe paura.
********
Il naso congelato dalla brezza mattutina di Fabiano era premuto contro la gola di Leona. Le spostò un boccolo nero, sfruttando ancora una volta l’occasione di accarezzarle i pochi scorci nudi che aveva da offrirgli, e lo sentì inalare ingorde boccate del suo profumo.
Le sue labbra schioccavano piacevolmente contro la sua pelle e la facevano tremare. I suoi baci infuocati e la sensazione delle sue mani ruvide e callose su di lei, curiose ed audacemente esploratrici come non si erano mai permesse di essere, tenevano i suoi pensieri al caldo, quasi febbricitanti. Averlo sotto di sé e sentire il martellante battito del suo cuore contro le costole, o sopra di sé, costretta fra lui e i fili d’erba luccicanti che le inumidivano i vestiti, in quel groviglio di corpi che studiava altri mille modi diversi di intrecciarsi, le facevano perdere il senso del tempo e della realtà.
Le sue dita sgusciarono sotto la sua maglietta per risalirle il ventre con una lentezza che la fece impazzire. I suoi timidi polpastrelli, ghiacciati tanto quanto il suo naso, tracciavano disegni fantasiosi lasciando scie infuocate al loro passaggio, e si arrampicavano su per le costole come se le contassero una a una, ma non oltrepassavano mai il confine concavo del ferretto del suo reggiseno, tenendosi rispettosamente ai margini. Lei lo sentiva che lo voleva, come lei avrebbe voluto allentare la cintura dei suoi pantaloni, ma forse i rantoli e i tremiti del corpo di Leona non erano abbastanza incoraggianti e convincenti per il ragazzo da spingerlo ad abbattere quella barriera fra loro.
E per il momento andava bene così.
Finché avesse avuto le sue morbide labbra su di lei non poteva esserci nulla di sbagliato. Leona non lo credeva capace di tanta passionalità, eppure la travolgeva senza lasciare spazio neanche al più frivolo dei pensieri. Lui in quel momento stipava tutto il suo mondo. Le loro bocche s’incontrarono di nuovo, abbracciandosi come due amanti separati da tempo, una danza sinuosa che non era mai sazia.
Una mano strisciò sotto la sua schiena, la sollevò da terra e lei s’inarcò contro il suo petto. Le sue cosce si serrarono attorno a suoi fianchi e  una rovente canicola estiva cominciò ad ardere nelle regioni più a sud del suo corpo quando si spinse verso di lui annullando ogni decorosa distanza.  Fabiano represse un gemito impastato di desiderio. Interruppe il bacio e si staccò da lei, straziandola come se le avessero tirato via le pelle di dosso. Le mani di Fabiano riposavano alla base della schiena di Leona, soddisfatte dei frutti di quella avventurosa ricognizione esplorativa. I cieli azzurri riarsi dal sole racchiusi dentro i suoi occhi per un breve attimo furono un miscuglio di follia e trionfo. Ma quella bramosia si spense piano piano soppiantata dalla sua pedante moralità che sapeva essere troppo scavata in profondità. Il suo sguardo appena socchiuso si fece sospettosamente divertito. Le baciò il mento, il naso e poi la fronte. Il rimprovero aleggiava nel suo mezzo sorriso.
 «Sei sleale» gli mormorò lui con le labbra premute sulla guancia prima di farla scivolare sul prato, lasciandola lì con la mente affollata dai dubbi. Si stiracchiò pigro come una gatto sonnacchioso, e se Leona non fosse stata prepotentemente distratta dai muscoli tesi delle braccia o dalla sua mano che faceva la ramanzina a quelle ciocche castane perennemente disubbidienti, avrebbe sicuramente trovato una risposta arguta da controbattere invece di cercare di dare una calmata ai suoi ormoni e gettare un secchio d’acqua gelata alla sua libidine.      
«Dove stai andando?» gli domandò senza nascondergli la delusione. Agonizzava per la mancanza del calore del suo corpo. Fabiano perlustrava pensieroso il precipizio della loro piattaforma galleggiante dalla cima delle rupe. I suoi contorni, adombrati da una timida alba che ancora indugiava dietro le montagne, sembravano linee così armoniose e perfette da farla dubitare che lui fosse reale. Sotto di lui si estendevano linee verdi di bosco che avviluppavano i tetti e le cupole delle cittadella appena restaurate. Ad est il vulcano sbuffava quietamente nugoli neri di cenere, accidioso come un gran visir adagiato su cuscini di tessuto broccato e perline intento a godersi la sua pipa fumante all’aroma di narghilè. 
Lo sentì sospirare «A volte penso che la tua bellezza sia la tua arma più subdola e affilata. Prima o poi riuscirò a guardarti senza che il cuore minacci di esplodere?»
«Spero proprio di no» sogghignò lei, compiaciuta più del lecito da quella confessione. Leona abbassò per un attimo gli occhi sui suoi guanti abbandonati sulla roccia, poi si diresse verso Fabiano e gli circondò la vita con le braccia, con la mano metallica premuta sul suo cuore. Ogni battito che le scuoteva l’acciaio era un piccolo trionfo per lei. Lui gli posò sopra la sua e intrecciarono le dita sul suo petto, con la testa di Leona che spuntava dalla spalla di Fabiano. Ammirò anche lei la vallata della sua infanzia e si unì alla sua nostalgia.
Fabiano le tracciò dei cerchi concentrici sul dorso metallizzato «Senti qualcosa?». Leona gli baciò la spalla e gli arruffò i capelli «Non quello che vorrei».
Fabiano la guardò stranito. Lei non leggeva il pensiero, ma conosceva così bene le sue espressioni che non aveva bisogno di altro per capire cosa gli passava per la testa.
«Hai fatto la cosa giusta, va bene? Lo sai che tuo padre non è esattamente nella mia lista degli amici del cuore, ma ne ho abbastanza di protettori morti. Stare al fresco è quello che gli serve, anche se dubito che persino i topi godano della sua compagnia. E non sentirti in colpa se desideri fargli visita, ha solo da imparare dalla tua compassione. Potrai solo essergli di esempio».
«Io non capisco…dopo tutto quello che ha fatto a me e alla mia famiglia. Forse Sara ha ragione, dovrei stare lontano da lui».
«Sara potrebbe avere ragione ma…fa solo quello che ti va» si raccomandò lei «so che ti suona strano, prima o poi ti ci abituerai».
Reclinò la testa all’indietro e socchiuse gli occhi «Non mi è mai piaciuto infrangere le regole».
Leona ghignò e raccolse i capelli in una coda «È un vero peccato, è così eccitante. Certo qualche volta può essere pericoloso ma…» mugugnò con il nastro in bocca.
«Pericoloso? Ho perso il conto di quante volte stavi quasi per morire, Lea. Hai persino ingoiato una pietra antichissima. E per che cosa?».
«Ho rimosso un elemento…compromettente dallo scenario. Tutto qua. Pensavo che la cosa non sarebbe stata permanente, ma mi diverte comunque l’idea dei miei nemici costretti a frugare nelle profondità della fossa settica del campo. Non troveranno nulla comunque. A quanto pare il ciondolo non si è dimostrato esattamente digeribile, suppongo che debba essersi fuso con i miei organi interni».
«Ti crea problemi?»
Leona ci pensò su «A dire la verità finché non l’hai tirato in ballo non ci avevo nemmeno pensato. Mi sembra tutto troppo tranquillo. È possibile che non abbia conseguenze? Se la sfortuna la smettesse di tormentarmi, non mi dispiacerebbe più di tanto».
«Non pensi che dovresti farti controllare?»
«Bene, bene, cosa sentono le mie orecchie…hai un medico da suggerirmi in particolare?».
Lui si avvicinò a un palmo da suo viso e annusò l’aria attorno a lei «Penso che tu l’abbia già trovato» poi abbassò un po’ la voce «Ti è rimasto il loro odore addosso».  
Leona si mordicchiò l’interno guancia «Posso contare sulla tua discrezione?»
«Solo se mi prometti che resterai…» le propose lui prima di essere interrotto dallo schiocco della sua lingua.
«Niente ricatti, signorino. Ormai la decisione è presa. Porterò Morgana con me in Egitto, baderà lei a me. Non ti basta? E poi nulla ti impedisce di venirmi a trovare ogni tanto»
«Leona…» sospirò lui massaggiandosi le palpebre.
«Che c’è?» sbotto lei.
«A me puoi dirlo…»
«Senti, se non ricordo male è il tuo migliore amico…potresti fare uno sforzo una volta ogni tanto! Non ho idea di che cosa abbia Gab» mentì.
«Non deve essere stato facile nemmeno per lui, ma ultimamente mi sembra persino più freddo di quando ho finto di rompere il nostro legame per fargli credere a lui e Frieda che il ciondolo fosse autentico …»
«Vuoi dire quando Gab stava per mandare tutto il nostro piano all’aria?». Leona raggelò al ricordo di suo fratello che si puntava Symphony dritto al cuore…
«Quella dannata spada…» mormorò Leona calciando un ciuffo d’erba.
«A proposito di Symphony…» esitò lui «c’è una cosa che devi sapere». La protettrice s’incuriosì parecchio «Parla» lo incitò.
«Prima vorrei però che rispondessi tu a una domanda». Un frammento roccioso si staccò dalla pietra calcarea e cadde nel laghetto in fondo con un tonfo. Uno dei cuori della protettrice cominciò a battere forte, ma non le sembrava il suo…
«Non ci hai mai raccontato come hai ottenuto il ciondolo blu. Io ti ho trovato con la pietra in mano e una grave ferita all’addome. Che cosa ti è successo?»
«Immagino che sia arrivato il momento di togliersi tutti i sassolini dalle scarpe» gli concedette la medjai, tremante come una cantante dietro le quinte al suo primo debutto. Non aveva senso rimandare l’inevitabile. Deglutì, scegliendo con cura le parole giuste.
«Ho rivisto i miei genitori»
«Cos…come?» chiese lui turbato.
«Loro…non so come hanno potuto interagire con me. Pensavo che quello nello specchio fosse un ricordo ma…forse non lo era del tutto. Il labirinto di specchi è di sicuro la più crudele fra le prove del Tempio dei segreti. Mi ha costretto a rivivere un momento che non avevo voglia di riesumare, ma senza volerlo mi ha addolcito la pillola. Era il giorno dell’incendio. Non so dirti se sia accaduto veramente, voglio credere che sia così, perché è stato bellissimo poter riabbracciare i miei genitori e poter dare il mio ultimo addio. Loro mi hanno detto delle cose, sono stati la chiave di tutto. Probabilmente senza il loro intervento non avrei mai capito.
«Lo zio Mark e Bernardo decisero di sostenere la mia versione e dissero che fui vittima dell’incendio, che dovetti assistere alla morte di mamma e papà, ma le cose non andarono esattamente così. Quei vampiri avevano messo  a soqquadro tutta la casa in cerca delle reliquie quando ormai le avevano portate via. Mio padre pagò con la sua vita per difendere la mamma e nonostante questo lei andò incontro a un destino di gran lunga peggiore. Uno di loro l’aveva morsa e la trasformazione era in pieno atto. Mia madre mi supplicò di mettere fine alle sue sofferenze…».
«Cristo Santo…Perché non me lo hai mai detto?» mormorò Fabiano perdendo il rossore delle guance. Le aveva preso la testa fra le mani e con i pollici le solleticava il viso.
«E da dove avrei dovuto cominciare?» chiese lei con filo di sarcasmo «Sai Fabiano, quando ero piccola ho trovato una spada per terra e ci ho infilzato il cuore di mia madre…». A quel punto il singhiozzo le si strozzò in gola. Leona lesse il terrore nei suoi occhi.
«Quindi tu l’hai…»
«Sì» sputò fuori con l’ultimo briciolo di forze che aveva «Ho ucciso mia madre». Dirlo ad alta voce non fu così difficile come pensava, adesso che la sua lingua si era sciolta. Si liberò del tocco caldo delle sue mani e puntò il suo sguardo da un’altra parte, lì dove vi fu il rombo di un’altra frana. «Era quello che voleva…Ho dovuto farlo. O almeno è quello che ho creduto fino a oggi».
«Che cosa vuoi dire?» le chiese lui seguendo il suo sguardo. Adesso entrambi i cuori battevano all’impazzata. Leona fece una pausa e scosse la testa. Non aveva più lacrime da piangere «Hai mai sentito parlare di amnesia dissociativa? É un disturbo che porta a dimenticare un evento fortemente traumatico».
«Quindi tu non ricordavi…»
«Non ero io a non ricordare» disse lei freddamente. «Il meccanismo non è proprio simile all’amnesia dissociativa, quella è stata più una conseguenza secondaria, ovviamente l’effetto osmosi è molto più complesso, ma l’analogia serve al suo scopo. In parole povere ho assorbito un ricordo che non era mio e l’ho rimodellato a mio piacimento in modo tale che tutta la sequenza degli eventi fosse perfettamente plausibile. Sono anche riuscita ad arricchirlo di particolari che non si sono mai verificati nella realtà. Come ad esempio la mia presunta febbre o la passeggiata in giardino…era tutto capovolto, niente di tutto quello che mi suggeriva la mia mente mi aveva riguardata direttamente. Si è trattato di una semplice traslocazione di memorie, uno scambio di ricordi non particolarmente equo».
«Io non capisco…ma se il ricordo non era tuo, allora…»
«Devi essere proprio ottuso Fabiano. Ci sono arrivato persino io» li interruppe una voce incolore e vuota. Fabiano sembrò accorgersi per la prima volta della presenza di suo fratello Gabriel. Leona, invece, sapeva fin dall’inizio di non aver un solo spettatore. Il mutualismo del loro legame gemellare lasciava davvero poco spazio alla segretezza, avendo sotto stretto controllo la frequenza cardiaca dell’uno e dell’altro. La protettrice si mise le mani nelle tasche della mantellina e sollevò il mento verso suo fratello.
«Ed ecco svelato il mistero della sua evasività» gli disse aspramente, guadagnandosi un’occhiata furiosa da parte sua. «Ma che stronza…».
«Sarò anche una stronza Gabriel, ma meglio di essere codardi! È davvero una schifezza provare a dialogare con la propria sorella, meglio scappare, giusto? Credevi davvero che tenermi fuori dai tuoi pensieri mi avrebbe impedito di capire? Prima di essere dei dannatissimi medjai, condividiamo lo stesso DNA fratellino, che ti piaccia o no ti leggevo dentro ancor prima che cominciassi a sbavare la pappa sul bavaglino. Ogni piega delle tue labbra, ogni alzata di sopracciglio non è altro che parte di un linguaggio che ho imparato a decifrare ancora prima di scoprire quello che eravamo. Ti ho solo lasciato il tempo per elaborare il tutto».
Gabriel aggrottò le sopracciglia e produsse un suono a metà tra una risata e un colpo di tosse «Elaborare? Elaborare? Leona non sono una stracazzo di macchina sputa calcoli! Qui sotto c’è carne, ossa e il mio…i nostri cuori» si corresse all’ultimo secondo «anche se comincio a pensare seriamente che il tuo sia davvero fatto di materiale sintetico…» .
«Non ci posso credere!» urlò Leona cercando l’appoggio di un Fabiano in palese disagio «Lo ha detto sul serio? Hai proprio un bel coraggio!».
«Dio, che cosa vuoi da me?» le sbraitò lui ancora più forte «che ti chieda scusa per aver ucciso la mamma, una bella pacca spalla e vissero felici e contenti? Non è così che funziona, cazzo! Io lo sapevo che era stata Symphony a ferirti…l’ho sempre saputo».
«È vero?» cercò conferma Fabiano girandosi verso Leona.
Lei ricordò il momento esatto in cui la sua versione bambina con le mani insanguinate veniva rimpiazzata da quella furibonda del fratello, pronto a difendere l’intrusa che si era appropriata della sua memoria. Lui stava andando lentamente in pezzi sotto il peso della spada che impugnava fra le sue fragili manine. Scivolò nel sangue della mamma, ma il piccolo scacciò le lacrime sbattendo le ciglia, si rialzò e caricò verso di lei proprio mentre lei cercava di strappare il ciondolo della luna dalle dita intirizzite dalla morte di Arianna. Il momento dopo si trovava nella caverna, circondata dall’ossario più fornito che avesse mai visto, con la sensazione di avere ancora la spada incastrata dentro la carne…
Alla protettrice non rimase che annuire «Non sapevi che ero io, volevi solo difendere la mamma…».
 «Io non riesco nemmeno più a guardarti negli occhi senza che…senza che…». Gabriel si acciuffò i riccioli e si piegò sulle ginocchia. Il suo viso luccicava di lacrime.
«Gab, cerca di calmarti…» tentò Fabiano con le mani sollevate come se stesse tentando di convincere un ordigno a fermare il suo countdown.
«Calmarmi?» domandò Gab. Uno spettro di follia vorticava nei suoi occhi blu. «Non hai sentito quello che ho detto? Sono un assassino, uno schifosissimo, fottuto assassino. No, non ti avvicinare…» lo ammonì facendo un passo indietro.
«Adesso basta!»  la rabbia esplose e Leona tirò un ceffone a suo fratello. Gab fece combaciare il palmo con lo schiaffo rovente impresso sulla guancia e guardò sua sorella attraverso un velo di lacrime.
«Mi merito di peggio. Io ti ho rovinato la vita…non c’è dolore che possa prendere sulle mie spalle per eguagliare ciò che ho fatto…Mio Dio, mamma perdonami».
«Mamma ti amava più di ogni altra cosa Gab ed era fiera di te.»
«Te lo ha detto lei?» tirò su col naso.
«Ma certo che lo ha detto tontolone. Non capisci, vero? Hai rispettato le sue volontà, non c’era miglior modo di onorarla. E poi io non voglio niente in cambio.» disse la sorella tirandogli un ricciolo «Mi dispiace solo che tu l’abbia dovuto scoprire così».
«E a me dispiace che tu abbia dovuto patire il mio dolore per tutti questi anni, tutta da sola…».
Leona incastrò il pollice sotto la cucitura della manica e glielo strofinò sotto gli occhi del fratello «Il nostro, Gab. Il nostro dolore. Ma è tempo di lasciarcelo alle spalle, non credi anche tu?»
Lui si morse il labbro tremante e si lasciò rimettere in piedi. Poi senza nemmeno lasciarle il tempo di capire, Gab la ingurgitò dentro il suo abbraccio. Restarono così per un po’, in silenzio, mentre i raggi del sole albeggiavano su di loro e gli riscaldavano la pelle sotto i vestiti.
«Hai intenzione di rimanere a guardare tutto il tempo?» gli domandò Gab a Fabiano che se ne era rimasto in disparte pur di non disturbare la loro turbolenta riconciliazione. Gab e Leona aprirono le braccia e lo invitarono ad entrare nel loro amplesso. «Vieni che ce n’è un po’ anche per te»
Lui li guardò entrambi ed esclamò «Siete i gemelli più pazzi dell’universo. Ma non vorrei mai averne incontrati altri». E si precipitò da loro, allacciandosi a quella catena indissolubile. Stavano bene così. Non avevano alcuna intenzione di interromperla e non lo avrebbero fatto ancora a lungo se solo il richiamo dell’aquila che volava su di loro non avesse indotto le loro teste a scattare verso l’alto. Il verso del rapace fece a brandelli il silenzio della valle e lo ricolmò di vita.
Leona lo ascoltò ancora e ancora, impazzendo dalla gioia. Suoi volti di Gab e Leona nacquero due raggianti sorrisi gemelli.
«Perché state ridendo?» le domandò Fabiano «che cosa ha detto Edna?».
«L’ha trovata…» sussurrò Gab.
«Chi?»
«Caterina» disse Leona terminando la frase del fratello. I tre si sollevarono i cappucci sulle teste nello stesso istante. L’akasha non c’entrava nulla con quel bizzarro collegamento telepatico. Si trattava di una magia ancora più potente e inarrivabile: l’amicizia.
«E adesso che si fa?»
Leona avanzò convinta, sapendo che l’avrebbero seguita ovunque fosse stata la sua destinazione.
«Adesso…ce la andiamo a riprendere».

 
ULTIMO ANGOLINO DELL'AUTRICE ( O FORSE NO...)Ed eccoci arrivati alla fine di questo lungoooooooooo percorso! Sono perfettamente consapevole che la fanfiction navighi in un oceano di errori, a partire da quelli ortografici (qualche refuso) e di forma, per finire con quelli  più strutturali, quali la trascuratezza del worldbuilding, degli aspetti socio-economici e religiosi, e la mancata caratterizzazione dei personaggi, per non parlare della mostruosa lunghezza della storia che potrebbe essere tagliata in più punti. Nonostante ciò sono soddisfatta di essere giunta fin qui e poter mettere finalmente dopo un lunghissimo anno un punto bello e buono. 
Da come avrete notato, molte porte sono state appositamente lasciate aperte perchè proggetto di fare dei sequel. Ho già in cantiere il secondo capitolo che intitolerò "LA REGINA DI VOLTERRA", ambientato più o meno cinque anni dopo, dove i nostri protagonisti saranno decisamente più maturi, i Cullen saranno molto più presenti e verrà introdotta (come suggerisce il titolo) l'intera corte dei Volturi. Ho già a grandi linee la storia in mente, ma ci vorrà del tempo per metterla in piedi, soprattutto perchè vorrei evitare di commettere gli stessi errori presenti in questa prima ff.  
Che dire! Spero che la storia vi sia piaciuta in qualche modo. Ringrazio di cuore tutti quelli che mi hanno seguita fin qui e sappiate che non è la fine (ihihihih - risata malefica).

PS. Vi lascio qui di seguito un elenco con il fan-cast di cui mi sono servita per dare vita ai miei personaggi (ovviamente immaginateveli un po' più adolescenti):

Leona: ho trovato la foto di una ragazza su pinterest, purtroppo non so il nome, ahime.
Gabriel: Alex Rodriguez (è comparso nel video di Hot n Cold di Katy Perry)
Fabiano: Liam Hemsworth
Morgana: Bella Thorne
Norman: Daniel Sharman
Fabrizio: Dylan O'Brien
Caterina: Maisie Richardson-Sellers
Marlena: Natalie Dormer
Ascanio: Tyler Lee Hoechlin
Il sire: David Bourne
Zio Marcellus: Dustin Lee Hoffman
Noah: Matthew Quincy Daddario
Davina: Emma Stone
Delilah: Margot Robbie
Frieda: Lucille Frances Ryan (alias Xena!)
Hilde: Yukie Nakama (immaginatevela bambina e con i capelli biondi xD)
Attila: Jason Momoa
Sibilla: Emilia Clarke
   
 
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