Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Spoocky    27/03/2021    3 recensioni
Post 2x12. Erwin è stato ferito gravemente da un gigante in una battaglia per salvare Eren. Levi ed Hange si prendono cura di lui nei giorni immediatamente successivi.
La storia è dedicata a Snehvide e partecipa all'Easter Advent Calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanart & Fanfiction
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Disclaimer: i personaggi riconoscibili appartengono agli aventi diritto.
Scrivo solo per piacere e non guadagno nulla.

A Snehvide, che spero apprezzi questo piccolo regalo.

Buona Lettura ^^


Erwin Smith affrontò a denti stretti la cavalcata di ritorno al Wall Rose.
Il braccio gli pulsava di un dolore sordo, specie nell’area stretta dal laccio che si era avvolto con i denti attorno al moncone per arrestare l’emorragia.
Cominciava a sentirsi debole e stordito, la vista gli si andava appannando. Ormai proseguiva per un puro sforzo di volontà.
I suoi uomini contavano su di lui: non poteva permettersi di cedere di fronte a loro e privarli della fiducia nelle, pur inadeguate, capacità del loro leader.
Solo quando giunsero sulla cima delle mura e smontò da cavallo l’emorragia e lo sforzo ebbero il sopravvento. Tutto intorno a lui venne consumato dal buio e dalle urla mentre crollava tra le braccia dei suoi subordinati, incapace di reggere oltre.



Servirono ben quattro uomini per sollevare il comandante Smith di peso e distenderlo su un carro, tale e quale ai feriti di grado inferiore. Il caposquadra Hange in persona si occupò di sfilargli l’imbrago e si tolse il mantello per piegarlo sotto la testa del comandante a mo di cuscino. Usò quello più ampio dello stesso Erwin per avvolgerglielo attorno alle spalle. Sia per tenerlo al caldo che per nascondere l’entità della sua ferita alla truppa ed ai cittadini curiosi che avrebbero potuto mettersi a sbirciare il rientro del Corpo di Ricerca.
Grazie al cielo era notte fonda e non ci sarebbe stata la solita folla ad accoglierli al ritorno.

Hange non aveva voluto soffermarsi con lo sguardo sull’orrenda lacerazione che deturpava il corpo del suo superiore, ma non dubitava che dovesse provocargli un dolore infernale.
Erwin però doveva essere troppo debole o troppo stanco, perché il suo volto cereo rimase immobile e non emise un gemito per tutta la durata del viaggio.
Al caposquadra non restò altro da fare che tergergli il sudore freddo dalla fronte con il proprio fazzoletto e sperare che Levi non fosse a conoscenza di quanto accaduto.
 


Per sua sfortuna, Levi in qualche modo era venuto a sapere della ferita subita da Erwin.
Appena il carro che trasportava il comandante ferito svoltò nel cortile interno del Quartier Generale del Corpo di Ricerca, Hange lo vide usare la gamba sana per prendere ostinatamente a calci una cassa di legno.
Il capitano stava borbottando qualcosa tra i denti ma, quando le ruote dei carri smisero di sbattere sui ciottoli, lo si sentì chiaramente esclamare: “Bastardo! Maledetto bastardo con la paglia nel cervello!” ogni parola fu sottolineata da un poderoso calcio.
Il caposquadra esitò un momento, in dubbio se ignorare il subordinato o se cercare di disinnescarlo in qualche modo.  Non riuscì, però, a venire a capo delle sue incertezze, perché Levi si girò di scatto puntando un dito accusatore nella sua direzione e sibilando minaccioso: “Tu! Idiota quattrocchi con la merda nel cervello! Come hai potuto permettere che si riducesse così?! Una talpa guercia ci vedrebbe meglio di te!”
“Calmati, Levi!” sospirò Hange smontando dal carro “E’ vivo e sta bene.”
“Col cazzo che mi calmo, quattrocchi di merda!”sbraitò il capitano portando, non per la prima volta, Hange a domandarsi come fosse possibile per un essere così piccolo emettere grida tanto potenti “Io non c’ero! Era tuo dovere proteggerlo ed impedire che facesse cazzate!”
“Come potevo impedirglielo, scusa?! Stavo troppo male per partecipare alla missione!”
“Basta litigare, voi due.” Proruppe una voce dal carro, una voce flebile ma tanto familiare da pietrificare i due soggetti belligeranti.
Senza aggiungere altro, i due saltarono sul carro e si chinarono sul loro superiore.

Erwin era, se possibile, ancora più pallido, e ansimava come se lo sforzo di pronunciare quella breve frase avesse prosciugato tutte le sue forze.
Levi si trattenne dal pestarlo solo perché si rese conto dello stato pietoso in cui versava: “Idiota bastardo!” furono le uniche parole che riuscì a proferire prima che la voce gli si spezzasse in gola.
Il comandante fece scivolare una mano tremante da sotto il mantello che gli avevano steso addosso per posarla sul ginocchio del suo capitano.
Rimasero così, in silenzio, per alcuni minuti.

Poi Levi afferrò il braccio superstite del suo comandante e se lo mise sulle spalle, tirandoselo addosso come se fosse un bimbo indifeso. Apparentemente indifferente al gutturale verso di dolore che emise il ferito, scosso dalla manovra.
“Fermati, Levi!” Tentò di dissuaderlo Hange “Vi farete male in due!”
“Va a farti fottere, idiota ipovedente! Non sono affari tuoi.” E scese dal carro con un balzo, ma la gamba ferita cedette sotto il peso combinato di entrambi.
Prima che qualcuno potesse intervenire, tuttavia, il caparbio capitano si raddrizzò e prese a trasportare il ferito semincosciente verso l’infermeria, sotto lo sguardo attonito dei membri superstiti del Corpo di Ricerca.
 


Quando Levi lo depose sul tavolo operatorio, Erwin era pallido come un fantasma e respirava con evidente fatica. Il volto apparentemente impassibile era contratto in uno spasmo perché, oltre il muro impenetrabile delle sue labbra esangui, aveva i denti stretti in una morsa.
Il personale medico accorse al tavolo con la rapidità di un branco di formiche che s’avventa sul miele.
Levi non arretrò di un passo, deciso a non abbandonare il fianco dell’amico e superiore. Osservò in silenzio mentre lo spogliavano, mettendo a nudo il suo ampio torace e le cicatrici profonde che lo straziavano, ricordo degli artigli di un gigante che lo aveva scaraventato lontano dal suo cavallo.

Era opinione comune che gli ufficiali superiori fossero mostri senza cuore che mandavano a morire i loro uomini senza rimorsi. Ciò che la gente non sapeva era che i comandanti non soffrivano meno dei soldati. Anzi: oltre al peso del dolore fisico vi era per loro quello della responsabilità del comando e la consapevolezza di aver ordinato la morte di tante persone.
Un peso nascosto fin troppo bene dietro lo sguardo in apparenza freddo di Erwin.

L’ampio torace del comandante s’alzava e s’abbassava in sussulti irregolari.
“Serve qualcuno che gli tenga su la testa: bisogna metterlo seduto. ”
“Ci penso io.” Intervenne Levi senza pensare.
La decisione con cui si mise in maniche di camicia e scattò verso il tavolo operatorio impedì ai medici di replicare. Gli fecero solo lavare le mani e raccogliere i capelli con una calotta simile alle loro prima di lasciarlo passare.
Con una delicatezza insolita per chi non lo conoscesse, il capitano passò la mano dietro la nuca del suo superiore e lo tirò a sedere, reggendogli la fronte nell’incavo del collo e prendendo la sua mano superstite nella propria.
Gli ansiti si trasformarono in grida di dolore mentre il movimento sollecitava la ferita.

Un’infermiera s’avvicinò con una siringa d’antidolorifico ma il comandante liberò la mano per fermarla: “Date… datela… ai soldati. Loro… ne hanno più bisogno.”
“E’ sicuro, comandante? L’intervento per ridurre un arto amputato è molto doloroso…”
“Fate come dice.” Insistette Levi “E’ un idiota, ma… fate come dice.”
La donna ripose la siringa ed estrasse una striscia di cuoio che aveva visto giorni migliori: “Almeno cerchi di mordere questa. L’aiuterà a sopportare il dolore.”
“Coraggio, vecchio.” L’apostrofò Levi aiutandolo a stringere il bavaglio tra i denti “Se non altro eviterai di morderti la lingua.”
“Noi siamo pronti, comandante.” Li informò il chirurgo. “Quando vuole.”

Erwin trasse un respiro profondo e annuì.
Solo Levi percepì il tremito che lo scosse da capo a piedi e strinse la presa sulla sua mano, tirandolo verso di sé e coprendogli il viso con il palmo per impedirgli di vedere.

Per prima cosa procedettero a pulire la ferita, inondando i tessuti superstiti con una soluzione salina. Il bruciore che ne conseguì fece scoprire i denti del comandante, che emise un verso gutturale a metà tra un conato ed un grido. Levi non poté far altro che passargli le dita tra i capelli e stringergli la mano, mormorandogli a mezza voce incoraggiamenti nell’orecchio.
Da lì in poi le cose peggiorarono ancora.
I medici impiegarono quasi mezz’ora a sbrigliare la ferita, liberandola di tutti i frammenti di tessuto necrotico, per poi ritrarre la pelle e creare un lembo sufficiente a permettere la copertura del moncone.
A quel punto legarono i vasi sanguigni e procedettero a regolarne la lunghezza.
Quando dovettero fare lo stesso con i nervi il dolore giunse al parossismo ed Erwin crollò inerte sul petto del capitano. La fronte, madida di sudore freddo, nell’incavo del suo collo.
Cullando tra le braccia il corpo tremante di Erwin, Levi ringraziò che avesse finalmente perso i sensi. Almeno non avrebbe sentito la lima che gli segava le ossa e non avrebbe visto cosa restava del suo braccio una volta concluse le suture.

Si rifiutò di lasciarlo andare anche quando lo spogliarono del tutto per lavarlo.
Si rifiutò persino di delegare ad altri quell’incombenza: passò egli stesso la spugna bagnata sul corpo prostrato del comandante, tergendolo con cura da ogni residuo di terra, sangue e sudiciume, lasciandolo tanto immacolato da far risaltare le cicatrici profonde che ne deturpavano la pelle chiara, scolorita dall’emorragia.
Era talmente concentrato che non si rese nemmeno conto del momento in cui finirono di medicarlo.
Si riscosse solo quando un infermiere grosso quasi come il comandante stesso lo prese per le spalle e, con garbata fermezza, lo allontanò perché potessero stendere Erwin su una barella e ricoverarlo in una stanza privata.

 


Steso immobile nel letto, gli occhi inesorabilmente chiusi, il comandante faceva, se possibile, ancora più impressione.
Era assurdo vedere una figura tanto imponente così debole da sembrare fragile. Gli avevano rimboccato le coperte fino alle spalle perché, a causa dell’abbondante emorragia, tremava di freddo. Se il viso non fosse stato così smunto, si sarebbe detto che stesse solo dormendo.
Levi avrebbe voluto abbandonarsi a quell’illusione, se solo lo sguardo non avesse continuato a cadergli sulla piega innaturale delle coperte, che scivolavano sul moncone, evidenziando inequivocabilmente un’assenza del tutto anomala.

Se non altro, Erwin sembrava riposare tranquillo. Era già qualcosa dopo tutto il dolore che aveva patito quel giorno.
Il ciuffo biondo gli si era scompigliato tanto da ricadergli sul viso e Levi si sporse per scostarglielo con il palmo. Il comandante esalò un sospiro, ma non riaprì gli occhi.
Il capitano sibilò un’imprecazione a denti stretti sentendo la pelle dell’amico sensibilmente più calda sotto il palmo. Visto che aveva avuto la geniale idea di andarsene in giro con una ferita spaventosa dopo essere stato masticato dalle fauci lerce di un gigante, la febbre era una conseguenza scontata, ma non si aspettava che insorgesse così presto.
La situazione doveva essere più grave del previsto.

Bussarono alla porta ma, al posto dell’infermiera che sperava di vedere, entrò Hange con una bacinella, una brocca ed uno straccio: “Sei ancora qui, Levi?” Il suo tono non era polemico, come invece si sarebbe aspettato lui, bensì gentile, addirittura premuroso.
Pur toccato dalle sue parole, Levi si guardò bene dal farlo notare: “Che cazzo ci fai qui, quattrocchi di merda? Vuoi dargli il colpo di grazia?”
Il caposquadra rise di cuore: “L’hai presa bene alla fine. Comunque, no: sono qui per darti il cambio.”
“Non te l’ho chiesto.”
“Infatti.” Rispose il caposquadra posando il suo armamentario sul comodino al capezzale del ferito “Ma sei ancora convalescente: hai bisogno di riposare.”
“Riposerò quando ne avrò voglia. Non puoi costringermi a farlo.”
“Hai ragione: non posso. E nemmeno voglio arrivare a tanto. Tu, però, cerca di ragionare: stai crollando dal sonno e non saresti utile a nessuno. “ indicò Erwin addormentato con un cenno del capo “Lui non vorrebbe che ti autodistruggessi.”
Colpito al cuore, Ackermann dovette distogliere lo sguardo per ostinarsi a non dargliela vinta.
“Almeno fatti una doccia.” Insistette Hange, ormai consapevole di aver avuto ragione “Sei stato con lui mentre lo operavano: sei sporco di sudore e sangue. Non è igienico.”
Il ringhio che proruppe da Levi diede solo una maggiore soddisfazione al caposquadra, che gli aveva rivoltato contro la sua ossessione per la pulizia: “Bada a te, talpa troppo cresciuta. Spero che sia ancora vivo quando torno o ti affetto e ti trasformo in mangime. Così finalmente coronerai il tuo sogno di diventare sterco di gigante.”
E se ne andò sbattendo la porta.

 
  
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