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Autore: Eneri_Mess    28/03/2021    3 recensioni
FINE (Prima parte)
Con il segreto che nasconde, Yokohama è una città dove non si possono dormire sonni tranquilli.
Dal Preludio:
Una mano di Dazai gli strinse il braccio, mentre le dita dell’altra si aggrapparono alla sua camicia sgualcita sul petto. Il nemico barcollò, ma si rimise in piedi, recuperando una delle proprie pistole.
«Chuuya...» ridacchiò Dazai, fuori luogo. «Di nuovo: ho mai sbagliato nel formulare un piano?»
«Smettila!» e la prima nota di supplica si mischiò alla richiesta. «Non sei lucido!»
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Nota: scusate l’assenza prolungata!

COW-T 11, settima settimana, M5
Prompt: Messiness
Numero parole: 6007




 

Capitolo 12

For The Tainted Sorrow vs Flawless



 

A Europa91,
grande sostenitrice
sempre in attesa.
Grazie!



 

I will dedicate and sacrifice my everything
For just a seconds worth of how my story's ending
And I wish I could know if the directions that I take
And all the choices that I make won't end up all for nothing

[Crawling in the dark - Hoobastank]







 

Dazai si fece lasciare dal taxi nelle vicinanze del Porto Vecchio. Ignorò con un sorrisetto di circostanza le raccomandazioni del tassista sulla pericolosità della zona e lo congedò sventolando la mano. 

L’odore di mare era più forte che altrove; umido e pungente, si mescolava a quello slavato dei ricordi. L’area del Porto Vecchio era nota per essere appannaggio della Port Mafia da prima ancora della successione a Mori. Non c’era il via vai solito di gente tipica degli altri moli. Chi girava da quelle parti erano mafiosi con qualche affare da sistemare o addetti ai lavori ingaggiati tramite mazzette. Più di un cartello indicava proprietà private fittizie o lavori in corso per scoraggiare gli ignari a entrare nella zona. 

Mani in tasca, il detective si avviò, attraversando le stradine che costeggiavano i grandi magazzini industriali. Non incontrò nessuno, immaginando fosse stato dato l’ordine di sgomberare. 

Nonostante il degrado a vista, ogni capannone era dotato di un sistema di videosorveglianza all’avanguardia. Dazai non si preoccupò di essere ripreso, ma anzi guardò dritto in uno degli obiettivi e fece un gesto di saluto, togliendosi un invisibile cappello dalla testa. 

«Perché non sono sorpreso?» 

Una voce lo raggiunse alle spalle, dopo pochi minuti, sovrastando i rumori naturali del porto e quelli più distanti delle imbarcazioni in transito nella baia. 

«Per un istante, uno, mi devo essere illuso che non avrei trovato la tua faccia da schiaffi qui.»

Dall’angolo della strada si palesò Chuuya. Camminava in un modo che sapeva di passeggiata occasionale, ma che non nascose a Dazai i suoi nervi a fior di pelle. Stava fumando a lenti e ampi tiri la sigaretta, ma il suo nervosismo investì l’ex partner come una folata calda. Il detective lo ricambiò con un’espressione pacata, come a voler avvalorare le proprie finte buone intenzioni. Sapeva mascherare meglio la tensione. 

«Lo sai che mi piace imbucarmi alle tue feste. Questa volta però niente vino, eh?» 

Il terreno sotto le suole di Chuuya scricchiolò. 

«Non lo ammazzerò» avvertì, riferendosi a Odasaku mentre incrociava gli occhi con quelli di Dazai. «Ma gli spaccherò tante di quelle ossa che gli ci vorranno mesi per rimettersi in piedi.»

«Stai rispondendo a un guanto di sfida davvero infantile. Non devi sottovalutarlo.» 

«Hai già fatto venire i complessi ad Akutagawa con questa storia» lo rimbeccò l’altro. «Io però non sono lui.» 

Chuuya soffiò una lunga boccata di fumo in faccia all’ex partner, che non si scompose, e ci tenne a continuare e sottolineare la situazione. 

«Lo sappiamo entrambi che il tuo amico può prevedere gli attacchi quanto gli pare, ma non potrà sfuggire in eterno alla gravità.» 

Dazai si astenne dal replicare, spostando lo sguardo altrove, ma senza focalizzarsi su nulla.

Aveva la spiacevole sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato, di non calcolato, una trappola dietro l’angolo ad attenderli. La sua mente continuava a non stare al passo con gli eventi, non importava il numero di informazioni che aveva e che potevano aiutarlo a prevedere cosa sarebbe accaduto. Anche in quel momento in cui era certo che Odasaku sarebbe apparso di lì a breve, il pensiero fisso e martellante tornava a quel compagni pronunciato con tanta familiarità e riferito a Dostoevskij. 

«Non voglio interferenze.»

Chuuya lo distrasse riprendendo a parlare. Spense la sigaretta nel portacenere portatile sfoggiando una concentrazione invidiabile sull’obiettivo, nonostante il desiderio lampante di voler strangolare il suo ex partner. 

«E non voglio altre morti inutili tra i miei uomini. Già il fatto che tu sia qui è una seccatura. Non starmi tra i piedi o un proiettile te lo beccherai sicuro.» 

«Prima o poi dovrà succedere» replicò Dazai facendo spallucce. 

Chuuya lo afferrò per la camicia, strattonandolo verso di sé. 

«Non sotto i miei occhi.»

Lo lasciò andare di colpo dandogli una lunga occhiata che avrebbe voluto scavargli dentro, ma che non gli restituì nulla. 

«Non per mano sua

«Geloso?» 

Chuuya bestemmiò, artigliando l’aria. 

«Saresti così deficiente da farti ammazzare dalla trappola che quel ratto del cazzo ha costruito apposta per te. Ti si è inceppato il cervello, Dazai? Sono riusciti a metterti in un angolo!?»

Il silenzio di Dazai e la sua fronte contratta confermarono a Chuuya di aver fatto centro. L’espressione del Dirigente si distese per la sorpresa, ma la situazione non era dalla sua in quel momento. 

«Dopo che avrò impacchettato il tuo amico, io e te ci faremo una chiacchierata. Sei troppo incasinato da questa faccenda e ci stiamo andando di mezzo tutti» affermò, piantandogli il dito indice nel petto abbastanza da fargli emettere un ouch

«Sei sempre così delicato» brontolò sarcastico Dazai, evitando di replicare a quella frecciatina ben mirata. «Il tuo aspetto è proprio ingannevole.»

Un click arrivò alle loro orecchie. 

Il click di una sicura, a cui seguì il rumore secco di uno sparo. Circondandolo di un bagliore rosso, il proiettile che tagliò l’aria si fermò a contatto con la gola di Chuuya. Il Dirigente assottigliò lo sguardo, osservando il nemico. 

Odasaku si stagliava davanti al mare e all’orizzonte baciati dalle prime sfumature della notte. Contro le striature rosse del tramonto, sfoggiava la stessa maschera vermiglia con cui continuava a celare la propria identità, insieme a quella sua mise da giustiziere che ricordava le tute da supereroi dei fumetti di Tanizaki. Entrambe le sue pistole erano alte e puntate contro il Duo Nero. Era arrivato in silenzio e, ancora una volta, aveva volutamente palesato la propria presenza lasciando loro il tempo minimo per reagire, in un atto di spudorata sicurezza. 

Chuuya afferrò con la mano il proiettile, accartocciandolo con la gravità prima di farlo cadere in terra. Si liberò poi di giacca e cappello, lanciandoli a Dazai. 

«Fatti da parte» ringhiò, col terreno che ricominciò a scricchiolare. 

Riluttante, con gli occhi fissi su Odasaku, Dazai arretrò. Il senso di sbagliato era così forte che gli aveva creato un nodo all’altezza dello sterno. Non riusciva a vedere al di là dell’apparenza di quella sfida, del perché attirare così platealmente l’attenzione del rosso e rischiare contro la sua abilità. La trappola era lì, da qualche parte, doveva solo capirne la natura. 

Nel mentre, né Chuuya né Odasaku avevano preso l’iniziativa di attaccare l'altro. Si squadravano nella rinnovata quiete dei moli abbandonati, pronti ma in attesa di un cenno di inizio. 

Fu Oda a rompere il ghiaccio, lasciando come obiettivo Dazai e puntando entrambe le pistole contro il Dirigente. 

«Sei serio?» 

Chuuya schioccò la lingua con un verso impaziente e irritato. 

«Non hai ancora capito che con me quelle non funzionano?»

Dopo un attimo, Odasaku ritirò le braccia, in una posa che motteggiava la resa di fronte all’evidenza, per poi risistemare le armi nelle fondine. A mani libere, assunse una seconda posizione d’attacco, da scontro corpo a corpo. Le sue dita invitarono Chuuya a farsi avanti. 

«Mi stai prendendo per il culo!?» 

Chuuya attivò del tutto la gravità e si gettò in avanti con un urlo. 

Il primo impatto fu devastante. Odasaku non si scansò, non evitò il pugno di Chuuya, lo parò con entrambi gli avambracci uniti insieme. Si tese al massimo e strisciò sul terreno per diversi metri, ma prima che Chuuya potesse estendere la gravità su di lui, reagì. 

Il vero scontro iniziò e non ci fu un attimo di respiro. 



 

Gli occhi di Dazai seguirono ogni azione, rincorrendole con i pensieri per trovare un modo efficace di mettere fine a quella lotta prima che il presentimento che smorzava la sua sicurezza si concretizzasse. La clessidra del tempo aveva ricominciato a scorrere e i granelli non attesero che lui realizzasse in cosa si erano infilati. 

Chuuya e Odasaku non stavano risparmiando un colpo l’uno all’altro, in un misurarsi continuo di abilità marziali. Nessuno dei due stava prevalendo. 

Per compensare la disparità fisica - non poca sia in altezza che in massa muscolare - Chuuya stava facendo totale affidamento sulla gravità. Agli occhi di Dazai, tuttavia, qualcosa non stava funzionando come avrebbe dovuto. 

Odasaku giocava d’anticipo grazie a Flawless. Nonostante potesse vedere con quasi nove secondi nel futuro come sarebbe stato colpito, la velocità e le abilità del Dirigente sembravano compensare lo squilibrio. Odasaku si stava principalmente difendendo, riducendo il contatto fisico al minimo.

Quel tassello fu il primo che Dazai raccolse. Il dubbio che gli fece intuire cosa osservare per capire. Il toccare l’avversario avrebbe dovuto permettere al suo ex partner di estendere la propria abilità e inglobare Odasaku, Flawless o meno. Eppure non stava funzionando. 

Odasaku replicò il pugno iniziale e Chuuya lo parò alla stessa maniera, unendo le braccia tra loro, ma trovandosi lo stesso a strisciare indietro per l’urto. Aveva il fiato corto. Il rosso vibrante del suo potere vacillò per un istante. 

«Chuuya!» lo richiamò Dazai, sporgendosi dal riparo che aveva trovato. «C’è-»

Odasaku fu fulmineo e sparò un colpo nella sua direzione. Lo sparo non lo raggiunse soltanto grazie all’intervento del Dirigente, che si frappose bloccandolo. 

«Sta zitto e resta dove sei!» gli intimò ringhiando l’ex partner, rimandando il proiettile contro Red Hood, ma anche quel gesto era già stato previsto e fu schivato. 

L’incazzatura di Chuuya si abbatté contro il terreno, creando un cratere tutto intorno. Odasaku si irrigidì alla pressione della gravità, ma il suo fu un mero sforzo di resistenza, non ne fu oppresso. 

«Figlio di puttana» digrignò tra i denti Chuuya, sputando un misto di saliva e sangue. Aveva ricevuto un un pugno in volto e questo aveva acceso anche in lui il campanello d’allarme che qualcosa non stesse funzionando come al solito. Tuttavia, la rabbia che gli ribolliva dentro lo spinse a ributtarsi all’attacco con più foga. 

Sapeva di non poter sorprendere l’avversario. Era uno scontro che aveva il sapore di un film già visto. Caricò di intensità ogni colpo, quadruplicando il proprio potere, dandoci dentro di forza bruta. 

La vocina di Dazai nella sua testa gli stava dicendo di fermarsi, di ragionare sul perché il suo potere non stava avendo presa, ma il ruggito dentro di sé la sovrastò. Avrebbe schiacciato a terra Red Hood e chiuso quella storia. Non aveva tempo di fermarsi a pensare. Non poteva sorprenderlo in nessuna maniera, poteva solo avanzare, prevalere e buttarlo giù come lui stava facendo con la Port Mafia. 

A Dazai non passò inosservato di come la gravità stesse andando fuori controllo. La pavimentazione in cemento cedeva a ogni passo, ma intorno c’erano frammenti sospesi a mezz’aria che circondavano i due opponenti. Per il detective non era nulla di nuovo, solo l’ennesimo segnale di squilibrio: quando Chuuya iniziava ad agire di puro istinto, la sua abilità si propagandava a fisarmonica, alternando maggiore o minore forza. 

Non era buono. Non era buono per niente. 

Lo stallo della situazione raggiunse un nuovo picco quando un pugno di Chuuya fu chiuso e bloccato dalla mano di Odasaku. La tensione esplose dal corpo del Dirigente in un urlo e in un’onda d’urto. 

Rilasciò completamente il carico di gravità, sbaragliando tutto ciò che si trovava intorno a loro. Schegge e frammenti schizzarono in ogni direzioni non diversi da proiettili, costringendo Dazai a ranicchiarsi nel suo riparo per non subire ferite. 

In pochi istanti tornò tutto alla calma. 

E Odasaku era ancora in piedi. 

Era stato investito in pieno, ma era rimasto saldo nella stessa posizione, la mano ancora stretta sul pugno del Dirigente.

Chuuya e Dazai lo fissarono a occhi sgranati, esterrefatti, e, in modo neanche troppo malcelato, con una punta di terrore. Non era mai successo che qualcuno resistesse così a un’ondata di gravità pura, capace di crepare o far crollare i muri dei magazzini limitrofi. 

Il primo a comprendere fu Dazai, con un nuovo fiotto di angoscia nelle vene. Aveva intuito la trappola. Uno scontro impari e a svantaggio totale di Chuuya fin da principio. 

«È la sua tuta!» gridò Dazai. «Allontanati!»

Anche se distante, la analizzò cercando qualcosa, qualsiasi cosa che gli spiegasse come riuscisse a essere refrattaria alla gravità, a dissiparla, impedendo all’abilità di Chuuya di attecchire. Fu una realizzazione inutile, non quando il capovolgimento dello scontro successe in un secondo sotto i suoi occhi. 

Odasaku strattonò Chuuya verso di sé all’improvviso, troppo veloce, e lo colpì all’addome con una ginocchiata, lasciandolo senza fiato il tempo necessario a buttarlo a terra di schiena. Gli piantò un piede sul torace e lo tenne fermo, sfilandosi una delle pistole dalla fondina. Gliela puntò alla fronte e rimase così, fissandolo attraverso la maschera. 

Chuuya digrignò i denti, circondandosi una seconda volta della propria abilità e tentando di fare forza contro il piede per levarselo di dosso, ma la gravità continuò a essere deflessa.

«Allora sei sordo» bofonchiò il Dirigente in un rantolo, per poi risucchiare più aria possibile.

«Sparami quanto vuoi! Non so che cazzo hai addosso che annulla la gravità, ma i proiettili continuano a essere inutili!»

Dazai ebbe un brivido lungo la schiena. Una scena rara, perché si contavano sulla punta delle dita le volte che Chuuya era stato messo schiena a terra e minacciato in quel modo, e mai nessuna delle occasioni precedenti era finita bene per chi aveva avuto l’ardire di sfidarlo. Il caso ora era diverso. Le probabilità erano tutte contro il suo ex partner. A cominciare dalla pistola in mano a Odasaku, che non era una di quelle sfoderate al loro arrivo. 

Il movimento istintivo di Dazai verso i due per intervenire fu stroncato di nuovo da due proiettili di Odasaku. Non di avvertimento.

Estratta una seconda pistola, il giustiziere mancò il detective solo perché il Dirigente sotto di lui continuò ad agitarsi e gli impedì di mirare. Dazai fu costretto a mettersi al riparo dietro alcune casse, crollate le une sulle altre per via dell’ondata di gravità. 

Ci fu un attimo di quiete, di impasse. Il vento della sera spazzò con un alito gelido il molo, mentre le luci dei lampioni lampeggiarono nell’accendersi. 

Odasaku tornò a concentrarsi sul Dirigente. 

«Secondo quello che dice Fyodor, nascondi una bestia di rara bellezza» disse in tono piatto, il timbro vocale alterato leggermente dalla presenza della maschera. 

Lo sguardo di Chuuya era confuso. Non stava neanche più tentando di liberarsi, fissando l’avversario oltre la canna della pistola. 

«Sempre secondo lui» riprese Odasaku. «Tenere un’entità come Arahabaki segregata è uno spreco. Eliminandoti sarà libera.»

Chuuya sgranò gli occhi e Odasaku sparò. 

La pistola non emise un rumore normale. Fu quasi impercettibile, più uno spostamento d’aria, dando l’impressione che il colpo non fosse partito. 

Tuttavia, l’urlo di Chuuya infranse l’illusione quanto la quiete. Fu sovrumano. Pietrificò Dazai nel guardare come il corpo dell’ex partner tentasse di inarcarsi e le dita artigliassero il terreno. Lo sparo fu invisibile, ma dalle orecchie e dal naso del Dirigente iniziò a colare del sangue. 

Quando l’urlo si esaurì, Chuuya impiegò qualche istante a tornare padrone di sé e mettere ogni briciolo di forza nel tentativo di levare il piede di Odasaku dal proprio torace e liberarsi. Se anche riuscì a spostarlo di poco, l’altro lo ripiantò lì dov’era, facendo pressione per togliergli il fiato, sfruttando l’intermittenza dell’abilità. 

«Che cosa… cosa mi hai fatto...»

«È una pistola a risonanza direzionale, pensata per contrastare chi è dotato di abilità. Le onde sonore fanno vibrare direttamente il tuo cervello» spiegò l’uomo con la maschera, tornando a puntare l’arma. 

«Puoi essere immune ai proiettili normali, ma sei vulnerabile a questi.»

Imperturbabile, Odasaku sparò altre due volte e Chuuya si contorse sotto di lui. Lacrime di sangue gli rigarono le guance mentre le urla gli prosciugarono la gola. 

«Dieci colpi è il limite massimo che un dotato di abilità può sopportare» lo informò il falso giustiziere, ma se anche Chuuya lo sentì, le parole erano un fischio privo di significato. Il quarto colpo lasciò la canna, infierendo e riducendolo a un tremolio incontrollato di spasmi involontari. 

Un presentimento che non aveva nulla a che fare con Flawless bloccò Odasaku dal premere il grilletto per un quinto sparo. Il suo sguardo scattò dove avrebbe dovuto trovarsi Dazai. Individuò un lembo della sua giacca, ma si accorse che questa era semplicemente appuntata sulle casse e smossa dalla lieve brezza del mare. Il detective non era lì dove sarebbe duvuto essere. 

Se fossi una minaccia lo vedresti

Dazai apparve alle spalle di Odasaku prima che quest’ultimo potesse prepararsi. Lo assalì da dietro, passandogli un braccio intorno al collo e facendogli perdere l’equilibrio quel tanto che bastò per liberare Chuuya dalla pressione del suo piede. 

Prima che Odasaku potesse reagire e disarcionarlo, Dazai strinse i denti e giocò l’ultima possibilità di rallentarlo e avere un vantaggio: gli piantò nella spalla sana il pugnale che aveva recuperato dalla giacca dell’ex partner. 

«Chuuya!» gridò Dazai. Strinse la presa quando Red Hood lo afferrò per toglierselo di dosso e spinse la lama più a fondo, strappandogli un gemito che sentì in prima persona. 

A terra, l’ex partner non sembrava in grado di muoversi, ma ebbe un fremito nel sentirsi chiamare.  

«Chuuya! Ti fermerò! Ma devi farlo ora!»

Dazai serrò la mascella quando le dita di Odasaku gli artigliarono il fianco e riuscirono a scaraventarlo a terra. 

Nonostante il sangue che colava dalla ferita alla spalla lungo un braccio che non sembrava più in grado di muovere a piacimento, Red Hood non diede l’idea di voler desistere dalla propria missione. 

Puntò di nuovo la pistola a risonanza direzionale, ma questa volta la rivolse contro Dazai, troppo vicino perché potesse evitare il colpo. 

«Non saresti dovuto venire.» 

Il flash di incredulità che passò nello sguardo di Dazai, poco prima che il grilletto venisse premuto, non sortì alcuna esitazione. 

A differenza di Chuuya, l’urlo del detective si strozzò in gola. 

Dazai si portò le mani alle orecchie, graffiandosi con le unghie nel tenersi la testa. L’unico pensiero lucido che riuscì a razionalizzare, prima che il dolore diventasse insostenibile, fu di aver già provato una sensazione simile, ma meno intensa e devastante. Era come rimanere coinvolti dall’esplosione di una bomba. Fu una sofferenza simile soltanto alla base, perché si rivelò cento volte peggiore. 

I suoni si fecero ovattati e indistinti. L’odore del sangue, insieme al suo sapore sulle labbra, si mescolarono al bisogno di vomitare. Dazai crollò su un fianco, conscio di essere alla mercé di Odasaku, una macchia sfocata rossa e scura che lo sovrastava. 

Il giustiziere però non sparò una seconda volta. La presenza di Chuuya alle sue spalle lo distrasse quando il pavimento ricominciò a cedere sotto i loro piedi. 

La pelle visibile del Dirigente della Port Mafia era attraversata dal potere della Corruzione. Stava serpeggiando verso al viso, dove si mescolò col colore delle ferite e del sangue.

Chuuya era in piedi, ma in una posizione più scomposta del solito, come una marionetta a cui si erano rotti alcuni fili. Il suo sguardo era vacuo, ma si fissò sul nemico con l’ultimo barlume di consapevolezza. 

Red Hood scattò indietro prima che una bomba gravitazionale lo centrasse, andando a creare un buco sul terreno dove era fino a un secondo prima. Seguì anche una nuova onda d’urto che spazzò il cemento, trovando come unico impedimento No Longer Human, una sorta di scudo dal riverbero azzurrognolo intorno a Dazai. 

Un sorriso deforme e ampio si aprì sul viso di Chuuya. Nelle sue mani si caricarono altre due bolle nere di gravità compressa. Non parlò, non minacciò nessuno. La sua testa si piegò all’indietro come se pesasse troppo e iniziò a ridere. A ridere cattivo, scagliando le sue armi più potenti. 

Odasaku le evitò per un soffio, ma gli attacchi da due divennero quattro, e poi sei e, nonostante i movimento scoordinati del corpo di Chuuya, iniziò una caccia-fuga serrata. 

I colpi della pistola a risonanza furono inutile contro la gravità concentrata, che li inglobò come un sasso lanciato nel mare. A quel ritmo, non ci sarebbe più stato un Porto Vecchio sulla cartina di Yokohama. 


Dazai strinse le dita a pugno finché le unghie non si conficcarono nella carne del palmo e gli restituirono un diverso tipo di dolore, breve, ma anche nuovo e in grado di distrarlo. Il proiettile invisibile sparatogli in testa conservava il proprio eco, ma si era quietato abbastanza da fargli riottenere il senso della realtà. Il piccolo dolore che si inflisse servì a smuoverlo. 

Aveva la sensazione di cento emicranie tutte insieme, ma riuscì nell’impresa di tirarsi su e capire se c’era ancora qualcosa o qualcuno da salvare. 

Aveva detto a Chuuya di usare la Corruzione conscio che sarebbe potuto accadere il peggiore degli scenari. Farsi sparare da un’arma anti-abilità non era nel suo piano, ma neanche pugnalare Odasaku lo era stato. 

I minuti erano contati e stavano continuando a fluire inesorabili. Se voleva sperare di rimediare prima di perdere due persone importanti doveva alzarsi.

Nonostante i suoni continuassero ad arrivargli in picchi fastidiosi o vuoti, e dal naso il sangue colasse fino alla bocca, mettersi in piedi fu la parte facile. Difficile fu mantenere l’equilibrio. 

La prima cosa che riuscì a registrare fu la distruzione che percorreva tutti i moli vecchi, rendendoli irriconoscibili. Non c’era più una pavimentazione regolare, le macerie erano ovunque e una parte era crollata in mare. 

La situazione si era poi capovolta a vantaggio di Chuuya, ma Red Hood non stava cedendo. Il braccio ferito era inutile, tuttavia Flawless stava facendo il proprio dovere, dandogli il vantaggio necessario a salvarsi la pelle di pochi secondi. 

Le bombe gravitazionali del Dirigente stavano diminuendo di volume, ma la velocità con cui venivano scagliata rimase costante, fagocitando tutto quello con cui si incontravano. Erano disordinate, caotiche, imprevedibili. 

Non aiutò ascoltare come la risata di Chuuya fosse sempre meno umana, grottesca, anche ai sensi disorientati dell’ex partner. Era da troppo tempo in quello stato e presto la Corruzione avrebbe davvero raggiunto le sue ossa prima che Dazai trovasse il modo di intervenire. 

L’occasione si presentò a Dazai con, di nuovo, una pistola puntata contro. 

Sorrise a Odasaku come avrebbe fatto con un becchino. Stanco, frastornato e con un freddo dentro che non provava da molto tempo. La malinconia era solo il recipiente in cui quelle emozioni stavano affogando.

«Devo correggere Dostoevskij su un punto» mormorò il detective, osservando con la coda dell’occhio che Chuuya fosse ancora distante, intento a buttare all’aria un altro pezzo di porto. 

«Non è l’Arahabaki a essere una bestia di rara bellezza. È Chuuya stesso.»

Le sue labbra continuarono a sorridere, ma il sentimento che le venò cambiò da uno nostalgico a uno consapevole di come tutto si stesse riducendo a niente. 

«Ha un che di poetico sapere che in un corpo tanto minuto abbia dimora il seme della distruzione più pura e indiscriminata, impossibile da domare...»

«Tranne che da te» tagliò corto Odasaku. 

Fu nuovo sentire un tono affaticato, seppure sempre apatico, ma con qualcosa di più, di chi sta mettendo insieme i pezzi. Pezzi che nessuno sembrava essersi preso la briga di spiegargli. Dazai lo trovò interessante, ma allo stesso tempo rimase sul filo del discorso.

«No Longer Human è il nome della mia abilità» sospirò, quasi ringraziando di avere ancora il dolore alla testa a colmarlo abbastanza da non sentire quello nelle viscere. Odasaku era di nuovo a un passo da lui e non poteva raggiungerlo. 

«Posso annullare le altre abilità, come la tua Flawless. Abbiamo entrambi due poteri fastidiosi e guastafeste, non trovi?»

«...» 

Dazai dette di nuovo uno sguardo a Chuuya. Si era allontanato di un poco, senza mai smettere, ma andando nella direzione della città. Sembrava essersi dimenticato del suo obiettivo, ora che non gli era più davanti, ma Dazai sapeva che era solo perché il limite umano di Chuuya stava per esaurirsi. 

La vera domanda era: quanto ne sapeva Odasaku? Quanto gli era stato raccontato? Sebbene persino Dazai non avesse idea di cosa sarebbe successo all’Arahabaki una volta che il suo ospite umano fosse morto, non aveva alcuna intenzione di scoprirlo. 

«Non rimane più molto tempo. Mi sparerai, Odasaku?» tentò, giocandosi il tutto per tutto, ma senza guardarlo, avendo il ribrezzo per quella maschera cremisi. 

«Lascerai che Chuuya raggiunga Yokohama in questo stato? A giudicare da come stavi cercando di colpirlo, non era così che le cose dovevano andare, dico bene? Se Chuuya rade al suolo la città, anche il resto delle chiavi verranno distrutte.»

Per la seconda volta, il silenzio fu la replica a una conversazione a senso unico. 

«… tic tac, Odasaku, pochi secondi...»

L’uomo abbassò la pistola, rinfoderandola. Fu la sua decisione e la sua risposta, ma non l’ultima parola. 

«Non chiamarmi Odasaku» disse, voltandosi, ma lanciandogli un’ultima occhiata. 

«Sei un mio nemico.» 


Fermare Chuuya ebbe la precedenza, ma il vuoto che Dazai aveva dentro non attese e fagocitò la flebile luce che aveva resistito fino a quel momento. 


* * *


Per la seconda volta in meno di due settimane, le sirene della polizia e dei soccorsi invasero in massa le strade di Yokohama fino al Porto Vecchio. Non ne era rimasto molto, non della zona dei moli. Una delle ultime bombe gravitazionali di Chuuya si era schiantata contro un deposito di armi e l’incendio che ne era scaturtito stava tenendo impegnati i pompieri da un’ora. 

Lo sguardo di Dazai era ipnotizzato dalle fiamme. 

Era seduto sul vecchio divano di un ufficio non più in uso poco lontano. Chuuya era sdraiato con la testa sulle sue gambe, inerme e scomposto, privo di sensi. Con una tempia poggiata contro l’infisso freddo di una finestra al secondo piano di uno dei pochi magazzini rimasti in piedi, Dazai osservava la notte bruciata dall’incendio. 

Facendo appello alle poche forze rimaste, aveva trascinato l’ex partner nel primo luogo sicuro che aveva individuato, la testa ronzante, il corpo al limite. Era sicuro di aver perso i sensi per qualche decina di minuti, per essere poi svegliato dalle sirene e dagli ordini urlati del personale di emergenza accorso sul posto. 

Non aveva più niente a cui pensare ed era rimasto a guardare come la zona venisse transennata per i primi rilievi della polizia, il transennamento e l’individuazione delle prove che si erano lasciati alle spalle. C’era una delle pistole normali di Odasaku abbandonata in terra, diversi bossoli, tracce di sangue. 

Lo sguardo di Dazai si assottigliarono nel notare l’arrivo di Kunikida. Non pensò a nulla, ma lo seguì nei movimenti, nel vederlo parlare con i detective della polizia, con il capo dei pompieri, e poi guardarsi intorno, fino a correre in un punto in cui nessuno si era ancora spinto. Tra le macerie di un muro e i pezzi di legno di casse distrutte, Kunikida recuperò il suo trench, strappato e distrutto come tutto il resto. 

Dazai chiuse gli occhi quando il cellulare nella sua tasca iniziò a vibrare. Con lentezza, estrasse il telefono, osservando sul display il nome del suo attuale partner. Rimase così, immobile, finché la chiamata non si esaurì. Dieci secondi dopo ripartì e Dazai continuò a non rispondere, tornando a guardare fuori. 

Il rumore di passi di più persone, oltre la porta dell’ufficio abbandonato, lo irrigidirono. Fissò l’uscio, piantando le dita nella spalla di Chuuya mentre l’altra mano era ancora stretta intorno al cellulare, il pollice sospeso sopra l’icona per accettare la chiamata. 

Lo scalpiccio si bloccò di colpo e regnò il silenzio qualche istante, spezzato poi dal bussare deciso di due nocche. 

«Dazai-san, sono Hirotsu.»

L’aria lasciò i polmoni del detective in un involontario sospiro di sollievo. 

«Entra.»

All’apertura della porta, Dazai trovò l’anziano mafioso seguito a breve distanza da quattro agenti in nero. Con occhiate rapide controllarono la sicurezza dell’ambiente e due di loro si spostarono di nuovo all’esterno a sorvegliare il corridoio. Esclusi Dazai e Chuuya, e qualche mobilio sfondato, c’era solo il riflesso rosso dell’incendio ad agitarsi sulle pareti di quel rifugio improvvisato. 

Hirotsu concentrò lo sguardo sul proprio superiore, per porre poi una muta domanda a Dazai. 

«Ha la pelle dura, ma è messo peggio del solito. Ha bisogno di una TAC... potrebbe avere danni al cervello.»

C’era appena una traccia di macabro umorismo nel tono di Dazai. Il resto era il residuo pesante della situazione, di ciò che si era consumato un’ora prima e che aveva lasciato altri segni addosso al detective, visibili e invisibili. 

«Avrà subito le cure necessarie» assicurò l’anziano, facendo un cenno a due dei propri uomini di occuparsi di Chuuya, portandolo via. 

Con un nuovo vuoto affianco a sé, Dazai tornò a guardare fuori dalla finestra diroccata. Il suo cellulare riprese incessantemente a vibrare. A Hirotsu non sfuggì come l’ex Dirigente lo stesse stringendo e, allo stesso tempo, ignorando. 

«Posso scortarla da qualche parte, Dazai-san?» domandò con una gentilezza che era stato solito usare quando ancora erano dalla stessa parte. 

All’ennesimo inizio di chiamata da parte di Kunikida, Dazai spense il telefono, osservando il proprio riflesso nello schermo nero e immobile. 

«Sì» rispose, tentando di mettersi in piedi nonostante l’instabilità. 

«Portami alla Port Mafia.»



 

* * *



 

Il cellulare di Atsushi squillò appena una volta, prima che il ragazzo ci si avventasse sopra come fosse cibo e lui stesse morendo di fame. Il numero era sconosciuto, ma dopo tre giorni non gli importava di farsi domande. 

«Pronto!? Dazai-san!?»

«… ti ho davvero fatto preoccupare?»

Atsushi trattenne il respiro per un attimo, il corpo teso in un blocco unico, per poi lasciarlo andare in un sospiro liberatorio. 

«Meno male» disse piano, stringendo il cellulare con entrambe le mani. «Dove sei? Eravamo tutti in pensiero.»

«In effetti sono stato k.o. per quasi due giorni, ma sto bene.»

Kunikida apparve di fronte ad Atsushi, guardandolo con l’occhiata che di solito rivolgeva alle prove di un caso particolarmente ostico. 

«Sei al telefono con quell’idiota?» chiese, in un tono quasi normale, ma che durò davvero troppo poco e si trasformò nel classico abbaiare contro il suo partner. «Sta bene!? Passamelo! Mi ha chiuso la chiamata in faccia!» 

«Ugh» mugugnò Dazai all’altro capo. «Atsushi-kun, se mi passi Kunikida riattacco.»

Il giovane detective tentò di svincolarsi, ma Kunikida gli rimase alle calcagne. 

«Dazai-san è impossibilitato a parlarti» spiegò, facendo il giro delle scrivanie ma senza risultati, se non quello di attirare gli altri colleghi. 

«Che diavolo significa!? Passamelo! Giuro che lo ammazzo per telefono!»

«Non posso davvero» continuò a dire Atsushi sfuggente. 

«Che succede?» domandò Naomi, seguita dal fratello, Kenji e Kyouka. 

Atsushi si illuminò nel dare la notizia. 

«È Dazai-san! Sta bene!»

Nel dirlo dovette però saltare sulla scrivania per evitare l’agguato di Kunikida. 

«Andiamo, non c’è bisogno di essere così allegri» riprese Dazai. «Vi siete preoccupati che mi fosse successo davvero qualcosa di brutto? Non ho neanche il tempo di pensare al suicidio in questi giorni!»

Sulle labbra di Atsushi si aprì un sorriso in parte divertito dal tono, anche se il suo sesto senso lo avvertì di una nota stonata. 

Nel mentre, Kenji aveva afferrato Kunikida per la camicia, limitandogli i movimenti a uno sbracciarsi disordinato e inframmezzato di insulti verso il partner. 

«Passami quell’idiota!» 

«Sento Kunikida-kun pieno di energie» scherzò Dazai. «Ne avrà bisogno per esaminare i file che vi dovrebbero arrivare a breve

«File?» ripeté la giovane Tigre Mannara, più attenta. Era ancora in piedi sulle scrivanie, senza preoccuparsi di scendere. 

«Sì. Sono emerse delle informazioni interessanti da quello che è successo al Porto Vecchio. Non voglio rovinarvi la sorpresa, ma credo che dovreste dargli un’occhiata per bene tutti. Potrebbe essere una nuova pista e aiuterebbe Ranpo a capirci qualcosa.»

«Si tratta sempre di Red… Oda-san?»

Dazai si prese un momento per pensare alla risposta. 

«… In parte, ma relativamente. Ascoltami, Ranpo aveva ragione. Concentrarsi su Odasaku è inutile. Dostoevskij e l’organizzazione che hanno alle spalle sono il vero problema. Insieme alle chiavi.»

«Sì, ma-»

«Ne dubiti? Ho mai sbagliato

Anche se era una frase retorica, che più volte aveva infuso in Atsushi un senso di sicurezza e familiarità, il ragazzo continuò a sentire qualcosa fuori luogo, ma senza riuscire a concretizzarlo. Erano giorni, settimane, che Dazai non era più lo stesso, addetto da quella situazione.

«Dazai-san, è successo qualcosa di grave? Dove sei? Ti veniamo a prendere!»

«Aaah, Atsushi-kun, te l’ho detto, sto bene. Ho riposato e mangiato. Odasaku non c’è andato leggero, non è stato facile, ma alla fine nulla lo è.»

Il mentore sospirò, stiracchiandosi con un lieve verso rassegnato. 

«Davvero, era più semplice scegliere da quale ponte buttarsi, sigh. Ma non parliamo di me. Mi devi fare un paio di favori, ok?»

«Certo...»

«Dovresti dare ad Ango il mio libro sui suicidi. Penso che prima della fine di questa storia ne avrà bisogno!»

«… Dazai-san...» mugugnò sconsolato e rassegnato Atsushi, non trovandola un’argomentazione seria. 

«E poi… una cosa terribile. Davvero...» proseguì melodrammatico l’altro. «Ho lasciato del granchio in scatola aperto a casa. Ormai avrà appestato tutto! Hai ancora la mia chiave di scorta?»

«Sì, ma… dove sei, Dazai-san?»

Di nuovo, una pausa. Una pausa in cui Atsushi fu consapevole del proprio battito accellerato. 

«Che domande! Sono nel mio ufficio!»

Automaticamente, lo sguardo del ragazzo si posò sulla sedia vuota di fianco alla propria scrivania. Strinse il cellulare. 

«Qui la vista è mozzafiato. La apprezzavo anche anni fa, ma ora la trovo davvero appagante.»

«Non capisco...»

«Non importa. Va bene così.»

Se anche suonò consolatorio, Dazai si lasciò sfuggire una nota malinconica. 

«C’è un’unica cosa che mi dispiace. Questa sarà la nostra ultima chiacchierata.» 

Atsushi si rannicchiò sulle gambe, sul piano della scrivania, per mitigare la fitta allo stomaco che lo colse impreparato. Registrò appena la presenza degli altri intorno a sé, ma non cosa gli stessero chiedendo. 

«Cosa… cosa significa, Dazai-san?»

«Non è fattibile per un Detective dell’Agenzia parlare al telefono con un Dirigente della Port Mafia. Lo capisci?»

«No… non è possibile.»

«Mi dispiace se…» Dazai esitò. Atsushi era Atsushi, non qualcuno da prendere in giro. «Mi dispiace se ti sentirai deluso. Il mio obiettivo è Odasaku, ma io non sono il suo. Non finché rimarrò in Agenzia e potrò solo raccogliere le briciole che lascia.» 

Anche se suonava ragionevole e usò un tono delicato, la fitta colse Atsushi anche al petto, portandolo a stringersi in se stesso ancora di più. Dazai riprese a parlare e il ragazzo ascoltò ogni singola sillaba, cercando qualcosa che rendesse meno reale quello che stava succedendo. 

«Non posso promettere di giocare secondo le regole quando ci troveremo di nuovo di fronte a Odasaku. Non posso stare dalla vostra stessa parte. Ho vissuto per quattro anni una menzogna. Piacevole, ma pur sempre un inganno. Sai, non sono mai stato bravo a seguire la morale o a fare distinzioni tra giusto e sbagliato. A detta di Chuuya, il mio sangue è nero. Credo che abbia ragione.»

«No!» 

Atsushi scattò di nuovo in piedi, facendo trasalire tutti gli altri. Sentiva le guance bagnate, ma provò una rabbia impotente sconquassare il timore che gli si era appena radicato dentro. 

«No! Non è vero! Non è così!» ripeté, scuotendo la testa. «Non sei così!»

Dopo un momento in cui nessuno dei due parlò, Dazai rise brevemente, con un’allegria sincera, anche se macchiata di tristezza. 

«Sei una brava persona, Atsushi-kun. L’ho capito appena ti ho visto quel giorno al fiume

La fitta al petto tornò e il ragazzo si sgonfiò di ogni emozione. 

«Dazai-san...»

«Cerchiamo di non incontrarci sul lavoro, ok? Non sarebbe piacevole.»

Il giovane detective non replicò, aggrappato a quel silenzio, nero come una stanza in cui era appena stata spenta la luce. 

«Questo è un addio, Atsushi-kun.»

Dazai attaccò. 

Negli uffici dell’Agenzia l’aria era immobile. Tutti gli sguardi erano puntati sulla figura della giovane Tigre Mannara, ma nessuno disse niente. I rumori vennero da fuori, dalla strada trafficata, dalla mite giornata di sole, dalla vita che non si era fermata. 

«Ohi, ragazzino… cos’è successo? Dov’è quell’idiota?» chiese Kunikida, rigido, stringendo i pugni. 

Atsushi abbassò la mano in cui aveva stretto il cellulare, facendolo cadere sulla scrivania con un tonfo che echeggiò brevemente. 

«Dazai-san… è tornato alla Port Mafia.»


To be continued.



Cucù...!
Coff... forse ritorno? Il COWT sta per finire e dovrei tornare a scrivere principalmente questa storia...!
Intanto, noticina al capitolo: le pistole a risonanza direzionale sono le stesse che appaiono nel manga nel casinò di Sigma ~ 
Grazie a chi ha continuato a leggere questa storia anche in mia assenza =) 
Mi manca un sacco scriverla *love* 
Spero che il capitolo vi piaccia! 

Nene
   
 
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