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Autore: Manto    27/03/2021    0 recensioni
(Tanti auguri, Edgar Allan Poe!)
Basta un mese per far cadere Richmond nel terrore: tra sparizioni e terribili rinvenimenti, racconti di sussurri in lingue sconosciute e mormorii riguardo entità inumane che dominano le strade e la notte della città, una sorte sempre più buia scende a gravare sui suoi abitanti.
Tra tali orrori, la storia di un ragazzo che con il mistero ci dialoga da anni, ma che ancora non sa cosa può fare veramente.
Fic dedicata all'autore che mi ha preso per mano undici anni fa, e alla sua amata controparte: entrambi, non sapete quanto mi avete salvato.
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edgar Allan Poe, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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II ☼ L’Ora della Luna (Parte II)

 

 

 

Se c’era una cosa che Edgar non sopportava, era il boato di una grande folla di persone: il vociare ininterrotto e disordinato, incontrollato e indefinito, era una continua stilettata alla sua timidezza, lo faceva sentire oppresso e gli instillava la voglia irrefrenabile di rifuggire tutti e trovarsi un angolo quieto dove lasciar passare la tempesta; né poteva aiutare il fatto che spesso gli argomenti trattati fossero molto lontani da qualsiasi suo interesse e quindi non riuscisse a trovare un modo per farsi coinvolgere da essi, con il risultato di venire ignorato i due terzi delle volte o essere additato come l’“inquietante”, “strano” o “incomprensibile” figlio di John Allan, quello che non faceva altro che scrivere per giorni e non permetteva quasi a nessuno di leggere quanto aveva creato, passava le notti a rimuginare su libri o storie di delitti, misteri e ombre, raramente si mostrava agli altri e solo il cielo sapeva in che genere di fatti era coinvolto.
L’esatto discrimine tra quanto ci fosse di vero in queste chiacchiere e dove iniziasse la pura speculazione, neppure Poe avrebbe saputo definirlo; ma quella sera le convinzioni di tanti avrebbero potuto vacillare, perché nonostante una metà di lui desiderasse allontanarsi dal caos crescente, l’altra non voleva staccarsi dalle stanze gremite di persone.
Rispetto a un mese fa, l’aria di Richmond era completamente cambiata a causa dei nuovi accadimenti, ma nelle ultime ore era nuovamente mutata: da quando era rientrato alla villa, la pelle di Edgar pareva sfrigolare sotto la sensazione elettrica che qualcosa sarebbe successo proprio lì, nella sua casa e durante la festa che John aveva organizzato per settimane — il felice esito di lunghi commerci va sempre onorato, e precipiti pure la città con tutte le sue pietre, i festeggiamenti si terranno! — e, nonostante lo spaventoso periodo, non voluto rimandare di un giorno[1]. In breve, sentiva che la sua presenza era necessaria, anche se si chiedeva il come e il perché.
Tormentandosi senza posa il papillon che Virginia gli aveva fatto indossare e cercando di svicolare alla curiosità di chi gli domandava se ci fosse anche la sua mente dietro i fortunati colpi di John, o se semplicemente si fosse finalmente deciso ad abbandonare un mondo di oscuri racconti per vivere nella realtà e obbedire maggiormente a suo padre[2], più di una volta gli sorse un dubbio sulle proprie percezioni; inoltre la cugina, l’unica che avrebbe potuto aiutarlo a sopportare il marasma, era stata rapita dalla signora Frances Allan e non era ancora ricomparsa, così da costringerlo in una situazione che faticava a gestire.
Probabilmente, se si fosse trovato in uno stato d’animo più disteso e meno vessato da chi gli era intorno, avrebbe notato immediatamente cosa avesse cambiato l’atmosfera, ciò che mancò per circa un’ora; oppure no, perché gli eventi hanno un modo tutto loro per manifestarsi, che nessuno può prevedere. Certo fu che, come si sussurrò senza realmente comprendere, in quell’occasione in molti ebbero l’impressione di essere osservati da un occhio invisibile e provarono l’impulso di lasciare la villa, per poi cambiare completamente idea.
Intanto, gli ambienti si stavano arroventando sempre più a mano a mano che le lancette correvano sugli orologi e i pendoli perdevano la voce tra altre mille, alleviando l’impeto di tanti e ricoprendoli di un’atmosfera sospesa, quasi irreale, dove tutto andava stemperandosi in fantasmi di luci e impressioni di un unico istante; e mentre Edgar riusciva a scovare un angolo quieto e vi si rifugiava per riprendere a respirare, si faceva strada in lui la profonda impressione di essere ancorato lì per cogliere gli uni e le altre — di essere l’unico, fra tutti, che poteva comprendere.
«Sotto certi aspetti non sei cambiato affatto, giovane Poe; ciò mi rallegra.»

L’unico, o quasi.
Il moro non riconobbe immediatamente quella voce, concentrato com’era a rincorrere quello che sentiva; ma percependo distintamente una piccola scossa attraversargli la spina dorsale — il suo cuore sapeva già chi aveva parlato — e volgendo lentamente il capo alla sua sinistra, Edgar incontrò gli occhi pieni d’intelligenza e calma di uno degli uomini che lo aveva sempre fatto tremare d’ammirazione; tra gli amici e i conoscenti di John, in assoluto il suo preferito e l’unico che sosteneva e apprezzava le sue opere, Frances e Virginia a parte. Proprio sua cugina aveva compreso bene, quindi, quando aveva udito i coniugi Allan citare il nome del distinto, alto signore che sorrideva al suo stupore: e Auguste Dupin[3] non aveva avuto alcuna esitazione nel partecipare alla festa, lasciando la sicura Parigi per addentrarsi nei misteri di Richmond.
Pensando a quanto conosceva dell’uomo, Poe si ritrovò a non esserne molto sorpreso, tuttavia perse gran parte del fiato che possedeva e riuscì solamente a sorridere a propria volta. «Monsieur Dupin», mormorò infine in un soffio facendo un piccolo inchino con la testa e il busto, subito interrotto dall’altro, che rise con garbo e lo prese per le spalle per spingerlo a rialzarsi. «In piedi, ragazzo, prima che tu mi metta in imbarazzo! Sai che non mi merito tutto questo…» Una rapida occhiata alla sala, completamente ignara di loro, «… anche se questa sera è particolare, e per più di un motivo. Stai bene, nonostante la folla che ci circonda?»
«Sorprendentemente e probabilmente solo per questa volta, la moltitudine di persone qui riunita è una brezza primaverile.» Poe fece una pausa, non volendo rivelare il pensiero che gli aveva appena attraversato la mente; ma l’acuto Dupin lo colse comunque, così che assottigliò gli occhi e questi si caricarono di luce penetrante, capace di rischiarare anche le più buie segrete dell’anima. «Non temere: non è accaduto nulla di preoccupante durante il viaggio, e non avverrà in futuro. Inoltre, un unico sguardo a questa casa e a te mi ha fatto comprendere che il mio posto sia qui. Hanno già versato…»
I lampadari tremolarono per un istante e la folla si agitò; o così sembrò al giovane, che non riuscì a comprendere le ultime parole di Dupin. Non era nelle abitudini di quest’ultimo dilungarsi in discorsi di cortesia e rimandare quanto più gli importava, ma nell’attimo in cui la realtà sembrò tremare, Edgar desiderò portare la discussione lontano da lì e dagli altri, quasi riguardasse solamente lui. Mentre osservava il volto maturo dell’altro, ebbe la certezza di non avere sbagliato del tutto — forse, nemmeno di un poco. «Come vi sentite? È da parecchi istanti che adocchiate le uscite: se vi piace, possiamo andare in giardino. Aria fresca farebbe bene a entrambi.»
In risposta, il francese rise forte, poi scosse il capo. «Questo non è un malessere fisico, ragazzo, non preoccuparti.» Una pausa, seguita da un piccolo colpo dell’elegante bastone da passeggio sui marmi del pavimento. «Ma dimmi: come sta procedendo l’opera di cui mi hai parlato? Ci siamo lasciati su un delicato caso di triplice omicidio senza testimoni e, prima di leggere la sua risoluzione, vorrei esporti la mia teoria in merito. Poi, sarai libero di confermare, oppure stupirmi.»
Edgar s’illuminò in volto nell’udire ciò, e la sua voce cambiò tono mentre invitava l’altro a esporre le proprie idee e iniziava a guidarlo lungo il corridoio che portava al proprio studio. Prima che ciò accadesse, tuttavia, fu Dupin a bloccarsi nel parlare e nel passo, lo sguardo attratto da qualcosa presente proprio nella sala.
Puntando gli occhi nella stessa direzione dell’uomo, Poe non poté che comprendere il perché dell’improvvisa immobilità né fare a meno di sorridere: leggera ed esitante come una farfalla appena uscita dal bozzolo, Virginia stava facendo il suo ingresso nella grande camera, splendendo al pari di un piccolo sole e accarezzando lievemente il dono personale di Frances — una graziosa veste cobalto dalla gonna in tulle e con il corpetto ricamato a minute spirali d’argento, che s’accompagnavano ai delicati fiori in zaffiro che le adornavano le morbide onde dei capelli. Questi ultimi, lasciati liberi dalla costrizione di qualsiasi acconciatura, finivano per arricciarsi e seguivano ogni ombra del corpo di quella che, già molto bella, prometteva di diventare meravigliosa: quella sera, la Grazia aveva deciso di toccare unicamente lei e rivelare un futuro di splendore. Le guance arrossate dalla trepidazione, lo sguardo lucente della fanciulla incontrò quello ammirato di molti e rispose con garbo a ognuno di essi, ma un più ampio sorriso le si dipinse sul volto non appena incrociò gli occhi di suo cugino e di Dupin, per poi salutare entrambi con un cenno del capo.
Da parte propria, staccando lo sguardo dalla fanciulla e ritornando al suo interlocutore, anche Dupin sorrise; quindi, posò una mano sulla spalla di Edgar e fece un lieve sospiro. «A volte mi dimentico di quanto siate cresciuti voi ragazzi… era da molto che non vedevo Virginia, e la mia mente non riesce a credere che sia già una giovane donna.»
Alle orecchie di Poe, quelle parole suonarono tanto malinconiche che la figura della cugina e il desiderio di raggiungerla si affievolirono e lo fecero protendere verso il gentiluomo, che in risposta lo prese sottobraccio e nel silenzio gli chiese il suo tempo. «Credo che per noi sia davvero giunto il momento di darsi per vinti e ritirarsi. E non abbiamo qualcosa, e anche più, di cui discutere insieme?»
Con un ultimo sguardo a Virginia e alla sua aura brillante, i due si lasciarono alle spalle le gloriose stanze e la loro ridda di colori[1], per poi dirigersi verso la camera che John, non senza esitazioni e solamente dopo lunghe discussioni con la moglie, aveva destinato a Edgar e alle sue “stravaganze”, come l’uomo le definiva, in cambio di un seppur minimo aiuto del giovane nella gestione dei commerci. Un piccolo ambiente, piuttosto angusto e oscuro in verità, dove poteva entrare solamente chi il moro desiderava, in cambio di qualche frammento della sua mente acuta: comunque una vittoria, conoscendo il carattere orgoglioso di John — una delle poche qualità, e di certo la più forte, che condivideva con il figlio —, come Dupin riconfermò quando Poe gli aprì davanti una piccola porta dalla foggia semplice e lo introdusse in un regno composto da libri dalla copertina scura, fogli e volumi intonsi accuratamente sistemati su una larga scrivania, odore d’inchiostro e fiori freschi.
«A differenza delle volte precedenti, riconosco l’opera di due persone», esordì il parigino non appena ebbe messo piede nello studio e notato l’ordine maniacale e il tocco floreale, nonché piccoli dettagli che sarebbero sfuggiti ai più a una prima occhiata, «tua e di Frances Allan, immagino?»
Edgar sorrise dolcemente e, al di sotto della cortina di capelli che gli copriva la fronte, anche gli occhi lavanda lo fecero. «Di Virginia, principalmente: deruba il giardino dei suoi tesori e me li porta, chiedendo in cambio una storia. La pulizia che vedete è opera sua.»
«Qualcuno benedica quella ragazza e l’adorazione che avete l’uno per l’altra, perché vi porterà grandi ricchezze.» Ma non c’era solamente affetto nel tono dell’uomo; oltre le tende blu che schermavano l’unica finestra del luogo, lo sguardo sembrava vagliare il tessuto dell’oscurità e penetrarvi dentro, per scoprire quanto si celava nel suo grembo e avvertire chi, in quel momento, non era ancora giunto a vederlo. La musica che aveva iniziato a sgorgare dalla sala dei festeggiamenti giungeva a loro nella forma di un’eco indefinita, nonostante la vicinanza tra gli ambienti. «Giovane Poe… ti prego di perdonarmi, ma vorrei che, prima di parlare dei tuoi progressi letterari, tu mi raccontassi quello che è successo in quest’ultimo mese. Tutto ciò che sai, nel maggior dettaglio possibile, riportando anche ciò che verrebbe ritenuto insignificante dalla gran parte delle menti.»
Edgar rimase in silenzio per qualche attimo, quindi fece segno all’altro di sedersi alla propria scrivania. «Non è una storia che si può raccontare in poco», mormorò, «spero abbiate abbastanza pazienza per ascoltare quello che posso dirvi in merito.»
Dupin declinò l’invito del ragazzo e preferì accomodarsi sulla piccola poltrona che si trovava presso la porta, sollecitando l’altro a occupare la scrivania e a rivelare i demoni che si agitavano dietro al suo sguardo. Non riversare questi su immacolata carta e, invece, esporli a viva voce non era così facile, tuttavia gli occhi del parigino attendevano: di sentire quanto lui sapesse della vicenda, forse di confermare o risolvere quanto la sua mente già aveva compreso.
Fu così che Poe si sedette e iniziò a parlare, allontanandosi lentamente dalla realtà per tornare indietro di ore e giorni, al mattino in cui le urla avevano iniziato a risuonare per le vie di Richmond e si erano aggrappate ai muri, avevano macchiato statue, finestre e porte, e tracciato una ragnatela per le strade segnandole come una mappa nera e nota solamente a chi o cosa, scacciato il sole e tornata la luna, scivolava tra gli uomini e li ghermiva, mostrando come il male avesse atteso qualche tempo prima d’iniziare a richiedere con sadica regolarità il suo pasto di sangue.
L’incubo era iniziato davvero il pomeriggio in cui Virginia, ignorando la stanchezza del lungo viaggio che l’aveva portata da Baltimora fino a lì solamente la sera prima, si era recata nella piccola e ormai abbandonata casa di Edgar A. Perry — il Rifugio, come amavano chiamarlo lei e Poe — per ripulirla dopo il tumulto dei funerali; un modo per chiedere perdono all’anziano per non essere riuscita a partecipare alle esequie, e un benché piccolo aiuto a suo cugino, che aveva subito il colpo di quella morte più di quanto immaginato e, utilizzando il mazzo di chiavi che Perry in persona gli aveva affidato anni prima, da giorni aveva preso l’abitudine di visitare le silenziose stanze e rimanervi fino al tramonto.
I due cugini si erano incontrati proprio nel momento in cui, impolverata da capo a piedi, stanca ma soddisfatta, la ragazzina lasciava la casa finalmente pulita e andava quasi a sbattere contro il moro; alle spalle di questi, la falce lunare scalava lentamente il cielo e lasciava spuntare solamente le punte da dietro la schiena di Edgar, quasi fossero ali.
Il volto del giovane, da raggiante come ogni qual volta che guardava Virginia, si era leggermente adombrato nel notare lo stato di quest’ultima, e solamente una mano più forte d’entrambi aveva frenato a poche parole l’ennesima discussione sulla sempre precaria salute della fanciulla e l’esigenza di limitare il più possibile gli sforzi fisici, nonché sulla piccola bugia con cui lei lo aveva spinto a passarle le chiavi, nascondendo le vere intenzioni dietro la scusa di una breve visita alla dimora; con un lieve sospiro e lasciando dietro di sé un intenso sentore di terra umida e fiori selvatici, Edgar era poi avanzato fino alla porta e aveva guardato all’interno della struttura. «Ecco, ora risplende!», aveva esclamato facendo un sorriso e riconoscendo gli sforzi della cugina — pur disapprovando la sua sconsideratezza —, e Virginia lo aveva affiancato. Così vicini e nonostante la differenza d’altezza, avrebbero potuto sembrare due colonne di un tempio dimenticato, rimaste a sorvegliare le tracce di una vita sfuggita. Perry era stato trovato morto in quelle stanze, quindi la sua anima, o una parte di essa, occupava tutto lo spazio tra loro.
«E anche tu lavorerai meglio, ora…», aveva mormorato la mora, prima d’infilare una mano nella tasca della leggera mantella e porgere a Edgar un volume dalle pagine completamente intessute di parole. «Questo l’ho trovato abbandonato in un angolo, tanto nascosto che quasi non lo notavo. È impossibile che tu te lo sia dimenticato: è la tua scrittura.» Una pausa e un’ombra nello sguardo, come se la ragazzina avesse visto qualcosa che al più grande, invece, era sfuggito; oppure, che aveva deliberatamente deciso d’ignorare. «Perché hai lasciato incompiuta una storia così bella? È una delle migliori che abbia mai letto.»
Il ragazzo non aveva replicato ma, preso il libro, era entrato in casa e lo aveva rimesso nel posto che per esso aveva scelto. «È lì che deve stare, Virginia», aveva detto quando era uscito, senza guardare la fanciulla, «non appartiene più a me, ora. E neanche a te.»
Lei non aveva ribattuto, colpita dal tono dell’altro e dall’implicita richiesta di non procedere oltre; dopo un tempo che era scorso lentamente, gli aveva solamente stretto un braccio, e in risposta lui le aveva circondato le spalle e allontanata gentilmente dalla porta.
La luna si era ormai alzata nel cielo, chiuso in un blu profondo, non si sarebbe potuto rimandare oltre il momento di ritornare a Villa Allan; ed era stato allora, sul verdeggiante sentiero che fino a qualche ora prima si era presentato ricolmo solo di fiori di ogni sorta ed erba rigogliosa, che Edgar aveva rinvenuto le prime tracce di sangue. Dentro tenebre calate con velocità innaturale ma non tali da cancellare completamente la realtà, la pallida regina notturna aveva fatto rilucere le gocce fresche, l’orrore appena versato, come gioielli andati ad agghindare la vegetazione; e quelle non si erano rivelate schegge di vetro o scie d’acqua lasciate da qualche animale fuoriuscito dai fossati intorno, come il giovane si era accorto notando prima la viscosità del liquido che punteggiava l’erba, poi l’orlo spruzzato di vermiglio della gonna di Virginia.
Confuso, per qualche attimo Poe aveva cercato un significato che il buio avrebbe reso irrintracciabile; e da quel momento, non era passato molto tempo prima della comparsa di un corteo di torce elettriche all’orizzonte, verso le quali i cugini avevano corso fino a quando non si erano trovati di fronte i volti di John e Frances, stravolti dalla preoccupazione e dalle notizie circolanti dentro e fuori Richmond. Quella volta a scomparire erano stati in tre — gli unici corpi non ancora rinvenuti —, e loro due erano stati considerati dei miracolati per il fatto di non essersi aggiunti alla conta; ma nei giorni seguenti, ogni abitante della città e delle terre a essa vicine avrebbe imparato a temere i più infantili racconti di mostri e fantasmi, a veder le proprie certezze vacillare e a perdere la fiducia non solo di assistere a un’altra alba, ma verso il genere umano: non si era sicuri nemmeno all’interno della famiglia, perché vi erano troppo misteri e punti oscuri, mancanze e segreti. Ed ecco il sorgere di discussioni, accuse e lotte intestine, e il pungolo interiore che chiedeva: quando verrà il mio turno?
«Perdonami l’interruzione: non una voce, però, si è ancora levata contro di te, nemmeno da parte di John… nonostante la tua fama.»
Edgar esitò un istante, perdendo il filo del discorso, per poi subito riallacciarsi a quanto Dupin aveva appena detto; un aspetto che andava considerando da qualche tempo, in verità, ma senza significative risposte. «Esattamente. Questa vicenda sembra una storia del mistero — una di quelle che potrei scrivere io —, eppure nessuno mi ha ancora attaccato per questo.»
Il parigino non aggiunse altro, annuendo. «Ma tu sai qualcosa in più rispetto a noi… o non passeresti il tuo tempo al cimitero rurale più vicino, a dissotterrare i corpi di coloro che tutti hanno dimenticato; ma solamente di quelli che hanno subito una fine violenta», sussurrò poi, mettendosi più comodo sulla poltrona.
Il moro attese un attimo prima di rispondere, poi fece un debole sorriso. «Vedo che siete sia ben informato sulle domande che pongo ai morti, sia sulle risposte che loro mi danno.»
Il francese rispose sorridendo a sua volta, per poi lasciar proseguire Edgar.
«Ieri, mentre la polizia stava portando via il corpo dell’ennesima vittima, io e John Allan — papà — eravamo presenti: il cadavere apparteneva a un suo vecchio collaboratore e lui ha ritenuto giusto essere… . Per una volta, non me la sono sentita di stargli lontano.»
«John è sempre stato coraggioso sotto questo punto di vista, ma il tuo gesto è stato comunque opportuno; inoltre, ti ha permesso di comprendere verità importanti.»
Poe si appoggiò con i gomiti alla scrivania e unì le mani, posandovi sopra il mento come se fosse sovrappensiero. Al di là di sé stesso e di Dupin, solamente il buio. «La gabbia toracica di quell’uomo si è presentata spalancata e le costole quasi disarticolate dalla violenza del colpo mortale.
A differenza delle altre vittime — di quelle che sono riuscito a vedere, almeno —, il resto del corpo non è stato fatto a brandelli: nessuna ferita su arti e volto, né alla schiena o al ventre. Così descritta sembra l’opera di una fiera d’enormi dimensioni, non di un uomo… ma il torace non ha mostrato alcun taglio o segno di qualsiasi arma d’offesa: si dovrebbe allora ipotizzare e parlare di un’entità capace di aprire, senza l’aiuto di uno strumento o di artigli, il petto di un maschio adulto, alto e robusto più della media. Abbastanza improbabile ritenere questa ipotesi verosimile senza sconfinare nei reami della pura fantasia, per non parlare del fatto che…» Una pausa, un forte respiro. Per la prima volta, Dupin vide Edgar impallidire di un poco. «… Del fatto che gli hanno tolto una parte del cuore. La metà rimasta è in stato di grave danno, quasi che l’organo sia stato strappato con violenza e in fretta, senza curarsi di asportarlo completamente. Forse l’assalitore è stato interrotto prima di finire la sua opera… ma a chi ci dobbiamo riferire?»
L’altro non replicò nell’immediato, ma si portò una mano al mento e se lo massaggiò. «Il cuore è stato estratto per metà… anche su di esso nessun segno di arma, denti o artigli?»
«Non sono riuscito a vederlo bene, a dir la verità, e ho potuto solamente notare le orribili condizioni in cui si è presentato.»
Dupin assentì. «Solo il petto dell’uomo ha mostrato tracce di violenza, che tu sostieni non essere riconducibili a un animale o a un essere umano… le testate non hanno fatto un benché minimo accenno a questo. E che cosa dicono in merito i tuoi amici del camposanto?»
«Che non ci sono eventi, traumatici e incidentali, che si mostrino così letali e puliti al medesimo tempo. L’uomo che ho dissotterrato oggi è stato vittima di uno dei peggiori terremoti della storia di Richmond ed è morto a causa di un crollo che gli ha sfondato parte del torace: ma quanto ho visto sul collaboratore di papà non è compatibile né con un trauma da schiacciamento né con una caduta dall’alto: le ossa, benché alcune disarticolate o mutate di posizione, sono apparse troppo intatte per aver subito un urto.
E poi, c’è la questione dei cadaveri: i resti vengono sempre rinvenuti in posizioni precise, ovvero le vie periferiche a est della città, le campagne che si aprono in quella direzione, e alcuni sentieri campestri a nord di Richmond. Sono tre punti che non variano mai, quasi l’assassino — o gli assassini —non possa spostarsi da lì e uccida chi percorre queste aree, che il colpevole riconosce come famigliari e dove si sente al sicuro… eppure, sappiamo che alcune delle vittime abitavano a chilometri di distanza da questi luoghi.
L’assalitore, allora, attraversa l’intera città per rapire individui che abitano in punti opposti a quelli dove opera e ripercorre la strada a ritroso con le vittime, o agisce tramite collaboratori che gli portino il tributo quotidiano?
Almeno tre volte a settimana e nonostante la situazione in cui ci troviamo, di sera, John si reca nella zona ovest della città, presso amici, clienti e altri: le sue parole potranno testimoniare quanto le vie della Richmond più agiata non siano prive di persone neppure nel cuore della notte.
Anche queste aree, così lontane dai luoghi dei macabri ritrovamenti, contano numerose sparizioni: ma è difficile rapire una persona o una famiglia sotto a occhi estranei, rendere questi ultimi testimoni, per quanto possano essere esigui, e accusatori; perciò, credo che chiunque sia dietro tali crimini, attiri le sue vittime con qualche espediente o si confonda tra chi queste conoscono per rimanere da solo con esse… e non escludo l’idea che abbia degli aiuti.
Alcune voci riportano rumori di corpi trascinati e implorazioni, anche se nessuno scorge mai nulla; quasi che i delitti avvengano in un’area coperta e chiusa, come l’interno di un’abitazione o di una struttura edilizia.»
«In questo caso, il luogo sarebbe circoscritto e più persone potrebbero riconoscerlo, quindi testimoniare e dare una direzione alle indagini.»
«Inizialmente così è stato: quando i rinvenimenti sono divenuti quotidiani, i sospetti sono caduti sugli abitanti delle zone limitrofe; le loro dimore sono state setacciate a fondo e sorvegliate per notti intere, ma i cadaveri hanno continuato ad apparire proprio in quelle medesime aree.
Allora, le accuse hanno riguardato le forze armate e i vigilanti, ma nemmeno l’uomo più stupido al mondo continuerebbe a uccidere o lasciare le tracce dei propri crimini in una zona che è sotto l’attenzione pubblica; e quindi, anche l’ipotesi di colpevolezza della polizia è caduta.
I punti oscuri sono molti, come potete vedere… e non ho una risposta minimamente razionale per spiegarli.»
Dupin rimase in silenzio un istante. Quanto il ragazzo aveva appena raccontato e ciò a cui rimandava travalicava i confini della razionalità e per questo faticava a essere spiegato lucidamente, ma dentro ogni avvenimento si celava sempre una spiegazione: si doveva solo scavare abbastanza a fondo per trovarla — in questo caso, proprio nel mezzo delle tenebre. «Sembra che tale entità non possa fare a meno di agire in questo modo e lasciare dietro di sé dei segni, che sappia bene di essere imprendibile; oppure, che non se ne curi, forse perché protetto da altre figure. Ma permettimi la domanda…»
«Quella che volete.»
«… Perché non hai voluto ultimare quella storia?» Perché hai avuto paura?
L’estraneità e imprevedibilità del quesito — sia di quello espresso a viva voce che di quanto mormorato direttamente all’anima — non riuscirono a giustificare del tutto il profondo silenzio che calò sopra e tra i due come una coperta e spinse il ragazzo a serrare lo sguardo dietro ciò che voleva apparire come calma, ma non lo era. «Aveva una trama che non reggeva», fu la risposta che diede, «avvincente, ma piena di contraddizioni.»

Ricorda quanto ha detto Virginia: sei intelligente, ma chi ti sta attorno non è stupido. E Auguste Dupin è anche più geniale di te.
«Eppure è stato apprezzato dalla critica più severa che conosca.»
«Virginia ha letto la parte migliore, ma presto si sarebbe resa conto che non ne sarebbe valsa la pena continuare.»
«La tua mente non ha trovato una soluzione efficace, quindi?»
«No, affatto.»
L’occhiata che il francese gli lanciò non lasciava trapelare alcun giudizio ma solamente bruciante curiosità, che l’uomo fu abile nell’incanalare altrove e spezzare, così, la tensione. «Va bene, va bene così. Caro ragazzo, credo che tu stia già facendo molto e abbia più informazioni dell’intera città in merito agli ultimi avvenimenti, e ti ringrazio per averli condivisi con me.
Spero non sia un problema avermi come compagno nei prossimi giorni, oltretutto dubito che tuo padre avrà da ridire se ti vedrà con me mentre ci dirigiamo verso Richmond e casualmente decidiamo di passare attraverso sentieri campestri, dico bene?»
Edgar sorrise apertamente, il volto finalmente ravvivato da una luce che proveniva dal suo interno. «La vostra compagnia è sempre un onore per me», replicò con gioia sincera, prima di alzarsi ed essere imitato da Dupin, «e forse è vero: è necessario che siate qui, per portare alla luce ciò che noi non vediamo.»
«Spero che tu non dipinga la situazione più lineare di quanto sia veramente», sussurrò il francese mentre gli si avvicinava e gli appoggiava una mano sul capo, accarezzandolo con la benevolenza di un mentore, «ma non dubitare affatto del mio aiuto, dovunque ci possa portare.»

 

 

Quando Poe rientrò nella sala dei festeggiamenti, la gran parte degli invitati aveva ormai lasciato la villa, sfidando la paura in gruppo, mentre i restanti si erano spostati verso il salone d’entrata per le ultime chiacchiere con gli ospiti: i muri parevano riposare e respirare insieme a lui, nella quiete.
Virginia era l’unica a essere rimasta nella stanza, tranquillamente seduta su uno dei divani posti presso le pareti e con gli occhi socchiusi per il sonno, ma in caparbia attesa. Non appena udì e riconobbe i passi, sollevò le palpebre e incrociò lo sguardo con quello del cugino; si sorrisero a vicenda, quindi il giovane si fermò davanti a lei. «Spero tu non ti sia annoiata.»
«No, affatto», fu la dolce risposta, «ho parlato con tutti e mi sono divertita. Spero che tu sia stato altrettanto bene con monsieur Dupin.»
Edgar allargò il sorriso e si chinò verso di lei, tendendo una mano. «E di questo ne parleremo un’altra volta… signorina, mi posso prenotare per l’ultimo giro di valzer?»
Virginia rise di cuore e i fiori nei capelli brillarono quanto i suoi occhi, facendola apparire, se possibile, ancora più bella. «Nessuno dei due lo sa ballare, finiremmo per pestarci i piedi a vicenda!»
«Almeno una giravolta, ora che non c’è nessuno e possiamo fare tutte le brutte figure che vogliamo.»
Lei chinò il viso e socchiuse gli occhi senza smettere di sorridere, quasi avesse bisogno di ponderare la richiesta; quindi lo sollevò con decisione e accettò la mano del cugino. «Perché no, allora?», esclamò mentre si alzava e Poe la conduceva al centro della sala; qui lei provò a mettersi in posizione, ma prima che potesse farlo e dopo averla osservata per qualche attimo, il cugino l’afferrò per la vita e la sollevò, facendola volteggiare. Il suono della risata sfrenata dell’altra e le richieste strozzate di metterla a terra, che la stava facendo imbarazzare e per questo l’avrebbe pagata molto cara, rischiararono l’umore del giovane, che alla fine si fermò e obbedì alla mora, stringendola in un saldo abbraccio.
Non lontano, sopra ai giardini e oltre i campi più vicini, un sottile mormorio si diffondeva per tutta la volta celeste: un suono simile allo scorrere di un piccolo torrente, ma lamentoso e triste. Richmond piangeva una notte ancora, nemmeno la festa più regale e magnifica avrebbe potuto sanare di un poco il suo dolore; e avvertendolo, Poe approfondì la stretta e quasi chiuse Virginia nel proprio corpo, come in un rifugio.
Anche lei percepì quelle lacrime e affondò il volto nel petto del cugino, respirando forte. Quando Frances giunse in sala per spegnere le luci, li trovò ancora in quella posizione, tra il silenzio della villa addormentata e il buio che lentamente impallidiva, divenendo il nuovo giorno.

 

 

 

 

 

 

Il sole bagnava la stanza di feroce lucore, divorando tutto ciò che incontrava; e nonostante ciò, la gran parte della struttura era immersa nella pace seguita ai festeggiamenti, ignara della forza dell’astro.
Fu un’ora sospesa tra immobilità e attesa quella che vide il destarsi di Dupin, che per un momento non riconobbe la stanza che lo circondava… ma che comprese immediatamente il motivo del suo risveglio.
Forse fu la sua grande e onnipresente lucidità, la fermezza di polso, a non farlo precipitare nella paura, o forse le ultime tracce di sonno; perché, quando si voltò alla sua destra, non era spaventato — non per sé, almeno.
La figura accanto al letto, dai contorni netti ma con tratti fumosi e impossibili da comprendere, rimaneva immobile e immersa nelle uniche tenebre che resistevano alla luce; oppure, era lei stessa che le emanava.
Appena si accorse di avere l’attenzione dell’uomo, questa si mosse; un istante dopo si era sporta in avanti, verso il volto di Dupin.
I raggi solari non illuminarono la sua pelle ma vi sparirono al di sotto, ingoiati da un’entità che non temeva il loro contatto, e il francese si ritrovò a fissare una sorta di volto privo di qualsiasi caratteristica, simile a una statua appena sbozzata nelle forme; si sforzò di non sbattere gli occhi, perché sapeva che appena lo avrebbe fatto la figura se ne sarebbe andata.
Infine, fu lei a sparire dopo qualche istante, quando ebbe osservato per bene l’altro: svanì nell’aria e lasciò che innocue ombre ne occupassero il posto, ma non sollevò il dubbio che fosse il parto di un sogno; no, Dupin ne era certo, lei era vera e dilaniava la logica, faceva a brandelli la razionalità.
Non per questo, però, si ritrovò a tremare e a versare un gelido sudore: perché la stanza non era la sua, lui era stato ospite di quelle pareti solamente una notte e perché il legittimo proprietario gli aveva ceduto il proprio letto… e quella se n’era accorta, e se n’era andata senza alzare gli artigli.
Perché qualunque cosa l’Ombra, il frutto della notte dell’anima e di ogni dolore, stesse cercando, non la desiderava da Auguste Dupin,
ma da Edgar Allan Poe.

 

 

 

 

 

NOTE

 

[1] Così come accade ne “La mascherata della Morte Rossa”, che narra di una festa principesca tenuta in uno splendido palazzo dalle stanze dai colori diversi, mentre al di fuori di quelle mura infuria un’epidemia di peste e l’orrore non si ferma.

 

[2] I rapporti tra John ed Edgar non furono mai idilliaci: entrambi erano molto orgogliosi e talmente sicuri nelle proprie decisioni da non accettare mezze misure, e ben presto nacquero conflitti su vari fronti. John era un ricco commerciante che non vide mai di buon occhio la decisione di Poe d’intraprendere una carriera letteraria né le sue continue richieste di denaro e favori, arrivando a rimproverargli di non aver mai provato affetto per lui e sua moglie Frances (che invece Poe amava molto), e di non essergli grato per tutto quello che aveva fatto per lui; da parte sua Edgar, sempre più offeso e amareggiato dal comportamento del padre adottivo, non fece del proprio meglio per colmare il divario tra loro, arrivando anche a scrivere lettere dove si indicava John come un uomo dedito all’alcool.

 

[3] Auguste Dupin è il geniale investigatore (non professionista) parigino che risolve il caso presentato ne “I delitti della Rue Morgue”, per poi comparire anche nei racconti “Il mistero di Marie Roget” e “La lettera rubata”.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

 

Salve a tutti!
Finalmente, finalmente sono riuscita a completare la seconda parte del primo capitolo! Ora, sono pronta a introdurre della sana azione, e un po’ di terrore; quindi, preparatevi.
Un abbraccio,

 

Manto

   
 
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